Nel nome di San Precario
di Valerio Di Paola
01/11/2006
Trenitalia fornisce una sgargiante casacca arancione, li istruisce sulle diaboliche macchinette automatiche per i biglietti e li sguinzaglia per la stazione Termini di Roma, a caccia di viaggiatori in difficoltà. La stazione, con l'approdo dei treni ad alta velocità, ha voluto darsi un look più "europeo": luci intermittenti e banchine anodizzate, schermi al plasma e giovani assistenti sorridenti, per ogni evenienza. Firmano un contratto. Poi qualcuno cambia idea e da impiegati ad orologeria tornano ad essere precari disoccupati.
L'agenzia di lavoro interinale Ega s.r.l. da più di un anno fornisce a Trenitalia il personale a tempo determinato per il servizio di assistenza ai clienti. L'ultimo contratto viene stipulato il 15 Agosto: venticinque tra ragazzi e ragazze firmano un contratto a progetto per 960 euro al mese. Un colpo di fortuna, ovviamente, con i giorni contati: il contratto scade il 31 Dicembre. Il 10 Ottobre, martedì, il coordinatore del servizio comunica a tutti che il lavoro finisce lì: venerdì sarà l'ultimo giorno di paga. Trenitalia non fornisce spiegazioni; ufficialmente sono finiti i soldi. Ma i fondi per i servizi non sono stanziati con largo anticipo? Tra le banchine della stazione si mormora di un avvicendamento ai vertici del consiglio d'amministrazione; si sa, quando le poltrone girano i soldi cambiano destinazione con grande facilità. I precari protestano ma tra le righe del contratto c'è la possibilità di scioglierlo anzitempo, senza troppe spiegazioni. Qualcuno dall'agenzia interinale fa qualche telefonata allarmata, qualcun altro in Trenitalia decide di "concedere" i quindici giorni di preavviso al licenziamento che la legge impone. Tanto peggio: così tutto è apparentemente in regola e i sindacati non possono, e non vogliono, intervenire.
L'agenzia Ega liquida gli ex addetti all'assistenza ai clienti con la promessa di chiamarli per altri servizi, quando mai ne esisteranno. Venticinque disoccupati si rimettono a cercare lavoro, ovviamente qualcosa di precario. Insieme al danno, intanto, arriva la beffa. Il lavoro con Trenitalia, come da legge Biagi, è pagato a giornata, senza ferie e senza malattia. Un contratto sciolto prima della fine del mese, per chi ci contava per la spesa o l'affitto, significa "sballare" il bilancio mensile. E così qualcuno deve chiedere di fare doppi turni per arrotondare lo stipendio degli ultimi giorni, alla stessa azienda che lo ha appena licenziato.
Certo, la casacca arancione di Trenitalia non è il primo passo verso un glorioso avvenire. Per molti, fuorisede o fuoriusciti da casa anzitempo in barba ai sondaggi sui giovani italiani "mammoni", rappresentava magari solo la possibilità di passare dalla camera in affitto condivisa con un altro precario all'agognata "singola". Certo, c'è di peggio in giro per l'Italia: illegalità palesi e occulte, orde di cassaintegrati, lavoratori in nero, licenziati dal posto fisso con decenni d'anzianità. Ma è ben triste non denunciare piccoli episodi di non lavoro come questo, perché, tanto, "il peggio non è mai morto".
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