I sindacati di base fanno il pieno di consensi.
«Un milione e mezzo di scioperanti e 300.000 in piazza» secondo Cub-RdB, Cobas, Sult e tante altre sigle
Decisamente più vivaci, le manifestazioni organizzate dai sindacati di base in 24 città italiane. D'altro canto, non avevano imbarazzi nel chiamare le cose col proprio nome: «contro questa finanziaria, tutta orientata alla soddisfazione dei bisogni delle imprese» e che «non dà nulla ai lavoratori». Era la prima volta che tutte le sigle di questo universo si ritrovavano per una iniziativa di sciopero comune. Ma evidentemente hanno lasciato una buona traccia «unitaria» gli anni di mobilitazioni no global e anche la grandissima manifestazione del 4 novembre scorso contro la precarietà. Cub-RdB, Cobas, Sult, Cnl, Unicobas, SinCobas, Usi e altre sigle che spesso vantano un buon radicamento in situazioni aziendali, ma che difficilmente riescono a muovere grandi numeri su temi di politica generale. Questa volta, nonostante i timori della vigilia e l'azzardo di spargere le iniziative un po' dappertutto, l'operazione è riuscita. «Hanno scioperato con noi anche molti lavoratori di Cgil, Cisl e Uil», spiega Piero Bernocchi, coordinatore dei Cobas della scuola. I numeri che danno sono difficili da verificare nell'insieme («un milione e mezzo di adesioni allo sciopero e 350mila nelle piazze»), ma qui a Roma hanno dato la cifra di 25.000 al corteo, non troppo lontana dalla realtà, dopo un inizio faticoso in una piazza impraticabile come quella di Porta Pia. Parla di «berlusconismo senza Berlusconi», di una «finanziaria che aumenta solo i soldi per Confindustria e le spese militari, che per la prima volta pareggiano quella sociale». Pierpaolo Leonardi, coordinatore dei Cub, invita «il governo a riflettere sulla grande partecipazione al nostro sciopero e alle manifestazioni regionali». Anche perché «questo per noi è un passaggio; le mobilitazioni proseguiranno in maniera articolata, sul diritto a veri rinnovi contrattuali, contro l'ennesima riforma previdenziale, per far naufragare i fondi pensione e risolvere la piaga della precarietà». Una folla di striscioni, a Roma, segnalava la presenza delle categorie più diverse. Oltre agli «storici» comitati del pubblico impiego e della scuola, oltre la sanità e il trasporto pubblico locale, si facevano notare i cento volti del precariato industriale e dei servizi: ragazzi dei call center, addetti alla grande distribuzione commerciale, impiegati dele agenzie fiscali, dipendenti degli enti locali, della giustizia e persino della presidenza del consiglio («col nuovo governo non è cambiato nulla; solo i carichi di lavoro, aumentati»). E figure inconsuete nei cortei di una volta, come i dipendenti dell'Associazione nazionale combattenti e reduci, ossia le guardie giurate dell'Istituto di vigilanza dell'Urbe. E poi i vigili del fuoco, personale paramedico della Croce Rossa, i ricercatori e i decenti precari dell'università, una frotta di studenti medi che andavano via insieme, stretti stretti, ballando al ritmo del reggae. E molti universitari, naturalmente. Tra i tanti, il deputato del Prc, Salvatore Cannavò, che promette «non voterò la finanziaria».
Scene simili a Milano, dove una manifestazione forse anche più grande, in cui erano presenti gli operai dell'Alfa Romeo, ha attraversato le vie del centro per concludersi in piazza Duomo. Dal palco Corrado Delledonne Pippo Fiorito e Carmelo Calabrese hanno ricordato tutti i punti della piattaforma dello sciopero, ma soprattutto il fatto che «i soldi sono andati solo alle imprese», uniche beneficiarie del «taglio al cuneo fiscale».
Resta, forte, la sensazione che questa galassia riesca a intercettare, magari in modo ancora non molto coerente e organizzato, una vasta area del malcontento sociale, inquadrandolo in una linea di contestazione politico-sindacale non qualunquista e non corporativa. «E' una mobilitazione che ormai marcia con le sue gambe», spiega ancora Bernocchi. «Il 4 novembre ha fatto vedere a tutti che si può criticare questo governo sui contenuti». E tutti insistono sul sondaggio pubblicato da Repubblica, che dà il ministro del lavoro Cesare Damiano all'ultimo posto nella classifica del gradimento; un modo per stemperare nell'ironia il ricordo delle polemiche prima della manifestazione del 4 novembre.
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