I risultati del sesto rapporto dell'istituto "Iard" condotto su 3mila ragazzi (15-24 anni). Diminuisce la fiducia nelle istituzioni e nella tv. Resistono i valori di pace, amicizia e famiglia.
ROMA - Venti anni di analisi a confronto per capire come sono cambiati i giovani italiani. Dalla partecipazione politica, ai nuovi scenari del precariato; dalla perdita di fiducia nei confronti dei mass media, alle forme di passaggio verso la vita adulta. Sono molti gli elementi che il sesto rapporto dell'istituto "Iard" (Istituto sulla condizione giovanile in Italia ha cercato di analizzare, realizzando una comparazione con le altre indagini svolte in questi anni, a cominciare dal 1983.
E proprio questo obiettivo è stato apprezzato dal ministro per le Politiche Giovanili e le Attività sportive, Giovanna Melandri che ha parlato di "uno strumento di grande utilità per chi è impegnato nella messa a punto di strategie finalizzate a fare della giovinezza un'esperienza piena e felice e a sbloccare l'accesso dei giovani alla vita adulta".
Nodo dolente questo per la maggior parte dei giovani italiani, ben rappresentato dai tremila ragazzi (dai 15 ai 24 anni) intervistati su tutto il territorio nazionale. Se nel 1983 infatti era uscito di casa il 17 per cento dei 15-17enni, oggi soltanto il 3 per cento. Situazione simile anche per le altre fasce di età: ad esempio per i 18-20enni si è passati dal 39% al 25%. Solo dopo i 25 anni si registrano le prime consistenti uscite di casa, spesso in concomitanza con il matrimonio o la convivenza; tuttavia: quasi il 70% dei 25-29enni e oltre un terzo tra i 30-34enni (36%) vive ancora con i genitori.
"Su questi processi esercitano un'importante influenza molti aspetti della società odierna - commenta Alessandro Cavalli, presidente del comitato scientifico dell'Istituto 'Iard' - percorsi di studio più lunghi che in passato, con un ingresso più tardivo nel mondo del lavoro, si pensi che tra i 25-29enni c'è ancora un 35% di giovani che non lavora e tra i 30-34enni è il 23% e la precarizzazione del mercato del lavoro, che ha però segnato un'inversione di tendenza rispetto ai dati del 1996, con una maggior partecipazione giovanile al mondo del lavoro e il difficile accesso al mercato del credito e della casa".
Guardando al futuro. Naturalmente ciò influenza le aspettative. La visione del futuro è quella di un vasto campo di possibilità, sempre aperto. Impegnarsi in scelte troppo vincolanti non piace: se questo era vero nel 1987 per il 65% degli intervistati oggi lo è per l'80%. E sarà probabilmente a causa del confronto quotidiano con i termini e le dinamiche del precariato, ma nell'ultimo decennio si è diffusa inoltre l'idea che nella vita anche le scelte più importanti non sono "per sempre" (dal 49% del 1996 al 54% del 2004).
Le cose importanti della vita. Così seppure ogni scelta è considerata reversibile, ci sono valori però che rimangono ai primi posti e a cui di dà importanza praticamente assoluta: la salute, ad esempio, che raccoglie il consenso della quasi totalità del campione (92%), seguita a pochi punti percentuali dalla famiglia (87%) e dalla pace (80%, a pari merito con il valore della libertà. E ancora: l'amore (76%) e l'amicizia (74%).
Significativo in questo caso il fatto che accanto alla famiglia considerata stabilmente negli anni quale valore imprescindibile, i dati mostrano una crescita dell'amicizia (nel 1983 era considerata "molto importante" dal 58% dei giovani; nel 2004 dal 78%). Si riduce, invece, nella scala delle priorità, l'importanza attribuita alla dimensione lavorativa, che passa, negli anni 1983-2004, dal 68% al 61% dei consensi; quella attribuita alla carriera (ben 12 punti in meno in 8 anni - dal 1996 al 2004).
Mentre sorprende l'importanza attribuita al valore della solidarietà: negli ultimi otto anni passa dal 59% dei consensi al 42%. "Le cose importanti per i giovani - spiega il presidente di 'Iard' Antonio de Lillo - sono sempre più quelle legate alla sfera della socialità ristretta, a scapito dell'impegno collettivo".
L'atteggiamento verso la politica. A questo proposito viene considerato anche il rapporto con la politica. L'impegno vero e proprio coinvolge una piccola fetta di ragazzi (appena il 4%). E anche la fiducia negli uomini politici si attesta su livelli molto bassi, nonostante una crescita dall'8% al 12% negli anni dal 2000 al 2004. Cresce d'altro canto, dopo un'inversione di tendenza registrata nel 1996, l'atteggiamento di delega (il 35% pensa che si debba "lasciare la politica a chi ha la competenza per occuparsene", contro il 26% del 1996) e si riduce, seppur lievemente, quello di disgusto (dal 26% al 23%).
Va detto però che il fatto di sentirsi disgustati verso certi modi di fare politica è un dato che dagli anni '80 è cresciuto a lungo in modo esponenziale dal 12% al 23%. Tuttavia, la partecipazione concreta ci mette di fronte ad uno scenario diverso: solo il 23% dichiara di non partecipare "mai". Un trentenne su due dichiara di aver assistito ad un dibattito politico, un 15-17enne su tre ha partecipato ad un corteo, quasi 1 maggiorenne su 4 ha firmato per un referendum e 1 su 10 ha aderito ad un boicottaggio.
E alla domanda "Quale obiettivo prioritario dovrebbe avere la politica?" si osservano forti cambiamenti nelle risposte: si assiste, infatti, a un calo costante dell'importanza attribuita a "mantenere l'ordine della nazione" (dal 36 % del '92 al 26% del 2004) e a "dare maggior potere alla gente nelle decisioni politiche" (dal 32% al 14%); mentre è in crescita l'idea che la politica debba "proteggere la libertà di parola" (dal 25% al 35%).
In cosa credono? Per quel che riguarda poi la sfera del rapporto con enti, media e istituzioni. Dagli anni '80 ad oggi, si registra il declino della fiducia nei confronti di molte istituzioni: gli insegnanti, la polizia, i militari di carriera, le banche e gli uomini politici. Tuttavia l'ultima rilevazione riserva qualche novità: una crescita della fiducia attribuita soprattutto agli organi di controllo. I giovani che dichiarano di aver fiducia nei militari passano dal 32% del 2000 al 52% del 2004, raggiungendo livelli di consenso mai sfiorati. Continua, al contrario, inarrestabile, il declino della fiducia nelle banche (meno 10% negli ultimi 4 anni, ma ben meno 23 punti percentuali nel ventennio) e nei mass media.
Si registra, infatti, un crollo della fiducia da parte dei giovani nei confronti della televisione: si passa dal 47% di coloro che si fidavano della televisione privata nel 1996, al 33% del 2004; e per quella pubblica dal 53% dei consensi si passa al 38%. La metà del campione, infine, si fidava dei giornali nel '96: percentuale lievemente in discesa nel 2004 (meno 6%). Una generale sfiducia nelle istituzioni e un bisogno di maggiore tutela, dunque che si registrano nella cronaca quotidiana e che in certi casi fanno guardare ai giovani soprattutto come a un problema: "Un problema di ordine pubblico, o, al più, un problema di politiche sociali - ha commentato il ministro Melandri - ma io vorrei cogliere l'occasione per ribadire che la nostra visione è un'altra e coglie nei giovani un risorsa essenziale per il futuro di questo Paese".
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