27.11.06

Non firmi il contratto? Non firmo il giornale

27-11-06

intervista a Roberto Natale, membro della Giunta Nazionale FNSI ed ex segretario UsigRai

Dopo lo sciopero della redazione, lo sciopero della firma. Ce lo spieghi .

È un'iniziativa che non va letta in contrapposizione con lo sciopero classico ma come forma collaterale di protesta, e va nella direzione di tutte le iniziative fino ad ora perseguite, cioè di ideare qualunque mossa possa servire a sbloccare la Fieg dalle sue posizioni di chiusura.

Secondo lei sta funzionando?

Direi proprio di sì. Abbiamo un riscontro positivo da parte del pubblico. È un'iniziativa che suscita attenzione, curiosità. Anche gli editori sembrerebbero più sensibili, anche il loro fronte interno pare che si stia articolando di più, e in favore di posizioni meno rigide e oltranziste.

Lo sciopero, in quanto tale, non funziona più, è diventato uno strumento debole?

No, perché tutto procede in modo cumulativo. Ci sono forme di protesta classiche, e forme più innovative.

Come la protesta davanti al Lingotto a Torino il giorno delle inaugurazioni delle Olimpiadi, o durante le giornate del festival di Sanremo?

Esattamente. Una ricerca di visibilità e di sensibilizzazione verso l'esterno. Anche lo sciopero della firma va interpretato in questo modo: usare tutti gli espedienti, anche fantasiosi, per far capire all'opinione pubblica che qualcosa non va. E si cerca di farlo parlando all'esterno della ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Insieme cerchiamo di utilizzare lo strumento classico, facendo in modo che gli editori non ne neutralizzino gli effetti. Con gli scioperi improvvisi, gli editori non hanno il tempo di spostare la raccolta pubblicitaria da un giorno all'altro e quando provano a farlo, aumentando la filiazione dell'edizione del giorno successivo allo sciopero, talvolta devono subire un'ulteriore giornata di sciopero, come è successo a ottobre a Repubblica . Lo sciopero è uno strumento classico, ma non vetusto.

Quanti sono complessivamente gli scioperi indetti da quando è scaduto il contratto giornalistico?

Da fine febbraio 2005 ad oggi sono state indette 13 giornate di sciopero. Scioperi che non hanno riguardato questo o quel punto della piattaforma ma che sono stati indetti ‘solo' per cominciare ad aprire le trattative. Francamente, la situazione è critica. In passato, fino a quest'ultima vertenza, gli scioperi erano per ottenere questa o quell'altra cosa, indirizzare l'andamento della trattativa nell'uno o nell'altro modo. Oggi si sciopera per poter innanzitutto essere ascoltati, perché gli editori continuano a non voler proprio aprire la trattativa stessa. Non discuterla, aprirla.

Al di là delle testate del gruppo Repubblica L'Espresso, qual è la situazione nelle altre redazioni?

Si segnalano prese di posizione di vari comitati di redazione, la stessa FNSI dà il pieno sostegno al ritiro delle firme e auspica che questa iniziativa si replichi ovunque è possibile. È una situazione generalizzata, che si avverte trasversalmente a diversi livelli. Basti pensare che il cdr de Il Giornale , quotidiano che esce puntualmente in edicola mentre gli altri scioperano, ha diffuso un comunicato in cui c'è scritto che il problema è che gli editori vogliono ottenere maggiori ricavi tagliando il costo del lavoro dei giornalisti. In questo caso, il comunicato vale sia per quello che c'è scritto sia per chi lo ha scritto. L'area della combattività è molto ampia.

Insomma, il consenso si sta allargando.

Sì, anche Europa , Il Manifesto hanno sostenuto l'ultimo sciopero. Ieri (sabato 25 novembre, n.d.r.) Avvenire ha pubblicato un editoriale in cui sollecitava gli editori al dialogo. Anche la Rai , che è l'azienda che stipendia il maggior numero di giornalisti italiani, con un proprio comunicato ci ha tenuto a fare sapere alla Fieg che è contraria alla linea del rifiuto e favorevole all'apertura del dialogo. Ogni redazione sceglie la propria soluzione in base alla propria specifica situazione.

Ma le posizioni degli editori cambiano.

La vertenza si presenta in forma nuova anche perché sono cambiati gli schieramenti all'interno della Fieg. Prima erano editori come Riffeser, che controlla quotidiani nazionali tra cui il Giorno , la Nazione Il Resto del Carlino , a guidare lo schieramento dei ‘falchi', oggi a rifiutare il dialogo c'è Caltagirone (Il Messaggero , Il Mattino , e altro) e Carlo De Benedetti, l'editore ‘democratico' per eccellenza. I giornalisti di Repubblica stanno scioperando proprio per questo, perché vivono sulla propria pelle la contraddizione tra quello che il loro giornale predica sul valore della concertazione e quello che l'editore pratica. Se il dialogo tra le parti nei rapporti industriali è un valore, questo deve poter valere anche dentro le redazioni.

Redazioni che per la prima volta hanno messo la tutela dei lavoratori precari al centro della piattaforma.

Questa è la novità della vertenza. Non c'è alcun spirito corporativo, né alcuna differenza tra garantiti/non garantiti. Si tratta di una vertenza trasversale nel vero senso della parola, sia perché ha come perno della sua battaglia il superamento del precariato, sia perché non si batte solo per i propri diritti di categoria bensì mira ad un quadro di regole chiare per tutto il mondo dell'editoria. Mi riferisco alle risorse per l'editoria, che la Finanziaria nella versione approvata alla Camera ha tagliato (salvo l'annuncio del Governo di ripristinarle al Senato). Mi riferisco al problema sempre più serio di squilibrio nella ripartizione pubblicitaria tra tv e carta stampata. E mi riferisco alla necessità di rivedere le norme del rapporto tra azionisti e giornali. È il problema che pone anche il recente libro di Massimo Mucchetti, “Il baco del Corriere” (edito da Feltrinelli, nd.r. ), che è un testo estendibile anche ad altre realtà. Qui occorre regolare in modo diverso e più serio la situazione diffusa per cui banche e finanzieri acquistano giornali per ragioni tutt'altro che editoriali.

È questo che intende il sindacato quando chiede uno Statuto dell'Impresa Editoriale?

Sì, vogliamo un argine allo strapotere di soggetti che hanno interessi extra-editoriali: perché l'informazione è vitale, è alla base della democrazia, e il conflitto di interessi non ce l'ha solo Berlusconi, ma riguarda tutte le situazioni in cui esistono editori che sostengono giornali per motivi estranei all'informazione. Lo Statuto vuol dire separazione netta tra prodotto informativo e ‘resto'.

Tornando ai precari, la si può definire una lotta dentro la lotta?

I precari stanno lottando insieme alle redazioni, all'interno di questa vertenza più ampia che a sua volta, e per la prima volta, li coinvolge in un discorso corale, collettivo. Se si sbucciasse questa vertenza come un carciofo, l'anima sarebbe proprio la lotta al precariato. Siamo riusciti a saldare la battaglia tra chi vive questa situazione dentro le redazioni e chi le vive ai margini. Ai nostri incontri, i precari sono una presenza fissa, hanno capito che è una scelta contraria ad ogni corporativismo.

Gli editori vi ribattono che il quadro internazionale dell'editoria sta cambiando, anche per via delle nuove tecnologie che renderebbero grigio il futuro della carta stampata, e che pertanto occorre investire sulle nuove forme di informazione che ne deriverebbero.

Non so se sarà profetico quello che scrive in “The vanishing paper” l'autore, Philip Meyer e cioè che entro il 2043 verrà stampata l'ultima copia di un quotidiano. Certo che le nuove tecnologie ridisegneranno gli assetti tradizionali ma è miope la risposta degli editori che individuano come soluzione la sola compressione dei costi, tagliando sul lavoro dei redattori e ignorando i diritti dei lavoratori precari.

Adesso sono previsti altri scioperi di qui a Natale.

Proprio per la questione della raccolta pubblicitaria di cui le parlavo. Il periodo natalizio ha un incremento notevole di pubblicità, e questo è un modo per colpire gli editori in maniera diretta.

Buon Natale.

Grazie, in tutti e due i sensi.

di Paola Manduca

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