5/11/2006
NON c'è nulla di male nello scendere in piazza quando si è al governo. Ma bisogna proporre qualcosa. Altrimenti un partito «di lotta e di governo» diventa solo un veto al quadrato, conservatore tanto nella stanza dei bottoni che nelle piazze. Quali sono le proposte del ministro (presente solo virtualmente), dei 9 sottosegretari e dei 3 partiti di maggioranza che hanno manifestato ieri a Roma contro il precariato? Abrogare tre leggi, forse quattro. Non si capisce per sostituirle con cosa.
Non è neanche chiaro cosa intendano con il termine «precariato». I promotori del corteo hanno indetto un concorso per un film sui precari. In attesa di vedere il cortometraggio, proviamo noi a definire questo oggetto misterioso. Il precariato è lavoro pagato poco e cronicamente instabile, soggetto a molte involontarie interruzioni di carriera. Sono le due cose insieme. Si può ricevere salari d'ingresso bassi - perché si sta imparando un mestiere - senza essere precari. Si può anche essere spesso disoccupati, ma guadagnare tanto quando si lavora da poter mantenere un buon tenore di vita anche durante queste pause involontarie. Si è precari quando si guadagna poco e si è spesso disoccupati, finendo per maturare una pensione al di sotto della linea di povertà. Difficile stabilire quanti siano oggi in Italia i precari. Usando i pochi dati disponibili si può stimare che i lavoratori con contratti atipici (ad esclusione del part-time volontario) che guadagnano meno di 800 euro netti al mese e che rimangono con lo stesso contratto (o sono disoccupati) a un anno di distanza siano attorno a mezzo milione. Non sono pochi se rapportati ai poco più di due milioni di occupati fra i 15 e i 24 anni di età.
Per combattere il precariato bisogna andare alle radici del problema. Che non sono solo italiane. La globalizzazione penalizza i lavoratori poco istruiti o con poca esperienza nei Paesi industrializzati, che perdono sia rispetto ai lavoratori più qualificati a casa loro che rispetto ai lavoratori poco qualificati dei paesi emergenti. Questo «ceto medio del mondo» vive con bassi salari in Paesi ricchi. La flessibilità introdotta «al margine», solo per i nuovi assunti, spinge i datori di lavoro ad assumere di più che in passato (il 60 per cento dei più di 2 milioni di posti di lavoro creati dopo il Pacchetto Treu è in contratti atipici). Ma questi lavoratori vengono utilizzati spesso come valvola di sfogo, serbatoio cui attingere quando la domanda aumenta e di cui disfarsi quando peggiora la congiuntura. Il risultato è che non si investe nella formazione di molti giovani lavoratori, a partire dal pubblico impiego, e questo li espone di più agli effetti della globalizzazione. Ci sono poi le riforme delle pensioni che hanno praticamente dimezzato il rapporto fra pensione pubblica e ultimo salario per coloro che hanno iniziato a lavorare dopo il 1996, mantenendo inalterato l'onere di pagare a chi oggi va in pensione vitalizi ancora più generosi di quando si andava in pensione 5 anni dopo e si viveva 10 anni in meno. Il risultato è che un lavoratore che non riesce ad uscire dal circuito dei contratti a progetto o a tempo determinato è destinato a ricevere una pensione annua inferiore a 5.000 euro, al di sotto della linea di povertà.
Se queste sono le cause del precariato, ridurre la flessibilità introdotta in questi anni vuol dire solo aggiungere il danno (di un ingresso più difficile nel mercato del lavoro) alla beffa dell'instabilità e dei bassi salari. Serve invece delimitare la flessibilità alla fase di ingresso, costruendo un percorso verso la stabilità che costruisca gradualmente tutele man mano che si investe nel capitale umano del lavoratore, senza discontinuità contrattuali, come proposto in dettaglio con Pietro Garibaldi su lavoce.info. Solo in questo modo torneremo ad avere almeno il 90 per cento delle assunzioni in contratti a tempo indeterminato (oggi sono meno del 50%), senza che diminuisca il numero delle assunzioni. Serve anche un salario minimo che offra una remunerazione di base a lavoratori che sono spesso alla mercé dei loro datori di lavoro. Il sindacato non li copre e non li rappresenta. Quindi il salario minimo non svuota la contrattazione, serve solo a colmarne i buchi sempre più evidenti. Importante, infine, incoraggiare il trasferimento immediato del Tfr alla previdenza integrativa per chi ha un lavoro dipendente e l'accesso ai fondi pensione collettivi per i parasubordinati. Mentre guardavo le immagini del corteo, mi è sembrato di sentire uno slogan: «Vogliamo costruirci una pensione, non diamo i nostri soldi a un carrozzone». Posso essermi sbagliato, ma credo che si riferissero al conto di tesoreria istituito presso l'Inps per raccogliere i flussi del Tfr che matureranno dal 1° gennaio 2007.
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