Sono 800mila i parasubordinati che non guadagnano più di 9mila euro l'anno. Più del doppio sono i dipendenti con contratto a tempo determinato
di FEDERICO PACE
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Dal Nordest e dal Sud. Da Conegliano Veneto, da Padova, dalle città lombarde, piemontesi e liguri. Da Bari, Caserta e Napoli. A migliaia scendono in piazza i precari per la manifestazione nazionale Stop Precarietà Ora, organizzata da associazioni, movimenti e porzioni di sindacato per chiedere "l'abrogazione delle tre leggi simbolo della precarietà: la legge 30, la Bossi-Fini e la Riforma Moratti."
Sono i ragazzi e le ragazze che lavorano nei grandi centri commerciali, gli operatori dei call center, ma anche i ricercatori universitari, i lavoratori della "conoscenza" impiegati nelle aziende dei servizi avanzati, i programmatori informatici e i collaboratori free-lance dei giornali. Così come i quarantenni impelagati nei contratti senza rinnovo certo. Insomma tutti quelli, e non sono pochi, che hanno un contratto di lavoro con una data di scadenza scritta sopra. Giovani e meno giovani che provano un crescente disagio per il troppo tempo passato a contatto quotidiano con la precarietà, con quella provvisorietà che pare sempre più accompagnata dall'attesa di un peggioramento.
Ma quanti sono in Italia quelli che fanno i conti con l'instabilità del lavoro? Cifre se ne sono fatte molte. Numeri su cui però non sempre c'è accordo. Secondo alcuni sono tanti, secondo altri sono meno di quanto si creda.
Se si guarda al primo rapporto dell'Osservatorio permanente sul lavoro atipico, pubblicato in questi giorni da Ires-Cgil, sono poco più di 800mila (vedi tabella) gli iscritti alla gestione separata dell'Inps che hanno un reddito unico medio annuo che non arriva ai 9 mila euro. Sono loro, secondo gli autori del rapporto, quelli a "rischio precarietà". Sì, perché questi lavoratori hanno un reddito molto inferiore alla media e la loro unica fonte di sostentamento arriva proprio da impieghi atipici. Si concentrano in particolare nel centro Italia e nel Mezzogiorno: in Calabria, Lazio e Molise rappresentano il 70% degli iscritti alla gestione separata dell'Inps.
Tra loro si possono trovare molte donne e tanti giovani. Le donne rappresentano il 57,3 per cento di questi segmento di lavoratori. Molte di più di quanto non siano in altre aree del lavoro. Quanto ai ragazzi e alle ragazze, i lavoratori sino a 30 anni sono quasi esclusivamente atipici con reddito esclusivo. Ma più di quattro su dieci di coloro che svolgono solo lavori atipici hanno un'età avanzata con redditi imponibili significativamente inferiori alla media degli iscritti alla gestione separata.
Nelle università, secondo alcune stime di censimento realizzato dai ricercatori italiani in 33 università, la percentuale di personale di ricerca precario arriva al 37% . E tra questi non sarebbero inseriti i docenti a contratto. Manuela Arata direttore generale dell'Istituto di Fisica della materia e presidente del Festival della Scienza ha detto che "il problema del mondo della ricerca oggi in Italia è che ci sono troppo pochi ricercatori e che i giovani sono tutti fuori dalla porta".
Ma c'è di più. Dentro al dedalo della provvisorietà non ci sono solo loro. Se è vero che è l'incertezza della conferma di un contratto a determinare la condizione di instabilità del lavoro, allora non si può fare a meno di nominare anche quelli che si ritrovano nel mondo del lavoro con un contratto a termine seppure da dipendente. Ovvero più di un decimo della forza lavoro attuale. Secondo l'ultima rilevazione Istat sulle forze di lavoro, i dipendenti a tempo determinato superano i 2 milioni. Circa 116mila in più di quanto non fossero nel secondo trimestre del 2005. E sono soprattutto loro a crescere. Nel secondo trimestre 2006 sono cresciuti dell'8,1% mentre il complesso degli occupati è aumentato "solo" del 2,4 per cento. Oggi i contratti a tempo determinato sono arrivati a rappresentare il 13 per cento dei dipendenti. Erano il 12,4% nello stesso trimestre dell'anno scorso.
Anche per loro, la maggiore concentrazione si riscontra nelle imprese del Mezzogiorno. Al sud d'Italia, riporta l'ultimo Rapporto sul mercato del lavoro del Cnel, la percentuale di occupati a termine raggiunge il 17% del totale degli occupati. Moltissimi i giovani. Hanno un contratto a tempo determinato quasi quattro lavoratori su dieci con un'età inferiore ai 24 anni. Mentre per gli uomini l'occupazione a termine pare più legata a una fase di ingresso nel mercato del lavoro, è per le donne che pare essere più spesso una condizione subita.
Ma quanti di loro sono in questa condizione per scelta? Sempre secondo i dati Cnel, l'86% di chi si ritrova ad avere un contratto a tempo determinato lo è perché non ha trovato un impiego a tempo indeterminato (vedi tabella). Così, l'occupazione a termine pare rimanere per lo più una condizione di natura involontaria.
Quel che rende meno sicuro il posto di lavoro, secondo Aris Accornero, professore emerito di sociologia industriale all'università di Roma, è la "crescente nati-mortalità delle imprese e le loro continue trasformazioni. Questo richiede un modello di welfare in cui lo Stato garantisca una continuità di cittadinanza nella discontinuità dei tragitti mediante regole universali che accompagnino e proteggano chi resta in azienda per poco, allo stesso modo di chi ci rimane per anni". Qualsiasi sia il numero effettivo del numero di persone che oggi si ritrovano a dover fare i conti con la provvisorietà, esse rappresentano ormai una quota significativa della forza lavoro del nostro paese. A loro si devono risposte. Il più presto possibile.
(4 novembre 2006)
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