Un intervento della crew di chainworkers sulla manifestazione del 4 novembre. Dal 5 novembre on line il nuovo sito. In calce l'intervento che facemmo all'assemblea di Stop Precarietà Ora dell'8 luglio (la memoria è un ingranaggio collettivo :)
Ancora sulla nostra pelle
Il percorso di preparazione del corteo del 4/11 non è certo stato privo di interesse.
Infatti se da un lato è chiaro che questa manifestazione non rappresenta quella tappa fondamentale nella lotta alla precarietà troppo sbrigativamente acclamata il luglio scorso, dall’altro gli scazzi, ops le divergenze politiche!- che l’hanno accompagnato invece ci mostrano chiaramente le difficoltà e le contraddizioni con cui le istituzioni storiche, di ogni sinistra, moderata o radicale, alternative o meno, affrontano lo tsunami della precarizzazione.
Forse si mostrò più avveduto chi al tempo dubitò che una banale riqualificazione delle alleanze fra le organizzazioni sindacali o istituzionali, radicali o meno, potesse invertire quell’ infame tendenza che ha visto, negli ultimi decenni, erodere inesorabilmente diritti, salari a favore dei profitti e della (in)civiltà dell’impresa.
D’altronde queste organizzazioni sono state proprio, nel bene(?) o nel male(!), quelle che non riuscendo ad opporsi alla marea montante neo-liberista hanno aperto le porte alla precarietà sociale. Se la critica è ovviamente trasversale, la responsabilità dei confederali e dei partiti di sx ( rifo, verdi, pdci ) è semplicemente agghiacciante
Centrò il problema anche chi fece notare che la tempestività con cui si è creato il percorso “stop precarietà ora”, concepito quasi contemporaneamente alla nascita del governo, avrebbe potuto sollevare qualche dubbio sulla propria natura indipendente, autonoma e fortemente conflittuale.
Al limite, si disse, e ci pare che i fatti vadano in questo senso, si sarebbe potuto ottenere una grande manifestazione di piazza, degli iscritti e dei simpatizzanti, chi di questo chi di quello, che si limiterà ad esercitare da una parte un po’ di pressione da sx ma che, con reazione uguale e contraria, finirà per diventare una stampella ideale per il nuovo governo.
Un “do ut des” tutto politico e un po’ troppo lontano dalle esigenze dei precari.
Quando si dice che la legge trenta è un simbolo - un manifesto ideologico della legge Treu - e che essendo un simbolo non si abbatte ma si sostituisce, si afferma proprio questo: la precarietà ci pone di fronte alla necessità di rinnovare approcci, forme e contenuti del conflitto.
La lotta alla precarietà necessita di una visione ampia e coraggiosa e non di piccole politiche.
Il passato non può mai essere un riferimento nella costruzione del futuro: al limite ne costituisce una un modello di restaurazione.
Il problema è questo: manca la parola dei precari e delle precarie!
Questo non significa che non ci saranno precari/e nel corteo. Vista la reale pesantezza che questa condizione esercita sulla nostra vita è lecito pensare che ognuno/a senta il desiderio di aggrapparsi ad ogni boa nella speranza di un cambiamento!
Ma ciò non toglie che questa manifestazione non avrà un effetto realmente incisivo e che i toni di molte polemiche – ora ci sto e ora non ci sto! mi piace e non mi piace più! – appaiono a tutti/e pretestuosi e un po’ noiosi. Seminano la confusione e non il dubbio fra i partecipanti più sinceri.
Bastano poche parole per collegare il tatticismo di questa manifestazione con la mannaia della finanziaria: ogni passo a sinistra è seguito da una camminata verso destra… e a noi non resta che volare.
Ma la parola radicalità fa rima con credibilità e non con l’esercizio tutto politico e molto mistificatore di chi propone soluzioni furbe e immediate, di chi assume posizioni tanto intransigenti da non essere applicabili o replicabili, di chi aderisce prima e si smarca poi con lo stesso livore con cui cambia ordinazione al bar – visto che negli ultimi mesi poco è cambiato, che non fosse prevedibile e preventivato- nel percorso di Stop precarietà ora.
E’ venuto il momento che la parola passi ai precari/e.
E’ indicativo leggere tutt’oggi come le indicazioni di partecipazione, dei treni, degli spezzoni vengano ancora apostrofate “contro il precariato”.
Siamo contro la precarietà e non contro il precariato che è composto da persone reali, uomini, donne, nativi e migranti che vivono fra i ricatti delle imprese e le frustrazione dei propri sentimenti tutti i giorni.
Dissociare i corpi dalla loro condizione è da sempre un cattivo presagio.
Noi siamo loro, noi siamo con loro.
Attraverseremo gli appuntamenti di questo inverno senza staccare assegni in bianco a nessuno, con intelligenza, definendone di volta in volta le modalità rispetto a ciò che ci interessa esprimere, ricordandoci che un appuntamento sulla precarietà si è già imposto in Italia e Europa negli ultimi sei anni: la Mayday.
Investire oggi su una stagione di protagonismo dei precari/e significa guardare lontano, senza cercare scorciatoie né sperare in facili cambiamenti. In altre sedi si è cominciato a discutere di questi orizzonti e la ricchezza delle esperienze di lotta, alcune volte molto innovative, è il luogo in cui innervare reti di complicità sempre più estese.
Inspirare conflitto è cospirare precario.
Nb Qualcuno/a, magari in buona fede, magari ancorato ad una vecchia concezione della partecipazione e all’adesione ci potrebbe chiedere: ci sarete quindi il 4/11? Mah…chi può dirlo?!
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