Un libro che parla di noi
Alessandro Genovesi, 30 ottobre 2006
Ex libris "La rivoluzione precaria", ultimo lavoro di Antonio Sciotto e Anna Maria Merlo, raccontando il movimento francese anti Cpe, parla anche della nostra realtà italiana, sempre più determinata dalla precarizzazione del lavoro
Parafrasando uno dei più noti aforismi marxisti, oggi "uno spettro si aggira per l'Europa... la precarietà". Così si potrebbe riassumere l'essenza del libro "La rivoluzione precaria" (Ediesse, Novembre 2006), scritto da due penne del Manifesto - Antonio Sciotto e Anna Maria Merlo - rispettivamente giornalista economico e corrispondente da Parigi del "quotidiano comunista".
Il libro è interamento dedicato al movimento francese contro il CPE (contratto di primo impiego), quello che Supiot ha definito come "la più grande e recente protesta di una giovane generazione contro lo svilimento del lavoro e dei suoi diritti".
"La Rivoluzione precaria" si presenta quindi come una classica produzione da "movimento", raccogliendo interviste, riflessioni, analisi statistiche, documenti e manifesti prodotti in quella breve ma intensa (e non esaurita) stagione di lotte. Una stagione particolare, perché per la prima volta le generazioni più giovani sono riuscite a dare una dimensione collettiva e politica a frustrazioni e paure per troppo tempo celate nella mera sfera individuale.
Il movimento dei giovani francesi ha rappresentato e rappresenta, infatti, un qualcosa che travalica le Alpi e, come ha scritto Ramonet nella prefazione del libro, ci parla dell'incapacità della sinistra nel saper leggere le trasformazioni avvenute, con gli occhi dei novelli sfruttati da organizzare e difendere. In una trama che va oltre i singoli provvedimenti del Governo di centrodestra e che evidenzia la portata gigantesca di una crisi. Quella di un modello di sviluppo che non riesce più a garantire mobilità sociale, redistribuzione di occasioni e potere (anche indipendentemente dal successo scolastico e universitario dei più giovani). Nel libro "La rivoluzione precaria" si mette a nudo la crisi degli ultimi assiomi positivisti sopravvissuti alla caduta del muro di Berlino: non è più vero che basta studiare e laurearsi per godere di condizioni sociali migliori di quelle di partenza; non è più vero che "flessibile è bello", che l'individuo solo sul mercato (sul mercato di oggi, nell'economia riorganizzata di oggi) sia più libero e consapevole. Sotto accusa è certo la precarietà, la mano invisibile del mercato, la sistematica mercificazione del lavoro: ma più in generale sotto accusa è un modello che svilisce le energie migliori del continente, che crea tappi generazionali, che impedisce la messa in moto dei circuiti creativi, intellettuali, immaginifici di cui le generazioni più giovani sono portatrici. Ed allora questo libro non parla solo della Francia, ma dell'intera Europa, dell'incapacità di rinnovare quel compromesso tra ragioni del mercato e ragioni del lavoro che ha dato vita al welfare state, che ha responsabilizzato l'impresa, che ne ha ancorato le pulsioni più animali al rispetto dei confini della cittadinanza. E quindi il libro parla anche dell'Italia.
Non a caso gli autori hanno voluto a tutti i costi uscire in libreria prima del 4 novembre, data della manifestazione indetta dal cartello "stop precarietà ora", in questi ultimi giorni però divisosi in seguito alle esternazioni dei Cobas che hanno convinto la Cgil e altri partecipanti a disertare l'appuntamento.
"La rivoluzione precaria" esprime una denuncia che inchioda la politica alle proprie responsabilità, alla propria funzione regolatrice e che, in fin dei conti, investe anche un'idea di democrazia e di libertà. Come retoricamente si interroga uno degli studenti francesi nei giorni dell'occupazione della Sorbona: "che libertà è quella che si basa sull'insicurezza? Che democrazia sarà mai possibile se molti di noi saranno lavoratori precari per tutta la vita, con la sistematica paura anche solo di parlare, organizzarsi, denunciare le ingiustizie che subiscono?".
Un libro, quindi, che bisogna leggere, perché raccoglie voci simili a quelle che potremmo ascoltare in un call center di Roma o in un centro di ricerca di Napoli; che parla di noi, dei nostri problemi, delle nostre sconfitte, ma soprattutto delle nostre possibili vittorie.
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