Otello Piccoli, 27 ottobre 2006
La modifica alla legge 30, che i cinici del centrodestra, con l'avallo di troppa parte dell'opposizione continuano a chiamare legge Biagi, approvata dalla giunta scatena subito le polemiche
C'è chi grida allo scandalo paventando il ritorno delle gabbie salariali, chi annuncia tristemente la morte, in culla, della concertazione e chi parla di "regalo ai call center".
La modifica alla legge 30, che i cinici del centrodestra, con l'avallo di troppa parte dell'opposizione continuano a chiamare legge Biagi (non hanno rispetto neanche dei morti... il messaggio implicito è: se la legge non ti piace sei un terrorista), approvata dalla giunta Cuffaro scatena subito le polemiche.
"Questa legge è un regalo ai call center"- afferma in una nota il deputato diessino Francesco Cantafia- e quando lo abbiamo raggiunto al telefono ha aggiunto "la situazione di schiavitù in cui sono ridotti i lavoratori precari oggi non potrà che peggiorare...chi paga il costo del lavoro è sempre il lavoratore".
Ed in effetti il vecchio Vasavasa ne ha combinata un'altra delle sue.
Tra le altre cose, infatti, il progetto prevede contratti collettivi regionali, ma, soprattutto, salari più bassi per i lavoratori siciliani rispetto a quelli del resto del Paese. Il tutto con i contributi della Regione, ponendo ancora una volta la politica, quella con la p minuscola, come intermediario tra i lavoratori e le imprese, con buona pace dei sindacati.
Insomma, invece di incentivare le assunzioni si incentiva lo sfruttamento, ed i diritti dei lavorsatori, le battaglie del passato, le conquiste degli anni novanta ( appunto l'abolizione delle gabbie salariali) finiscono in un tritacarne in nome del lavoro.
Le condizioni difficili dei lavoratori precari e dei disoccupati in questa terra rendono fertile il terreno per questo tipo di proposte: quando manca il pane e te ne lanciano un pezzetto, non stai certo lì a guardare se è fresco o meno, mangi quello che arriva.
Siamo nel 2006 e sembra di tornare indietro al 1800. Già, perchè il mercato del lavoro ha ormai preso una strada, tutta in discesa, verso l'appiattimento sulle regole neoliberiste:criticano la Cina ma ci vogliono ridurre tutti come i lavoratori cinesi.
D'altra parte li vediamo tutti i nostri grandi industriali con le fabbriche in oriente, i soldi alle Caiman, i figli negli Sates, farci ogni giorno la morale sul valore del made in Italy, su quanto poco si aiutino le imprese, su quanto costa il lavoro, mentre il potere d'acquisto dei salari è pari allo zero, ed i loro stipendi lievitano del 100-150 a volte anche del 300%.
Allora, per risollevare le sorti dei tanti giovani e meno giovani, dei lavoratori salariati, dei precari, non si devono operare modifiche alla legge 30. Bisogna cancellare quel mostro legislativo e ricominciare da capo, con una riforma del lavoro che metta al centro la giustizia sociale, i diritti del lavoratore, gli individui. Si smetta di considerarli numeri, risorse umane, o peggio, semplicemente consumatori che bisogna solo rimettere in grado di acquistare.
Il lavoro deve trovare di nuovo una sua dignità. Mentre tutti danno per morta da 20 anni la lotta di classe la società si sta nuovamente dividendo in troppi strati. E, rischiando di usare termini ormai arcaici, possiamo affermare che ormai esiste una condizione di sottoproletariato, di povertà, di insicurezza, di precarietà come condizione di vita, non soltanto di lavoro, che rischia di alimentare negli anni uno scontro sociale di proporzioni mai viste.
In Francia é successo quello che sappiamo per molto meno.Gli italiani sonnecchiano ancora, ma prima o poi il problema verrà a galla.
Se tra qualche anno vedremo periferie come lo Zen di Palermo andare in fiamme, se vedremo i suoi abitanti invadere il centro lanciando pietre, dando fuoco ai cassonetti, ribaltando le auto della polizia non ci sarà da stupirsi.
Anzi, la cosa assurda è che non sia ancora successo. Perché il degrado, la povertà, l'umiliazione scatenano gli istinti primordiali dell'uomo.E la precarietà porta degrado povertà e umiliazione.
E questa riforma in salsa siciliana va in una sola direzione e lancia il solito messaggio: in Sicilia bisogna accontentarsi e ringraziare. Soprattutto ringraziare.
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