15.3.06

La Francia è sempre l’inizio, anche per i precari può essere così

La Francia è sempre l’inizio, anche per i precari può essere così
La legge italiana è più accorta, ma la maggior parte dei "lavoratori interinali" è nelle stesse condizioni. Le opinioni di Accornero, Ichino, Contucci

"La Francia è sempre l’inizio anche per i precari può essere così"

di FEDERICO PACE

Cpe. C’è una sigla di tre lettere al centro della protesta dei giovani francesi. Contrat première embauche, ovvero contratto di primo impiego. Un rapporto di lavoro che permetterebbe, secondo il primo ministro francese de Villepin, di ridurre la disoccupazione giovanile. Un contratto che, secondo i ragazzi, farebbe diventare l’occupazione sempre più instabile e incerta. Sì, perché con il Cpe le imprese potranno, da metà aprile quando cioè Jacques Chirac potrebbe promulgare la legge, assumere i giovani fino a 26 anni e licenziarli nei primi due anni di impiego senza particolare restrizioni.

Gli uni parlano perché si sentono schiacciati dalla precarietà che sembra avvelenare il mondo del lavoro. L’altro parla perché vuole sconfiggere il fantasma della disoccupazione giovanile. Di certo c’è che la transizione dallo studio al lavoro pare essere diventata, per chi la deve compiere, una vera e propria traversata nel deserto. Esattamente come in Italia. E anche in Italia, a parere di tutti gli osservatori, c’è un malessere che monta pronto ad esplodere: arriverà il "vento francese?"

"La cosa più incontestabile degli studi sulla precarietà - afferma il sociologo del lavoro Aris Accornero che sta preparando un libro sull’argomento - è che a pagare sono i giovani, in particolare le ragazze. La quota dei giovani che viene assunta in pianta stabile è esigua: non più di un terzo ce la fa alla prima botta e spesso ce la fa chi ha un elevato livello di istruzione o chi ha un canale privilegiato di accesso al mondo del lavoro. Per questo non credo che sia stata la cosa più sensata da parte di de Villepin andare a dire proprio a questi giovani che per due anni possono essere licenziati."

In Francia il tasso di disoccupazione giovanile raggiunge il 22,2%, un valore di poco inferiore a quello italiano che si aggira da qualche anno intorno al 24 per cento. La gran parte di chi un lavoro ce l’ha si trova in condizioni economiche sempre meno confortevoli e con pochi diritti. Se si guarda ai lavoratori sottopagati, ovvero a chi guadagna meno di due terzi dello stipendio medio di un lavoratore a tempo pieno, ci si accorge che (dati Ocse) in Francia il 26,1% dei sottopagati ha meno di 25 anni mentre in Italia si arriva addirittura al 60,9 per cento.

Dopo l’esplosione delle proteste, de Villepin ha difeso strenuamente il nuovo contratto e in risposta i giovani francesi hanno deciso di non fare passi indietro e hanno promesso per oggi nuove manifestazioni, mentre i sindacati si muoveranno giovedì e sabato.

Saranno manifestazioni che però non riguarderanno solo Parigi e la Francia. Perché i giovani sono i protagonisti, malgrado loro, di un processo di ristrutturazione del mercato del lavoro che investe la gran parte delle città europee. "Se una legge simile dovesse essere proposta anche in Italia - dice Accornero - potrebbe succedere la stessa cosa. Da noi però ce la siamo cavata con l’interinale, una soluzione che costa un po’ di più per le imprese. L’interinale sembra pensato per i giovani tanto che l’80 per cento riguarda proprio loro e un quarto degli interinali viene assunto in pianta stabile."

Il posto stabile appunto. Un miraggio sempre più remoto. Se c’è un’area dove i giovani, e i meno giovani, vengono mantenuti con più drammaticità in una situazione di permanente precarietà è proprio il settore pubblico e in particolare le università. Ne sa qualcosa Pierluigi Contucci, giovane docente del dipartimento di Matematica dell’università di Bologna con un passato negli Usa che è stato tra i coordinatori dell’"esercito degli idonei", ovvero quei professori che avevano vinto un concorso e hanno dovuto aspettare a lungo prima di essere impiegati nel ruolo.

"Io sono stato a Parigi per dei seminari questo gennaio. Conosco molti colleghi. Quello che sta succedendo in Francia - dice Contucci - manda un segnale molto forte a tutti noi. Da Parigi arrivano sempre dei campanelli d’allarme per l’Europa. Certi malesseri diffusi sembra che lì riescano ad emergere con più forza. Il dieci marzo è scoppiata la protesta e oggi già la metà degli atenei francesi vi ha aderito. Non che questo sia di per sé positivo, ma i francesi si uniscono in alcune battaglie con molta più decisione di noi."

Qualcosa di simile a quello che accade oggi era accaduto alla fine del 2003, quando la gran parte degli stati europei aveva cominciato a fare tagli alla ricerca scientifica e i francesi si erano mossi con grande rapidità. "In Francia allora era subito nato il coordinamento ’Salviamo la Ricerca’, dopo pochi giorni avevano sei mila iscritti e all’inizio del 2004 erano in 45 mila, ovvero la totalità del corpo accademico dei ricercatori. In Italia abbiamo impiegato quattro mesi per avere duemila iscritti. E poi il coordinamento si è sciolto come sale nell’acqua. Anche oggi, se devo dire la verità, tra colleghi non si parla molto di quello che accade in Francia".

Con gli studenti Contucci però parla, spesso di prospettive occupazionali, quando i ragazzi gli chiedono cosa possono fare "dopo". E non può fare altro che metterli in guardia: "Non posso che dire loro che non sarò in grado di assicurargli un futuro. Quel che più dispiace è che qui non c’è spazio per tutti gli studenti bravi."

Il rischio di rimanere in quella specie di "apartheid permanente", come la chiama Pietro Ichino, non può che portare conseguenze negative. "In Italia - conclude Accornero - c’è un’idea della precarizzazione del lavoro forse superiore a quella effettiva. Comunque sia però è certo che le idee e le percezioni contano, e inducono molti comportamenti. Un mondo del lavoro precario disorienta e disarma. Se dura ancora qualche anno potremo misurare gli effetti sul tasso di nuzialità. Ed è solo un esempio. Il rischio che corriamo è di avere una società che si avvita su stessa e che spegne ogni stimolo ed iniziativa".

Di : Federico Pace
martedì 14 marzo 2006

Categorie:

Nessun commento: