24.3.06

Il lavoro precario è nocivo

Due volte senza sicurezza
record di infortuni tra i giovani

di FEDERICO PACE

Si dice che chi ben comincia è già alla metà dell'opera. Purtroppo però, di ben cominciare, ai giovani capita sempre più raramente. Soprattutto se si tratta di un impiego. Per molti di loro il lavoro è diventato una chimera. Ma c'è di più. Proprio ai ragazzi e alle ragazze succede di cadere più spesso nelle trappole nascoste nei luoghi del lavoro. Sì, perché sono i giovani quelli che si infortunano di più mentre lavorano. Più di quanto non accada ai loro colleghi adulti.

Nel 2004, dati Inail, gli infortuni denunciati dagli "under 34" sono stati oltre 380 mila, quasi la metà del totale di quanto avvenuto lungo il corso di tutto l'anno (vedi tabella). Seppure la proporzione si è in parte ridotta in questi ultimi anni, in Italia, così come in Europa, l'incidenza di infortuni sugli occupati per la classe di età più giovane è ancora quasi doppia rispetto a quella degli altri lavoratori. L'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, per questo, lancerà, a partire dal 23 ottobre prossimo, la campagna "Safe Start" affinché se ne parli più di quanto non succeda oggi.

Sì perché c'è qualcosa nel nuovo lavoro che acuisce i rischi della classe più vulnerabile. "Dai dati che abbiamo noi - sottolinea Emilio Viafora, segretario generale di Nidil Cigl (vedi intervista integrale)- si evince che il massimo degli infortuni avviene nelle somministrazioni, soprattutto nella prima missione". Il 73 per cento degli interinali, secondo un'indagine realizzata da Ispesl e Cgil, dice di non essere mai stato informato sui rischi presenti sull'attuale posto di lavoro e quasi sei su dieci non sanno neppure se nell'azienda esista o meno il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. I contratti atipici quindi. Ma anche l'inesperienza, la poca formazione e la scarsità delle informazioni di cui i ragazzi e le ragazze dispongono. Senza contare la scarsa sensibilità dei datori di lavoro. Sono tante le cause di quello che accade ogni giorno nelle fabbriche e negli uffici delle città italiane.

Anche se in proporzione minore di quanto avveniva nel 2000, gli infortuni per lo più avvengono ancora nell'industria (metalli e meccanica), e nelle costruzioni ma anche nel commercio e nei trasporti ci sono numeri preoccupanti. Quanto alle differenze territoriali il fenomeno raggiunge numeri elevati soprattutto nel Nord Est.

A questi dati però vanno aggiunti quelli relativi al lavoro nero. "Se seguiamo l'Istat che stima in 3 milioni e 300 mila i lavoratori irregolari - dice Franco D'Amico dell'Inail - e applichiamo i tassi di frequenza infortunistica per ciascuno di questi settori, il totale degli incidenti dovrebbe salire complessivamente di altre180-190 mila unità." Di questi, circa 70-80 mila interesserebbe gli "under 34".

Per la ricerca dell'European survey on working conditions i lavoratori sotto i 24 anni sono quelli più esposti ai rumori, alle vibrazioni e al calore. Quasi uno su cinque di loro lavora tenendo una postura dannosa, il 12,5% è chiamato a sopportare sforzi fisici gravosi e molti di loro effettuano movimenti ripetitivi (capita al 35,8% dei giovani contro il 30% del resto della forza lavoro). Senza contare che quasi un giovane su tre lavora "ad alta velocità". Soprattutto in ragione del controllo diretto del capo (capita al 46,9% di loro), perché indotti dai loro colleghi (per il 42,7%) o per la velocità automatica dei macchinari (al 24,2 per cento).

Da questi numeri si capisce che il lavoratore non è una figura astratta. Un ente immutabile. E come tale non andrebbe trattato. Perché i rischi che ciascuno corre dipendono dalla propria costituzione ma anche da quanto ne sa. Dalle informazioni che ha ricevuto. "I giovani sono maggiormente esposti ai rischi lavorativi per il loro minore grado di conoscenza - afferma Elena Battaglini, responsabile per l'Ires dell'area di ricerca relativa all'ambiente, al territorio e alla sicurezza - che va collegato strettamente alla condizione contrattuale di tipo 'atipico e flessibilè e alla minore esperienza lavorativa. Due fattori che tendono a relegare in secondo piano i temi della salute e della sicurezza, favorendo invece le preoccupazioni relative al mantenimento del posto di lavoro."

Anche la conformazione del sistema produttivo italiano, sbilanciato verso la piccola impresa, rischia di aggravare il fenomeno. "La formazione - dice Franco D'Amico dell'Inail - nelle grandi imprese in qualche modo di fa, ma nelle piccole e piccolissime imprese è poi così diffusa. Se ci poniamo di fronte alle nuove emergenze, ai lavoratori atipici e agli extracomunitari, ci accorgiamo che questi sono lavoratori che hanno una scarsissima informazione e vengono messi a fare lavori che non hanno mai fatto."


"In Italia la cultura della sicurezza - sottolinea Antonio Leva dell'Ispesl - è davvero bassa, c'è una situazione a macchia di leopardo. Nelle multinazionali tale cultura è maggiore ma per il resto non ci si può ritenere soddisfatti." Senza contare che il passaggio di paradigma tecnologico e la nuova organizzazione del lavoro sembra fare emergere una serie di nuovi rischi della cui gravità fino ad oggi non si è avuta sufficiente percezione.

Secondo il rapporto pubblicato a fine 2005 dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, che ha coinvolto esperti di 14 paesi europei e Stati Uniti, la mancanza di attività fisica è il principale rischio emergente. Chi lavora in un call center, dicono gli esperti dell'Agenzia, è esposto a rischi multipli e interagenti: troppo tempo seduti, scrivanie e sedie poco ergonomiche, rumore di sottofondo, cuffie inadeguate, pressione elevata sui tempi di lavoro con conseguente stress mentale ed emotivo.

Ma cosa si può fare per assicurare ai giovani una maggiore "protezione"? "Si ottiene essenzialmente con la formazione e l'informazione sui rischi e le politiche di tutela - dice Battaglini - Cose che spesso la condizione occupazionale di tipo 'atipicò non consente. Si tratta di favorire, tra le imprese, una cultura della sicurezza che sia considerata come un vantaggio competitivo, in termini di qualità del lavoro e, quindi, di qualità dei processi e prodotti e non come vincolo alla libertà dell'imprenditore. Cultura che porterebbe inoltre a stipulare dei contratti, anche a progetto o interinali, che tutelino i lavoratori, anche in termini formativi, dai rischi connessi con i processi di lavoro."

www.repubblica.it

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1 commento:

InOpera ha detto...

situazione drammatica di cui sempre meno persone se ne occupano.

è realmente una società fondata sul lavoro?