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Il vento francese e i nostri atenei

Il vento francese e i nostri atenei

20/03/2006 16:10


In Francia continua la protesta degli studenti (giusta nei contenuti, sbagliatissima nella forma) contro il lavoro precario e temporaneo. Cinquanta, su 84, le Università occupate con i rettori che si schierano a fianco dei giovani. Il governo Villepin non retrocede di una virgola nella sua “legge a favore degli studenti”: un contratto di primo impiego, sotto i 26 anni, che consente ai datori di lavoro di licenziare il nuovo assunto senza giustificato motivo per i primi due anni. Ad occhio, è evidente – per questo le proteste degli studenti – che un provvedimento del genere rende ancora più incerta e instabile l’occupazione. La disoccupazione giovanile in Francia viaggia sul 30% e la percentuale dei senza lavoro nelle periferie è al 50%. Il dibattito sulla stampa francese durante gli scontri nelle periferie toccava nel profondo il vanto della società d’oltralpe: la meritocrazia che non c’è più e lo squilibrio nell’offerta di pari opportunità a chi è alla ricerca d’occupazione. E proprio in Francia si è organizzato un massiccio movimento degli stagisti, stanchi della loro condizione lavorativa.

La paura si chiama precarietà, quindi. Precarietà che è conosciuta e diffusa da anni in Italia. Stupisce che in Italia non sia stata raggiunta quella consapevolezza alla quale sono giunti i cugini d’oltralpe. Nessun movimento, nessuna presa di posizione nelle scuole, nessuna arrabbiatura organizzata. Un silenzio calato in rassegnazione. Inspiegabile, perché il caso Italia è oltre, in termini di gravità, rispetto a quello francese. Da noi la gamma del lavoro precario è ben più vasta e di garanzie nemmeno l’ombra: stage su stage, contratti a progetto sei mesi in sei mesi dove l’interruzione del rapporto di lavoro è all’ordine del giorno. In queste settimane la legge francese è stata sistemata prevedendo, in caso di licenziamento, oltre all’indennità d’occupazione (già prevista) anche un successivo bonus integrativo; il preavviso di un mese e un’indennità in caso di rottura contrattuale unilaterale. Volgendo lo sguardo sul territorio italiano viene da dire: magari quelle condizioni ci fossero qui da noi! In Francia c’è del metodo, in Italia è una cammellata, un’improvvisazione continua. E colpisce lo stordimento dei primi interlocutori di queste leggi: i giovani italiani che escono dall’università.

Fin tanto che sbrigano e studiano nel mondo ovattato delle aule sembra che il problema del dopo e quindi del lavoro sia un accessorio. Manca il raccordo e il coordinamento con il mondo delle professioni. Ognuno si crogiuola nel suo mondo. E lasciata la soglia delle università i giovani (nel 2005 tra i giovani laureati quasi il 60%) scivolano sui lavori precari. Il tempo è poco. La legge 30, cosiddetta legge Biagi, è da azzerare. In primis i sindacati, con la forza dietro di chi il lavoro ce l’ha, devono predisporre un’agenda che guardi al futuro, partendo dal nostro sistema previdenziale. I precari di questi anni rischiano di diventare i “nuovi braccianti” del terzo millennio. Ma con una differenza, tutta a vantaggio degli anni ‘50 e ‘60 quando bastavano 51 giornate lavorative l’anno e avevi assicurato un reddito previdenziale fatto d’indennità di disoccupazione, malattia, maternità e assegni famigliari. Qualcosa non torna.
MAURIZIO GUANDALINI, Saggista e consulente

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