Il ''marzo'' francese
Da Parigi. Continua la mobilitazione degli studenti e dei giovani precari contro il governo e la sua proposta del Cpe. I perchè della loro opposizione
Renzo Francabandera
Parigi in questo week end sotto la solita pioggerellina, sotto il solito cielo grigio che fece dire a qualcuno, tempo fa, che i Francesi sono in fondo Italiani con i cattivi pensieri. Parigi ribolle in silenzio da qualche mese, ormai. Sembra sul punto di esplodere. Frenesia di impiegati al venerdì pomeriggio che affollano il metrò, un sabato di gente che in centro legge giornali e discute animatamente nelle brasserie, dove però ci sono sempre accese le tv per aggiornare sulle vicende in corso, mentre i telegiornali si susseguono a raffica. Aprono tutti nello stesso modo: De Villepin, Chirac, manifestazioni, cortei, incontri.
Dalle periferie, al governo, ai sindacati. La Francia è, sempre più, un paese con i nervi a fior di pelle. Il braccio di ferro sul contratto di lavoro fra il Primo Ministro De Villepin e le parti sociali è costantemente al massimo dello spasimo.
A questo si sommano i problemi sul versante dell’istruzione che coinvolge ormai tutta la Francia, con occupazioni e scioperi: anche su questo fronte infatti la pressione, persino per il turista giapponese capitato lì per caso, diviene evidente. Linee di bus turistici a corsa ridotta per le manifestazioni. Un continuo. Anche ieri (domenica, n.d.r.).
Il tema del lavoro, in un modo o nell’altro, attraversa in verità tutta l’Europa: dall’Italia, dove la legge Biagi sta portando al precariato più istituzionalizzato possibile, alla Germania, dove la locomotiva economica non cammina, alla Francia, dove le periferie emarginate e i molti centri in disagio sprigionano fiamme e bollori.
Con il contratto per nuovi impieghi (Cne) e il contratto per il primo impiego (Cpe), il Governo francese vorrebbe ridurre la disoccupazione e riformare le norme sul licenziamento, inefficaci e ingiuste, perché scoraggiano le assunzioni senza evitare la precarietà dell’occupazione e la disoccupazione di massa.
Come in Italia, così pure in Francia sono i più giovani ad avere le maggiori difficoltà ad accedere a un posto di lavoro e ad alternarsi in occupazioni precarie. Ed è di tutta evidenza come queste forme di lavoro non producano alcun beneficio per la società nel suo complesso.
Le aspettative di impatto delle riforme sul modello del mercato del lavoro francese, però, secondo alcuni, sarebbero modestissime: un contratto del tipo Cne-Cpe accessibile all’insieme delle imprese del settore commerciale creerebbe infatti circa 70mila posti di lavoro, con una riduzione del tasso di disoccupazione di solo mezzo punto percentuale. Ovviamente 70mila nuovi posti di lavoro non sono poco per una misura a costo zero sulle casse pubbliche, ma alcuni modelli economici mostrano che anche chi è alla ricerca di un lavoro subisce il costo del Cne-Cpe, per cui alla fine, l’aumento della precarietà degli impieghi ridimensionerebbe il benessere, nonostante la possibile modesta crescita di assunzioni.
Insomma si parlerebbe di una vera e propria rivoluzione del diritto al lavoro, che però non cambierebbe poi molto le cose nel loro funzionamento di base.
Il problema principale del Cne e del Cpe è di modificare marginalmente le norme sul licenziamento, allargando però le disparità fra chi ha un contratto a tempo determinato e chi ha altri contratti di lavoro, e sono in molti - sindacati e partiti di sinistra in testa, ma anche parte della destra sindacalizzata - a ritenere che questa strategia sarebbe inefficace per ridurre stabilmente la disoccupazione. D’altronde le imprese, in Francia, realizzano già il 70 per cento delle assunzioni con contratto a tempo determinato, e nei settori con punte stagionali, ad esempio, i datori di lavoro posso ricorrere, senza limitazioni di tempo e senza il pagamento dell’indennità di precarietà, a una successione illimitata di Ccd d’utilizzo, a parità di salario.
E in ultima analisi il Cne e il Cpe apportano solo vantaggi marginali ai datori di lavoro rispetto al Cdd.
Sarebbe miracolistico un vero e forte impatto sull’occupazione. Sarà per questo che, come faceva vedere ieri (domenica, n.d.r.) nella foto di copertina il Financial Times, Silvio Berlusconi è andato, nel suo ultimo incontro europeo, a massaggiare le spalle di Chirac. Forse sono alle prese con le stesse castagne al fuoco e una crisi di consensi che fa tremare tutto, per questo un po’ di solidarietà conservatrice e un po’ di tepore umano non fanno male.
Sarà per questo poi che lo stesso Chirac ha messo il “suo” Primo Ministro con le spalle al muro: dopo giorni di intransigenza, dopo le proteste e la minaccia di sciopero generale da parte dei sindacati, Dominique de Villepin si è da qualche ora detto disposto a discutere i punti che "rappresentano le preoccupazione maggiore dei giovani: il periodo di due anni e le condizioni della rottura del contratto".
"Mi auguro che attraverso il dialogo si possa trovare un soluzione rapidamente", ha detto il premier francese a conclusione degli incontri dei giorni scorsi con i rappresentanti degli studenti, ai quali però si erano presentate solo due delle sei organizzazioni invitate.
“Dicono che le imprese dopo i due anni avrebbero tutto l’interesse a trattenere molti dei dipendenti assunti inizialmente con Cne o in Cpe, perché li avranno avuti in prova. Ma già oggi è così, le imprese hanno già a disposizione il Cdd, e vi ricorrono già ampiamente.”, commenta una combattiva signora dai capelli bianchi e l’aria da vecchia guardia socialista, dopo una nostra domanda sul tema.
E non sono in pochi a dire che a fianco del pilastro dell’istruzione è necessario riprogettare l’intera struttura della tutela del lavoro, basandosi su un servizio pubblico dell’impiego efficace, con un "sportello del lavoro" unico con, al limite, operatori esterni retribuiti in funzione del tasso di ritorno all’impiego dei disoccupati che prendano in carico, come già si sta facendo nel Regno Unito, Paesi Bassi e Germania, ma anche con un contratto di lavoro che assicuri tutela dell’occupazione continuata e progressiva con l’anzianità, grazie a indennità di licenziamento consistenti. Insomma, i Francesi alla partecipazione dello stato nell’economia non vogliono rinunciare. E a vedere dalla spesa di aziende che fanno all’estero, in Italia soprattutto, alla fine forse tutto il torto non ce l’hanno.
Ma per la sicurezza del posto di lavoro, riforme parziali possono rivelarsi peggiori o, nel migliore dei casi, appena superiori alla status quo.
E senza miglioramento dell’istruzione, senza garanzie di continuità, senza qualificati strumenti di conoscenza, i paesi ad economia veloce muoiono sotto il peso del contrasto con il basso costo della manodopera dei paesi emergenti. Qualche studente lo ha scritto con lo spray davanti all’entrata del Louvre, quasi a violare il sacro e intoccabile, mentre tutto il resto viene messo in discussione senza dignità.
“Non è con il diritto al licenziamento utilizzabile all’infinito che si risolve il tema: il tema è sempre più internazionale” mi dicono due universitari tutti presi in una discussione fitta fitta davanti al giornale aperto di domenica mattina. Ma che fatica per i governanti in cerca di consenso fare il salto dal proprio orticello al giardino più grande, di tutti.
Categorie: marzo2006 parigi francia de_villepin cne cpe manifestazione chirac
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