3.4.06

Una generazione precaria

Una generazione precaria
di Francesco Raparelli, Nicola Grigion, Francesco Brancaccio *
3 aprile 2006

Fin quando in Italia ci sarà qualcuno che pensa che "le università formano la futura classe dirigente" (Maurizio Zipponi - Fiom, Liberazione 24 marzo), che gli studenti si stanno "formando" e cosa diversa è il mondo del lavoro, che la questione del sapere e della "produzione a mezzo di linguaggio" è problema di piccole elite, il marzo francese e una prospettiva di conflitto all'altezza dei tempi sono cose del tutto inafferrabili.
In Francia abbiamo trascorso un paio di giorni straordinari e altri speriamo di trascorrerne il prossimo 28 marzo; nelle università occupate dell'autunno italiano abbiamo piantato sacchi a pelo e generosita sconfinata, speranza di cambiamento e nuova ricerca politica. Invano, sicuramente no, ma l'esperienza francese in primo piano ci invita ad una rilettura critica di quanto fatto negli anni e nei mesi passati.
Leit motiv di quell'animale spassionato che per comodità chiamiamo "sinistra italiana" è che gli studenti francesi hanno capito che cos'è la precarietà: "i nostri giovani sono bravi, qualche lotta la fanno pure, nulla che ambisce e determina generalizzazione".
È vero, le straordinarie lotte studentesche dell'autunno non sono riuscite a generalizzare il conflitto, tantomeno a comporre soggetti sociali differenti. Ma la domanda da farsi è questa: la colpa è tutta degli studenti? Il movimento italiano dell'autunno - oscurato colpevolmente da tutto il sistema main stream, se non quando in 150.000, dopo ore di cariche della polizia, ha raggiunto e assediato il parlamento - è nato attorno ad una rivendicazione tutt'altro che specifica: l'introduzione massiccia della precarietà nella ricerca, il Ddl Moratti. L'altra questione, quasi assente nel movimento francese, quella dei saperi, della loro qualità, l'idea cioè di una conoscenza ricca, nè parcellizzata, nè iperspecialistica, tantomeno ridotta al ricatto dell'obsolescenza. Il tema, in questo caso, le riforme indecorose e provincialotte del centro-sinistra (forse adesso tutto risulta più chiaro, neanche il viscerale anti-berlusconismo del movimento studentesco è riuscito a commuovere gli strateghi del main stream riformista o radicale!), il tentativo di sfidare il mercato del lavoro sul terreno dei saperi e delle competenze, meglio il sapere come campo di battaglia.
Il problema italiano, però, tornando all'affermazione iniziale, è proprio questo. Non c'è più alcuna università pubblica - se non alcuni poli d'eccellenza che, come ci dimostra Il sole 24 ore, stringono d'alleanza Ds e Confindustria - che "forma la futura classe dirigente". Il sapere e la formazione sono già laboratorio produttivo, perchè la produzione, meglio i suoi settori strategici e centrali, è produzione a mezzo di linguaggio, relazione tecno-comunicativa, affetti. Per il sindacato e buona parte della sinistra italiana gli studenti studiano, i lavoratori lavorano. Chi si forma non lavora, chi lavora non si forma. La sindrome lavorista, un tempo apologeta, in contrasto con il conflitto autonomo, della dignita della ripetizione di fabbrica, della "vita in catena", non smette di ammalare di miopia il sindacato italico. E allora poco vale se gli studenti occupano, dopo anni di silenzio, buona parte delle università della penisola e attraversano le piazze di Roma come un fiume in piena.
Per le imprese il lavoro è un costo, non una risorsa; per le imprese e la sinistra, poi, la formazione e il sapere una spesa, non un investimento. Il modello italiano vanta quindi due caratteristiche che ne definiscono la recessione e la debolezza: compressione dei salari, scarsità di ricerca e innovazione.
Non c'è da stupirsi se le battaglie degli studenti faticano a produrre elementi di generalizzazione.
In Francia abbiamo visto lavoratori dei trasporti o del pubblico impiego gremire le piazze oceaniche convocate dagli studenti, sindacati e organizzazioni studentesche, pur nelle differenze, definire agenda di lotta comune. La piazza, poi, ha poco che fare con le convergenze organizzative, piuttosto è un terreno di espressione, di conflitto radicale, dove migliaia di studenti e non i casseurs, come la sinistra educata vorrebbe, sfidano la polizia nel tentativo di riprendersi la Sorbona e la dignità. In tutto questo, senza alcuna ossessiva e non-violenta passione giustizialistica per il destino delle vetrine, oltre il 60% della popolazione francese, stando ai sondaggi, nonostante la durezza di Villepin continua a sostenere le sorti dei giovani, del loro futuro privo di certezze, di garanzie, di diritti.
È evidente che il problema italiano non può essere ridotto a "questione verticale", piuttosto una diffusa e orizzontale incapacità di connessione e di solidarietà segnano il passo. Eppure il Cpe sembra "medicina dolce" se messa in rapporto con quella attenta opera, trasversale agli schieramenti, di devastazione delle garanzie sociali e di precarizzazione del lavoro. Basti pensare al pacchetto Treu prima, alla legge Biagi oggi. Mescolate alla riforma universitaria, prima Berlinguer-Zecchino, poi Moratti, il frutto amaro è uno scenario desolante, un deserto senz'acqua e privo di prospettive per la composizione giovanile, ma non solo, del lavoro. I giovani, infatti, sono il campo di sfondamento per le ingegnerie riformistiche, di lì in poi tutto il mercato del lavoro è precarizzabile. Questo vale sia in termini di comando che in termini di conflitto. La cosa in Francia sembra chiara, in Italia no. In termini generali questa ci sembra la differenza più rilevante.
Eppure ci chiediamo se ha ancora senso fare riferimento ai contesti nazionali. Ci chiediamo se piuttosto una vittoria francese non possa essere un volano di nuove lotte europee. Se non sia piuttosto la generazione euro-precaria a stabilire il filo che lega l'autunno italiano all'esplosione del marzo francese. Comune la condizione di precarietà che stringe la vita di milioni di giovani in tutta Europa, comune la possibilità di rovescire le cose.
Rimane aperta la questione delle rivendicazioni. Grande assente delle mobilitazioni francesi la questione del reddito garantito. Anche in questo caso, tranne alcune straordinarie evocazioni conflittuali (vedi il 6 novembre 2004), le vicende italiane non danno indicazioni più precise.
I temi aperti saranno terreno di inchiesta, dalla Francia di marzo alle facoltà italiane. Intanto il 28 una nuova carovana di studenti italiani raggiunge Parigi, mentre nelle facoltà di Scienze politiche de La Sapienza e di Padova, in contemporanea con lo sciopero generale, gli studenti e i ricercatori precari italiani incontreranno studenti delle facoltà in rivolta parigine.

*per la carovana euro-precaria di studenti del 16 marzo e di quella in partenza (Roma, Padova, Venezia, Bologna, Trento)

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