15.4.06

Le scarse fortune della legge "Maroni"

Cocopro, soluzioni strabilianti e disattese, apprendistato senza apprendimento: un insuccesso completo

La legge "trenta" (30/2003) è quella che il ministro Roberto Maroni che ne è l'autore, avrebbe sempre voluto mettere sotto la tutela di Marco Biagi, l'economista del lavoro assassinato da terroristi, inerme, privo di protezione, sulla porta di casa, a Bologna, a fianco della sua bicicletta. Le novità della legge sono soprattutto di tre ordini, ma gli effetti sono molto inferiori a quello che il ministro sperava, tanto più che un decreto applicativo, il 276, ha complicato le cose.
La legge 30 ha in primo luogo modificato il regime dei Cococo, le collaborazioni continuative e coordinate. I nuovi contratti previsti sono i Cocopro dove pro sta per progetto. L'intenzione era quella di ridurre il numero degli incarichi di lavoro ordinario svolti in forma precaria, finalizzando questo tipo di contatto a un progetto specifico, rimediando a quella che era una evidente distorsione del precedente pacchetto Treu. E' intervenuto però il decreto applicativo 276 a versare acqua sul fuoco. Era introdotta una distinzione tra i contratti pubblici e privati: in altre parole gli enti pubblici di ogni ordine e grado erano esclusi dall'applicazione di questa parte della legge 30. I privati sono tenuti a trasformarli in contratti a progetto o a tempo indeterminato; gli enti pubblici fanno quello che vogliono.
Un secondo aspetto della legge è quello che introduce una infinita quantità di contratti complicati e spesso cervellotici. Le imprese preferiscono non utilizzarli perché non sanno bene dove andrebbero a parare. A conti fatti non lasciano il certo per l'incerto e si attengono nella maggior parte dei casi ai vecchi contratti di apprendistato, part-time, tempo determinato, che consentono di utilizzare secondo i propri interessi la forza lavoro disponibile.
L'apprendistato era assai regolamentato dalla legge Treu. Si prevedevano 480 ore di apprendimento annuo e si distinguevano due diverse soglie d'età, come ci fosse stata una nuova linea gotica per il lavoro e i giovani: fino a 26 anni al nord e fino a 32 al sud. La legge 30 ha introdotto una tripartizione diversamente orientata. Vi sono in primo luogo apprendisti fino ai 18 anni; vi è poi un apprendistato di carattere professionalizzante; e vi è infine un apprendistato cosiddetto di alta formazione (che importa a volte anche la laurea). La legge offre però una cornice. In materia devono legiferare le regioni (anche se poi il ministero si mette di traverso, come nel caso marchigiano). Le regioni devono attivare le parti sociali, padronato e sindacati che devono scrivere insieme i contenuti del contratto.
Il primo caso, l'apprendistato dei giovanissimi al di sotto dei 18 anni, non è stato neppure preso in considerazione. Soprattutto il padronato non vuole ragazzetti tra i piedi, con gli ispettori del lavoro a sindacare. Non è sufficiente che la legge 30 abbia ridotto le ore di apprendimento, portandole a 120 annue: i padroni non ne vogliono sapere. Gli unici contratti interessanti per essi sono quelli professionalizzanti, ma senza grandi discussioni. Nessun istituto, nessuna disciplina, nessuna libertà vengono veramente presi in considerazione, tranne le questioni salariali. E allora la discussione si restringe a questo. Per Maroni, il ministro, la paga deve essere due livelli al di sotto della qualifica; in vari contratti si è invece arrivati a un solo livello di inferiorità rispetto alla paga "normale"; oppure due livelli, ma soltanto per un periodo di sei mesi. Non c'è altro: né formazione, né indicazione sulla durata dell'apprendistato.
Il terzo tipo di apprendistato è solo uno specchietto per le allodole.
Le regioni stanno legiferando poco e male in tema di apprendistato, che in ogni caso riguarda alcune centinaia di migliaia di giovani. Come si è detto l'unica discussione tra le parti avviene sulle retribuzioni nell'apprendistato professionalizzante. Dal punto di vista delle regioni, la spiegazione è semplice. Esse non vogliono o non possono spendere, assumendo in tutto o in massima parte l'onere di formare gli apprendisti, ciò che il padronato si rifiuta di fare, mente il sindacato guarda oltre.
Un ultimo aspetto della legge 30 potrebbe essere utile, ma è del tutto inapplicato: si tratta del libretto «formativo», richiesto dall'Europa, nel quale dovrebbe essere descritto tutto quanto un lavoratore ha imparato o ha effettivamente fatto: e questo avrebbe effetti su carriera e retribuzione. Ma il libretto c'è, per così dire, solo sulla carta. Mancano infatti gli standard di competenza e quindi nessuno lo sa fare.

Categorie:

Nessun commento: