la storia
La storia di Valentina Araldi sembra essere uscita dal "manuale della precarietà". A 35 anni, dopo una laurea in economia e un master in marketing territoriale, Elena si definisce «precaria da sempre». «Subito dopo la laurea - spiega - nel 1995 ho iniziato a collaborare in università, dove sono rimasta fino al 1998, quando sono diventata uno dei collaboratori esterni della Provincia».
Per ironia della sorte Valentina si occupa di mercato del lavoro: aiutare gli altri a trovare un'occupazione stabile. Fino al 2000 ha lavorato per il Centro per l'impiego, poi si è occupata del servizio Informalavoro, per diventare responsabile dello sportello dell'autoimprenditoria, ossia per aiutare giovani donne a iniziare una nuova attività. «All'inizio il rinnovo dei contratti di collaborazione era biennale, ma a partire dal 2004 è diventato sempre più difficile ottenere dei rinnovi a lunga scadenza. Adesso siamo arrivati a collaborazioni di sei mesi», ricorda Valentina, tra i Cococo della Provincia in attesa di veder rinnovata la collaborazione a luglio. «Chiediamo una nuova proroga fino a dicembre - spiega - Circa il 50 per cento dei collaboratori è nella mia stessa situazione: con la normativa esistente non possiamo essere assunti, e siamo stabilmente precari». Il che non aiuta certo a vivere bene i rapporti professionali. «Ogni faccia nuova - spiega - che arriva viene vista come un possibile concorrente, ed è strano il rapporto anche con i colleghi che sono dipendenti: sei sempre un collaboratore esterno, che non ha diritti e non può nemmeno accedere alla formazione professionale».
Ma la precarietà fa male soprattutto ai rapporti personali. «Diventa difficile fare progetti - continua - perché non sai se verrai riconfermato. Io mi sono sposata e ho tre figli, perché mio marito ha un'occupazione stabile. Altrimenti sarebbe stato impossibile creare una famiglia».
Ma le vere ripercussioni sono forse più sottili. «Il non essere riconosciuto professionalmente ti porta a non sapere dove collocarti: anche se sei consapevole della tua identità lavorativa fai fatica a descriverla ai tuoi figli che ti chiedono qual è il tuo lavoro. E non è una situazione di transizione: io ho già 35 anni». Anche lo sguardo sul lavoro dipendente, sul contratto a tempo indeterminato che sembra diventare un miraggio, è disincantato. «Siamo tutti precari - afferma Valentina - basta vedere i lavoratori di Schiavi Bobst, che lavorano in un'azienda in crisi, o gli stessi dipendenti degli enti pubblici: con il ricorso ad esternalizzazioni corrono il rischio di essere ricollocati, e di non sapere un domani quale tipo di lavoro si andrà a svolgere. Proprio come accade a noi».
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