27.4.06

La lezione parigina (Aprile on line)

Precariato. ''La crisi del lavoro è prima di tutto crisi delle idee''. Cronaca dell’incontro tra Victor Vidilles (Sindacato studentesco francese) e il comitato Precariare Stanca
Alessandro Genovesi

“La vera vittoria è stata quella di far uscire una generazione dal silenzio. Chiamando in causa la politica e pretendendo da essa risposte ed idee nuove”. Con queste parole si può sintetizzare il senso più profondo di quanto detto da Victor Vidilles, dell’organizzazione Unef (il Sindacato studentesco francese), che ieri si è incontrato con il comitato Precariare Stanca per una prima analisi e scambio di idee sull’imponente movimento francese contro il Cpe, il contratto di primo impiego (Cpe).

La crisi del lavoro è – questa la prima conclusione condivisa – prima di tutto “crisi delle idee”, di una politica e di una società che hanno espunto il protagonismo del lavoro e dei saperi. Con peculiarità certo nazionali (Rodotà ha parlato di una crisi profonda, di un avvelenamento che in dieci lunghi anni, ha spinto la sinistra ad occuparsi più di riforme istituzionali che dei bisogni sociali), ma che chiamano in causa l’Europa e le contraddizioni di un modello di sviluppo dove sono stati importati i “non-diritti del lavoro, mentre si assicurava la massima libertà ai capitali” (Mussi).

E allora rilanciare un’idea di coesione, cancellare la legge 30 e superare una cultura subalterna alla mercificazione del lavoro, dare battaglia contro la riforma costituzionale varata dal centrodestra sono facce di una stessa medaglia.

Un filo comune ha infatti legato gli interventi di Nerozzi, Leon, Rodotà e di Daniele Giordano (il Presidente dell’Udu, l’associazione degli universitari italiani): come ridare “sostanza sociale” alla politica e alla rappresentanza dei bisogni, disvelando le cose per quello che sono.

L’attacco alla Costituzione come riproposizione di una società chiusa, senza mobilità sociale e coorporativizzata; lo svilimento dei sindacati come conseguenza di una logica di massimizzazione a breve dei profitti e di spostamento delle ricchezza dal lavoro alle rendite; la propaganda sulla buona flessibilità (su questo sono stati espliciti i diversi lavoratori precari intervenuti) come opportunità per i giovani, per nascondere invece l’invecchiamento e la sclerotizzazione della società europea ed italiana in particolare e per non chiamare l’impresa alle proprie responsabilità sociali.

Insomma la precarietà (o meglio il lavoro) è emersa come questione che, simbolicamente e materialmente, racchiude le grandi contraddizione dell’oggi e le difficoltà della politica e della sinistra a sapersi mettere in sintonia con il mondo senza rinunciare a proprie chiavi di lettura.

Parigi insegna però – e soprattutto – che rivoltare i paradigmi dominanti e gridare che il “re è nudo” è non solo possibile, ma anche “doveroso” (così si Villides si è espresso letteralmente).
E’ necessario (e il riferimento alla crisi della politica nel nostro paese è esplicito) per dare non solo energia alla rappresentanza dei bisogni e delle paure presenti nelle giovani generazioni, ma anche linfa alle grandi organizzazioni di rappresentanza e ai partiti (per non dire ai Governi). Una volta l’avremmo chiamata “capacità” di essere egemonici. Cioè di incidere nella società anche senza avere grandi numeri in Parlamento, mettendosi in sintonia con la parte migliore del paese. Parigi ci parla più che mai dei rischi e delle opportunità che l’Unione e la sinistra italiana hanno di fronte

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