28.4.06

Il sogno del precario è piccoloborghese?

Prospettive della jeunesse française
di MATTEO CESCHI

La mobilitazione studentesca che ha animato il marzo francese ha impartito a tutti noi un'importante lezione di reattività agli eventi e politici e sociali di una nazione. Gli italiani, occupati dall'aspra campagna elettorale, si sono interessati poco e superficialmente (abbiamo assistito a trasmissioni televisive troppo affascinate dall'aspetto in realtà marginale della violenza e interessate a confronti anche forzati con l'Italia) allo sviluppo di una protesta che, lo scorso 10 aprile, dopo un lungo periodo di malesseri sotterranei e un mese esatto di manifestazioni di piazza, hanno costretto il recalcitrante Dominique de Villepin a ritirare il Contrat de première embauche (C.P.E.).
Appoggiata inizialmente da gruppi di sindacalisti e da precari del mondo dello spettacolo – come in occasione del raggruppamento spontaneo di sabato 12 marzo 2006 a Parigi sul boulevard Saint Michel – la jeunesse française è riuscita in un breve arco di tempo a fare convergere nella protesta contro il provvedimento legislativo non solo l'impegno di una pigra e fino a quel momento apatica opposizione, ma anche alcuni dei problemi socio-economici dei giovani lavoratori delle banlieue.
Di fronte all'incredibile reattività del movimento STOP C.P.E. ai provvedimenti della politica nazionale e al grande consenso guadagnato dalla protesta tra la popolazione francese (inizialmente con una percentuale a favore del ritiro della legge intorno al 60%, salita all'inizio di aprile all'80%) bisogna necessariamente interrogarsi sulle motivazioni che hanno guidato gli studenti, universitari e liceali, e sull'ampia "capacità di inclusione" o sulla "convergenza delle priorità" che ha contraddistinto la mobilitazione fin dai suoi primi passi negli atenei di provincia.
Ci siamo rivolti a due docenti francesi che hanno seguito con partecipazione gli eventi, Sylvia Ullmo, professore emerito all'Università François Rabelais di Tours e coordinatrice dei vivaci dibattiti su controversi e attuali temi di cultura politica della società di studi americanistici SENA (sena.asso.fr), e Serge Bianchi, storico, specialista della Rivoluzione francese, docente all'Università di Rennes, per approfondire la natura delle attuali rivendicazioni della gioventù francese e inserirle correttamente negli ultimi quarant'anni di storia francese oltre che a colmare i numerosi vuoti lasciati dall'informazione dei media italiani.

Sylvia, come valuti i giudizi della stampa estera sugli eventi del marzo 2006?

Alcuni commentatori esteri hanno mostrato una totale incomprensione della rivolta studentesca e delle grandi manifestazioni che si sono fatte per il C.P.E. Sembra che all'estero sia inconcepibile che i giovani facciano "tanto rumore per nulla". I sostenitori del governo e le persone per cui il disordine non è tollerabile hanno la tendenza a presentare gli studenti e i sindacati come "ignoranti" e "stupidi", oppure incapaci di adattarsi al mondo moderno. A questo proposito si può leggere l'intervista al rettore dell'università Paris IV, pubblicata il 3 aprile sul quotidiano inglese "The Guardian", per cercare di mettere a fuoco il problema.
La Sorbona, per esempio, comprende cinque atenei diversi. Uno di questi è Paris IV, che è essenzialmente una facoltà umanistica. Paris IV non ha praticamente mai indicato direzioni innovative negli studi e la Geografia insegnata dal rettore Pitte di solito non contribuisce particolarmente alla comprensione delle crisi sociali e politiche. Paris IV è un luogo privilegiato e Pitte conosce molto poco i problemi degli studenti che devono lavorare part-time per mantenersi mentre frequentano l'università. Molti dei nostri studenti conoscono già la situazione del mondo del lavoro meglio di lui.

Scusa se ti interrompo, Sylvia, ma sarebbe opportuno soffermarsi un istante per chiarire meglio al lettore italiano la reale portata del Contrat de première embauche.

... Si, certo. Alcuni portavoce del governo hanno cercato di spiegare che questo contratto era in realtà destinato ai giovani non qualificati, disoccupati cronici, che dovevano essere integrati nel mondo del lavoro per sottrarli alla disperazione delle banlieue. E hanno detto inoltre che gli studenti, non direttamente toccati da questo contratto, ne hanno sfruttato il contenuto a fini politici - o da politicanti. In realtà non possiamo fare della psicologia spicciola, perché i giovani universitari francesi devono comunque lavorare per mantenersi agli studi e quindi conoscono già bene la pressione delle precarie condizioni lavorative e del ricatto del licenziamento. Come potrebbero sentirsi fiduciosi? E se quelli che sono riusciti a terminare gli studi universitari sanno di aver delle opportunità migliori di essere protetti, perché non dovrebbero essere solidali con il resto della propria generazione? I fondamenti della Repubblica francese sono "Libertà, Eguaglianza e Fraternità"...Fraternità o Solidarietà?

Appurato che siamo di fronte a un provvedimento legislativo che riguarda la maggioranza dei giovani, universitari o meno, Serge, quali erano secondo te i più gravi difetti del C.P.E.?

In realtà il C.P.E. aveva due difetti e due vizi. Discriminava i giovani (sotto i 26 anni) ritardando il loro ingresso reale nella vita attiva (con il contratto definitivo, il C.D.I.) e di conseguenza il momento della maturità professionale e familiare. Metteva in discussione il diritto al lavoro col licenziamento senza giusta causa, in contrasto sia con le leggi francesi che con le normative europee, ritornando a codici del XIX secolo. Per quanto concerne i vizi, il C.P.E. è stato imposto senza una concertazione con le parti sociali, senza dibattiti parlamentari strutturati (col 49,3% dei voti si fa approvare una legge senza dibattito in aula), senza tenere conto delle imponenti manifestazioni degli studenti e della gente comune (si passa nell'arco di un mese da 100.000 a 2 milioni di manifestanti). E ha evidenziato le debolezze istituzionali e la crisi che il paese attraversa (assenza di attività parlamentare e un'eccessiva personalizzazione del potere).

Sylvia, vuoi aggiungere qualcosa a questo riguardo?

Per comprendere meglio la situazione bisogna anche tenere presente il modo disastroso con cui il governo si è adoperato per varare il C.P.E. Una specie di braccio di ferro voluto da de Villepin che per aggirare "opposizioni stupide e obsolete" si è sentito autorizzato a non tenere conto delle più elementari regole di diritto. Ma queste regole esistono. La prima è stata votata da un precedente governo di destra e si impegna a cambiare le pratiche sociali vigenti solo dopo un ampia consultazione con i sindacati. La seconda regola è stata stabilita dall'Assemblea del Parlamento europeo e recita che ogni licenziamento deve essere sempre motivato dal datore di lavoro. L'identità francese va oltre gli ottimi vini e i formaggi ed è saldamente ancorata al concetto di uguaglianza di fronte alla legge e di tutela dei diritti acquisiti, anche se questo non è sempre così evidente. I "diritti acquisiti" sono quei diritti sociali ottenuti attraverso le lotte del passato per la classe operaia e per tutti. E tutti i governi che nel XX secolo hanno cercato di intaccare questi diritti hanno suscitato reazioni di massa, come è accaduto con i grandi scioperi del 1938, provocati da un tentativo del governo di abolire le leggi sociali del 1936. La Francia ha penato troppo sotto "padroni assoluti" nel XIX secolo per essere disposta a tornare indietro.

Si è parlato molto della presenza di bande di casseurs durante le manifestazioni di marzo. A tuo parere, Serge, che rapporto esiste tra l'esplosione di violenza nelle banlieue dello scorso inverno e la mobilitazione dei liceali e degli universitari?

Il governo ha voluto tenere separata la rivolta delle banlieue dal movimento del marzo-aprile 2006, sostenendo che il C.P.E. fosse destinato soprattutto ai giovani non qualificati delle periferie e non riguardasse affatto gli studenti. Il collegamento è nato dal rifiuto dell'apprendistato a 14 anni e da una specie di solidarietà sommersa contro ogni forma di precarietà. Ma dei casseurs provenienti dalle banlieue si sono distaccati dai cortei, snaturandone spesso il carattere pacifico e non violento. Anche se c'è stata in ogni caso una componente di provocazione (anche da parte del potere) e di ideologia comunitaristica.

Sylvia, se si escludono le azioni di disturbo dei casseurs, come descriveresti le manifestazioni?

Durante le manifestazioni tutti gli striscioni riportavano slogan che riprendevano in vari modi la sigla C.P.E. Tutti denunciavano il nuovo contratto come una manovra per imbrogliare i giovani e per ridurli ad una nuova forma di schiavitù. A quelli che dicevano ai giovani "Il C.P.E. è meglio di niente", questi rispondevano "E' il peggio che si possa immaginare". Dicevano anche ironicamente "Villepin sei licenziato, il tuo contratto è terminato". E quando di comune accordo non si sono previsti per un po' altri grandi cortei, gli studenti hanno moltiplicato le loro azioni a sorpresa come sit-in, blocco dei treni e altre iniziative capaci di dare fastidio senza ricorrere alla violenza.
Qualcuno sostiene che la gioventù francese non sa "adattarsi al mondo moderno", oppure che a ogni cambio generazionale sembra esserci bisogno di un rito di iniziazione, ma questa è una falsa riflessione socio-psicologica. Tre milioni di persone non scendono in piazza per futili motivi.

Serge, alla luce della tua esperienza di sessantottino e di professore che ha appoggiato la mobilitazione in questi ultimi mesi, riesci a trovare delle somiglianze tra le due "generazioni ribelli", quella del maggio 1968 e quella del marzo-aprile 2006? E in particolare come è cambiato il rapporto tra la Parigi e le città di provincia?

Tutti hanno sottolineato la differenza tra i contesti e gli eventi del maggio 1968 e del marzo-aprile 2006. In effetti i 38 anni intercorsi non permettono di parlare di un'eredità generazionale e gli attuali ribelli non sono "automaticamente" i figli dei sessantottini. Bisogna anche sottolineare il ruolo molto importante delle ragazze in questo 2006.
Dal punto di vista sociale la popolazione studentesca si è più che raddoppiata, passando da 500 mila nel 1968 a 1,3 milioni oggi e probabilmente vive in condizioni più precarie (l'esosità degli affitti, il problema dell'alloggio, le borse) pur essendo di origine borghese o piccolo borghese. Si è sottolineato che il rifiuto della "precarietà attraverso la flessibilità" ha mobilitato degli studenti a cui la questione del primo impiego interessa poco: in realtà gli studenti si sono battuti per un principio, il diritto al lavoro, e per opporsi a una precarizzazione generale che li riguarderà da vicino in futuro.
Il maggio 1968 è stato un movimento di contestazione globale (delle istituzioni universitarie, politiche, culturali e familiari), mentre il 2006 è un movimento di "resistenza" con un'unica parola d'ordine ben precisa che forse nasconde altri motivi di protesta. Questo spiega una così grande mobilitazione anche del resto della popolazione (accanto agli studenti, c'erano i genitori e i nonni), benché i salariati si siano mobilitati meno dei sindacati. Bisogna ricordare anche che gli studenti si sono divisi tra bloqueurs e antibloqueurs, e che in ogni università vi sono state grandi e sofferte discussioni, spesso confuse, quando ci si spingeva oltre la parola d'ordine del rifiuto del C.P.E. Quanto a Parigi e alla provincia, va sottolineato che il movimento è nato nelle università di provincia, prima a Rennes, il 7 e 8 febbraio, poi a Tolosa e Poitiers, prima che nelle università parigine, che erano in vacanza. Già esistevano inoltre tradizioni universitarie di lotta, una specie di cultura della lotta per mezzo dell'occupazione. I coordinamenti di Lille, Lione, Rennes, Strasburgo, rivelano un movimento decentrato e meno parigino.

Se per lo più i giovani delle università e dei licei francesi che hanno animato la lotta contro il C.P.E provengono da un milieu sociale che possiamo ancora definire come "borghese", probabilmente non lo sono già più nelle intenzioni e nelle aspettative, costretti come sono a lottare per un ritorno alla condizione antecedente l'adozione del provvedimento, nella speranza di calmare le proprie ansie per un futuro incerto. L'aggregazione intorno alla parola d'ordine del diritto al lavoro e la giovane età dei manifestanti, per lo più al di sotto dei 24 anni o addirittura liceali, impediscono probabilmente che essi abbiano una precisa idea della propria collocazione sociale – la flessibilità ha d'altronde lavorato negli ultimi anni in Francia e nel resto dell'Europa in questo senso – e allontanano gli aderenti al movimento STOP C.P.E. dalle sicurezze e dalla speculare capacità di contestare globalmente istituzioni e convenzioni borghesi. E proprio nelle università e nei licei così come nella società e nel mondo del lavoro la borghesia ha dovuto confrontarsi con nuovi attori sociali che, grazie al più ampio accesso all'istruzione superiore rispetto al passato, non necessariamente agiscono secondo criteri strettamente borghesi.
L'esperienza vissuta da chi scrive il 10, l'11 e il 13 marzo scorsi a fianco degli studenti parigini non può che confermare le osservazioni raccolte sopra: proprio in quei primi giorni di mobilitazione sono stati i liceali, più che i loro colleghi degli atenei, a condurre, nei momenti di maggiore tensione, le trattative con la Polizia e la Gendarmerie per la liberazione dei compagni rimasti prigionieri all'interno della Sorbona e del Collège de France. Giovani, magari di origine non europea, pronti a perdere posti di lavoro part-time serali e a subire le cariche delle forze dell'ordine in nome di una battaglia che ha anche i risvolti ideali e storici indicati da Sylvia Ullmo.
Nel marzo-aprile francese la borghesia si è trasformata in qualcosa di nuovo, come ci hanno insegnato i giovani e sconosciuti leader dei sindacati e delle associazioni dei liceali. Del passato ha mantenuto quella visione progressista e interclassista, magari a tratti naïve e anche un po' utopista, capace di infiammare ancora gli animi e di mettere d'accordo una ragguardevole maggioranza di francesi – secondo i sondaggi degli autorevoli esperti di "Le Monde" – intorno a un'unica problematica sociale.
Karl, Philippe e i loro compagni potrebbero avere aperto una nuova via, ad altri forse toccherà di portare avanti le loro idee.

Nota della redazione

A margine dell'articolo, segnaliamo generation-precaire.org, il sito dove coloro che entrano nel mondo del lavoro solo con contratti di stage denunciano la propria condizione e si attivano per modificarla. Dopo il ritiro del CPE, infatti, in Francia continuano ad organizzarsi. Gli indici di disoccupazione sono elevatissmi, non solo nelle famiglie che vivono in condizioni disagiate nelle banlieue, ma anche fra la borghesia cittadina. Dal computo sfuggono gli stagisti, formalmente "collocati", in realtà eterni precari, spesso con una buona esperienza di lavoro pluriennale ma senza un contratto.

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(n° 3 - aprile 2006)

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