4.4.06

Liberté Égalité Précarité

In Francia dilaga la protesta studentesca contro la legge sul primo impiego. Ma un'altra partita si gioca ai vertici dello Stato. E porta all'Eliseo

di Giacomo Leso da Parigi

Nous sommes dans la merde! Possibile che non capisci? Siamo nella merda. Accumuliamo lauree e diplomi, ci facciamo un culo così e poi usciamo di qui e non abbiamo lavoro. E se per caso ce lo danno, sarà un lavoro del cazzo, senza protezioni, con uno stipendio ridicolo e con un licenziamento quando converrà al padrone... "Sei tu che non capisci. I padroni non hanno nessun interesse a formarci e poi a licenziarci, hanno bisogno di gente competente...". "Ah, è per quello che cambiano di stagista ogni due mesi?".

Sono feroci le discussioni fra i giovani parigini davanti all'università della Sorbona. Matthieu è ancora liceale, ha i capelli scuri in rivolta e qualche pelo di barba ancora morbida, una kefhia palestinese gli fa da sciarpa. Gabriel è piu grande, sta già alla Sorbona ed è alto e slanciato nella sua giacchetta verdognola. Ha il capello fluente che fa pensare a quello del primo ministro Dominique de Villepin, uomo dall'eloquio flamboyant e dallo scritto incisivo, adoratore dell'imperatore Napoleone, e come lui solo, nella vittoria e nella sconfitta. Villepin era solo anche quando ha deciso di far iscrivere nei testi di legge, a colpi di voto di fiducia, il Cpe, il Contratto di primo impiego a durata indeterminata, ma con la possibilità di licenziamento in tronco e senza ragione nel periodo di prova dei primi due anni.

"Ho studiato come un pazzo", ci dice Gabriel: "Perché non dovrebbero farmi fare gli esami di fine anno?". Anche lui ha le sue ragioni, ma l'emerita università che nel '68 era diventata il simbolo dei mandarini del potere, che era stata occupata in onore della fantasia al governo e al grido di 'Sotto i pavé la spiaggia', rimane ancor oggi il simbolo dell'università francese e dell'istruzione per tutti. E quindi una rivolta non si può fare senza la Sorbona.

Sul boulevard Saint-Michel che passa davanti, i sanpietrini sono stati coperti dall'asfalto e gli studenti, nelle notti di rivolta contro la polizia che all'estero rilanciano l'immagine di questa Francia sempre pronta alla Rivoluzione, hanno dovuto usare quel che han trovato. Molte bottiglie di birra Heineken, qualche sedia e i tavolini presi in prestito, dopo aver fracassato le vetrine, dai bar. L'écritoire e L'Escholier che hanno sempre accolto sulla piazza gli studenti. I libri della celebre Librairie Diffusion aux Cinq Continents, che sta qui da tre generazioni in bella mostra all'angolo della piazza, invece non sono finiti in testa ai celerini. La libreria, chiusa per lavori da diversi mesi, era vuota quando i rivoltosi più attivi, con limone spremuto sulla maglietta o sulla sciarpa annodata sulla bocca per difendersi dai gas lacrimogeni, hanno divelto le barriere di protezione e incendiato le assi dei muratori.

"Credo che non sia mai successo prima, nella storia delle ribellioni studentesche, che dei libri rubati nella biblioteca dell'università occupata siano stati restituiti il giorno dopo lo sgombero ai professori. 'Siete troppo gentili e un po' coglioni', mi ha detto la prof". Gatien ha i capelli biondi di un finto rasta ben pulito, ha vent'anni, studia storia alla Sorbona ed è figlio di una buona famiglia che vive proprio nel quartiere. È uno degli organizzatori dell'occupazione all'origine della mobilitazione che mette in crisi il primo ministro de Villepin. Che non sia un rivoluzionario, né un pericoloso gauchiste, lo si intuisce dal fatto che da quando l'auditorium dell'università è stato restituito al rettore dalle forze dell'ordine, lui e i suoi amici hanno eletto a nuovo domicilio della 'rivoluzione' il bar al numero 2 di rue Descartes, di fronte al Politecnico, dal nome tutt'altro che insurrezionale: La Méthode. Sotto l'occhio attento di Cartesio, sulla stretta terrazza di questo bar, Gatien racconta come tutto è cominciato: "Sembra paradossale, ma alla Sorbona non c'è una tradizione di mobilitazione. Ci siamo trovati con due, tre ragazzi di Parigi I alle Assemblee Generali di Parigi IV, una delle costole della Sorbona nate dopo il '68, e molto più attiva in quanto a manifestazioni. Il lavoro più grosso è stato quello di riunire tutti quelli che volevano muoversi perché qui non esistono praticamente associazioni sindacali studentesche". E poi via: la prima Assemblea Generale all'Istituto di Geo fuori le mura della Sorbona e la necessità di regalare alla lotta il simbolo dell'occupazione del Palazzo. La loro Bastiglia. "Ci siamo mossi molto rapidamente. Alla terza AG abbiamo deciso di occupare la Sorbona nel pomeriggio e lo abbiamo fatto la sera stessa. Eravamo all'inizio una sessantina, ma che importa? Alla presa della Bastiglia sono entrate solo sette persone. Poi sono arrivati altri, anche di altre facoltà. Fuori, davanti alla porta principale, nella piazza, ma anche tutto attorno, nel quartiere, c'era già la polizia che tentava di non farli avvicinare". Sono entrati lo stesso e hanno anche spaccato un bel po' di porte, tavoli e sedie. E rubato i libri, poi restituiti ai professori. Seicento mila euro di danni dicono al ministero quelli che vogliono sminuire. Un milione, dicono gli altri.

L'obiettivo è stato raggiunto, il movimento ha minuti e minuti di Tg, i giornali scendono in piazza con prime pagine e copertine, la stampa internazionale arriva sul posto, le fanfare e i balli per la strada, oltre che il profumo della canapa accompagnano l'evacuazione della Sorbona da parte delle forze dell'ordine ordinata dal ministro dell'Interno Nicolas Sarkozy, d'accordo con il rettore. Da allora 66 facoltà francesi su 84 si sono messe in sciopero e il movimento non mostra alcun segno di flessione: i liceali lo raggiungono e i cortei di soli studenti raccolgono per le strade mezzo milione di persone in tutta la Francia. Le altre, le manifestazioni dove i figli chiedono un mondo migliore mano nella mano con i loro genitori, raggiungono il milione, forse addirittura il milione e mezzo. E non è finita: martedì 28 si terrà un'altra giornata d'azione intersindacale con sciopero e manifestazioni. Gli studenti chiedevano di più: uno sciopero generale per far capitolare Napoleone. Troppo rischioso, per ora. Soprattutto per Bernard Thibault, capo della Cgt, il principale sindacato francese, che sta già pensando alla sua rielezione da celebrarsi alla fine d'aprile. Ma arriverà maggio.

"Non si tratta di rifare il '68", si infervora Antoine, 21 anni e i capelli scuri con un taglio da bravo ragazzo. Anche lui, che segue un doppio corso universitario di Scienze politiche e di Storia a Parigi 1, si è aggiunto poco dopo al gruppo che ha capitanato la rivolta: "Questo movimento non ha nulla a che vedere con quello dei nostri genitori. Ma noi siamo la prima generazione che non può permettersi di avere un domani". "Io voglio fare il prof di storia quindi il Cpe non mi riguarda direttamente", replica scandalizzato Gatien: "Ma io voglio sposarmi, fare dei figli. E allora, a loro quali prospettive potrò dare? In quale società si troveranno a vivere?".

"Ma vi rendete conto che questi giovani sono già vecchi?", insorge la più solforosa delle registe francesi, Catherine Breillat, che nel '68 non ha manifestato perché si riteneva troppo libera e troppo anarchica (ma qualcuno lascia intendere anche 'troppo borghese'). Allora, a 17 anni le censuravano il suo primo libro considerato poco pudico: 'Un uomo facile', ora la Mouchette di 'Ultimo tango a Parigi' si rivolta: "Pensano già al lavoro, ai figli, alla pensione... La nostra gioventù non cerca più libertà, ma sicurezza. È pericoloso. Significa che il mondo va veramente male. Nel '68 volevamo vivere, questi s'accontentano di sopravvivere. Io il '68 l'ho fatto poco, era troppo machista per me, ma era un'espressione di libertà, si voleva cambiare la società. Adesso chiedono solo che la società, per favore, gli faccia un po' di spazio".

Davanti alla Sorbona, prima che cada la sera e che volino pietre in direzione dei poliziotti e dei loro camion con le griglie antisommossa attaccate sul muso, Gérard, 61 anni, ex contabile in pensione, discute con i ragazzi: "Nossignore io non ho nessuna laurea. Avevo già un lavoro a 16 anni. Nel '68 volevano rifare il mondo: eravamo dopo la guerra, c'era il pieno impiego. Adesso c'è un malessere, non c'è lavoro per tutti e non solo in Francia, anche in Europa. Se avessi oggi un figlio di vent'anni le giuro che non dormirei la notte a forza di non saper che cosa diventerà. Per quello penso che magari, il Cpe, presentato meglio, in un'altra occasione, in un altro modo, sarebbe passato".

Qualcuno salvi, se può, il soldato Villepin, unica arma del presidente Jacques Chirac contro il ministro dell'Interno Nicolas Sarkozy. Se alla fine, magari per il precipitare della situazione, il premier dovesse ritirare il suo progetto di legge come glielo chiedono ormai da ogni angolo del Paese, sarebbe politicamente finito e c'è da scommetterci che lui e il suo orgoglio non accetterebbero di gestire ancora per un anno gli affari correnti prima di scomparire nell'oblio come ha già fatto il primo ministro di nove mesi fa, Jean-Pierre Raffarin.

Al gollista Chirac le manifestazioni di piazza non piacciono perché gli ricordano che si è iscritto al partito sbagliato. Ogni volta, prima delle presidenziali, promette una politica sociale che poi non riesce mai a realizzare, o perché ha la sinistra riformista di Jospin al governo o perché ha i suoi amici troppo liberali. Il ministro Sarkozy ha già fatto sapere per via di fedeli portavoce che questa storia è durata fin troppo, ma Chirac ha assicurato che "spetta al primo ministro prendere l'ultima decisione". Ponzio Pilato non avrebbe saputo far meglio. I parlamentari dell'Ump per ora tengono duro, sebbene siano divisi in tre terzi: al terzo fedele a Villepin si aggiunge per il momento il terzo a cui piace far l'ago della bilancia fra Villepin e Sarkozy. Nella partita che sta giocando, se non lascia, Villepin avrà l'opportunità di raddoppiare. Se da qui all'applicazione del Cpe, a fine aprile, i sindacati non saliranno sulle barricate e se il Consiglio Costituzionale non troverà nulla da obiettare al testo della legge, il premier potrà lanciarsi più forte nella battaglia dei gollisti per l'Eliseo.

Impresa non facile. Perché i sindacati, i partiti, Ségolène Royal e tutti i candidati all'Eliseo, gli industriali del Medef, la Confindustria francese, almeno due francesi su tre, secondo gli ultimi sondaggi, sono tutti contro il Cpe. Perfino Sharon Stone, a Parigi per presentare il suo 'Basic Instinct II', è scesa idealmente in piazza: "Un lavoratore ha il diritto di sapere perché è assunto o licenziato", ha detto il sex symbol: " Non è giusto approfittare della debolezza dei disoccupati. Anche se sono bionda o forse proprio perché sono bionda, mi batto in difesa di questi diritti". Principi che stanno scritte anche nella 'Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo' all'articolo 23: "Ogni persona ha diritto al lavoro, alla libera scelta del suo lavoro, a condizioni soddisfacenti di lavoro e alla protezione contro la disoccupazione". Un cartello sulla schiena di due manifestanti parigine ha intanto aggiornato lo storico motto della Repubblica dal sistema sociale più protezionista al mondo: 'Liberté, Égalité, Précarité'.





Italia-Francia: il derby dei precari




La pietra dello scandalo francese? Noi ce l'abbiamo già, si chiama contratto di inserimento, è in vigore da tre anni, ma non ha infiammato le piazze. È solo una delle varie tipologie contrattuali introdotte dalla legge 30: sul sito del ministero del Welfare se ne contano 15, secondo il Nidil Cgil, aggiungendo tutte le varianti che già c'erano si arriva a 43 diversi rapporti di lavoro. Alcuni dei quali pensati per il primo ingresso, l'inserimento, ma anche l'apprendistato, i tirocini e gli stage, altri disponibili a vita: a chiamata, ripartito, part time, a progetto, occasionale accessorio, somministrato (cioè interinale), in appalto, distaccato, a termine. Un catalogo ben più ricco di quello a disposizione dei francesi, anche dopo la contestatissima riforma de Villepin, che ha introdotto il Cpe e il Cne: il primo (Contract première embauche) permette alle aziende con più di 20 dipendenti che assumono giovani sotto i 26 anni al primo impiego di tenerli in 'consolidation' per due anni, durante o al termine dei quali può mandarli via anche senza giusta causa. Il licenziamento facile è anche l'attrattiva del Cne (Contract nouvelle embauche) che si applica alle aziende più piccole e non ha limiti di età. Prima di Cpe e Cne, il principale strumento di flessibilità in ingresso usato dalle imprese francesi era il Cdd (Contract à durée déterminée: applicato al 12,3 per cento dei dipendenti, ma la percentuale sale al 70 per cento per le nuove assunzioni). Il contratto a termine francese ha regole un po' più rigide del nostro. In teoria è riservato a casi particolari, ad esempio, produzioni stagionali, non può durare più di 18 mesi ed è rinnovabile una sola volta. Inoltre, non si può sostituire un Cdd scaduto con un altro: come minimo nel mezzo deve starci un periodo-cuscinetto uguale alla durata del precedente contratto a termine. Che in Italia viene utilizzato almeno quanto in Francia (l'11,9 per cento degli assunti), può durare fino a 36 mesi ed essere rifatto allo stesso lavoratore anche più volte, con brevi interruzioni. In Italia, oltre a tutte le forme parasubordinate di lavoro (cococo e cocopro), ci sono il contratto di inserimento e di apprendistato: prevedono che, al termine dei tre anni di inserimento (arrivano a sei per l'apprendistato), il lavoratore possa essere mandato via senza giustificazioni. Non solo: possono essere 'sottoinquadrati', ossia pagati come se svolgessero mansioni di due livelli più in bassi di quelle effettive. Se de Villepin ferma il concetto di giovinezza a 26 anni, da noi ai fini dell'inserimento si è 'giovani' fino a 29 anni, poi c'è il reinserimento che vale anche per gli ultra cinquantenni, e per le donne di ogni età in alcune regioni. Dei 25 mila contratti di inserimento fatti nel 2004, il 25 per cento ha riguardato lavoratori 'anziani'.

Ma sì, viva la guerra civile

Professore di Storia alla Sorbona e autore di una dozzina di saggi sulla Francia, dall'analisi del sistema capitalistico agli sperperi dell'amministrazione pubblica, Jacques Marseille, 60 anni, pubblica in questi giorni da Perrin il saggio 'Del buon uso della guerra civile in Francia'.

Professore, lei incita alla guerra civile...
"Mi chiedo se non sia l'unico sistema per modernizzare la Francia. I francesi dicono sempre: ' a va péter!', 'Esploderà!'. Se si guarda la storia di Francia, a ogni passaggio da un arcaismo alla modernità corrisponde una rivolta. Finisce sempre così, perché la Francia non è una reale democrazia. Insomma, sono molto ottimista...".

Ottimista? Il paese si avvia alla guerra civile e lei è ottimista?
"Il fatto che esploda e che esploderà ancora di più, è una buona notizia. Siamo alla rottura con le nostre abitudini e i nostri conformismi".

Perché dice che la Francia non è una vera democrazia?
"Esistono due tipi di democrazia e la Francia non ha né l'una né l'altra. C'è la democrazia parlamentare, con due grandi coalizioni (una cristiano-democratica e una social-democratica) e dei sindacati forti; e poi c'è la democrazia presidenziale, all'americana, un presidente che non può sciogliere le Camere, ma che non si può far rovesciare dai parlamentari e che governa su un programma per quattro anni".

E invece la Francia?
"Ha un primo ministro che non serve a nulla se non a far il fusibile del presidente e che salta appena c'è un colpo di alta tensione sociale e ha un Parlamento senza poteri con un presidente che non è padrone della politica del paese".

C'è chi fa un paragone fra la rivolta di oggi e il '68.

"Balle. Niente a che vedere. Allora c'era una generazione gioiosa, quella del baby boom, che viveva in un'epoca di pieno impiego e che voleva liberarsi dei moralismi, far l'amore come gli pareva e liberare i costumi. Oggi assistiamo a una manifestazione d'angoscia, in quanto le generazioni precedenti hanno lasciato a questi giovani una eredità terribile. I nonni hanno rubato il libretto degli assegni dei nipoti per pagare le loro pensioni, la sanità e gli interessi del debito pubblico".

Ma ieri come oggi la Sorbona resta il simbolo della protesta.
"È un po' un caso. La Sorbona è ancora il simbolo dell'Università, ma non è più il simbolo dell'autorità, come poteva essere nel 1968".


Non è che l'inizio. La lotta continua

Bruno Julliard, studente in diritto al quinto anno all'Università di Lione, è il presidente dell'Unef, l'Unione nazionale degli studenti francesi, che raccoglie circa il 90 per cento degli studenti iscritti a un sindacato. Venticinque anni e viso pulito è uno dei portavoce degli studenti più inseguiti da tv e media. Sabato 18 marzo Julliard ha aperto il corteo parigino, al fianco del sindacalista della Cgt Bernard Tibault.

Cosa c'è dietro questa mobilitazione?
"Sia in questo movimento che in quello delle banlieues i giovani manifestano disagio e malessere. Non ci sono politiche che ci permettano di inserirci nel mondo del lavoro o di integrarci nella società. Sembra che ci si dica: perché fidarsi dei giovani?".

Le autorità temono i giovani?
"I governi e la società in generale ignorano la gioventù. C'è una sorta di disprezzo dei giovani. Lo si è visto al momento delle banlieues: Sarkozy univa in un sol fascio giovani e teppistelli e così ora: non si distingue fra 120 mila manifestanti e poche decine di lanciatori di pietre".

Fin dove si può accettare la violenza, in un tipo di rivolta come questa?
"Noi condanniamo la violenza sotto ogni forma. Ma assieme alla violenza condanniamo anche le provocazioni del governo che assimila i giovani ai casseurs, che ridimensiona il numero dei manifestanti, che non ascolta. Sono queste provocazioni a suscitare violenza".

Cosa risponde a chi ritiene che il Cpe è meglio di tanti stages o lavori non retribuiti?
"Che non è vero. Sarebbe meglio della situazione attuale se creasse lavoro. E invece si limita a rimpiazzare contratti a durata determinata o indeterminata in contratti precari. Lo prova il fatto che nei primi sei mesi del 2005 sono stati creati gli stessi posti di lavoro nati nella seconda parte dell'anno. Solo che nel secondo semestre c'era già il Cne, che è un Cpe per le imprese fino a 20 dipendenti. Non hanno creato un posto in più. E in gennaio la disoccupazione è aumentata di nuovo".

Qual è la via d'uscita?
"Oggi non c'è. Il governo ci propone di negoziare al ribasso su un progetto che de Villepin ha voluto senza chiedere nulla a nessuno. Troppo facile venire a cercarci adesso. Prima si ritira il progetto e poi si discute. Questo progetto non lo vogliamo".

Ma in questa partita de Villepin si gioca faccia e carriera, non ritirerà mai il Cpe...
"Questo non lo so. Vedremo...".

Riuscirete a mantenere una mobilitazione tanto forte da mettere in crisi un governo?
"Abbiamo molte risorse. E per ora siamo sempre più numerosi".

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