3.4.06

Quando il futuro diventa precario (l'Unità)

01.04.2006
Quando il futuro diventa precario
di Gloria Buffo

Sotto la crosta mediatica questa campagna elettorale sta rivelando un cuore pulsante, che nessuno ha deciso a tavolino ma si è sviluppato nel vivo dell’esperienza sociale: la questione del lavoro precario e la crisi di civiltà che mette in mostra. La vicenda francese conferma ed anzi ingigantisce l’importanza del tema. In questa strana competizione tra coalizioni, infatti, la richiesta più frequente ai candidati è quella di partecipare ad iniziative sul lavoro. Non era così nel 2001: le tasse, gli immigrati, l’invadenza dello Stato cinque anni fa monopolizzavano la discussione. Solo quando l’Ulivo di allora decise di non subire più l’agenda di Berlusconi ritornò in campo la questione dello stato sociale. Ma anche lì fecero premio le promesse ai pensionati e il miraggio di una società più ricca, evocata dal più ricco di tutti. Pesava naturalmente la delusione per il governo di centrosinistra, che era stato molto attento ai conti e troppo poco tenace nel resistere alle lusinghe del pensiero liberista.

Stavolta è molto diverso. Non solo perché i cinque anni di cura berlusconiana hanno scioccato e piegato l’Italia. Ma perché la precarietà del lavoro ha permeato la società, la vita individuale e collettiva, e sta modificando la percezione del presente e le speranze nel futuro.

Diciamo la verità: non è stato il centrosinistra a mettere al centro la questione del lavoro precario, sono stati gli italiani. Non c’è individuo che non faccia i conti in famiglia o nella sua cerchia ristretta con questa realtà. Lo vive e te ne parla il pensionato, l’insegnante, l’operaia, l’intellettuale: i giovani conoscono quasi esclusivamente questa faccia del lavoro e l'intera società ne è coinvolta. Il lavoro precario lo incontri all'ospedale, all'università, nei centri di ricerca, nelle regioni, nei call center, nello studio professionale... Eccetto che contro la guerra, non mi è mai capitato in tanti anni di trovare tanto riscontro e partecipazione alle iniziative come quando si parla di precarietà del lavoro. La campagna «Precariare stanca», con la relativa raccolta di firme per una legge che affronti di petto il problema, in molte città e paesi è fatta propria dai segretari e dalle strutture locali dei Ds, coinvolge iscritti di diversi partiti, giovani, sindacalisti, un sacco di ragazze. Se il centrosinistra - che si è finalmente accorto del peso della questione - anche se non ne ha fatto pienamente tesoro - si mette in grado di farne il suo cavallo di battaglia, non solo vince le elezioni ma agguanta il filo di un cambiamento profondo che ha molto a che vedere con il cambio dell’intera politica economica. Per farlo bisogna esserne però convinti fino in fondo e ordinare il proprio discorso e la propria proposta in modo convincente.

Andiamo al cuore del problema: 1) quattro milioni di italiani lavorano precariamente; 2) i dati ci mostrano che per i giovani la precarietà è quasi l’unica possibilità di vivere il lavoro; 3) l’occupazione precaria non è solo una condizione lavorativa ma invade la vita; 4) non è vero che il lavoro precario è l’alternativa al lavoro nero: in Italia infatti crescono entrambi; 5) rendere precario il lavoro non rende forte l’economia, come dimostra la vicenda italiana; 6) è falso che la precarizzazione è il portato inevitabile della rivoluzione tecnologica; 7) la precarietà è in sostanza l’altra faccia del declino italiano.

Chiarito come stanno le cose, cosa abbiamo da proporre? La formula «siamo per la flessibilità senza precarietà» non si capisce cosa vuol dire. L’argomento «la legge 30 prosegue il cammino della legge Treu» è addirittura autolesionista. Se le cose stessero sul serio così, avrebbero ragione Ichino, Barbara Spinelli e Gianni Riotta nel dire che la soluzione sta nel ridurre le garanzie di chi lavora a tempo indeterminato.

Coerentemente con questa impostazione, Riotta sul Corriere della Sera è arrivato ad accusare i giovani francesi di essere i veri “conservatori” dello status quo alla pari di Berlusconi in Italia.

Se invece si esclude la via della deregulation, per la quale davvero non serve che governi il centrosinistra, bisogna necessariamente compromettersi con proposte concrete, efficaci, riformatrici.
Per uscire dalle giaculatorie sulle legge 30 (a questo proposito il programma dell’Unione scrive che tali norme vanno “superate”, ma alcuni suoi esponenti se lo dimenticano e parlano di “miglioramento”) è sufficiente rispondere in modo chiaro alle domande di fondo: l’Unione è disposta a rendere economicamente sconveniente per il datore di lavoro il ricorso al lavoro a tempo determinato? Se vinciamo le elezioni siamo in grado di avviare la stabilizzazione dell’impressionate numero di precari che tengono in piedi la pubblica amministrazione? Siamo consapevoli che occorre eliminare le figure come i «co.co.co.» e i «co.co.pro.» per disboscare la giungla (solo italiana!) di finti lavori autonomi che in realtà sono lavori dipendenti sottopagati e senza diritti? Il centrosinistra, accanto al credito d’imposta e alla riforma degli ammortizzatori sociali, è disposto nei primi sei mesi della sua azione di governo a varare norme che mostrino concretamente che si va in questa direzione? «L’Unione fa la forza» è scritto in un bel manifesto dei Ds: avrà l’Unione anche la forza di non compiacere la Confindutria quando chiede maggiore flessibilità del lavoro e fine del contratto nazionale?

Quando a Parigi e nelle periferie francesi qualche mese fa si incendiavano le macchine, Prodi suggerì di prestare attenzione perché quella vicenda parlava anche a noi. Oggi che alla Sorbona e nelle strade francesi gli studenti mettono sotto sopra un governo che propone la precarietà lavorativa per i giovani fino a 26 anni (da noi è senza limite d’età!), sappiamo tutti benissimo che «la Francia è vicina». Bisogna avere l’ambizione di vincere le elezioni del 9 aprile per inaugurare una politica economica e del lavoro alternativa a quella di questi anni, non solo per attutire la vergogna di essere stati governati da un gruppo di interesse.

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1 commento:

InOpera ha detto...

Pensate allora al giorno del 9 Aprile, quando si starà con una matita in mano dietro il gabbiotto per votare... e pensate alle loro facce quando usciranno i primi risultati.
Alle loro frasi, alla loro arroganza ed al loro delirio paranoico di onnipotenza.

Soprattutto, pensateli con il vostro orgoglio di cittadini e di come dopo si potrà ricominciare a valutare le cose per quello che sono realmente, sentendosi di nuovo al centro del mondo, come è giusto che sia.