(Famiglia Cristiana)
Due donne sono state portate ad esempio nel messaggio di fine anno del presidente Napolitano. Una è rimasta protetta dall'anonimato. L'altra, ricercatrice a Napoli, gode di una fama improvvisa. E riporta all'attenzione il dramma di tanti giovani senza futuro.
Questa ragazza che lavora a Napoli come ricercatrice del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, è diventata famosa in un lampo. No, non ha fatto una di quelle scoperte che danno la svolta alla scienza. Semplicemente è stata citata, ma senza nome, dal presidente Napolitano nel messaggio di fine anno. «Voglio sottolineare», ha detto il presidente, «come in Italia tra le riserve preziose su cui contare ci sia quella, ancora così poco valorizzata, dei talenti e delle energie femminili». E qui ha portato due esempi: «Ho conosciuto e ascoltato un mese fa a Napoli due donne. La prima, madre di un ragazzo che si stava perdendo nelle trappole della malavita, ci ha raccontato come abbia combattuto per salvarlo... La seconda, una giovane che ha studiato con successo giungendo alla laurea e al dottorato, lavora ora a un progetto avanzato di ricerca genetica per mille euro al mese – e si considera fortunata –, con un contratto che scade nel maggio prossimo».
Il presidente Giorgio Napolitano mentre rivolge il suo primo messaggio di fine anno agli italiani.
Il presidente Giorgio Napolitano mentre rivolge il suo primo messaggio
di fine anno agli italiani (foto AP/La Presse).
La madre coraggio è rimasta nell’anonimato, e si capisce bene: la malavita può anche fartela pagare, se hai sottratto una possibile recluta alle sue trappole. Invece la ricercatrice ha avuto interviste sui giornali e per il momento si rallegra della fama, anche se precaria come il suo lavoro. Enza Colonna, trent’anni, sta in un gruppo di ricerca che studia i frammenti del Dna responsabili di alcune malattie. Prende 980 euro al mese, senza tredicesima e con un contratto a termine. «Con 980 euro al mese non si vive un granché bene», ha detto ai giornali. «Io posso fare il lavoro che mi piace grazie all’aiuto della mia famiglia, quindi mi ritengo una privilegiata. Altri miei colleghi non sono così fortunati».
Tempo fa ho fatto un’inchiesta sul mondo del precariato, una piaga tutta italiana che sarebbe meglio chiamare sfruttamento. Ricordo alcuni nomi e storie. Giovanni, diplomato in violoncello a Santa Cecilia, inseguiva invano un posto in orchestra o una cattedra di musica, e intanto si arrangiava a cottimo in un call center, ore e ore al telefono per neanche un milione al mese che oggi sarebbero meno di 500 euro. «Devi chinare la testa perché altro non trovi e intanto campi alla giornata», mi disse. Carla, dopo il diploma da tecnico di laboratorio, era entrata volontaria in un centro di analisi della Croce Rossa, otto ore al giorno senza paga in attesa di un contratto trimestrale: «Con gli anni ti rassegni e intanto perdi la fiducia nelle tue capacità». Giorgio era assunto in Rai a tempo determinato e ogni volta che scadeva il contratto non sapeva se glielo avrebbero rinnovato: «Come posso sposarmi, avere figli? Le mie colleghe resistono sullo stipendio del marito».
Non so se Giovanni, Carla, Giorgio abbiano poi trovato un vero lavoro o se stiano ancora a inseguire il sogno. Temo sia vera la seconda ipotesi. L’anno scorso è uscito da Einaudi un libro di Aldo Nove intitolato Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese... È una raccolta di interviste a giovani e meno giovani, forzati del lavoro a scadenza; una discesa nel malessere di tanti che hanno studiato, si danno da fare, ma stanno perdendo coraggio.
Nel messaggio del capo dello Stato colpiscono frasi come: «si trovi l’intesa», «si concordino le riforme», «si ricerchi pazientemente». Forse questi incitamenti potranno dare la spinta anche a una generazione umiliata. Affinché non ci sia più bisogno di citare una precaria nel discorso di fine anno.
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