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5.9.08

Precaria per sempre

5/9/2008
La storia di Luisa Prisco, una delle 400 rimaste senza posto a Napoli, dove insegnerà solo chi è di ruolo
FLAVIA AMABILE



A Napoli quest’anno i maestri precari restano precari.
Non ce ne è uno che abbia avuto una supplenza annuale: quando pochi giorni fa sono state pubblicate le tabelle con le assegnazioni nelle scuole primarie, c'era da rimanere senza parole: nemmeno un posto, nemmeno mezzo. Precari erano, precari resteranno. Erano 400 nel 2007: avevano avuto un incarico da settembre a giugno ma avevano lavorato. «Ora nulla, tutti e 400 resteremo a casa».

Luisa Prisco è una di loro. Ha 35 anni, vive a Somma Vesuviana, hinterland napoletano. In dieci anni di precariato è riuscita a mettere al mondo due figli, la prima di 8 anni, il secondo di 2. All’improvviso il suo stipendio si è volatilizzato. «Per fortuna almeno mio marito lavora, ma non è giusto cancellarci così come se non esistessimo. Persino quando si è trattato di fare le ultime correzioni alle liste hanno preferito trasferire chi non era a Napoli, e per i precari ancora una volta nulla».

Luisa e le altre maestre e maestri cancellati dagli elenchi si rendono conto di non avere speranze e che l’anno prossimo andrà ancora peggio, e fra due anni pure. «Ora arriva il maestro unico: se prima erano tre, ne resta uno. E gli altri due? E’ chiaro che ci saranno sempre meno posti, è chiaro che si andrà verso il blocco delle assunzioni. E io e tutti gli altri che cosa dobbiamo fare? Cambiare lavoro?»

Un’alternativa ci sarebbe, Luisa lo sa perché già una volta ha fatto le valigie ed è andata a insegnare al nord. Era l’autunno del 2004. «Mia figlia aveva tre anni e mezzo, per fortuna andava all’asilo. Ogni domenica la salutavo e partivo. Lei restava con mia mamma dopo l’asilo, e poi con mio marito quando lui tornava a casa dal lavoro. Non è stato facile sparire così dalla vita di una bambina ancora così piccola. E alla fine i soldi li spendevo tutti per viaggiare e per vivere. Perché sono andata? Perché me lo avevano consigliato: se resti qui, stavolta non hai l’incarico. E così sono partita».

Sarebbe stato più logico trasferirsi tutti e sperare di diventare di ruolo come hanno fatto buona parte dei nuovi docenti catapultati nelle scuole materne di Napoli. Molte di loro sono donne, giovani, probabilmente senza figli, hanno insegnato nelle scuole del nord quanto bastava per entrare nell’organico definitivo. Quest’anno hanno chiesto il trasferimento e potranno insegnare nelle scuole della loro città. «Anche se hanno molti anni di insegnamento in meno rispetto a me e rispetto a tante altre di noi. Noi non potevamo partire: ma mio marito aveva un lavoro, qui abbiamo la casa, non ce la siamo sentita».

E’ anche così che si diventa precari e si finisce in una casella vuota. Pensi ai tuoi figli, a tuo marito, fai un po’ di conti e nel frattempo lo Stato, più veloce, ti sconvolge i calcoli e ti toglie lo stipendio. Sono lontani gli Stati Uniti, Sarah Palin, le donne che devono avere ‘pari opportunità, senza eccezioni’. E se in Alaska l’unica differenza fra una hockey mom e un pitbull è il rossetto, a Somma Vesuviana dove l’hockey non è considerato uno degli sport più praticati e il rossetto può diventare un lusso eccessivo, sembra di veder andare in giro solo pitbull sotto forma di mamme in lotta con la vita.

Quest’anno nessuno le aveva avvertite Lucia e le altre. Si sentivano abbastanza tranquille. «L’anno scorso ho insegnato in una quarta elementare. Matematica, inglese e musica per 22 ore la settimana più altre due di programmazione. Si erano affezionati a me i miei alunni». Ma il distacco, quello almeno, è messo nel conto del maestro precario. Lo sa che deve imparare i nomi di tutti a settembre e dimenticarli a giugno. I problemi iniziano quando il settembre successivo non ha più nomi da imparare.

Luisa ha girato tante scuole dell’hinterland napoletano. «Ho iniziato in una scuola paritaria ma ci sono restata solo per un anno. Avevo tutti i requisiti per entrare in graduatoria e diventare di ruolo, sono passata alle scuole pubbliche». Ha insegnato ai bambini di Ponticelli, zona ad alto tasso di camorra, dove a maggio per risolvere il problema dei rom hanno pensato bene di dare fuoco al loro campo. Ha insegnato a San Giuseppe Vesuviano e anche a Ischia. «Quando si ha a che fare con classi di questo tipo ci si fa un’esperienza che nessun punteggio potrà mai valutare».

E adesso? «Potremmo fare ricorso ma passerebbero anni prima di ottenere una sentenza. Qualcuno ci dice che esiste un progetto pubblico da 30 mila euro che permetterebbe a molti di noi di lavorare ma ho grossi dubbi che possa andare in porto. Per ora sto facendo dei tentativi nelle scuole paritarie. Ma chi toglierebbe il posto a qualcuno per darlo a me?».

10.3.08

Presidio contro precariato Vigili del Fuoco

Il COMITATO VIGILI DEL FUOCO DISCONTINUI-PRECARI NAPOLETANI è un'associazione costituita da vigili del fuoco discontinui (ex vigili ausiliari militari e vigili civili) tutti operativi e regolarmente iscritti con decreto del Ministero dell’Interno nell’elenco del Comando provinciale VVF di Napoli.

Il Comitato invita tutti i vigili discontinui a partecipare al PRESIDIO CONTRO IL PRECARIATO DI STATO PER L’ASSUNZIONE IMMEDIATA DEI VIGILI DEL FUOCO DISCONTINUI che si terrà lunedì 10 marzo 2008 alle ore 10 in piazza Carità a Napoli.

Il Comitato considera la procedura di stabilizzazione del personale precario dei VVF del Ministero dell’Interno (decreto 30 luglio 2007) una manovra discriminatoria nei confronti di tutti i vigili del fuoco discontinui-precari napoletani in quanto i parametri utilizzati ai fini della selezione (eta’ max 37anni, 3 anni di decreto ministeriale e 120 giorni di servizio negli ultimi 5 anni) escludono dal concorso centinaia di vigili discontinui che fino ad oggi hanno prestato e continuano a prestare servizio di precariato (incarichi di 20 giorni) presso il Comando provinciale VVF di Napoli.

Questi parametri discriminatori delineati nella procedura di stabilizzazione sono inaccettabili e deve essere adottata dalle autorità competenti in materia un piano specifico per le assunzioni dei vigili discontinui adottando come riferimento la nuova graduatoria costituita presso l’ufficio del personale del Comando provinciale VVF di Napoli secondo i nuovi criteri attualmente utilizzati (figli a carico, disoccupazione, anzianità ) per richiami in servizio del precariato. Sarà nostra premura vigilare su tale graduatoria affinché vengano rispettati tutti i parametri presi in considerazione.
Il nostro lavoro precario serve a coprire la carenza cronica del personale permanente del Comando provinciale VVF di Napoli che con l’impiego dei vigili discontinui durante tutto l’anno con difficoltà riesce a coprire al minimo il funzionamento del Soccorso tecnico urgente ai cittadini.

Se i vigili del fuoco discontinui sono idonei durante tutto l’anno a svolgere il servizio d’istituto (soccorso ai cittadini) da precari non vediamo il motivo per cui ci debba essere una selezione nel processo di stabilizzazione essendo tutti già operativi, considerando anche il fatto che esiste una carenza di organico a livello nazionale di circa 15mila unità per il raggiungimento minimo degli standard europei. E’ chiaro che una volta avviato il processo di stabilizzazione siamo favorevoli affinché i vigili discontinui siano inviati a Roma per il superamento del corso obbligatorio di aggiornamento e formazione professionale. Siamo i primi ad attenerci alla sicurezza sul lavoro!!!
Alla luce di tale analisi il potenziamento del Corpo nazionale deve avvenire in primo luogo assorbendo il precariato costituito dai vigili discontinui che aspirano a diventare permanenti e soltanto dopo questa fase attraverso il bando di un nuovo concorso pubblico.

La nuova stabilizzazione dovrà dunque avvenire prendendo in considerazione le necessità di organico dei singoli Comandi provinciali e le assunzioni ribadiamo dovranno essere fatte attraverso le graduatorie provinciali esistenti NON quelle nazionali in quanto queste garantiscono l’assunzione solo di vigili che hanno più giorni di servizio essendo arruolati nei Comandi del Nord Italia che garantiscono richiami enormemente superiori rispetto a quelli del Sud.

Il COMITATO dunque porterà avanti la lotta per l’assunzione con contratto a tempo indeterminato di tutti i vigili del fuoco discontinui-precari del Comando provinciale VVF di Napoli. Noi siamo per l’unità di tutti i discontinui che intendono perseguire questo obiettivo.
Noi amiamo il lavoro di vigili del fuoco ma siamo stanchi di essere dei vigili del fuoco precari, dei vigili del fuoco di serie C, vogliamo diventare PERMANENTI !!!
Basta col PRECARIATO di Stato, abbiamo diritto ad un LAVORO STABILE!!!

10/3/2008

28.5.07

Inchiesta sui precari della ricerca a Napoli

da Precat:

I precari della didattica e della ricerca dell’Ateneo Federico II hanno svolto un’accurata analisi per gli anni 2003-2006. Il dato mostra il progressivo diminuire di assegni di ricerca e borse post-doc a favore di forme contrattuali diparate e che l’Ateneo appalta oltre il 30 della sua offerta didattica espressa in ore.

Leggi il report della situazione del precariato alla Federico II

24.4.07

Appello per la costruzione della Napoli May Day 2007

Scrivere un appello ai movimenti, ai comitati, ai collettivi, alle associazioni, al mondo del lavoro e del "non lavoro" per costruire insieme la May Day Parade del primo maggio a Napoli: per un istante abbiamo pensato (sperato...?!) che bastasse copiarne qualcuno degli anni scorsi... Non per pigrizia. Non per ritualità.
Da diversi anni, infatti, e attraversando molte città europee, la May Day parade rappresenta un esperimento consolidato di emersione delle domande, delle identità e delle lotte presenti nel molteplice universo della precarietà sociale e lavorativa. Costruzione di uno spazio comune che si misura continuamente con la sua stessa precarietà e col suo divenire. Ricerca di linguaggi e di pratiche, monitoraggio e valorizzazione di quella microfisica delle resistenze poste in essere dal lavoro vivo, mentre viene continuamente scomposto dal comando per riconnettersi poi nella fabbrica sociale.
Precarietà e precarizzazione sono ormai largamente riconosciute come le cerniere che collegano le vecchie forme del lavoro, aggredite dal liberismo, depauperate del salario diretto e indiretto e perfino del diritto alla pensione, con le nuove realtà di lavoratori in affitto o interinali, contorsionisti della prestazione a chiamata, operatori a progetto, cognitari, studenti....
Figure senza cittadinanza: un esempio per tutti è quello dei migranti, per i quali il lavoro è concepito giuridicamente come pura "sfruttabilità", subalternità del diritto alle necessità della macchina produttiva.
Tutti soggetti che si trovano ormai di fronte alla necessità di riscrivere l'alfabeto dei bisogni e riconquistare quasi completamente un proprio statuto dei diritti.
Poco o niente è cambiato col passaggio dal governo nazionale di una destra liberista, populista e inflazionista ad un centrosinistra liberista e tecnocratico, pronto a riproporre i feticci di Maastricht e del debito per continuare con l'opera di demolizione del welfare state. Entrambi brillano nell'assoluta mancanza di proposte per tutelare le nuove realtà sociali e lavorative. Che perciò cominciano a fare da sé!
"Reclame the Money" ("Reclama Reddito") è diventata negli anni una rivendicazione sempre più riconosciuta, che prova ad attraversare le aspettative del lavoro diffuso e di quello negato, declinando i diritti all'accesso, alla salute, ai saperi, alla libertà di movimento, all'abitabilità. Si è estesa inoltre la consapevolezza che di fronte a modelli di profitto così aggressivi verso il pianeta, la precarietà del reddito e del lavoro si rifletta nella precarietà dell'ambiente e della salute.
Importanti mobilitazioni locali e nazionali, così come la pratica dell'azione diretta (autoriduzioni, blocchi ecc), hanno amplificato queste battaglie sul piano simbolico e della comunicazione e contro di esse si è scatenata una repressione rapida e feroce con processi penali contro centinaia di precari e di precarie.
Perfino l'empasse con cui questi movimenti si misurano rappresenta una questione aperta ma non certo sconosciuta: la difficoltà ad agire pienamente il nuovo spazio pubblico europeo, il problema di associare continuità e cooperazione alla forza dei conflitti simbolici e puntuali, la necessità di ricomporre movimenti "senza centro" con dispositivi di reciproco riconoscimento e mutualità tra le lotte territoriali...

Eppure fra le mille ragioni per aggiornare collettivamete questa riflessione, una ci è sembrata più pressante delle altre: è l'accelerazione precipitosa e particolare che questi processi stanno vivendo a Napoli!
Innanzi tutto l'informalizzazione delle relazioni economiche, dei dispositivi sociali e abitativi ha una preponderanza sui segmenti urbani più "tradizionali" che ha pochi eguali in tutto l'occidente. Un processo di deregulation vertiginoso ma senza tutele, come attesta la cifra ormai "fossilizzata" del 60% di disoccupazione giovanile "ufficiale"!
In questo contesto si sviluppa la crescita di una violenza non solo verticale, ma anche orizzontale tra i ceti subalterni. Una realtà che non si può ridurre, come spesso viene fatto, alla presenza delle bande armate dell'economia extra-legale o alla speculare militarizzazione poliziesca, che pure soffocano le potenzialità di una riscossa sociale effettivamente consapevole.
C'è un reale disastro sociale con cui fare i conti!
L'inflazione degli ultimi anni, malamente camuffata dall'arrivo dell'euro, ha vertiginosamente aumentato la precarietà sociale ed esistenziale (affitti delle case cresciuti di otto volte in dieci anni, ventimila mutui abitativi abbandonati solo nell'ultimo anno). Politiche insieme liberiste e clientelari, come nella gestione della sanità pubblica, stanno facendo il resto. Sul piano imprenditoriale, l'aggressione speculativa al territorio e ai beni comuni (a partire dall'acqua ) sembra diventata l'unica opzione per rendite sempre più parassitarie.
Di fronte a questa realtà che non riesce nè a rappresentare nè ad afferrare, il ceto politico locale, impegnato nel più tranquillo naufragio che si ricordi, sembra preoccupato soltanto, e paradossalmente, di conservarsi. E di fare affari... Malgrado imponenti esempi di delegittimazione sociale e momenti di conflitto virulento, come nel caso dello smaltimento dei rifiuti in cui il governo locale e nazionale si sono rivelati incapaci di costruire soluzioni condivise e fuori dall'influenza delle ecomafie, soluzioni che il piu’ delle volte coincidono con uno nuovo stupro ambientale da mettere in atto da Acerra a Serre, dal LoUttaro al Vallone di San Rocco.
Si costruiscono, piuttosto, continui diaframmi rispetto ai cittadini, espropriati di ogni ruolo decisionale. Una condizione abituale per chi è storicamente sottomesso alle servitù militari NATO ed alla crescente militarizzazione del territorio (ultima clamorosa notizia la conferma che il porto di Napoli è sistematicamente utilizzato dai sommergibili nucleari, nell'ignoranza di tutta la popolazione). Ma anche laboratorio della globalizzazione liberista: Napoli e la Campania sono diventate un avamposto europeo nei processi globali di privatizzazione del potere pubblico. Commissariamenti, privatizzazioni, esternalizzazioni sono alcuni dei dispositivi di governo che deresponsabilizzano politicamente la classe dirigente e ne appaltano o nascondono le funzioni. Dal commissariamento regionale sui rifiuti ai tentativi di privatizzazione dell'acqua, dalle società di trasformazione urbana (STU) all'esternalizzazione delle funzioni amministrative. In quasi tutte le funzioni di governo del territorio i cittadini devono interfacciarsi con consigli d'amministrazione di soggetti privati o di società miste. Il Comune, la Provincia, la Regione, si propongono sempre più come renditieri "irresponsabili" dell'attività di queste società, percorrendo una strada spianata dal DDL Lanzillotta e dal governo Prodi.
Particolarmente grave l'appalto ad un'aggressiva azienda privata, la Gest-Line, di tutti i crediti amministrativi. Una sorta di usura legalizzata con cui il sistema di potere e comando cittadino pensa di occultare la rimozione del welfare informale col quale in questi anni ha tamponato la totale assenza di una politica di sostegno ai redditi.

A Napoli e in Campania la cosiddetta questione democratica coincide più che mai con la questione sociale!

Fuori e contro questi comitati d'affari, i territori hanno visto fiorire forme di mobilitazioni dal basso, comitati di quartiere, assisi democratiche e reti per la difesa dei beni comuni (l'acqua, il territorio, la salute, la scuola, l'accesso ai saperi, l’abitabilita’) che hanno affiancato le lotte più tradizionali dei precari e dei disoccupati. Dai nuovi fermenti dell'università e del precariato cognitivo alle resistenze contro la devastazione del territorio, dalle lotte alla quotidiana precarietà sociale dei disoccupati storici a quelle dei lavoratori della Ergom e dell’Alfa/Avio contro i processi di ristrutturazione selvaggia; queste vertenze vivono, purtroppo, in una inefficace separatezza mentre, invece, abbisognano di un linguaggio condiviso, un comune tessuto connettivo per una presa di parola forte ed autorevole che si faccia finalmente cambiamento politico.
Per questi percorsi l'organizzazione della May Day 2007 è la possibilità di attraversare uno spazio comune in cui annodare i tanti fili che si stanno già tessendo e per tesserne dei nuovi. Per sperimentare una narrazione collettiva che vada oltre l'occasione e prosegua lungo i percorsi di movimento e di autorganizzazione a cominciare dal prossimo appuntamento del 19 Maggio a Napoli indetto dall’Assemblea Popolare di Serre, in difesa della salute e dell’ambiente e contro la logica dell’incenerimento dei rifiuti.
Per i movimenti la Napoli May Day 2007 è un potenziale snodo perché continui a crescere quella cooperazione tra i precari e le precarie che sovverta la miseria del presente. Ed è anche un punto di verifica: nella costruzione asimmetrica del nuovo spazio pubblico europeo e mediterraneo, Napoli col suo laboratorio di contraddizioni, di conflitti, di globalizzazione informale e liberista, rappresenta una parte di quel "futuro di sotto" con cui è necessario misurarsi per conquistare un altro mondo possibile!


Invitiamo tutte le realtà regionali ad un incontro pubblico per la costruzione comune della May Day 2007
Lunedi 16 aprile alle ore 17.30
- Aula Francesco Lo Russo - Università Federico II –
- via Mezzocannone n°16, II Piano


Federazione Regionale dell’RdB/CUB della Campania, RdB/CUB “Precari Autorganizzati”, Red Link, Rete per il Reddito ed i Diritti Sociali, Laboratorio Occupato Insurgencia, Orientale Agitata , Comitato di lotta Vele di Scampia, Comitato in difesa del Vallone di San Rocco, Napoli Arcobaleno – per il diritto al territorio

3.4.07

Formez, 2/4 assemblea dei lavoratori

Napoli

Si è svolta ieri a Napoli l’assemblea generale dei lavoratori del Formez Cgil, Cisl e Uil. Durante l’incontro, l’assemblea ha evidenziato il valore del lavoro svolto dal personale del Formez affianco delle pubbliche ammnistrazioni e supporto di processi di innovazione e la preoccupazione che questo patrimonio di professionalità possa andare disperso e non adeguatamente valorizzato a seguito dei processi di riforma in atto nel settore della formazione pubblica. Nella fase di riorganizzazione di tutti gli enti pubblici, infatti, desta preoccupazione anche il futuro di Formez e della sede napoletana dell’istituto. Ecco perchè, i lavoratori indiranno indire a breve una conferenza programmatica con la presenza di istituzioni nazionali e locali I lavoratori hanno chiesto di esercitare un ruolo nella definizione del futuro dell’Istituto, con particolare riguardo: alla missione dell’Istituto, al suo riassetto organizzativo; alla specificità ed al rilancio della sede di Napoli alla valorizzazione delle competenze dei lavoratori precari. All’incontro sono intervenuti il segretario generale della Cgil di settore, Antonella Pezzullo; il segretario generale della Cisl di settore, Antonio Follo e il segretario della Uil di settore, Davide Sarnataro.

3-04-2007

22.3.07

E il prof a giornata aspetta in stazione

22/3/2007 - REPORTAGE

Precari: la corsa per le supplenze da una lezione
ROSARIA TALARICO
Partono un bel po’ prima delle cinque dalla provincia di Napoli o di Avellino. Salgono sul pullman della speranza e arrivano a Roma, stazione degli autobus Tiburtina, oltre due ore dopo. La speranza è quella di guadagnarsi anche oggi una supplenza.

Sull’autobus degli insegnanti precari e pendolari forzati si conoscono tutti. Una familiarità da compagni di viaggio con cui si dividono gli sbadigli e il freddo delle albe invernali. Tra loro c’è chi non sa neanche dove gli toccherà insegnare. Aspettano una chiamata dalla scuola. Se non arriva si torna a casa. Ma di solito, per fortuna, a telefonare sono anche più istituti contemporaneamente. Camminando a passo svelto verso la fermata dell’autobus che la porterà alla scuola elementare di viale Adriatico, zona Nomentana, Carmela (Carmelina) Monda racconta che «di noi non parla nessuno. Siamo pure più sfortunati, quelli di Caserta intervistati da Ballarò hanno la comodità del treno. Si possono svegliare un’ora dopo».

Quelli di Caserta: ovvero altri insegnanti precari che, incastrati nelle graduatorie gonfie e immobili della provincia di Napoli, migrano verso Roma in cerca di supplenze brevi: anche solo un giorno. Così, il treno che arriva a Termini alle 7.45 lo chiamano «il vagone del Provveditorato». Partenza alle cinque, sperando che durante il viaggio il preside di qualche scuola, sprovvisto di un docente, alzi il telefono per convocare un supplente d’emergenza. Al secondo piano della stazione Termini c’è un bar self service, a quell’ora è chiuso. Le sedie e i tavolini vuoti accolgono maestre col cellulare tra le mani e la batteria carica. «A Tiburtina andiamo al Cristal Bar - continua Carmelina -, e se la chiamata arriva entro le 8 bene, è per la mattina. Se arriva più tardi bisogna far passare il tempo fino al turno del pomeriggio».

Per poi piovere in classi ostili, dove «se un professore è violento lo licenziano in tronco - osserva Carmelina -. Gli studenti violenti, però non li licenzia nessuno. In classe ci arrivano le sedie sulla schiena...». Carmelina ha due figli di 13 e 19 anni, e alle spalle già un anno di viaggi a Roma per le supplenze brevissime saltando da un’aula all’altra, da un autobus all’altro. «Quest’anno invece sono fortunata: insegno dal 21 novembre fino all’8 giugno, e sempre nella stessa scuola». Non c’è imbarazzo a parlare di fortuna con un lavoro da 1.100 euro al mese (ci sono 300 euro di abbonamenti tra pullman e metropolitana) che la fa rientrare a casa tra le sei e le nove di sera con la cena ancora da preparare. «Che fine faremo noi precari?» si chiede l’ insegnante, mentre l’arrivo dell’autobus mette fine alla conversazione. La domanda, annotata sul taccuino, galleggia tra cifre sconfortanti: sono 180mila i precari a livello nazionale.

I pendolari dalla Campania al Lazio riproducono gli spostamenti storici di insegnanti che dal Sud vanno a lavorare al Nord. Un esodo destinato ad aumentare con la stabilizzazione prevista dalla Finanziaria di 150mila insegnanti. «Questo è un periodo di vacche grasse per i precari» afferma sorprendentemente Gianfranco Pignatelli, presidente nazionale del Cip (il Comitato insegnanti precari, associazione riconosciuta dal ministero dell’Istruzione che esiste da dieci anni). Presto svelato il motivo del tono trionfale: «Dopo la sfacchinata degli scrutini - spiega Pignatelli - molti titolari di cattedra si prendono un periodo di riposo». Per i precari si tratta invece di fare gli straordinari. I peggiori sono gli insegnanti che si mettono in congedo prima degli scrutini, abbandonando il compito vitale della valutazione degli studenti a un supplente che neanche li conosce e si sobbarca la fatica di riunioni e consigli. Sul pullman, di ritorno a casa, quando la frenesia della mattina lascia il posto alla stanchezza e c’è il tempo per raccontare meglio la propria inesorabile quotidianità. Francesco (Franco) Melissa ha 50 anni e parte da Baiano, provincia di Avellino, alle 4.40 di mattina. Ha moglie e tre figli. Fino al 2001 era disoccupato. Ora è collaboratore scolastico, fa il bidello in una scuola dalle parti di piazza Fiume. Rientra nelle categorie protette perché è orfano di guerra. Da quattro anni fa avanti e indietro ogni giorno per mettere insieme poco più di 900 euro al mese.

Marietta Squillante è di Civitile, provincia di Napoli: insegnante di sostegno alle superiori. Anche a lei quest’anno è andata tutto sommato bene. «Ho una supplenza annuale a Tivoli. Prima insegnavo nelle scuole private vicino casa, poi mi sono sposata e ho avuto una bambina. Sono in graduatoria a Napoli, ma lì non arrivano mai a chiamarmi. Così ho fatto la scelta di viaggiare, anche se mia figlia sente la mancanza della mamma».

C’è anche un servizio di aiuto notturno: per chi è costretto a restare a Roma fino a tardi - magari un collegio dei docenti va per le lunghe - si mette in moto la rete di solidarietà degli alloggi di fortuna a casa di colleghi, parenti e amici. Basta un posto per stendersi, e d’altronde tutto va bene pur di non pagare il conto di una stanza e intaccare lo stipendio. «La stabilizzazione per molti, sarà l’ultimo treno» conclude Pignatelli, 25 anni di vita da precario. «Non sai da quale stazione passerà, ma non hai nessuna intenzione di perderlo». Di certo agli insegnanti-pendolari l’allenamento non manca: anche questi, che fanno pratica con gli autobus.

(La Stampa on line)

9.1.07

Tutti i precari del presidente

(Famiglia Cristiana)

Due donne sono state portate ad esempio nel messaggio di fine anno del presidente Napolitano. Una è rimasta protetta dall'anonimato. L'altra, ricercatrice a Napoli, gode di una fama improvvisa. E riporta all'attenzione il dramma di tanti giovani senza futuro.

Questa ragazza che lavora a Napoli come ricercatrice del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, è diventata famosa in un lampo. No, non ha fatto una di quelle scoperte che danno la svolta alla scienza. Semplicemente è stata citata, ma senza nome, dal presidente Napolitano nel messaggio di fine anno. «Voglio sottolineare», ha detto il presidente, «come in Italia tra le riserve preziose su cui contare ci sia quella, ancora così poco valorizzata, dei talenti e delle energie femminili». E qui ha portato due esempi: «Ho conosciuto e ascoltato un mese fa a Napoli due donne. La prima, madre di un ragazzo che si stava perdendo nelle trappole della malavita, ci ha raccontato come abbia combattuto per salvarlo... La seconda, una giovane che ha studiato con successo giungendo alla laurea e al dottorato, lavora ora a un progetto avanzato di ricerca genetica per mille euro al mese – e si considera fortunata –, con un contratto che scade nel maggio prossimo».

Il presidente Giorgio Napolitano mentre rivolge il suo primo messaggio di fine anno agli italiani.
Il presidente Giorgio Napolitano mentre rivolge il suo primo messaggio
di fine anno agli italiani (foto AP/La Presse).

La madre coraggio è rimasta nell’anonimato, e si capisce bene: la malavita può anche fartela pagare, se hai sottratto una possibile recluta alle sue trappole. Invece la ricercatrice ha avuto interviste sui giornali e per il momento si rallegra della fama, anche se precaria come il suo lavoro. Enza Colonna, trent’anni, sta in un gruppo di ricerca che studia i frammenti del Dna responsabili di alcune malattie. Prende 980 euro al mese, senza tredicesima e con un contratto a termine. «Con 980 euro al mese non si vive un granché bene», ha detto ai giornali. «Io posso fare il lavoro che mi piace grazie all’aiuto della mia famiglia, quindi mi ritengo una privilegiata. Altri miei colleghi non sono così fortunati».

Tempo fa ho fatto un’inchiesta sul mondo del precariato, una piaga tutta italiana che sarebbe meglio chiamare sfruttamento. Ricordo alcuni nomi e storie. Giovanni, diplomato in violoncello a Santa Cecilia, inseguiva invano un posto in orchestra o una cattedra di musica, e intanto si arrangiava a cottimo in un call center, ore e ore al telefono per neanche un milione al mese che oggi sarebbero meno di 500 euro. «Devi chinare la testa perché altro non trovi e intanto campi alla giornata», mi disse. Carla, dopo il diploma da tecnico di laboratorio, era entrata volontaria in un centro di analisi della Croce Rossa, otto ore al giorno senza paga in attesa di un contratto trimestrale: «Con gli anni ti rassegni e intanto perdi la fiducia nelle tue capacità». Giorgio era assunto in Rai a tempo determinato e ogni volta che scadeva il contratto non sapeva se glielo avrebbero rinnovato: «Come posso sposarmi, avere figli? Le mie colleghe resistono sullo stipendio del marito».

Non so se Giovanni, Carla, Giorgio abbiano poi trovato un vero lavoro o se stiano ancora a inseguire il sogno. Temo sia vera la seconda ipotesi. L’anno scorso è uscito da Einaudi un libro di Aldo Nove intitolato Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese... È una raccolta di interviste a giovani e meno giovani, forzati del lavoro a scadenza; una discesa nel malessere di tanti che hanno studiato, si danno da fare, ma stanno perdendo coraggio.

Nel messaggio del capo dello Stato colpiscono frasi come: «si trovi l’intesa», «si concordino le riforme», «si ricerchi pazientemente». Forse questi incitamenti potranno dare la spinta anche a una generazione umiliata. Affinché non ci sia più bisogno di citare una precaria nel discorso di fine anno.