5.9.08

Precaria per sempre

5/9/2008
La storia di Luisa Prisco, una delle 400 rimaste senza posto a Napoli, dove insegnerà solo chi è di ruolo
FLAVIA AMABILE



A Napoli quest’anno i maestri precari restano precari.
Non ce ne è uno che abbia avuto una supplenza annuale: quando pochi giorni fa sono state pubblicate le tabelle con le assegnazioni nelle scuole primarie, c'era da rimanere senza parole: nemmeno un posto, nemmeno mezzo. Precari erano, precari resteranno. Erano 400 nel 2007: avevano avuto un incarico da settembre a giugno ma avevano lavorato. «Ora nulla, tutti e 400 resteremo a casa».

Luisa Prisco è una di loro. Ha 35 anni, vive a Somma Vesuviana, hinterland napoletano. In dieci anni di precariato è riuscita a mettere al mondo due figli, la prima di 8 anni, il secondo di 2. All’improvviso il suo stipendio si è volatilizzato. «Per fortuna almeno mio marito lavora, ma non è giusto cancellarci così come se non esistessimo. Persino quando si è trattato di fare le ultime correzioni alle liste hanno preferito trasferire chi non era a Napoli, e per i precari ancora una volta nulla».

Luisa e le altre maestre e maestri cancellati dagli elenchi si rendono conto di non avere speranze e che l’anno prossimo andrà ancora peggio, e fra due anni pure. «Ora arriva il maestro unico: se prima erano tre, ne resta uno. E gli altri due? E’ chiaro che ci saranno sempre meno posti, è chiaro che si andrà verso il blocco delle assunzioni. E io e tutti gli altri che cosa dobbiamo fare? Cambiare lavoro?»

Un’alternativa ci sarebbe, Luisa lo sa perché già una volta ha fatto le valigie ed è andata a insegnare al nord. Era l’autunno del 2004. «Mia figlia aveva tre anni e mezzo, per fortuna andava all’asilo. Ogni domenica la salutavo e partivo. Lei restava con mia mamma dopo l’asilo, e poi con mio marito quando lui tornava a casa dal lavoro. Non è stato facile sparire così dalla vita di una bambina ancora così piccola. E alla fine i soldi li spendevo tutti per viaggiare e per vivere. Perché sono andata? Perché me lo avevano consigliato: se resti qui, stavolta non hai l’incarico. E così sono partita».

Sarebbe stato più logico trasferirsi tutti e sperare di diventare di ruolo come hanno fatto buona parte dei nuovi docenti catapultati nelle scuole materne di Napoli. Molte di loro sono donne, giovani, probabilmente senza figli, hanno insegnato nelle scuole del nord quanto bastava per entrare nell’organico definitivo. Quest’anno hanno chiesto il trasferimento e potranno insegnare nelle scuole della loro città. «Anche se hanno molti anni di insegnamento in meno rispetto a me e rispetto a tante altre di noi. Noi non potevamo partire: ma mio marito aveva un lavoro, qui abbiamo la casa, non ce la siamo sentita».

E’ anche così che si diventa precari e si finisce in una casella vuota. Pensi ai tuoi figli, a tuo marito, fai un po’ di conti e nel frattempo lo Stato, più veloce, ti sconvolge i calcoli e ti toglie lo stipendio. Sono lontani gli Stati Uniti, Sarah Palin, le donne che devono avere ‘pari opportunità, senza eccezioni’. E se in Alaska l’unica differenza fra una hockey mom e un pitbull è il rossetto, a Somma Vesuviana dove l’hockey non è considerato uno degli sport più praticati e il rossetto può diventare un lusso eccessivo, sembra di veder andare in giro solo pitbull sotto forma di mamme in lotta con la vita.

Quest’anno nessuno le aveva avvertite Lucia e le altre. Si sentivano abbastanza tranquille. «L’anno scorso ho insegnato in una quarta elementare. Matematica, inglese e musica per 22 ore la settimana più altre due di programmazione. Si erano affezionati a me i miei alunni». Ma il distacco, quello almeno, è messo nel conto del maestro precario. Lo sa che deve imparare i nomi di tutti a settembre e dimenticarli a giugno. I problemi iniziano quando il settembre successivo non ha più nomi da imparare.

Luisa ha girato tante scuole dell’hinterland napoletano. «Ho iniziato in una scuola paritaria ma ci sono restata solo per un anno. Avevo tutti i requisiti per entrare in graduatoria e diventare di ruolo, sono passata alle scuole pubbliche». Ha insegnato ai bambini di Ponticelli, zona ad alto tasso di camorra, dove a maggio per risolvere il problema dei rom hanno pensato bene di dare fuoco al loro campo. Ha insegnato a San Giuseppe Vesuviano e anche a Ischia. «Quando si ha a che fare con classi di questo tipo ci si fa un’esperienza che nessun punteggio potrà mai valutare».

E adesso? «Potremmo fare ricorso ma passerebbero anni prima di ottenere una sentenza. Qualcuno ci dice che esiste un progetto pubblico da 30 mila euro che permetterebbe a molti di noi di lavorare ma ho grossi dubbi che possa andare in porto. Per ora sto facendo dei tentativi nelle scuole paritarie. Ma chi toglierebbe il posto a qualcuno per darlo a me?».

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Chi ha studiato per fare l'insegnante sperando nel "posto fisso" si prepari a cambiare mestiere (cassiera, commessa, baby sitter, ecc.). E' inutile aspirare all'occupazione se si hanno 200-300 persone prima di te nella graduatoria. Troppe persone hanno scelto 'sto lavoro, è ovvio che si sarebbe arrivati alla saturazione dell'organico.

Anonimo ha detto...

Ma scusa Anonimo, come ti permetti di rivolgerti a Persone che hanno studiato e si sono impegnate per essere insegnanti in questo modo? Se non hai mai lavorato in questo settore non conosci i sacrifici e le soddisfazioni della professione docente.
La saturazione c'è in ogni campo lavorativo, li leggi i giornali? E' una crisi generale ma siamo noi che la paghiamo maggiormente (questa è la differenza).