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3.4.07

Lettera a Napolitano sulla Ricerca del Coordinamento Precari Usi/RdB

Lettera aperta al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano

Illustre Presidente,
abbiamo apprezzato recentemente diversi Suoi interventi sull’importanza della Ricerca.
Questo ci ha convinti a scriverLe per fornirLe una visione più completa rispetto a quella che i mezzi di comunicazione normalmente evidenziano, permettendoLe così di comporre in maniera più ampia e veritiera il quadro della Ricerca Pubblica in Italia.
Innanzitutto, premettiamo che non è soltanto un problema di salari, anche se l’aspetto economico ha la sua importanza; a maggior ragione, non è un problema di fuga di cervelli, fenomeno estremamente limitato e per molti versi elitario, che può produrre glamour ma che non rappresenta la realtà globale della ricerca. È come se, per descrivere la ricerca degli anni ‘50 e ‘60 in Italia, si parlasse soltanto dei pur importantissimi Dulbecco dimenticando Amaldi e Levi-Montalcini, cioè si tralasciasse chi tornava e costruiva in Italia il successo del sapere per descrivere solamente chi all’estero portava lustro alla tradizione contribuendo però sostanzialmente al progresso del paese che lo aveva accolto.
La vera storia della ricerca vede oggi l’Italia con sempre meno ricercatori (3 ogni mille occupati, contro i 17 della Finlandia; siamo ormai all’ultimo posto in Europa, dietro Portogallo, Grecia e i Paesi dell’Est). La situazione è aggravata dal fatto che gli organici degli Enti di Ricerca sono costituiti per circa la metà da personale precario (ed un quadro simile si può tracciare anche nell’Università). Nonostante ciò i nostri ricercatori sono tra i più produttivi del mondo, secondi solo agli svizzeri per media di pubblicazioni scientifiche per ricercatore e molto più avanti di svedesi, francesi, tedeschi e americani (dati emersi dal nuovo “Rapporto su scienza e società” curato da Observanet).
Quindi, è evidente che la qualità e le funzioni della Ricerca Pubblica in Italia, nel corso degli anni, sono state garantite dal personale precario, reclutato attraverso tipologie contrattuali o meccanismi di formazione estremamente variegati ma sempre riconducibili a rapporti di lavoro subordinato, nati per sopperire al lungo periodo di blocco delle assunzioni sancito dai vari Governi che si sono succeduti.
Il costante “invecchiamento” degli organici di Università ed Enti di Ricerca è dovuto al decennale blocco delle assunzioni e alla cattiva gestione delle poche deroghe concesse per assumere che nella stragrande maggioranza dei casi sono state gestite con modalità clientelari e per niente meritocratiche. Quindi di fatto a questo organico se ne aggiunge uno parallelo, precario costituito ad esempio da:
ricercatori quarantenni ancora pagati con borse di studio, che formano nuove generazioni di precari; ricercatrici che prima di concedersi una maternità, attendono per anni un contratto a tempo determinato che gli consente di accedere ai diritti di cui giustamente godono tutte le loro colleghe, senza rischiare di esserelicenziate o di dover “elemosinare” i permessi per allattamento o malattia-figlio, come spesso accade alle lavoratrici parasubordinate (Co.Co.Co. od assegniste di ricerca);
lavoratori dimenticati quali magazzinieri, operai agricoli, uscieri, amministrativi, tecnici altamente specializzati con stipendi da fame, quasi tutti assunti come parasubordinati, ma in realtà dipendenti a tutti gli effetti e che, nei casi più “fortunati” hanno raggiunto il contratto a tempo determinato.
Sebbene precari ed ultra-precari, tutti partecipano attivamente alla vita della ricerca pubblica, tutti contribuiscono ad “attrarre” finanziamenti, a migliorare la produzione scientifica e quella istituzionale. Una ricerca che sul basso costo della manodopera ha costruito le proprie fondamenta. E su questa forza lavoro sfruttata, una casta baronale intende ancora centrare la propria attività.
Certamente con l’attenzione che Le riconosciamo, Le sarà nota molta della produzione scientifica. Riteniamo importante che Lei sappia che dietro ai rapporti tecnici di Isfol ed Apat, dietro la produzione di enti piccoli ma determinanti per la ricerca agricola come Inran, Inea e CRA, dietro le “fotografie al paese” dell’Istat, dietro i controlli ed i pareri su vaccini, farmaci, diagnostici e la ricerca sanitaria dell’ISS, dietro la ricerca sull’energia dell’Enea, dietro a quella “spaziale” dell’Inaf, dietro a quella “variegata” del CNR, dietro a quella “vulcanica” dell’INGV, c’è il lavoro, la creatività e l’impegno dei precari.
In questi anni di lotte come movimento di precari in USI-RdB-Ricerca abbiamo ottenuto vari, seppur parzialissimi, risultati: la conversione da cococo a tempo determinato di centinaia di lavoratori, l’inserimento dell’articolo 5 nel contratto degli Enti di Ricerca (che prevede l’assunzione a tempo indeterminato dei tempo determinato), il comma 520 della Legge Finanziaria 2007 (Legge 296/06). Abbiamo contribuito, con la partecipazione massiccia allo sciopero dei precari del pubblico impiego e alla manifestazione del 6 ottobre 2006, all’inserimento dei commi 417-420 della 296/06.
Ma sappiamo che ciò non basterà.
Per questo siamo nuovamente in mobilitazione.
Il precariato è inaccettabile non solo per noi come cittadini italiani, ma per lo stesso mantenimento della ricerca pubblica in Italia. Gli Enti di Ricerca e le Università rappresentano la ricerca pubblica che è l’unica riconducibile alla collettività, mentre quella privata, quando veramente esiste e i fondi non sono destinati alla fase di “commercializzazione” dei brevetti comperati all’estero, è comunque diretta unicamente al beneficio dell’impresa, spesso “delocalizzata” nelle applicazioni, e fortemente limitata nelle ricadute sul contesto della società italiana.
In questi anni l’Italia, al di là dei cambi di Governo, continua a rimanere fanalino di coda nella ricerca e la stessa Legge Finanziaria 2007 non ha fatto passi avanti, dedicando troppi fondi alla ricerca privata che, come affermato dallo stesso Ministro Mussi, è difficilmente controllabile, e diminuendo quelli destinati alla ricerca pubblica. Con i provvedimenti presenti nella Legge Finanziaria 2007 destinati alle assunzioni dei precari si sarebbe potuto dare una svolta alla politica sulla ricerca pubblica investendo sulle professionalità che già operano negli enti facendoli uscire dal tunnel della precarietà mettendoli finalmente nella condizione di lavorare al meglio e aumentandone conseguentemente la produttività. Invece si è scelto di destinare poche briciole e solo per alcuni. Una scelta a nostro avviso miope per un paese che si vanta di essere tra i Grandi d’Europa e del mondo e che non investe nel settore più strategico per lo sviluppo. Inoltre, esiste il rischio che una parte di questi fondi potrebbe pericolosamente essere indirizzata alla concorsualità che negli anni è stata usata quasi esclusivamente per favorire clientele come dimostrano anche le cronache giudiziarie. Chi di noi ha avuto la possibilità di partecipare ad un concorso, ha dimostrato ampiamente di essere “idoneo” alla funzione che svolge, in qualsiasi categoria. La concorsualità italiana nel mondo della ricerca e dell’Università, utilizzata dalla casta degli intoccabili baroni solo per perpetuare se stessa, non sarà mai la soluzione del problema occupazionale e non potrà mai essere la fine alla situazione di sfruttamento, soprattutto a fronte di una situazione di precariato già ampiamente sfociata nel patologico come dimostrano i numeri.
Per questo Le chiediamo un intervento su pochi fondamentali punti che, certamente, provocheranno una spesa per l’Italia, ma devono essere interpretati come investimenti nel settore che dovrebbe garantire lo sviluppo del paese portando enormi benefici a breve, medio e lungo termine. Un vero intervento per la ricerca pubblica. Un intervento che non si limiti ad una questione salariale, ma riconosca finalmente dignità a tutto il complesso della ricerca italiana, attraverso l’eliminazione del precariato. Riteniamo che i punti da sottoporLe siano i seguenti:
1) le piante organiche vanno ridimensionate: sia ampliate per assorbire tutti i precari assunti, sia rimodulate per permettere negli anni a venire il ricambio generazionale e gli sviluppi di carriera, verificati attraverso valutazioni veramente meritocratiche;
2) i fondi destinati al comma 520 dell’articolo 1 della Legge 296/96 sono insufficienti alla assunzione di tutti i lavoratori a tempo determinato che hanno i requisiti definiti dal comma 519; è necessario che siano triplicati, già dal 2007, con un opportuno e specifico intervento del Governo;
3) le procedure applicative per queste assunzioni devono considerare prioritariamente l’anzianità di servizio a vario titolo, per evitare che clientelismi nei singoli enti portino a discriminazioni (già conosciute dai precari della ricerca) e per riconoscere il ruolo che questo precariato ha avuto pur nell’asfittico sistema ricerca;
4) i fondi liberati dalle assunzioni a tempo indeterminato vanno diretti innanzitutto alla conversione degli assegnisti, dei Co.Co.Co., dei borsisti in rapporti di lavoro a tempo determinato. Il lavoro che segue la formazione deve essere sempre di tipo subordinato, eliminando l’elusione previdenziale e fiscale che vige con i contratti atipici e la falsa formazione;
5) la formazione post-diploma e post-laurea deve essere limitata ai primi tre anni che seguono l’acquisizione del titolo di studio;
6) stabilizzazione di tutti i precari della ricerca: il comma 417 dell’articolo 1 della legge 296/06 va applicato a tutti le forme di precariato del pubblico impiego e così come a quelli degli enti di ricerca (Co.Co.Co., Assegni di Ricerca, partite Iva, borsisti, dottorati, etc.) . I conti “dormienti” da subito devono consentire piani di assunzione veri, limitando sin da quest’anno il precariato. Siamo profondamente convinti che questa nostra lettera varrà la Sua attenzione. Mentre prevediamo che avrà poco riscontro a livello mediatico, pur proponendo temi molto vicini a quelli che vedono i giornalisti italiani in prima linea contro gli editori. La nostra adesione ad un sindacato base, seppur affiliato alla quarta confederazione sindacale italiana, ha i pro ed i contro dell’essere minoranza ed opposizione. Siamo, però, altrettanto convinti che un Suo intervento, super-partes, in favore delle richieste che Le abbiamo posto, non può passare inascoltato da parte del Governo.
Due generazioni di ricercatori, tecnici, amministrativi, operatori della ricerca, il corpo della stessa ricerca pubblica del futuro sono stati tenuti fuori da una vita lavorativa dignitosa, eppure continuano a produrre ricerca.
Due generazioni di lavoratori degli Enti di Ricerca hanno visto passare sulla loro testa concorsi destinati, nella maggioranza dei casi, ai “soliti noti”, eppure sono rimasti in laboratorio, in ufficio, nei magazzini e nelle officine degli Enti. Non è stata solo mancanza di alternativa. E’ stato soprattutto l’amore per questo tipo di lavoro. Ma questo non è più sostenibile per la società e per noi stessi.
Le chiediamo per questo un intervento, analogamente a quello del Presidente Ciampi, che due anni fa permise 5000 assunzioni nelle Università.
Certi di trovare ascolto, Le porgiamo i più calorosi saluti.
Roma 23 marzo 2007
Coordinamento Precari USI-RdB-Ricerca

9.1.07

Tutti i precari del presidente

(Famiglia Cristiana)

Due donne sono state portate ad esempio nel messaggio di fine anno del presidente Napolitano. Una è rimasta protetta dall'anonimato. L'altra, ricercatrice a Napoli, gode di una fama improvvisa. E riporta all'attenzione il dramma di tanti giovani senza futuro.

Questa ragazza che lavora a Napoli come ricercatrice del Cnr, il Consiglio nazionale delle ricerche, è diventata famosa in un lampo. No, non ha fatto una di quelle scoperte che danno la svolta alla scienza. Semplicemente è stata citata, ma senza nome, dal presidente Napolitano nel messaggio di fine anno. «Voglio sottolineare», ha detto il presidente, «come in Italia tra le riserve preziose su cui contare ci sia quella, ancora così poco valorizzata, dei talenti e delle energie femminili». E qui ha portato due esempi: «Ho conosciuto e ascoltato un mese fa a Napoli due donne. La prima, madre di un ragazzo che si stava perdendo nelle trappole della malavita, ci ha raccontato come abbia combattuto per salvarlo... La seconda, una giovane che ha studiato con successo giungendo alla laurea e al dottorato, lavora ora a un progetto avanzato di ricerca genetica per mille euro al mese – e si considera fortunata –, con un contratto che scade nel maggio prossimo».

Il presidente Giorgio Napolitano mentre rivolge il suo primo messaggio di fine anno agli italiani.
Il presidente Giorgio Napolitano mentre rivolge il suo primo messaggio
di fine anno agli italiani (foto AP/La Presse).

La madre coraggio è rimasta nell’anonimato, e si capisce bene: la malavita può anche fartela pagare, se hai sottratto una possibile recluta alle sue trappole. Invece la ricercatrice ha avuto interviste sui giornali e per il momento si rallegra della fama, anche se precaria come il suo lavoro. Enza Colonna, trent’anni, sta in un gruppo di ricerca che studia i frammenti del Dna responsabili di alcune malattie. Prende 980 euro al mese, senza tredicesima e con un contratto a termine. «Con 980 euro al mese non si vive un granché bene», ha detto ai giornali. «Io posso fare il lavoro che mi piace grazie all’aiuto della mia famiglia, quindi mi ritengo una privilegiata. Altri miei colleghi non sono così fortunati».

Tempo fa ho fatto un’inchiesta sul mondo del precariato, una piaga tutta italiana che sarebbe meglio chiamare sfruttamento. Ricordo alcuni nomi e storie. Giovanni, diplomato in violoncello a Santa Cecilia, inseguiva invano un posto in orchestra o una cattedra di musica, e intanto si arrangiava a cottimo in un call center, ore e ore al telefono per neanche un milione al mese che oggi sarebbero meno di 500 euro. «Devi chinare la testa perché altro non trovi e intanto campi alla giornata», mi disse. Carla, dopo il diploma da tecnico di laboratorio, era entrata volontaria in un centro di analisi della Croce Rossa, otto ore al giorno senza paga in attesa di un contratto trimestrale: «Con gli anni ti rassegni e intanto perdi la fiducia nelle tue capacità». Giorgio era assunto in Rai a tempo determinato e ogni volta che scadeva il contratto non sapeva se glielo avrebbero rinnovato: «Come posso sposarmi, avere figli? Le mie colleghe resistono sullo stipendio del marito».

Non so se Giovanni, Carla, Giorgio abbiano poi trovato un vero lavoro o se stiano ancora a inseguire il sogno. Temo sia vera la seconda ipotesi. L’anno scorso è uscito da Einaudi un libro di Aldo Nove intitolato Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese... È una raccolta di interviste a giovani e meno giovani, forzati del lavoro a scadenza; una discesa nel malessere di tanti che hanno studiato, si danno da fare, ma stanno perdendo coraggio.

Nel messaggio del capo dello Stato colpiscono frasi come: «si trovi l’intesa», «si concordino le riforme», «si ricerchi pazientemente». Forse questi incitamenti potranno dare la spinta anche a una generazione umiliata. Affinché non ci sia più bisogno di citare una precaria nel discorso di fine anno.