Call center
"Un mese dopo l'approvazione della Finanziaria, 8 mila persone sono già state stabilizzate grazie agli accordi sindacali e alle norme volute dal governo ma noi stimiamo che grazie alle risorse stanziate si possa raggiungere l'obiettivo di 60-70 mila contratti a tempo indeterminato". Cesare Damiano, ministro del Lavoro, parlando al popolo dei call center riunito in una albergo palermitano dai sindacati confederali di categoria si dice ottimista "perché -sottolinea- anche piccoli risultati possono costituire le premesse per raggiungere grandi obiettivi". E' lo stesso Damiano a ricordare che in tutta Italia ci sono 700 aziende di call center con circa 250 mila addetti.
Nelle sei maggiori aziende del settore che operano a Palermo, su circa 6.300 ne sono stati stabilizzati poco più della meta' ma per gli altri sono gia' stati siglati accordi. “Alle aziende – spiega il segretario provinciale Slc-Cgil Rosario Faraone - chiediamo di rendersi disponibili alla contrattazione e ai lavoratori di uscire dall'anonimato".
Da parte sua il ministro Damiano ha annunciato la costituzione di un Osservatorio nazionale, insieme con le parti sociali, per verificare la sottoscrizione degli accordi e la stabilizzazione dei precari e ha ricordato che "le norme approvate al governo partono dai call center ma vanno applicate in tutti i settori. Ma le buone norme nazionali non bastano –ha spiegato il ministro del Lavoro- se a livello locale non si passa al controllo del territorio attraverso le ispezioni e gli accordi tra le parti sociali".
''Abbiamo riscontrato che in molti casi i lavoratori a progetto nei call center - ha detto il ministro - avevano un rapporto di dipendenza. Siamo per la regolarizzazione. A un mese dall'approvazione della Finanziaria otto mila persone sono diventate stabili grazie agli accordi sindacali e alle norme del governo. Ma non si tratta di regolarizzare una azienda: vi sono 700 aziende di call center in Italia, 250 mila addetti, le risorse che abbiamo stanziato in Finanziaria possono consentire di stabilizzare 60/70 mila persone''.
(www.rassegna.it, 30 gennaio 2007)
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16.2.07
Catania - Ateneo: stabilizzazione per 224 lavoratori precari
CATANIA - ATENEO: STABILIZZAZIONE PER 224 LAVORATORI 'PRECARI' (SIC!)
Scritto il Martedì, 30 gennaio ore 12-33 di red5
Lavoro & Sindacati Anche per i 224 lavoratori "precari" dell'Università di Catania arriva la tanto agognata, sospirata, desiderata stabilizzazione.
CATANIA - Svolta per il destino dei 224 lavoratori “precari” dell’Università di Catania. Nei giorni scorsi è stato infatti firmato il protocollo di pre-intesa tra l’amministrazione universitaria, le organizzazioni sindacali di categoria (Flc-Cgil, Cisl università, Uil pa-U.R., Confsal Snals Università-Cisapuni, Csa di Cisal, Ugl Università) e le rsu per l’avvio del processo di stabilizzazione del precariato “storico” Puc-Asu (ex Lsu e Lpu) presente nell’Ateneo.
In particolare, i provvedimenti concordati, che oggi pomeriggio saranno sottoposti al vaglio del Consiglio di amministrazione dell’Università, riguardano 30 lavoratori impegnati in attività socialmente utili (ex articolo 23), 44 lavoratori di pubblica utilità e 150 lavoratori impegnati in progetti di utilità collettiva, che per un decennio circa sono stati impiegati nelle varie attività istituzionali dell’Ente, acquisendo le adeguate conoscenze lavorative e divenendo di fatto importanti per le attività istituzionali dell’Ateneo, con particolare riferimento ai servizi offerti agli studenti e all’utenza in generale.
Pur dovendo tenere conto dei pesanti tagli subiti in questi ultimi anni al finanziamento ordinario del sistema universitario, l’Ateneo ha pertanto inteso avviare, per la definitiva soluzione del problema del precariato, un processo a tappe.
Il primo momento di questo percorso riguarda proprio l’attivazione immediata di tutte le procedure consentite dalle attuali normative regionali e nazionali per garantire, già nel breve periodo e nel rispetto dei vincoli di bilancio dell’Ateneo, il massimo impiego orario di tutti i lavoratori (si passa da 18 a 36 ore settimanali complessive), nonché un’adeguata copertura previdenziale.
(R.A.)
Scritto il Martedì, 30 gennaio ore 12-33 di red5
Lavoro & Sindacati Anche per i 224 lavoratori "precari" dell'Università di Catania arriva la tanto agognata, sospirata, desiderata stabilizzazione.
CATANIA - Svolta per il destino dei 224 lavoratori “precari” dell’Università di Catania. Nei giorni scorsi è stato infatti firmato il protocollo di pre-intesa tra l’amministrazione universitaria, le organizzazioni sindacali di categoria (Flc-Cgil, Cisl università, Uil pa-U.R., Confsal Snals Università-Cisapuni, Csa di Cisal, Ugl Università) e le rsu per l’avvio del processo di stabilizzazione del precariato “storico” Puc-Asu (ex Lsu e Lpu) presente nell’Ateneo.
In particolare, i provvedimenti concordati, che oggi pomeriggio saranno sottoposti al vaglio del Consiglio di amministrazione dell’Università, riguardano 30 lavoratori impegnati in attività socialmente utili (ex articolo 23), 44 lavoratori di pubblica utilità e 150 lavoratori impegnati in progetti di utilità collettiva, che per un decennio circa sono stati impiegati nelle varie attività istituzionali dell’Ente, acquisendo le adeguate conoscenze lavorative e divenendo di fatto importanti per le attività istituzionali dell’Ateneo, con particolare riferimento ai servizi offerti agli studenti e all’utenza in generale.
Pur dovendo tenere conto dei pesanti tagli subiti in questi ultimi anni al finanziamento ordinario del sistema universitario, l’Ateneo ha pertanto inteso avviare, per la definitiva soluzione del problema del precariato, un processo a tappe.
Il primo momento di questo percorso riguarda proprio l’attivazione immediata di tutte le procedure consentite dalle attuali normative regionali e nazionali per garantire, già nel breve periodo e nel rispetto dei vincoli di bilancio dell’Ateneo, il massimo impiego orario di tutti i lavoratori (si passa da 18 a 36 ore settimanali complessive), nonché un’adeguata copertura previdenziale.
(R.A.)
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26.1.07
Precari a Falconara, 130 nuovi disoccupati
2007-01-24 - La nuova verità rivelata, anzi “sussurrata” come da dietro la grata di un confessionale, fissa il giorno del primo febbraio come data di nuovo inizio: quello dei servizi e, di conseguenza, del Lavoro.
Niente di ufficiale ovviamente, troppo imbarazzante sarebbe uno straccio di impegno scritto davanti ad una frettolosa e per nulla scontata retromarcia, e così il magico 01/02/07 viene fatto viaggiare di bocca in orecchio in sequenza infinita.
Tre numeri che, volendo prenderli per buoni, se da una lato specificano il quando (la data) dall’altro lasciano ombre su chi (coop? co.co.co? partite iva? indeterminati? e tra questi ultimi due, quelli diretti del Comune, quelli della Together o entrambi?), cosa (quali servizi?), come (tipologia di contratto) e quanto (stipendio).
Tre numeri che, nonostante le vaste perplessità, hanno però il pregio (ad esclusivo uso e consumo dei politici) di sedare gli animi, di ammansire la gente nella culla della speranza di nuove prospettive. Che è un po’ la storia che se fai il bravo vai in Paradiso.
Nel frattempo vale la pena di dare anche da questo pulpito un po’ di numeri: sul Messaggero di qualche giorno fa hanno riportato i dati dei lavoratori impiegati attualmente dalle cooperative.
Intervento Uno – 7 in servizio
Intervento Due – 34 in servizio
Intervento Tre – 30 in servizio
Intervento Quattro – 18 in servizio
Totale 89, mentre il Comune parlava di 136 lavoratori prorogati. La cifra si corregge per difetto in quanto parecchi tempi indeterminati fanno numero nei “graziati” mentre in realtà molti di loro sono in ferie forzate al termine delle quali scatta l’aspettativa. Il loro status diventa quello di assunti mentre invece non lavorano e non percepiscono lo stipendio. In pratica altri disoccupati. In più qualche delinquente sta consigliando loro di presentare le dimissioni. NON FATELO!!! Se siete voi a licenziarvi, rinunciate in automatico al sussidio di disoccupazione dell’Inps. ASPETTATE CHE SIA LA COOP A MANDARVI LA LETTERA DI LICENZIAMENTO, NERO SU BIANCO E PER GIUSTA CAUSA!!!
Per quanto riguarda il Comune invece, di 84 lavoratori, attualmente sono rimasti:
15 Cfl
4 assistenti sociali
3 assunti da privati
I restanti 67 sono in attesa delle date dei bandi e comunque, visto che il Comune ha già fatto sapere di aver bisogno al massimo di 42 persone, significa che restano in ballo (casse permettendo) solo altri 20 posti.
Insomma, attualmente per Falconara si aggirano 130 NUOVI DISOCCUPATI. E tutto ciò mentre il Comune continua ad assumere esterni di proprio gradimento: i cugini del Sindaco, dirigenti che passano a dipendenti di ruolo, esterni dalla mobilità. In attesa dei bandi-farsa e del fatidico primo febbraio data che, se disattesa, farà da spartiacque tra l’atteggiamento morbido adottato finora nella lotta e l’adozione di misure meno politically correct, torte in faccia e lanci di uova, compresi.
Niente di ufficiale ovviamente, troppo imbarazzante sarebbe uno straccio di impegno scritto davanti ad una frettolosa e per nulla scontata retromarcia, e così il magico 01/02/07 viene fatto viaggiare di bocca in orecchio in sequenza infinita.
Tre numeri che, volendo prenderli per buoni, se da una lato specificano il quando (la data) dall’altro lasciano ombre su chi (coop? co.co.co? partite iva? indeterminati? e tra questi ultimi due, quelli diretti del Comune, quelli della Together o entrambi?), cosa (quali servizi?), come (tipologia di contratto) e quanto (stipendio).
Tre numeri che, nonostante le vaste perplessità, hanno però il pregio (ad esclusivo uso e consumo dei politici) di sedare gli animi, di ammansire la gente nella culla della speranza di nuove prospettive. Che è un po’ la storia che se fai il bravo vai in Paradiso.
Nel frattempo vale la pena di dare anche da questo pulpito un po’ di numeri: sul Messaggero di qualche giorno fa hanno riportato i dati dei lavoratori impiegati attualmente dalle cooperative.
Intervento Uno – 7 in servizio
Intervento Due – 34 in servizio
Intervento Tre – 30 in servizio
Intervento Quattro – 18 in servizio
Totale 89, mentre il Comune parlava di 136 lavoratori prorogati. La cifra si corregge per difetto in quanto parecchi tempi indeterminati fanno numero nei “graziati” mentre in realtà molti di loro sono in ferie forzate al termine delle quali scatta l’aspettativa. Il loro status diventa quello di assunti mentre invece non lavorano e non percepiscono lo stipendio. In pratica altri disoccupati. In più qualche delinquente sta consigliando loro di presentare le dimissioni. NON FATELO!!! Se siete voi a licenziarvi, rinunciate in automatico al sussidio di disoccupazione dell’Inps. ASPETTATE CHE SIA LA COOP A MANDARVI LA LETTERA DI LICENZIAMENTO, NERO SU BIANCO E PER GIUSTA CAUSA!!!
Per quanto riguarda il Comune invece, di 84 lavoratori, attualmente sono rimasti:
15 Cfl
4 assistenti sociali
3 assunti da privati
I restanti 67 sono in attesa delle date dei bandi e comunque, visto che il Comune ha già fatto sapere di aver bisogno al massimo di 42 persone, significa che restano in ballo (casse permettendo) solo altri 20 posti.
Insomma, attualmente per Falconara si aggirano 130 NUOVI DISOCCUPATI. E tutto ciò mentre il Comune continua ad assumere esterni di proprio gradimento: i cugini del Sindaco, dirigenti che passano a dipendenti di ruolo, esterni dalla mobilità. In attesa dei bandi-farsa e del fatidico primo febbraio data che, se disattesa, farà da spartiacque tra l’atteggiamento morbido adottato finora nella lotta e l’adozione di misure meno politically correct, torte in faccia e lanci di uova, compresi.
La beffa dei corsi abilitanti
17 gennaio 2007 - Gildains.it
Presso le sedi provinciali della Gilda degli Insegnanti pervengono sempre più numerose segnalazioni di disagio e di disappunto da parte dei docenti precari che si sentono presi in giro dalla gestione dei corsi speciali per l’abilitazione indetti con il DM 85/2005.
Il DM in questione dava mandato alle varie sedi universitarie di organizzare i corsi in modo da concluderli nell'anno accademico 2005/06, in tempo utile quindi per l'inserimento nelle graduatorie permanenti che saranno redatte nella prossima primavera.
E' accaduto invece che, malgrado la scadenza per le iscrizioni fosse il 22 dicembre 2005, le università abbiano tardato nell'avviare le procedure organizzative dei corsi ed operato in modo da indurre i Ministeri dell'Università e dell'Istruzione ad emanare due note ( 18 e 19 dicembre 2006 ) che di fatto fanno slittare di un anno la possibilità di inserimento effettivo nelle graduatorie permanenti con un danno evidente per tutti i partecipanti.
Ancora una volta quindi si intende far pagare all'anello più debole- i docenti precari- i costi di colpe che dipendono da altri.
Tutto ciò è inammissibile anche alla luce del fatto che, per la prima volta in assoluto, è stata chiesta ai corsisti una cifra che si aggira intorno ai 2.000 €, somma che è stata pagata con la certezza del rispetto di disposizioni precise relative alla durata dei corsi e del termine ultimo per la loro conclusione.
La GILDA Degli INSEGNANTI intende quindi procedere presso il Ministero della Pubblica Istruzione al fine di indurlo ad intervenire presso il Ministero dell'Università con l'obiettivo di accelerare la conclusione dei corsi in tempo utile per l'apertura delle prossime graduatorie permanenti.
Al fine di favorire la conclusione dei corsi su tutto il territorio nazionale, la GILDA Degli INSEGNANTI suggerisce, a chi di competenza, la possibilità di utilizzare procedure on-line per ultimare le ore di formazione mancanti in modo da concludere i corsi in tempo utile da terminare gli esami alla fine del mese di maggio 2007.
Qualora la politica non volesse dare una risposta alle richieste dei docenti precari, non potremmo esimerci dal dare tutto il supporto necessario al fine del rispetto di norme e regole fissate dai nostri stessi Organi Istituzionali e per il recupero dei danni economici e morali che derivano dal mancato rispetto di tali norme e regole.
IL COORDINATORE NAZIONALE
(Rino Di Meglio)
Presso le sedi provinciali della Gilda degli Insegnanti pervengono sempre più numerose segnalazioni di disagio e di disappunto da parte dei docenti precari che si sentono presi in giro dalla gestione dei corsi speciali per l’abilitazione indetti con il DM 85/2005.
Il DM in questione dava mandato alle varie sedi universitarie di organizzare i corsi in modo da concluderli nell'anno accademico 2005/06, in tempo utile quindi per l'inserimento nelle graduatorie permanenti che saranno redatte nella prossima primavera.
E' accaduto invece che, malgrado la scadenza per le iscrizioni fosse il 22 dicembre 2005, le università abbiano tardato nell'avviare le procedure organizzative dei corsi ed operato in modo da indurre i Ministeri dell'Università e dell'Istruzione ad emanare due note ( 18 e 19 dicembre 2006 ) che di fatto fanno slittare di un anno la possibilità di inserimento effettivo nelle graduatorie permanenti con un danno evidente per tutti i partecipanti.
Ancora una volta quindi si intende far pagare all'anello più debole- i docenti precari- i costi di colpe che dipendono da altri.
Tutto ciò è inammissibile anche alla luce del fatto che, per la prima volta in assoluto, è stata chiesta ai corsisti una cifra che si aggira intorno ai 2.000 €, somma che è stata pagata con la certezza del rispetto di disposizioni precise relative alla durata dei corsi e del termine ultimo per la loro conclusione.
La GILDA Degli INSEGNANTI intende quindi procedere presso il Ministero della Pubblica Istruzione al fine di indurlo ad intervenire presso il Ministero dell'Università con l'obiettivo di accelerare la conclusione dei corsi in tempo utile per l'apertura delle prossime graduatorie permanenti.
Al fine di favorire la conclusione dei corsi su tutto il territorio nazionale, la GILDA Degli INSEGNANTI suggerisce, a chi di competenza, la possibilità di utilizzare procedure on-line per ultimare le ore di formazione mancanti in modo da concludere i corsi in tempo utile da terminare gli esami alla fine del mese di maggio 2007.
Qualora la politica non volesse dare una risposta alle richieste dei docenti precari, non potremmo esimerci dal dare tutto il supporto necessario al fine del rispetto di norme e regole fissate dai nostri stessi Organi Istituzionali e per il recupero dei danni economici e morali che derivano dal mancato rispetto di tali norme e regole.
IL COORDINATORE NAZIONALE
(Rino Di Meglio)
25.1.07
LSU/LPU - Protesta 6 mila manifestanti bloccano la città
Contributo di Francesco VALLONE
24 gennaio 2007
Oltre 6 mila precari, secondo i Sindacati, partecipano nalla manifestazione di sciopero generale a Catanzaro. I Precari, dopo aver sfilato per le vie cittadine, si sono portati dinanzi alla Sede della Giunta
regionele, in attesa di essere ricevuti dagli Amministratori.. ''Se non arrivano, nelle prossime ore, segnali da parte del Governo e del Ministro del Lavoro, On. Cesare Damiano, con la convocazione di un tavolo di concertazione nazionale sulla vertenza dei Lpu-Lsu calabresi, la giornata di protesta dei precari con lo sciopero , la manifestazione e il presidio davanti alla sede della Giunta Regionale di oggi, dovra', per forza di cose, continuare con altre iniziative di lotta e di mobilitazione''. E' quanto affermato da Luigi Sbarra segretario generale Cisl Calabria. La Giunta Regionale e Il Ministro del Lavoro - continua Sbarra - che sono stati sollecitati per tempo attraverso l'invio della piattaforma, che sta alla base della protesta dei lavoratori, non possono ignorare la necessita' di dover dare risposte chiare esaustive e verificabili, con scadenze certe, per rispondere ad una sacrosanta richiesta di superamento del lungo periodo di precariato attraverso un processo di stabilizzazione che porti nel giro di qualche anno , partendo da subito, alla regolarizzazione del rapporto di lavoro''. ''Le risposte le deve dare la Giunta Regionale - dice Sbarra - onorando gli impegni assunti negli accordi sindacali del 2006 , ma altrettante risposte non meno importanti li aspettiamo dal Ministro del Lavoro''.
'' La Cisl Regionale ritiene urgente ed inderogabile la risposta da parte del Governo Nazionale alla copertura assicurativa e previdenziale dei periodi lavorativi d'utilizzo dei Lpu-Lsu ( periodo d'utilizzo che varia per ogni lavoratore da 8 a 15 anni) e al ripristino della norma sul prepensionamento per i precari anziani , che dovra' trovare spazio e soluzione all'interno della verifica che partira' in questi giorni con organizzazioni sindacali nazionali ''sulla manutenzione del sistema previdenziale'' per affrontare congiuntamente al problema del corretto equilibrio di gestione del sistema non solo le problematicita' dei lavori usuranti e degli incentivi, ma anche la giusta soluzione previdenziale per i lavoratori precari''.
''Sarebbe importante e suggeriamo al Ministro del Lavoro Damiano - dice Sbarra - di mettere nell'agenda delle misure finanziarie della previdenza complementare annunciate per i lavori flessibili anche i LPU-LSU, al fine di consentire a migliaia di giovani e non, la possibilita', in prospettiva, di una pensione futura dignitosa . Occorre, inoltre, attivare un confronto congiunto tra Ministero, Regione, ANCI e Sindacato per cogliere e attualizzare tutte le opportunita' previste dalla Legge Finanziaria 2007 in materia di stabilizzazioni che, anche se parziali e insufficienti, come il superamento del blocco delle assunzioni solo nei comuni al disotto dei 5.000 abitanti, possono rappresentare un concreto avvio di un nuovo percorso orientato al superamento del precariato e alla creazione di lavoro stabile e duraturo''.
''Anche la Regione, in ogni caso - secono Sbarra - deve fare la propria parte passando dalle parole ai fatti.
Recuperando ritardi, omissioni e colpevoli responsabilita' impegnandosi in una rinnovata azione politica, amministrativa e legislativa ed attivando, a tale scopo, un tavolo permanente di confronto e concertazione con il Sindacato per risolvere definitivamente la vertenza dei precari LSU - LPU''.
24 gennaio 2007
Oltre 6 mila precari, secondo i Sindacati, partecipano nalla manifestazione di sciopero generale a Catanzaro. I Precari, dopo aver sfilato per le vie cittadine, si sono portati dinanzi alla Sede della Giunta
regionele, in attesa di essere ricevuti dagli Amministratori.. ''Se non arrivano, nelle prossime ore, segnali da parte del Governo e del Ministro del Lavoro, On. Cesare Damiano, con la convocazione di un tavolo di concertazione nazionale sulla vertenza dei Lpu-Lsu calabresi, la giornata di protesta dei precari con lo sciopero , la manifestazione e il presidio davanti alla sede della Giunta Regionale di oggi, dovra', per forza di cose, continuare con altre iniziative di lotta e di mobilitazione''. E' quanto affermato da Luigi Sbarra segretario generale Cisl Calabria. La Giunta Regionale e Il Ministro del Lavoro - continua Sbarra - che sono stati sollecitati per tempo attraverso l'invio della piattaforma, che sta alla base della protesta dei lavoratori, non possono ignorare la necessita' di dover dare risposte chiare esaustive e verificabili, con scadenze certe, per rispondere ad una sacrosanta richiesta di superamento del lungo periodo di precariato attraverso un processo di stabilizzazione che porti nel giro di qualche anno , partendo da subito, alla regolarizzazione del rapporto di lavoro''. ''Le risposte le deve dare la Giunta Regionale - dice Sbarra - onorando gli impegni assunti negli accordi sindacali del 2006 , ma altrettante risposte non meno importanti li aspettiamo dal Ministro del Lavoro''.
'' La Cisl Regionale ritiene urgente ed inderogabile la risposta da parte del Governo Nazionale alla copertura assicurativa e previdenziale dei periodi lavorativi d'utilizzo dei Lpu-Lsu ( periodo d'utilizzo che varia per ogni lavoratore da 8 a 15 anni) e al ripristino della norma sul prepensionamento per i precari anziani , che dovra' trovare spazio e soluzione all'interno della verifica che partira' in questi giorni con organizzazioni sindacali nazionali ''sulla manutenzione del sistema previdenziale'' per affrontare congiuntamente al problema del corretto equilibrio di gestione del sistema non solo le problematicita' dei lavori usuranti e degli incentivi, ma anche la giusta soluzione previdenziale per i lavoratori precari''.
''Sarebbe importante e suggeriamo al Ministro del Lavoro Damiano - dice Sbarra - di mettere nell'agenda delle misure finanziarie della previdenza complementare annunciate per i lavori flessibili anche i LPU-LSU, al fine di consentire a migliaia di giovani e non, la possibilita', in prospettiva, di una pensione futura dignitosa . Occorre, inoltre, attivare un confronto congiunto tra Ministero, Regione, ANCI e Sindacato per cogliere e attualizzare tutte le opportunita' previste dalla Legge Finanziaria 2007 in materia di stabilizzazioni che, anche se parziali e insufficienti, come il superamento del blocco delle assunzioni solo nei comuni al disotto dei 5.000 abitanti, possono rappresentare un concreto avvio di un nuovo percorso orientato al superamento del precariato e alla creazione di lavoro stabile e duraturo''.
''Anche la Regione, in ogni caso - secono Sbarra - deve fare la propria parte passando dalle parole ai fatti.
Recuperando ritardi, omissioni e colpevoli responsabilita' impegnandosi in una rinnovata azione politica, amministrativa e legislativa ed attivando, a tale scopo, un tavolo permanente di confronto e concertazione con il Sindacato per risolvere definitivamente la vertenza dei precari LSU - LPU''.
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Foggia. Precari, la Provincia si impegna ad assumerne 160
FOGGIA, mercoledì 24 gennaio 2007
Pronti ad assumere 160 precari. La Provincia di Foggia potrebbe stabilizzare i lavoratori precari impiegati presso gli enti pubblici. Lo consentirebbero i decreti attuativi della Finanziaria. Una volta emanati la Provincia potrà a sua volta predisporre una delibera di indirizzo per procedere alla stabilizzazione. Lo rende noto la Cisl. I sindacati di categoria degli atipici di Cigl, Cisl e Uil, hanno partecipato ieri a una riunione della commissione lavoro e personale della Provincia, convocata dal presidente Vincenzo Brucoli proprio per discutere di queste nuove norme. All'incontro hanno partecipato anche l'assessore al Personale di Palazzo Dogana, Bernardo Lodispoto e alcuni funzionari. Alla Provincia tra collaboratori e ex Lsu sono circa 160 le unità con rapporto di lavoro precari. In tal senso NIDIL CGIL e ALAI CISL esprimono “soddisfazione sia per l'iniziativa presa dalla commissione di convocare le parti sindacali, sia per la decisione dell'ente provinciale di procedere appena possibile alla stabilizzazione”. I sindacati sperano anche che eguale attenzione e premura sia fatta propria da altri enti dove è ugualmente alto il numero di precari: “pensiamo al Comune di Foggia, - affermano Nidil e Alai - dove sono circa 90 le unità impegnate con contratti di collaborazione o ex Lsu: al Comune di Lucera, al Comune di Monte Sant'Angelo”. Dall'incontro a Palazzo Dogana è inoltre arrivato l'impegno della commissione ad attivare un tavolo con l'assessorato regionale al Lavoro, per quelle che saranno le competenze alla Regione previste in Finanziaria, che destinerà a questi enti quota parte dei finanziamenti per la stabilizzazione.
Daniela Zazzara
Pronti ad assumere 160 precari. La Provincia di Foggia potrebbe stabilizzare i lavoratori precari impiegati presso gli enti pubblici. Lo consentirebbero i decreti attuativi della Finanziaria. Una volta emanati la Provincia potrà a sua volta predisporre una delibera di indirizzo per procedere alla stabilizzazione. Lo rende noto la Cisl. I sindacati di categoria degli atipici di Cigl, Cisl e Uil, hanno partecipato ieri a una riunione della commissione lavoro e personale della Provincia, convocata dal presidente Vincenzo Brucoli proprio per discutere di queste nuove norme. All'incontro hanno partecipato anche l'assessore al Personale di Palazzo Dogana, Bernardo Lodispoto e alcuni funzionari. Alla Provincia tra collaboratori e ex Lsu sono circa 160 le unità con rapporto di lavoro precari. In tal senso NIDIL CGIL e ALAI CISL esprimono “soddisfazione sia per l'iniziativa presa dalla commissione di convocare le parti sindacali, sia per la decisione dell'ente provinciale di procedere appena possibile alla stabilizzazione”. I sindacati sperano anche che eguale attenzione e premura sia fatta propria da altri enti dove è ugualmente alto il numero di precari: “pensiamo al Comune di Foggia, - affermano Nidil e Alai - dove sono circa 90 le unità impegnate con contratti di collaborazione o ex Lsu: al Comune di Lucera, al Comune di Monte Sant'Angelo”. Dall'incontro a Palazzo Dogana è inoltre arrivato l'impegno della commissione ad attivare un tavolo con l'assessorato regionale al Lavoro, per quelle che saranno le competenze alla Regione previste in Finanziaria, che destinerà a questi enti quota parte dei finanziamenti per la stabilizzazione.
Daniela Zazzara
ACT 4 RADICAL EUROPE: manifesto per un’altra Europa
Una prospettiva per la "giovane Europa" che in questi anni ha dato vita ai movimenti per la pace e contro la precarietà: un’Europa politicamente forte, di nuovo casa dei diritti e della cittadinanza per tutti gli europei, vecchi e nuovi. Un’Europa aperta, sia online che sul territorio, che garantisca a tutti moderni servizi di welfare state, a partire dal basic income; un’Europa che smantelli i privilegi economici delle élite e delle multinazionali, per rilanciare una nuova stagione dei common e porre termine a quella delle privatizzazioni; un’Europa all’avanguardia nella riconversione equosolidale, nello smantellamento dell’industria bellica e nell’economia creativa, senza leggi poliziesche sul copyright e guerre all’immigrazione.
ACT 4 RADICAL EUROPE (A4RE) è la prima bozza di un manifesto demo-radicale europeo, per rilanciare l’Europa dal basso e uscire dalla stagnazione politica attuale.
Il documento originale, in inglese. si può leggere qui. . Il 17 febbraio a Milano, all’Olinda, l’assemblea costituente del movimento, prima tappa di percorso politico per un’altra Europa.
ACT 4 RADICAL EUROPE (A4RE)
Manifesto per un’associazione politica transnazionale che agisca per la giustizia ecologica e sociale
LA GUERRA INFURIA, LA DISTOPIA SI AVVICINA
L’alba del XXI secolo è buia e barbarica, mentre la guerra, l’ineguaglianza, l’irrazionalità, la xenofobia e il collasso ecologico si diffondono incontrastati nel pianeta cosi’ come nella nostra regione, l’Europa, governata dall’Unione Europea e dagli stati nazione, ma in realtà disarticolata e divisa tra paesi euro e non-euro, nella (dis)Unione fra vecchi e nuovi membri del club.
Il Bushismo e l’Islam politico hanno ridefinito la politica mondiale, la Cina e l’India hanno ridisegnato l’economia globale. L’America Latina ha rotto con la dottrina di Monroe, ma l’Europa politica è allo sbando: il "no" franco-olandese ne ha svuotato l’essenza, mentre il conflitto sociale e la disillusione crescenti ne mettono in dubbio la sua rilevanza come entità politica. Lo spazio europeo è oggi attraversato da massicci flussi di capitale e di immigrazione (i primi lasciati liberi di muoversi all’interno del Mercato Unico, i secondi, al contrario, discriminati e perseguitati da Schengen) e amministrato in termini puramente conservativi da una tecnocrazia neoliberista e da governi nazionali che condividono una debole se non inconsistente legittimità.
Nel XXI secolo il vecchio progetto federalista di orientamento cattolico/socialista, ispirato da Spinelli e avviato da Monnet, è una forza definitivamente spenta. Un nuovo cosmopolitismo europeo, di orientamento democratico-radicale, deve ora prendere il suo posto, mettendo al centro i valori del federalismo orizzontale, dell’azione sociale ed ecologistta, dei diritti GLBTQ (gay/lesbiche/bisex/trans/queer). Se ciò non avverrà, lo stato-nazione rialzerà la sua testa mostruosa: le forze nazionaliste e xenofobe, costituiscono già oggi una minaccia reale in molti paesi europei.
D’altro canto, la sinistra "ufficiale", vuoi socialdemocratica vuoi comunista o ecologista, non appare oggi in grado di formulare risposte adeguate alle sfide gigantesche poste dalla polarizzazione economica e dall’instabilità geopolitica, dal pieno dispiegamento delle reti digitali, dall’innovazione biotecnologica con le sue conseguenze etiche e sociali, e soprattutto dal cambiamento climatico e dal danno ambientale crescenti.
STATI SOCIALI D’EUROPA
Gli spettri della pauperizzazione e dell’esclusione ossessionano gli europei. Negli ultimi vent’anni, la precarietà e la disuguaglianza hanno rotto il compromesso social-democratico-cristano del periodo postbellico su cui l’Europa moderna è stata fondata: redditi crescenti per i lavoratori e potere crescente per i loro sindacati in cambio dell’accettazione del capitalismo occidentale. Al suo posto, vi è stata un’immensa accumulazione di ricchezza privata accanto all’aumento dell’esclusione e della rabbia sociali.Agire per un’Europa radicale vuol dire innanzitutto mobilitarsi contro la disuguaglianza sociale, la precarizzazione del lavoro e l’arroganza delle élite e dei loro privilegi, come milioni di persone hanno fatto recentemente in Francia e Danimarca.
Oggi in Europea, il conflitto centrale contro il neoliberismo è la lotta contro la precarietà. La lotta degli studenti, dei lavoratori dei servizi e della conoscenza contro condizioni sociali e di lavoro altamente precarie è politicamente esplosiva. Dice che un’altra Europa è possibile, con i diritti sociali fondamentali al suo centro. La sicurezza del reddito e l’autonomia culturale devono diventare le fondamenta di un nuovo stato sociale europeo. Questa è la nostra interpretazione welfarista della flexicurity, in netto contrasto contro l’approccio workfarista alla flessibilità del lavoro e alla sicurezza sociale contenuto nel recente Green Paper della Commissione Europea sulla regolazione del mercato del lavoro. Per opporsi all’Europa sociale minima chiesta dai liberali, dobbiamo diffondere libertà di pensiero e di azione, promuovere la sovversione culturale e il conflitto sociale, così da dar vita all’Europa radicalmente democratica che le oligarchie nazionali si ostinano a rifiutare.
Di fronte all’ebollizione sociale e all’effervescenza culturale, i governi nazionali limitano istericamente la libertà d’espressione in rete e sulle strade, in un clima di paura e paranoia fomentate a arte per giustificare regimi di legalità sempre più draconiani. Per combattere questa tendenza reazionari, i principi libertari nell’informazione e nella comunicazione devono costantemente essere asseriti online e offline, e le libertà di movimento e di protesta praticate e difese contro ogni minaccia e aggressione securitarie.
La persecuzione di migranti e rifugiati alle porte e all’interno dell’Europa è una cocente vergogna per chiunque si dica democratico: alleanze transetniche e solidarietà transnazionale con i migranti sono doveri morali per tutti i demoradicali (rad-dem) europei che combattono per un’idea allargata di Europa, che non può fare a meno di includere individui e popoli una volta soggetti al rapace dominio imperiale europeo.
L’attivismo queer è in crescita in Europa e nel mondo, ma i diritti trans/gender si trovano sotto attacco da parte di establishment clericali reazionari con una violenza senza precedenti. Malgrado le conquiste del femminismo moderno, le donne sono tuttora intimidite, aggredite e uccise sia nelle famiglie indigene che in quelle immigrate, e discriminate sia nella sfera pubblica che nel posto di lavoro. L’eguaglianza di genere e la lotta contro l’omofobia devono entrare a far parte delle priorità dei movimenti radicali europei.
Oggi la gioventù multietnica d’Europa è economicamente discriminata e sempre più alienata dal resto della società. La giovane generazione europea è infatti bloccata da disoccupazione e precarietà, mentre le viene negato l’accesso ai beni sociali di base (casa, istruzione, welfare ecc.). La gerontocrazia delle élite e i conseguenti privilegi per la rendita finanziaria stanno uccidendo il futuro d’Europa pesando in modo sproporzionato sulle giovani famiglie ed escludendo la classe creativa dalle decisioni politiche ed economiche.
Oggi le imprese non solo ricorrono sistematicamente alla delocalizzazione e all’outsourcing, seguendo i dettami dei mercati finanziari, ma cercando di sfruttare le capacità cognitive e relazionali delle persone, mentre si impadroniscono dell’accesso ai beni comuni naturali e sociali. L’economia di oggi rende la vita individuale sempre più dipendente dal mercato, il che a sua volta aggrava la frammentazione sociale e l’alienazione ecologica. Il radicalismo europeo deve sfidare le nuove gerarchie create dal capitalismo europeo per riuscire finalmente a infrangere la maledizione inegualitaria, favorendo la creatività biopolitica e l’insorgenza sociale. Dobbiamo combattere per nuove concezioni del welfare e nuovi concetti del comune. L’ora è venuta per la moltitudine precaria per togliere potere alle élite e ridisegnare il panorama sociale d’Europa.
Il potere aziendale e finanziare è ancora formidabile in Europa ed è tenacemente difeso dal monetarista Trichet e dal liberista Barroso, ma ha perso l’aura di credibilità e di quasi invincibilità che aveva negli anni Novanta, grazie alla pressione sociale su più livelli del movimento noglobal. Il movimento globale per la giustizia sociale e ambientale si è sviluppato in Europa a partire dalle grandi proteste di Praga, Goteborg, Genova ed è culminato nelle manifestazioni oceaniche contro l’invasione dell’Iraq del 15 febbraio 2003 in tutte le grandi città europee. Ma è declinato da allora, anche se nuovi movimenti radicali sembrano averne preso il testimone nel corso del 2006.
La crescita di una rete mayday europea contro la precarizzazione dei giovani e la persecuzione degli immigrati è stata un’eccezione parziale al declino del movimento noglobal europeo. Disseminato nelle principali città d’Europa, il movimento contro la precarietà rappresenta uno dei tentativi più potenti di rinnovare le idee e le tattiche di dissenso politico e sociale nell’UE.
L’IDEA DI EUROPA RADICALE
In un’età di oscurantismo intellettuale, vogliamo tornare allo spirito radicale dell’Illuminismo e alla nascita rivoluzionaria della democrazia. In Europa, nei secoli, l’idea stessa di filosofia politica e quindi di quale forma lo stato debba assumere è stata plasmata e alterata in modo decisivo dall’agire collettivo e dal conflitto sociale. La nostra idea di Europa radicale attinge e prende ispirazione dai grandi momenti di mobilitazione democratica e liberazione nella storia europea, perché momenti nei quali le idealità condivise riuscirono a forzare e vincere sistemi di potere radicati nei secoli.
Innanzitutto, le correnti radicali e democratiche, come i Levellers e i Diggers, della rivoluzione inglese, e in special modo, della rivoluzione francese, come i giacobini e in sanculotti; quindi le società segrete che si opposero all’assolutismo della Santa Alleanza; in Inghilterra, il movimento cartista per il suffragio universale e la nascita del movimento sindacale; il 1848 rivoluzionario e l’idea di Giovane Europa non-dinastica; il coraggioso esperimento di autogoverno urbano e di democrazia elettiva avanzato dalla Comune di Parigi nel 1871; il periodo fra il 1890 e il 1920, che vide le grandi speranza e le sonore sconfitte della sinistra radicale, in un continente agitato da scioperi generali, scosso dal movimento femminista per il suffragio universale, dissanguato dall’orrore delle trincee della Grande Guerra e traumatizzato, infine, dalla rivoluzione bolscevica e dalla successiva controrivoluzione reazionaria; la seconda internazionale e il sindacalismo rivoluzionario, al centro del movimento operaio prima della Prima Guerra mondiale, dopo la quale saranno finalmente vinti i Kaiser e gli Zar; il 1936 e la vittoria sociale ed elettorale del fronte popolare francese, l’anno dell’aggressione di Franco contro il fronte popolare spagnolo, repubblicano, socialista e anarchico, nonché la prima dimostrazione delle guerre genocide che il fascismo europeo e internazionale intendeva scatenare in Europa e Asia. Solo un fronte popolare mondiale poté sconfiggere i totalismi nazi-fascisti nel 1945, dopo sofferenze immense e aspre guerre civili di liberazione, e fu proprio dalle ceneri della sconfitta fascista e in risposta agli orrori della guerra totale che l’idea politica di Europa emerse dai movimenti della resistenza europea, poi distillati nel manifesto di Ventotene per un’ Europa federale e pacifica.
Dopo la guerra, le istituzioni economiche, e quindi politiche, europee presero a consolidarsi. Il 1956 fu l’anno decisivo, dal momento che proclamando a Suez la fine dell’imperialismo europeo, segnò la nascita del federalismo europeo, e poi perché rivelò i crimini di Stalin dando il via alla ribellione democratica nell’Europa dell’Est contro il regime sovietico. Poi il 1968: Parigi, Roma, Berlino, Praga insorsero contemporaneamente, dando il via alla rivolta giovanile e all’esplosione identitaria degli anni Settanta (hippy, studenti, donne, gay, punk, gruppi etnici e popoli oppressi), che in ultima analisi avrebbe minato la guerra fredda e la partizione dell’Europa, culminando nella rivoluzione democratica del 1989 a Berlino, preparata dai movimenti antinucleari degli anni Ottanta. La demolizione del muro avrebbe di lì a poco portato all’implosione del comunismo russo e del suo blocco geopolitico, preparando la scena al lancio della moneta unica in Europa Occidentale e all’allargamento a Est dell’Unione Europea. Ha permesso anche ai fondamentalisti del mercato di imprigionare l’anima politica d’Europa, dando il via alle privatizzazioni e ai tagli di spesa su larga scala che degli anni Novanta. Ma all’inizio del XXI secolo, questo nefasto scenario di politica economica sta finalmente dissolvendosi.
NOI, EUROPEI RADICALI
Noi siamo gli orgogliosi eredi della storia radicale dell’Europa fino ai movimenti noglobal di questi anni. Apparteniamo a diverse tradizioni europee di politica democratica e di filosofia critica. Siamo figli dell’approccio laico che ha guardato alla natura attraverso la ragione, discendenti di tutte quelle forme di pensiero socialista e di politica progressista che in ogni epoca si sono opposte ad ogni forma di autoritarismo e totalitarismo. Siamo figli dell’Europa ecologista e post-patriarcale e, a partire da questo retaggio radicale, intendiamo contribuire a una cultura politica condivisa di tipo democratico e radicale che possa ridare significato e scopo all’esperienza e all’agire delle persone, nella loro vita e nel loro ambiente.
Noi ci dichiariamo europei radicali. Vogliamo batterci per i fondamentali diritti umani, civili, sociali, di genere, dell’informazione delle moltitudini che vivono o arrivano in Europa; siamo inoltre anti-colonialisti, convinti che esista una sola umanità al di là dei confini che oggi tutelano i pochi a vantaggio dei molti, al di sopra dei confini tracciati tra i popoli per nascondere quelli che, al loro interno, dividono l’alto dal basso.
Noi lavoriamo a una rinascita del progetto europeo attraverso il principio della radicale partecipazione democratica e i suoi strumenti imprescindibili: il dissenso intellettuale, la protesta sociale, la disobbedienza civile, il picchetto sindacale, il boicotaggio, il mediattivismo. Dichiariamo nostri nemici il nazionalismo, il clericalismo e il fondamentalismo. Denunciamo il neoconservatorismo in politica e il neoliberismo in economia in quanto filosofie e metodi di governo immorali e insostenibili.
Noi siamo la generazione che ha buttato giù il muro di Berlino e che è andata ’underground’ quando Thatcher, Wojtyla and Reagan hanno cercato di restaurare i valori di patria e famiglia. Siamo quelli che hanno iniziato la rivoluzione di Internet, gli attori invisibili della globalizzazione socioeconomica. Siamo la generazione low-wage/low-cost, ancora dominata da élite che risalgono alla guerra fredda che piuttosto di cedere il potere sono pronte a fare dell’Europa una Grande Svizzera, dove dittatori e mafiosi possono tranquillamente custodire le loro fortune e prosperare mentre gli "immigrati", compresi quelli nati in Europa, vengono esclusi dalla cittadinanza.
Noi siamo la classe creativa d’Europa e fieri oppositori del monopolio privato della tecnologia e della conoscenza, e ci opponiamo a un livello di concentrazione economica senza precedenti nella storia dell’umanità. La libertà e il diritto alla circolazione del sapere richiedono di porre immediatamente fine al rafforzamento della legislazione sul copyright che nell’ultimo decennio ha protetto i vasti interessi delle major e dei media. Oggi la proprietà intellettuale si fronteggia con la libertà culturale e con l’innovazione economica. Noi demoradicali europei chiediamo l’abolizione del sistema dei brevetti, in particolare di quelli farmaceutici perché salvaguardare i profitti di Big Pharma significa giustificare la morte di milioni di persone nel Sud del mondo.
Il diritto di copiare e condividere senza fini di lucro deve essere salvaguardato per tutti. Analogamente, le reti di filesharing e i networks p2p devono essere protette dalle attenzioni poliziesche. Con il pretesto della della lotta al terrorismo la libertà di comunicazione attraverso la Rete è stata decurtata in seguito al monitoraggio e alle intrusioni sul Web che noi denunciamo per le stesse ragioni per le quali ci opponiamo all’utilizzo sistematico delle videocamere di sorveglianza, che non prevengono il crimine ma violano costantemente la privacy rendendoci tutti potenziali sospetti.
Dagli anni Novanta, siamo attivisti che si oppongono senza riserve allo strapotere delle multinazionali, dando vita ad azioni e campagne per combattere la discriminazione sociale e la distruzione ambientale. Ci opponiamo strenuamente e denunciamo gli interessi economici che si sono resi complici nella svolta reazionaria ed ecocida che il mondo ha imboccato dopo il 2001. Il capitalismo non è una relazione sociale immutabile e, secondo noi, la storia è progressiva o regressiva a seconda del rapporto fra le forze del capitale e del lavoro, dello stato e della società, in periodica mutazione. La sfida epocale che ci attende — impedire il disastro ecologico e sociale — è tale e il rischio di mutazioni sociali e di biforcazioni politiche maligne altrettanto grande, che per portare avanti le rivendicazioni sociali e politiche della classe neo-precaria di cui siamo espressione, le nostre forze devono sommarsi a quelle di tutti gli altri settori progressisti della società europea.
Non siamo un partito politico e non siamo un sindacato, anche se alcuni di noi potrebbero in futuro correre in elezioni o diventare delegati sindacali. Siamo un’associazione paneuropea espressione di un movimento sociale e politico democratico-radicale. Alcuni di noi si sono lasciati alle spalle i limiti dello spontaneismo anarchico o la nostalgia del comunismo, tutti crediamo che l’orizzontalità e l’uguaglianza siano ideali che, per non diventare totem settari, debbano tradursi in una pratica condivisa e in una legislazione. Siamo altresì consapevoli che il perimetro delle soggettività coinvolte da questo progetto - si tratti di identità queer, ecologiste, cyber, etc.o di altri soggetti - coincide oggi con un orizzonte politico e sociale più ampio di quello strettamente istituzionale per affrontare in maniera decisiva il potere reticolare di stati e imprese. Siamo sufficientemente pragmatici per sapere che dovremo usare ogni mezzo di pressione sui settori progressisti, socialisti, ecologisti del Parlamento Europeo, per far emergere soluzioni radicali al presente immobilismo del pantano politico europeo.
La nostra iniziativa politica sarà fieramente indipendente, fondata sull’azione diretta nonviolenta e su un’elaborazione intellettuale totalmente autonoma. Libera, soprattutto, da ogni soggezione di partito, sindacato, chiesa, lobby. E totalmente irriverente.
Contro le politiche liberaldemocratiche, o peggio nazionaldemocratiche. che promuovono la disuguaglianza in Europa, l’asservimento al militarismo USA e l’allineamento al mercantilismo occidentale, per un nuovo orizzonte radicale europeo in grado di immaginare una nuova cultura politica e un nuovo panorama sociale, noi precarie e precari, wobbly e queer, difensori degli alberi e patiti del computer, ci proclamiamo europei democraticamente e radicalmente attivi per la giustizia sociale ed ecologica.
COSA SERVE PER COSTRUIRE L’EUROPA RADICALE: Un’organizzazione sociopolitica di uomini e donne che usino tutte le risorse e le tattiche disponibili per far valere la libertà politica e culturale, la giustizia sociale, economica e ambientale in tutta Europa!
I NOSTRI OBIETTIVI FONDAMENTALI
Creare una democrazia ecologica, radicale e "peer-to-peer" in Europa Affermare un’identità europea secolarizzata, femminista e solidale. Aprire i confini europei a tutti i popoli e alle culture. Promuovere un’integrazione politica forte e un federalismo regionale di tipo orizzontale. Rendere la Commissione un’espressione del Parlamento Europeo uno strumento del suffragio e della volontà popolare, finalmente responsabile davanti all’opinione pubblica europea. Promuovere referendum europei sui maggiori problemi costituzionali e le direttive dell’UE. Riformare la Corte Europea in modo che possa essere adita in luogo delle giurisdizioni nazionali, nei casi di violazione dei diritti fondamentali.
Fissare un salario minimo europeo, sostenere i diritti sindacali e il diritto di sciopero quali uniche forze riequilibranti nell’attuale mercato del lavoro.
Mettere l’energia solare ed eolica e il potere della conoscenza collettiva al servizio della trasformazione dell’economia. Riformare drasticamente gli statuti e le politiche della Banca Centrale Europea e promuovere la diffusione di monete alternative. Imporre la tassazione europea delle corporation e dei combustibili fossili. Espandere il ruolo della sanità, dell’educazione e degli spazi pubblici europea Creare un reddito di base europeo come chiave di un vero welfare europeo.
Assicurare libertà di espressione e comunicazione a proteggere il libero scambio di informazioni, saperi e cultura dentro e fuori Internet Assicurare libertà neurochimica contro l’invadenza dello stato e ottenere la legalizzazione della cannabis. Affermare i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transgender, così come il diritto a esibire il proprio orgoglio queer e l’emergere di culture non eterosessuali; nonché il diritto a non essere discriminati in ogni ambito della vita, compreso il diritto di sposarsi e di adottare dei figli. Riaffermare il diritto di tutte le coppie non sposate a una vita familiare e ai relativi benefici sociali.
Rilanciare politiche monetarie e fiscali keynesiane ed "espansive", abrogare il patto di stabilità e i suoi obblighi. Promuovere le associazioni internazionali e la cooperazione con i movimenti radicali e democratici nel resto del mondo. Promuovere un nuovo sistema commerciale globale e accordi di commercio equo e solidale con India e Sud America. Uscire dalla Nato per liberare il peso dell’Europa in favore di una pace giusta nelle aree di conflitto e di una corte di giustizia internazionale.
Promuovere una legislazione internazionale in favore dei migranti con una carta dei diritti per proteggerli da persecuzioni e discriminazioni.
Lavorare in favore di una città che sia più verde e amica, in primo luogo dei bambini, favorevole alle biciclette per superare la cultura dell’auto, adottando alternative ai combustibili fossili per riscaldamento, trasporti e produzione di energia. Piantare alberi e far ricrescere le foreste nelle terre urbanizzate d’Europa. Proteggere le scimmie e gli altri mammiferi superiori dalla malvagità degli umani e dalla sperimentazione scientifica sulla pelle degli animali. Stop all’agricoltura industriale intensiva e con la pesca non sostenibile in Europa, e promuovere l’agricoltura biologica e il vegetarianesimo attraverso una completa revisione della Politica Agricola Comunitaria. Promuovere una discussione informata e democratica su scienza e tecnologia, allo scopo di costruire una posizione demoradicale forte sulla bioetica e le altre le questioni scientifiche che colpiscono la società.
Dimezzare le emissioni di carbonio, come unica via per diminuire il contenuto materiale (energetico) del consumo e della ricchezza e sopravvivere come civiltà cosmopolita e digitale su un pianeta con risorse naturali limitate, atmosfera e oceani in rapido riscaldamento e una veloce perdita di biodiversità.
ACT 4 RADICAL EUROPE (A4RE) è la prima bozza di un manifesto demo-radicale europeo, per rilanciare l’Europa dal basso e uscire dalla stagnazione politica attuale.
Il documento originale, in inglese. si può leggere qui. . Il 17 febbraio a Milano, all’Olinda, l’assemblea costituente del movimento, prima tappa di percorso politico per un’altra Europa.
ACT 4 RADICAL EUROPE (A4RE)
Manifesto per un’associazione politica transnazionale che agisca per la giustizia ecologica e sociale
LA GUERRA INFURIA, LA DISTOPIA SI AVVICINA
L’alba del XXI secolo è buia e barbarica, mentre la guerra, l’ineguaglianza, l’irrazionalità, la xenofobia e il collasso ecologico si diffondono incontrastati nel pianeta cosi’ come nella nostra regione, l’Europa, governata dall’Unione Europea e dagli stati nazione, ma in realtà disarticolata e divisa tra paesi euro e non-euro, nella (dis)Unione fra vecchi e nuovi membri del club.
Il Bushismo e l’Islam politico hanno ridefinito la politica mondiale, la Cina e l’India hanno ridisegnato l’economia globale. L’America Latina ha rotto con la dottrina di Monroe, ma l’Europa politica è allo sbando: il "no" franco-olandese ne ha svuotato l’essenza, mentre il conflitto sociale e la disillusione crescenti ne mettono in dubbio la sua rilevanza come entità politica. Lo spazio europeo è oggi attraversato da massicci flussi di capitale e di immigrazione (i primi lasciati liberi di muoversi all’interno del Mercato Unico, i secondi, al contrario, discriminati e perseguitati da Schengen) e amministrato in termini puramente conservativi da una tecnocrazia neoliberista e da governi nazionali che condividono una debole se non inconsistente legittimità.
Nel XXI secolo il vecchio progetto federalista di orientamento cattolico/socialista, ispirato da Spinelli e avviato da Monnet, è una forza definitivamente spenta. Un nuovo cosmopolitismo europeo, di orientamento democratico-radicale, deve ora prendere il suo posto, mettendo al centro i valori del federalismo orizzontale, dell’azione sociale ed ecologistta, dei diritti GLBTQ (gay/lesbiche/bisex/trans/queer). Se ciò non avverrà, lo stato-nazione rialzerà la sua testa mostruosa: le forze nazionaliste e xenofobe, costituiscono già oggi una minaccia reale in molti paesi europei.
D’altro canto, la sinistra "ufficiale", vuoi socialdemocratica vuoi comunista o ecologista, non appare oggi in grado di formulare risposte adeguate alle sfide gigantesche poste dalla polarizzazione economica e dall’instabilità geopolitica, dal pieno dispiegamento delle reti digitali, dall’innovazione biotecnologica con le sue conseguenze etiche e sociali, e soprattutto dal cambiamento climatico e dal danno ambientale crescenti.
STATI SOCIALI D’EUROPA
Gli spettri della pauperizzazione e dell’esclusione ossessionano gli europei. Negli ultimi vent’anni, la precarietà e la disuguaglianza hanno rotto il compromesso social-democratico-cristano del periodo postbellico su cui l’Europa moderna è stata fondata: redditi crescenti per i lavoratori e potere crescente per i loro sindacati in cambio dell’accettazione del capitalismo occidentale. Al suo posto, vi è stata un’immensa accumulazione di ricchezza privata accanto all’aumento dell’esclusione e della rabbia sociali.Agire per un’Europa radicale vuol dire innanzitutto mobilitarsi contro la disuguaglianza sociale, la precarizzazione del lavoro e l’arroganza delle élite e dei loro privilegi, come milioni di persone hanno fatto recentemente in Francia e Danimarca.
Oggi in Europea, il conflitto centrale contro il neoliberismo è la lotta contro la precarietà. La lotta degli studenti, dei lavoratori dei servizi e della conoscenza contro condizioni sociali e di lavoro altamente precarie è politicamente esplosiva. Dice che un’altra Europa è possibile, con i diritti sociali fondamentali al suo centro. La sicurezza del reddito e l’autonomia culturale devono diventare le fondamenta di un nuovo stato sociale europeo. Questa è la nostra interpretazione welfarista della flexicurity, in netto contrasto contro l’approccio workfarista alla flessibilità del lavoro e alla sicurezza sociale contenuto nel recente Green Paper della Commissione Europea sulla regolazione del mercato del lavoro. Per opporsi all’Europa sociale minima chiesta dai liberali, dobbiamo diffondere libertà di pensiero e di azione, promuovere la sovversione culturale e il conflitto sociale, così da dar vita all’Europa radicalmente democratica che le oligarchie nazionali si ostinano a rifiutare.
Di fronte all’ebollizione sociale e all’effervescenza culturale, i governi nazionali limitano istericamente la libertà d’espressione in rete e sulle strade, in un clima di paura e paranoia fomentate a arte per giustificare regimi di legalità sempre più draconiani. Per combattere questa tendenza reazionari, i principi libertari nell’informazione e nella comunicazione devono costantemente essere asseriti online e offline, e le libertà di movimento e di protesta praticate e difese contro ogni minaccia e aggressione securitarie.
La persecuzione di migranti e rifugiati alle porte e all’interno dell’Europa è una cocente vergogna per chiunque si dica democratico: alleanze transetniche e solidarietà transnazionale con i migranti sono doveri morali per tutti i demoradicali (rad-dem) europei che combattono per un’idea allargata di Europa, che non può fare a meno di includere individui e popoli una volta soggetti al rapace dominio imperiale europeo.
L’attivismo queer è in crescita in Europa e nel mondo, ma i diritti trans/gender si trovano sotto attacco da parte di establishment clericali reazionari con una violenza senza precedenti. Malgrado le conquiste del femminismo moderno, le donne sono tuttora intimidite, aggredite e uccise sia nelle famiglie indigene che in quelle immigrate, e discriminate sia nella sfera pubblica che nel posto di lavoro. L’eguaglianza di genere e la lotta contro l’omofobia devono entrare a far parte delle priorità dei movimenti radicali europei.
Oggi la gioventù multietnica d’Europa è economicamente discriminata e sempre più alienata dal resto della società. La giovane generazione europea è infatti bloccata da disoccupazione e precarietà, mentre le viene negato l’accesso ai beni sociali di base (casa, istruzione, welfare ecc.). La gerontocrazia delle élite e i conseguenti privilegi per la rendita finanziaria stanno uccidendo il futuro d’Europa pesando in modo sproporzionato sulle giovani famiglie ed escludendo la classe creativa dalle decisioni politiche ed economiche.
Oggi le imprese non solo ricorrono sistematicamente alla delocalizzazione e all’outsourcing, seguendo i dettami dei mercati finanziari, ma cercando di sfruttare le capacità cognitive e relazionali delle persone, mentre si impadroniscono dell’accesso ai beni comuni naturali e sociali. L’economia di oggi rende la vita individuale sempre più dipendente dal mercato, il che a sua volta aggrava la frammentazione sociale e l’alienazione ecologica. Il radicalismo europeo deve sfidare le nuove gerarchie create dal capitalismo europeo per riuscire finalmente a infrangere la maledizione inegualitaria, favorendo la creatività biopolitica e l’insorgenza sociale. Dobbiamo combattere per nuove concezioni del welfare e nuovi concetti del comune. L’ora è venuta per la moltitudine precaria per togliere potere alle élite e ridisegnare il panorama sociale d’Europa.
Il potere aziendale e finanziare è ancora formidabile in Europa ed è tenacemente difeso dal monetarista Trichet e dal liberista Barroso, ma ha perso l’aura di credibilità e di quasi invincibilità che aveva negli anni Novanta, grazie alla pressione sociale su più livelli del movimento noglobal. Il movimento globale per la giustizia sociale e ambientale si è sviluppato in Europa a partire dalle grandi proteste di Praga, Goteborg, Genova ed è culminato nelle manifestazioni oceaniche contro l’invasione dell’Iraq del 15 febbraio 2003 in tutte le grandi città europee. Ma è declinato da allora, anche se nuovi movimenti radicali sembrano averne preso il testimone nel corso del 2006.
La crescita di una rete mayday europea contro la precarizzazione dei giovani e la persecuzione degli immigrati è stata un’eccezione parziale al declino del movimento noglobal europeo. Disseminato nelle principali città d’Europa, il movimento contro la precarietà rappresenta uno dei tentativi più potenti di rinnovare le idee e le tattiche di dissenso politico e sociale nell’UE.
L’IDEA DI EUROPA RADICALE
In un’età di oscurantismo intellettuale, vogliamo tornare allo spirito radicale dell’Illuminismo e alla nascita rivoluzionaria della democrazia. In Europa, nei secoli, l’idea stessa di filosofia politica e quindi di quale forma lo stato debba assumere è stata plasmata e alterata in modo decisivo dall’agire collettivo e dal conflitto sociale. La nostra idea di Europa radicale attinge e prende ispirazione dai grandi momenti di mobilitazione democratica e liberazione nella storia europea, perché momenti nei quali le idealità condivise riuscirono a forzare e vincere sistemi di potere radicati nei secoli.
Innanzitutto, le correnti radicali e democratiche, come i Levellers e i Diggers, della rivoluzione inglese, e in special modo, della rivoluzione francese, come i giacobini e in sanculotti; quindi le società segrete che si opposero all’assolutismo della Santa Alleanza; in Inghilterra, il movimento cartista per il suffragio universale e la nascita del movimento sindacale; il 1848 rivoluzionario e l’idea di Giovane Europa non-dinastica; il coraggioso esperimento di autogoverno urbano e di democrazia elettiva avanzato dalla Comune di Parigi nel 1871; il periodo fra il 1890 e il 1920, che vide le grandi speranza e le sonore sconfitte della sinistra radicale, in un continente agitato da scioperi generali, scosso dal movimento femminista per il suffragio universale, dissanguato dall’orrore delle trincee della Grande Guerra e traumatizzato, infine, dalla rivoluzione bolscevica e dalla successiva controrivoluzione reazionaria; la seconda internazionale e il sindacalismo rivoluzionario, al centro del movimento operaio prima della Prima Guerra mondiale, dopo la quale saranno finalmente vinti i Kaiser e gli Zar; il 1936 e la vittoria sociale ed elettorale del fronte popolare francese, l’anno dell’aggressione di Franco contro il fronte popolare spagnolo, repubblicano, socialista e anarchico, nonché la prima dimostrazione delle guerre genocide che il fascismo europeo e internazionale intendeva scatenare in Europa e Asia. Solo un fronte popolare mondiale poté sconfiggere i totalismi nazi-fascisti nel 1945, dopo sofferenze immense e aspre guerre civili di liberazione, e fu proprio dalle ceneri della sconfitta fascista e in risposta agli orrori della guerra totale che l’idea politica di Europa emerse dai movimenti della resistenza europea, poi distillati nel manifesto di Ventotene per un’ Europa federale e pacifica.
Dopo la guerra, le istituzioni economiche, e quindi politiche, europee presero a consolidarsi. Il 1956 fu l’anno decisivo, dal momento che proclamando a Suez la fine dell’imperialismo europeo, segnò la nascita del federalismo europeo, e poi perché rivelò i crimini di Stalin dando il via alla ribellione democratica nell’Europa dell’Est contro il regime sovietico. Poi il 1968: Parigi, Roma, Berlino, Praga insorsero contemporaneamente, dando il via alla rivolta giovanile e all’esplosione identitaria degli anni Settanta (hippy, studenti, donne, gay, punk, gruppi etnici e popoli oppressi), che in ultima analisi avrebbe minato la guerra fredda e la partizione dell’Europa, culminando nella rivoluzione democratica del 1989 a Berlino, preparata dai movimenti antinucleari degli anni Ottanta. La demolizione del muro avrebbe di lì a poco portato all’implosione del comunismo russo e del suo blocco geopolitico, preparando la scena al lancio della moneta unica in Europa Occidentale e all’allargamento a Est dell’Unione Europea. Ha permesso anche ai fondamentalisti del mercato di imprigionare l’anima politica d’Europa, dando il via alle privatizzazioni e ai tagli di spesa su larga scala che degli anni Novanta. Ma all’inizio del XXI secolo, questo nefasto scenario di politica economica sta finalmente dissolvendosi.
NOI, EUROPEI RADICALI
Noi siamo gli orgogliosi eredi della storia radicale dell’Europa fino ai movimenti noglobal di questi anni. Apparteniamo a diverse tradizioni europee di politica democratica e di filosofia critica. Siamo figli dell’approccio laico che ha guardato alla natura attraverso la ragione, discendenti di tutte quelle forme di pensiero socialista e di politica progressista che in ogni epoca si sono opposte ad ogni forma di autoritarismo e totalitarismo. Siamo figli dell’Europa ecologista e post-patriarcale e, a partire da questo retaggio radicale, intendiamo contribuire a una cultura politica condivisa di tipo democratico e radicale che possa ridare significato e scopo all’esperienza e all’agire delle persone, nella loro vita e nel loro ambiente.
Noi ci dichiariamo europei radicali. Vogliamo batterci per i fondamentali diritti umani, civili, sociali, di genere, dell’informazione delle moltitudini che vivono o arrivano in Europa; siamo inoltre anti-colonialisti, convinti che esista una sola umanità al di là dei confini che oggi tutelano i pochi a vantaggio dei molti, al di sopra dei confini tracciati tra i popoli per nascondere quelli che, al loro interno, dividono l’alto dal basso.
Noi lavoriamo a una rinascita del progetto europeo attraverso il principio della radicale partecipazione democratica e i suoi strumenti imprescindibili: il dissenso intellettuale, la protesta sociale, la disobbedienza civile, il picchetto sindacale, il boicotaggio, il mediattivismo. Dichiariamo nostri nemici il nazionalismo, il clericalismo e il fondamentalismo. Denunciamo il neoconservatorismo in politica e il neoliberismo in economia in quanto filosofie e metodi di governo immorali e insostenibili.
Noi siamo la generazione che ha buttato giù il muro di Berlino e che è andata ’underground’ quando Thatcher, Wojtyla and Reagan hanno cercato di restaurare i valori di patria e famiglia. Siamo quelli che hanno iniziato la rivoluzione di Internet, gli attori invisibili della globalizzazione socioeconomica. Siamo la generazione low-wage/low-cost, ancora dominata da élite che risalgono alla guerra fredda che piuttosto di cedere il potere sono pronte a fare dell’Europa una Grande Svizzera, dove dittatori e mafiosi possono tranquillamente custodire le loro fortune e prosperare mentre gli "immigrati", compresi quelli nati in Europa, vengono esclusi dalla cittadinanza.
Noi siamo la classe creativa d’Europa e fieri oppositori del monopolio privato della tecnologia e della conoscenza, e ci opponiamo a un livello di concentrazione economica senza precedenti nella storia dell’umanità. La libertà e il diritto alla circolazione del sapere richiedono di porre immediatamente fine al rafforzamento della legislazione sul copyright che nell’ultimo decennio ha protetto i vasti interessi delle major e dei media. Oggi la proprietà intellettuale si fronteggia con la libertà culturale e con l’innovazione economica. Noi demoradicali europei chiediamo l’abolizione del sistema dei brevetti, in particolare di quelli farmaceutici perché salvaguardare i profitti di Big Pharma significa giustificare la morte di milioni di persone nel Sud del mondo.
Il diritto di copiare e condividere senza fini di lucro deve essere salvaguardato per tutti. Analogamente, le reti di filesharing e i networks p2p devono essere protette dalle attenzioni poliziesche. Con il pretesto della della lotta al terrorismo la libertà di comunicazione attraverso la Rete è stata decurtata in seguito al monitoraggio e alle intrusioni sul Web che noi denunciamo per le stesse ragioni per le quali ci opponiamo all’utilizzo sistematico delle videocamere di sorveglianza, che non prevengono il crimine ma violano costantemente la privacy rendendoci tutti potenziali sospetti.
Dagli anni Novanta, siamo attivisti che si oppongono senza riserve allo strapotere delle multinazionali, dando vita ad azioni e campagne per combattere la discriminazione sociale e la distruzione ambientale. Ci opponiamo strenuamente e denunciamo gli interessi economici che si sono resi complici nella svolta reazionaria ed ecocida che il mondo ha imboccato dopo il 2001. Il capitalismo non è una relazione sociale immutabile e, secondo noi, la storia è progressiva o regressiva a seconda del rapporto fra le forze del capitale e del lavoro, dello stato e della società, in periodica mutazione. La sfida epocale che ci attende — impedire il disastro ecologico e sociale — è tale e il rischio di mutazioni sociali e di biforcazioni politiche maligne altrettanto grande, che per portare avanti le rivendicazioni sociali e politiche della classe neo-precaria di cui siamo espressione, le nostre forze devono sommarsi a quelle di tutti gli altri settori progressisti della società europea.
Non siamo un partito politico e non siamo un sindacato, anche se alcuni di noi potrebbero in futuro correre in elezioni o diventare delegati sindacali. Siamo un’associazione paneuropea espressione di un movimento sociale e politico democratico-radicale. Alcuni di noi si sono lasciati alle spalle i limiti dello spontaneismo anarchico o la nostalgia del comunismo, tutti crediamo che l’orizzontalità e l’uguaglianza siano ideali che, per non diventare totem settari, debbano tradursi in una pratica condivisa e in una legislazione. Siamo altresì consapevoli che il perimetro delle soggettività coinvolte da questo progetto - si tratti di identità queer, ecologiste, cyber, etc.o di altri soggetti - coincide oggi con un orizzonte politico e sociale più ampio di quello strettamente istituzionale per affrontare in maniera decisiva il potere reticolare di stati e imprese. Siamo sufficientemente pragmatici per sapere che dovremo usare ogni mezzo di pressione sui settori progressisti, socialisti, ecologisti del Parlamento Europeo, per far emergere soluzioni radicali al presente immobilismo del pantano politico europeo.
La nostra iniziativa politica sarà fieramente indipendente, fondata sull’azione diretta nonviolenta e su un’elaborazione intellettuale totalmente autonoma. Libera, soprattutto, da ogni soggezione di partito, sindacato, chiesa, lobby. E totalmente irriverente.
Contro le politiche liberaldemocratiche, o peggio nazionaldemocratiche. che promuovono la disuguaglianza in Europa, l’asservimento al militarismo USA e l’allineamento al mercantilismo occidentale, per un nuovo orizzonte radicale europeo in grado di immaginare una nuova cultura politica e un nuovo panorama sociale, noi precarie e precari, wobbly e queer, difensori degli alberi e patiti del computer, ci proclamiamo europei democraticamente e radicalmente attivi per la giustizia sociale ed ecologica.
COSA SERVE PER COSTRUIRE L’EUROPA RADICALE: Un’organizzazione sociopolitica di uomini e donne che usino tutte le risorse e le tattiche disponibili per far valere la libertà politica e culturale, la giustizia sociale, economica e ambientale in tutta Europa!
I NOSTRI OBIETTIVI FONDAMENTALI
Creare una democrazia ecologica, radicale e "peer-to-peer" in Europa Affermare un’identità europea secolarizzata, femminista e solidale. Aprire i confini europei a tutti i popoli e alle culture. Promuovere un’integrazione politica forte e un federalismo regionale di tipo orizzontale. Rendere la Commissione un’espressione del Parlamento Europeo uno strumento del suffragio e della volontà popolare, finalmente responsabile davanti all’opinione pubblica europea. Promuovere referendum europei sui maggiori problemi costituzionali e le direttive dell’UE. Riformare la Corte Europea in modo che possa essere adita in luogo delle giurisdizioni nazionali, nei casi di violazione dei diritti fondamentali.
Fissare un salario minimo europeo, sostenere i diritti sindacali e il diritto di sciopero quali uniche forze riequilibranti nell’attuale mercato del lavoro.
Mettere l’energia solare ed eolica e il potere della conoscenza collettiva al servizio della trasformazione dell’economia. Riformare drasticamente gli statuti e le politiche della Banca Centrale Europea e promuovere la diffusione di monete alternative. Imporre la tassazione europea delle corporation e dei combustibili fossili. Espandere il ruolo della sanità, dell’educazione e degli spazi pubblici europea Creare un reddito di base europeo come chiave di un vero welfare europeo.
Assicurare libertà di espressione e comunicazione a proteggere il libero scambio di informazioni, saperi e cultura dentro e fuori Internet Assicurare libertà neurochimica contro l’invadenza dello stato e ottenere la legalizzazione della cannabis. Affermare i diritti di gay, lesbiche, bisessuali e transgender, così come il diritto a esibire il proprio orgoglio queer e l’emergere di culture non eterosessuali; nonché il diritto a non essere discriminati in ogni ambito della vita, compreso il diritto di sposarsi e di adottare dei figli. Riaffermare il diritto di tutte le coppie non sposate a una vita familiare e ai relativi benefici sociali.
Rilanciare politiche monetarie e fiscali keynesiane ed "espansive", abrogare il patto di stabilità e i suoi obblighi. Promuovere le associazioni internazionali e la cooperazione con i movimenti radicali e democratici nel resto del mondo. Promuovere un nuovo sistema commerciale globale e accordi di commercio equo e solidale con India e Sud America. Uscire dalla Nato per liberare il peso dell’Europa in favore di una pace giusta nelle aree di conflitto e di una corte di giustizia internazionale.
Promuovere una legislazione internazionale in favore dei migranti con una carta dei diritti per proteggerli da persecuzioni e discriminazioni.
Lavorare in favore di una città che sia più verde e amica, in primo luogo dei bambini, favorevole alle biciclette per superare la cultura dell’auto, adottando alternative ai combustibili fossili per riscaldamento, trasporti e produzione di energia. Piantare alberi e far ricrescere le foreste nelle terre urbanizzate d’Europa. Proteggere le scimmie e gli altri mammiferi superiori dalla malvagità degli umani e dalla sperimentazione scientifica sulla pelle degli animali. Stop all’agricoltura industriale intensiva e con la pesca non sostenibile in Europa, e promuovere l’agricoltura biologica e il vegetarianesimo attraverso una completa revisione della Politica Agricola Comunitaria. Promuovere una discussione informata e democratica su scienza e tecnologia, allo scopo di costruire una posizione demoradicale forte sulla bioetica e le altre le questioni scientifiche che colpiscono la società.
Dimezzare le emissioni di carbonio, come unica via per diminuire il contenuto materiale (energetico) del consumo e della ricchezza e sopravvivere come civiltà cosmopolita e digitale su un pianeta con risorse naturali limitate, atmosfera e oceani in rapido riscaldamento e una veloce perdita di biodiversità.
Assistenza Wind: due facce della medaglia
Mi è stato chiesto dagli amici di WindWorld di parlare di un caso molto importante che sta prendendo di mira quasi 300 dipendenti Wind. Con l'occasione ne parlo sia nel "bene" (se questo potrebbe mai esser definito tale) che nel "male".
Saltando comunicati stampa e commenti, i fatti sono questi: Wind aveva annunciato tempo addietro che avrebbe riorganizzato l'assetto societario, riducendo in modo civile il personale. Arriva ora la pillola amara: 275 addetti al call center di Milano Sesto San Giovanni (e permettetemi di dire che credo sia quello che funzioni meglio) verranno esternalizzati. Questa parola è un modo carino per non dire licenziati; chiaramente, chiedere ad una persona -magari con famiglia e figli- di spostarsi di 600-700km per un lavoro si può tranquillamente equiparare ad un licenziamento.
Dal 1 marzo 2007 dovrebbe essere dismesso non solo lo storico call-center di Sesto San Giovanni, ma pure la gestione della rete radiomobile di Milano (per tutto il nord Italia). Tutto questo verrà trasferito a Roma, probabilmente nel nuovo quartier generale di cui si parlava in passato, nelle vicinanze del Colosseo.
Se questo è il dramma dei dipendenti, sbattuti di fronte ad una scelta in modo così repentino, è giusto mettere in luce quelli che saranno i contraccolpi che subiranno i clienti (e lo farò attraverso una mia esperienza appena subita).
Quando un call-center viene gestito da altre società, che fanno solitamente contratti precari e paghe da fame, la qualità del servizio non può che cadere in un baratro (da cui -tra le altre cose- quello di Wind già proveniva e in cui sono finite altre società mobili italiane).
E se questo è il futuro che si prospetta, io vi racconto il presente. Dopo un'offerta di passaggio di ADSL sulla mia utenza, la portante dati è caduta. In 15 giorni di tentativi di chiamata all'assistenza tecnica all'155, ne ho subite di tutti i colori:
- escludiamo le chiamate di attesa a vuoto, mediamente di 22 minuti, ma che hanno raggiunto per me i 54 minuti di musica ripetitiva, intervallate da chiamate che finivano con "Non ci sono operatori disponibili"
- ogni operatore che mi rispondeva si stupiva dell'accaduto e apriva segnalazione, invitandomi a richiamare dopo 48 ore se nulla fosse accaduto. Non è mai successo che uno mi abbia detto "ne vedo già una aperta da un mio collega", cosa invece possibile.
- molti dopo aver attivato la conversazione restavano in inesorabile silenzio, mentre sotto si sentivano i colleghi vicini parlare (il metodo principe di coloro che vogliono apparire occupati al capo reparto, ma che in realtà preferiscono riposarsi qualche minuto)
- un paio mi hanno fatto spiegare in modo scarno l'accaduto, mettendomi poi in attesa per qualche fantomatico controllo. Mi pare superfluo dire che dall'attesa non tornavano, ma lasciavano che la linea cadesse dopo circa 20 minuti
Per concludere, la situazione che stanno vivendo alcuni dipendenti all'interno dell'azienda è particolarmente grave (la vicenda può essere seguita da qui), ma Wind deve rimettere mano non tanto all'organizzazione logistica dei propri dipendenti, ma alla vera e propria struttura su cui poggia una azienda seria: l'assistenza.
Con il senno di poi, il Codacons ha pienamente ragione.
Saltando comunicati stampa e commenti, i fatti sono questi: Wind aveva annunciato tempo addietro che avrebbe riorganizzato l'assetto societario, riducendo in modo civile il personale. Arriva ora la pillola amara: 275 addetti al call center di Milano Sesto San Giovanni (e permettetemi di dire che credo sia quello che funzioni meglio) verranno esternalizzati. Questa parola è un modo carino per non dire licenziati; chiaramente, chiedere ad una persona -magari con famiglia e figli- di spostarsi di 600-700km per un lavoro si può tranquillamente equiparare ad un licenziamento.
Dal 1 marzo 2007 dovrebbe essere dismesso non solo lo storico call-center di Sesto San Giovanni, ma pure la gestione della rete radiomobile di Milano (per tutto il nord Italia). Tutto questo verrà trasferito a Roma, probabilmente nel nuovo quartier generale di cui si parlava in passato, nelle vicinanze del Colosseo.
Se questo è il dramma dei dipendenti, sbattuti di fronte ad una scelta in modo così repentino, è giusto mettere in luce quelli che saranno i contraccolpi che subiranno i clienti (e lo farò attraverso una mia esperienza appena subita).
Quando un call-center viene gestito da altre società, che fanno solitamente contratti precari e paghe da fame, la qualità del servizio non può che cadere in un baratro (da cui -tra le altre cose- quello di Wind già proveniva e in cui sono finite altre società mobili italiane).
E se questo è il futuro che si prospetta, io vi racconto il presente. Dopo un'offerta di passaggio di ADSL sulla mia utenza, la portante dati è caduta. In 15 giorni di tentativi di chiamata all'assistenza tecnica all'155, ne ho subite di tutti i colori:
- escludiamo le chiamate di attesa a vuoto, mediamente di 22 minuti, ma che hanno raggiunto per me i 54 minuti di musica ripetitiva, intervallate da chiamate che finivano con "Non ci sono operatori disponibili"
- ogni operatore che mi rispondeva si stupiva dell'accaduto e apriva segnalazione, invitandomi a richiamare dopo 48 ore se nulla fosse accaduto. Non è mai successo che uno mi abbia detto "ne vedo già una aperta da un mio collega", cosa invece possibile.
- molti dopo aver attivato la conversazione restavano in inesorabile silenzio, mentre sotto si sentivano i colleghi vicini parlare (il metodo principe di coloro che vogliono apparire occupati al capo reparto, ma che in realtà preferiscono riposarsi qualche minuto)
- un paio mi hanno fatto spiegare in modo scarno l'accaduto, mettendomi poi in attesa per qualche fantomatico controllo. Mi pare superfluo dire che dall'attesa non tornavano, ma lasciavano che la linea cadesse dopo circa 20 minuti
Per concludere, la situazione che stanno vivendo alcuni dipendenti all'interno dell'azienda è particolarmente grave (la vicenda può essere seguita da qui), ma Wind deve rimettere mano non tanto all'organizzazione logistica dei propri dipendenti, ma alla vera e propria struttura su cui poggia una azienda seria: l'assistenza.
Con il senno di poi, il Codacons ha pienamente ragione.
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Giovane, istruito, con famiglia: è il precario lucano di Eurispes
L'identikit del lavoratore precario è stato tracciato dall'istituto di ricerca. Il sentimento più diffuso? La paura per il futuro
POTENZA - Hanno in media 40 anni, con un diploma di scuola media superiore, almeno un figlio a carico e un contratto a progetto che dura dai tre ai cinque anni: è questo l’identikit del lavoratore precario lucano nella Pubblica amministrazione che emerge dal primo rapporto Eurispes «Pubblicamente precario», presentato oggi a Potenza nel corso di un convegno.
Lo studio prende in esame la condizione dei lavoratori precari negli enti pubblici in provincia di Potenza (Comuni, Regione, Comunità montane, enti sub-regionali, ministeri e università). I dati si riferiscono ad un campione di 250 persone, a cui sono stati somministrati dei questionari tra ottobre e novembre del 2006. Circa la metà degli intervistati ha sempre lavorato con contratti atipici, e il 42 per cento non ha mai firmato un contratto a tempo indeterminato.
Il 70 per cento dei precari lavora attualmente a tempo pieno, il 52 per cento guadagna tra gli 800 e i 1.400 euro netti al mese e il 57 per cento spera in un’eventuale stabilizzazione in un futuro prossimo: «E' un indagine rappresentativa della situazione in Basilicata – ha spiegato il segretario generale dell’Eurispes Basilicata, Alberto Aliastro – ed il primo condotto sul territorio. Gran parte dei precari ammettono di lavorare in condizioni non ottimali, con una forte paura per le prospettive future».
«Lo studio – ha sottolineato il segretario nazionale Fp Cgil, Carlo Podda – apre finalmente un dibattito concreto sulla situazione, dopo tanto chiacchiericcio giornalistico. Un modo serio di affrontare il problema, e auspico che il metodo venga adottato anche in altre zone d’Italia».
23/1/2007
POTENZA - Hanno in media 40 anni, con un diploma di scuola media superiore, almeno un figlio a carico e un contratto a progetto che dura dai tre ai cinque anni: è questo l’identikit del lavoratore precario lucano nella Pubblica amministrazione che emerge dal primo rapporto Eurispes «Pubblicamente precario», presentato oggi a Potenza nel corso di un convegno.
Lo studio prende in esame la condizione dei lavoratori precari negli enti pubblici in provincia di Potenza (Comuni, Regione, Comunità montane, enti sub-regionali, ministeri e università). I dati si riferiscono ad un campione di 250 persone, a cui sono stati somministrati dei questionari tra ottobre e novembre del 2006. Circa la metà degli intervistati ha sempre lavorato con contratti atipici, e il 42 per cento non ha mai firmato un contratto a tempo indeterminato.
Il 70 per cento dei precari lavora attualmente a tempo pieno, il 52 per cento guadagna tra gli 800 e i 1.400 euro netti al mese e il 57 per cento spera in un’eventuale stabilizzazione in un futuro prossimo: «E' un indagine rappresentativa della situazione in Basilicata – ha spiegato il segretario generale dell’Eurispes Basilicata, Alberto Aliastro – ed il primo condotto sul territorio. Gran parte dei precari ammettono di lavorare in condizioni non ottimali, con una forte paura per le prospettive future».
«Lo studio – ha sottolineato il segretario nazionale Fp Cgil, Carlo Podda – apre finalmente un dibattito concreto sulla situazione, dopo tanto chiacchiericcio giornalistico. Un modo serio di affrontare il problema, e auspico che il metodo venga adottato anche in altre zone d’Italia».
23/1/2007
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Fisso o precario, si parte anche da 3 euro l'ora
Gli stipendi
Dall'entrata in vigore della nuova moneta i prezzi sono aumentati anche di cinque volte
Lavoro che (non) paga. Un popolo di precari e part-timisti, tempi determinati e apprendisti che in un mese guadagna un quarto del costo medio di un metro quadro, che sudando un'ora è pagato quanto una deprezzata bottiglia di Barbera da 75 centilitri, che un'intera giornata retribuita se la brucia se solo s'azzarda a una pizzata con tre amici. Dal 2002 — l'anno dell'euro —, metri quadri, bottiglie e pizzate sono aumentati di cinque volte: ma i salari di commessi e cassieri di supermercati, di operai e ingegneri della metallurgia, di collaboratori scolastici (i bidelli) e impiegati comunali, ecco, i salari son rimasti gli stessi. Travolgendo nella crisi un impiego che, un tempo — non lontano — era considerato da mamma e papà la cassaforte della vita: un posto in banca. Oggi il neoassunto di un istituto di credito è, lui pure, uno della generazione- mille (euro al mese).
LE BANCHE — Tanto per cominciare: in banca si entra come apprendista commesso. Inutile sognare: il salario è di 1.100-1.200 euro e tale resta per i primi quattro anni. Dopodiché, certo, si può cominciare a far carriera. Comunque, quattro anni: lasso di tempo che obbliga un laureato di 24-25 anni ad arrivare ai trenta con ancora un posto ballerino. In banca, sì. Ma ballerino. Pierpaolo Merlini (Cisl) piange gli anni in cui tutti si scannavano ai concorsi pur di entrare in istituto di credito. «La banca non è più un posto sicuro, che dà garanzie e sicurezza. Che ti sistema». Bisogna scegliere e battere altre strade. D'accordo: ma quali? Non super e ipermercati, settore segnalato dalla Cgil «in difficoltà estrema» e, soprattutto, «foriero di disagi, casi di mobbing e malattie strettamente legate allo stress».
GALASSIA PART-TIME — In iper e supermercati, il 60% delle assunzioni sono part-time. E contemplano, a fronte di 20-25 ore settimanali, una retribuzione di 500 euro mensili. Una situazione «che — dice Giorgio Vanoli (Cgil) — porta cassieri e commessi a cercarsi un secondo, se non un terzo lavoro». Che deve essere incastrato con gli orari della prima occupazione. E non è facile: «Il dipendente di un grande magazzino non ha una turnazione prestabilita — prosegue il sindacalista —. Lavora quando viene chiamato: un mattino se ci sono tanti prodotti da sistemare nel magazzino, una domenica se c'è l'apertura straordinaria del negozio, un venerdì sera se è la vigilia di una festività. Può capitare di lavorare sei ore un giorno e neanche un minuto i due seguenti». Senza contare che, sia un giorno feriale o un dì di festa, la paga non cambia di un'acca. Senza contare che, «nell'ultimo anno sono aumentate le segnalazioni per mobbing. E aumentano esaurimenti nervosi ed episodi di tensione».
TRE EURO (LORDI) — Una tensione che, nei call center, non ha bisogno di salire. È già alta. Per colpa della continua e progressiva discesa dei salari. Un operatore addetto a raccogliere le richieste di prodotti delle televendite oscilla tra i 3,5 e i 5,5 euro l'ora. Euro al lordo, sia chiaro. Ed euro che, al peso netto, si riducono a una manciata risicata di centesimi. È il «brutto, uno dei tanti, del lavoro interinale» lamentano i sindacati. Mario Esposti (Cgil): «Un disastro. Se si riesce a fare il salto di qualità, si riescono a sfiorare i 7,5 euro». All'ora? «Sempre all'ora». Lordi? «Sempre lordi». Eppure quello dei call-center è il nuovo che avanza. È una delle occupazioni che la generazione antecedente alla generazione-mille non ha mai visto e vissuto. Forse, nemmeno immaginato. Ma allora cos'è, bisogna ripiegare sui mestieri antichi o quantomeno tradizionali? Per esempio gli operai?
TUTE BLU — Alla domanda, la Camera del lavoro risponde con la fotografia delle fabbriche: un operaio neoassunto porta a casa 800 euro mensili. Gli stessi soldi che, passando dalle ditte alle case di riposo, percepiscono le assistenti socio-sanitarie. Gli stessi soldi che, con un ritocco di 150 euro in più, guadagna un dipendente dell'amministrazione pubblica. Gli stessi soldi, infine, dei tranvieri dell'Atm e, infatti, ogni tre giorni se ne licenzia uno. Perché la generazione-mille cresce. Si espande e si arrabbia. Si macera. A volte maledice la fatica per prendersi la laurea: nel ramo metallurgico, un ingegnere viene premiato con 1.100-1.200 euro. Come un insegnante delle scuole medie.
di Andrea Galli
Dall'entrata in vigore della nuova moneta i prezzi sono aumentati anche di cinque volte
Lavoro che (non) paga. Un popolo di precari e part-timisti, tempi determinati e apprendisti che in un mese guadagna un quarto del costo medio di un metro quadro, che sudando un'ora è pagato quanto una deprezzata bottiglia di Barbera da 75 centilitri, che un'intera giornata retribuita se la brucia se solo s'azzarda a una pizzata con tre amici. Dal 2002 — l'anno dell'euro —, metri quadri, bottiglie e pizzate sono aumentati di cinque volte: ma i salari di commessi e cassieri di supermercati, di operai e ingegneri della metallurgia, di collaboratori scolastici (i bidelli) e impiegati comunali, ecco, i salari son rimasti gli stessi. Travolgendo nella crisi un impiego che, un tempo — non lontano — era considerato da mamma e papà la cassaforte della vita: un posto in banca. Oggi il neoassunto di un istituto di credito è, lui pure, uno della generazione- mille (euro al mese).
LE BANCHE — Tanto per cominciare: in banca si entra come apprendista commesso. Inutile sognare: il salario è di 1.100-1.200 euro e tale resta per i primi quattro anni. Dopodiché, certo, si può cominciare a far carriera. Comunque, quattro anni: lasso di tempo che obbliga un laureato di 24-25 anni ad arrivare ai trenta con ancora un posto ballerino. In banca, sì. Ma ballerino. Pierpaolo Merlini (Cisl) piange gli anni in cui tutti si scannavano ai concorsi pur di entrare in istituto di credito. «La banca non è più un posto sicuro, che dà garanzie e sicurezza. Che ti sistema». Bisogna scegliere e battere altre strade. D'accordo: ma quali? Non super e ipermercati, settore segnalato dalla Cgil «in difficoltà estrema» e, soprattutto, «foriero di disagi, casi di mobbing e malattie strettamente legate allo stress».
GALASSIA PART-TIME — In iper e supermercati, il 60% delle assunzioni sono part-time. E contemplano, a fronte di 20-25 ore settimanali, una retribuzione di 500 euro mensili. Una situazione «che — dice Giorgio Vanoli (Cgil) — porta cassieri e commessi a cercarsi un secondo, se non un terzo lavoro». Che deve essere incastrato con gli orari della prima occupazione. E non è facile: «Il dipendente di un grande magazzino non ha una turnazione prestabilita — prosegue il sindacalista —. Lavora quando viene chiamato: un mattino se ci sono tanti prodotti da sistemare nel magazzino, una domenica se c'è l'apertura straordinaria del negozio, un venerdì sera se è la vigilia di una festività. Può capitare di lavorare sei ore un giorno e neanche un minuto i due seguenti». Senza contare che, sia un giorno feriale o un dì di festa, la paga non cambia di un'acca. Senza contare che, «nell'ultimo anno sono aumentate le segnalazioni per mobbing. E aumentano esaurimenti nervosi ed episodi di tensione».
TRE EURO (LORDI) — Una tensione che, nei call center, non ha bisogno di salire. È già alta. Per colpa della continua e progressiva discesa dei salari. Un operatore addetto a raccogliere le richieste di prodotti delle televendite oscilla tra i 3,5 e i 5,5 euro l'ora. Euro al lordo, sia chiaro. Ed euro che, al peso netto, si riducono a una manciata risicata di centesimi. È il «brutto, uno dei tanti, del lavoro interinale» lamentano i sindacati. Mario Esposti (Cgil): «Un disastro. Se si riesce a fare il salto di qualità, si riescono a sfiorare i 7,5 euro». All'ora? «Sempre all'ora». Lordi? «Sempre lordi». Eppure quello dei call-center è il nuovo che avanza. È una delle occupazioni che la generazione antecedente alla generazione-mille non ha mai visto e vissuto. Forse, nemmeno immaginato. Ma allora cos'è, bisogna ripiegare sui mestieri antichi o quantomeno tradizionali? Per esempio gli operai?
TUTE BLU — Alla domanda, la Camera del lavoro risponde con la fotografia delle fabbriche: un operaio neoassunto porta a casa 800 euro mensili. Gli stessi soldi che, passando dalle ditte alle case di riposo, percepiscono le assistenti socio-sanitarie. Gli stessi soldi che, con un ritocco di 150 euro in più, guadagna un dipendente dell'amministrazione pubblica. Gli stessi soldi, infine, dei tranvieri dell'Atm e, infatti, ogni tre giorni se ne licenzia uno. Perché la generazione-mille cresce. Si espande e si arrabbia. Si macera. A volte maledice la fatica per prendersi la laurea: nel ramo metallurgico, un ingegnere viene premiato con 1.100-1.200 euro. Come un insegnante delle scuole medie.
di Andrea Galli
Tfr: Intervista a L... di Banca Intesa!
giovedì 25 gennaio 2007
Qual'è il futuro dei fondi pensione?
E chi lo sa.
Credi che noi sappiamo di preciso come vengono investiti quei soldi? Per noi significa, intanto, avere più liquidità. Più conti o posizioni aperte da gestire, e già questo produce un bel po’ di soldi per la banca. In pratica è come se si aprissero contemporaneamente migliaia di conti correnti.
In più tieni conto dei vincoli. E’ come per un mutuo, se tu lo vuoi chiudere sai quanto ti costa? E poi ci sono le fluttuazioni del mercato, che possono essere positive ma anche negative.
Di sicuro le banche premeranno sul governo per ottenere la liberalizzazione di quanti più settori possibile. Un po’ come è successo per altri settori. Gli effetti delle liberalizzazioni sono stati certo più concorrenza, ma l’utente finale non ha visto di certo scendere i costi dei servizi. Basta guardare cos’è successo per le assicurazioni o per la telefonia. In realtà, avere a disposizione questi soldi ora, per le banche significa avere più possibilità di intervento, più potere economico. E poi non dimentichiamo il costo del denaro e le sue variazioni ormai totalmente indipendenti dall’inflazione programmata, una cifra ridicola che non tiene conto del costo effettivo dei servizi più diffusi.
E come verranno fatti fruttare i TFR?
E chi lo sa? Cosa credi. Anche noi, che siamo interni e ci lavoriamo, abbiamo perso soldi nel passato. Io, per esempio, ho perso soldi con il crack dell’Argentina e con molte altre operazioni. Chi si fida più? Cosa pensi che siano stati gli ultimi scandali con Fazio, Ricucci, la Parmalat e la banca Popolare di Lodi. Un repulisti ad hoc. Bisogna tenere conto dei gruppi stranieri che già oggi intervengono pesantemente sul mercato italiano. Sono loro quelli più preparati a intervenire sulle pensioni visto che nei loro paesi, penso l’Inghilterra per esempio, le pensioni private sono aperte da anni e con buoni risultati. Poi c’è da tenere conto dell’aspetto dell’impossibilità reale per una persona comune di capire, di leggere al di là dei numeri quale sarà la sua pensione futura. Noi, detto per inteso, non abbiamo finalità sociali. Non siamo l’INPS e nemmeno le poste. Discorso diverso è quelli dei fondi chiusi, il vero business dei sindacati. Qua c’è il vero schifo. Loro godono di una grande fiducia da parte dei lavoratori e in più hanno una diffusione capillare di sportelli, servizi, patronati etc. I delegati ormai, anche qua in banca, cercano di vendere i fondi privati. Ci sono migliaia di esuberi con la fusione con San Paolo e loro fanno pubblicità per i fondi privati. Ti sembra normale? Dei venditori sindacali, non è male questa. Ma è la stessa cosa che è successa in Germania e Inghilterra. Ora anche qua siamo arrivati a questo punto.
Tu ti fideresti di un fondo chiuso?
Ma stai scherzando. Guarda cosa è successo con l’Euro, una perdita secca del potere di acquisto dei salari e un aumento generalizzato dei prezzi. Il tutto è avvenuto legalmente. Chiunque gioca in borsa sa che i rendimenti sono irrisori. E che nei prossimi 30 anni potrebbe succedere di tutto. Meglio investire i propri soldi da sè. Molto meglio fidarsi delle proprie piccole conoscenze ma sicure magari diversificando tra titoli di stato, obbligazioni libretti postali e conti correnti normali. E’ meglio, molto meglio fidarsi di se stessi che di altri. E’ quello che facciamo tutti qua in banca. Secondo lei io tengo i miei soldi nel conto corrente della banca? No e come me molti miei colleghi, nonostante abbiamo delle condizioni di favore.
Qual'è il futuro dei fondi pensione?
E chi lo sa.
Credi che noi sappiamo di preciso come vengono investiti quei soldi? Per noi significa, intanto, avere più liquidità. Più conti o posizioni aperte da gestire, e già questo produce un bel po’ di soldi per la banca. In pratica è come se si aprissero contemporaneamente migliaia di conti correnti.
In più tieni conto dei vincoli. E’ come per un mutuo, se tu lo vuoi chiudere sai quanto ti costa? E poi ci sono le fluttuazioni del mercato, che possono essere positive ma anche negative.
Di sicuro le banche premeranno sul governo per ottenere la liberalizzazione di quanti più settori possibile. Un po’ come è successo per altri settori. Gli effetti delle liberalizzazioni sono stati certo più concorrenza, ma l’utente finale non ha visto di certo scendere i costi dei servizi. Basta guardare cos’è successo per le assicurazioni o per la telefonia. In realtà, avere a disposizione questi soldi ora, per le banche significa avere più possibilità di intervento, più potere economico. E poi non dimentichiamo il costo del denaro e le sue variazioni ormai totalmente indipendenti dall’inflazione programmata, una cifra ridicola che non tiene conto del costo effettivo dei servizi più diffusi.
E come verranno fatti fruttare i TFR?
E chi lo sa? Cosa credi. Anche noi, che siamo interni e ci lavoriamo, abbiamo perso soldi nel passato. Io, per esempio, ho perso soldi con il crack dell’Argentina e con molte altre operazioni. Chi si fida più? Cosa pensi che siano stati gli ultimi scandali con Fazio, Ricucci, la Parmalat e la banca Popolare di Lodi. Un repulisti ad hoc. Bisogna tenere conto dei gruppi stranieri che già oggi intervengono pesantemente sul mercato italiano. Sono loro quelli più preparati a intervenire sulle pensioni visto che nei loro paesi, penso l’Inghilterra per esempio, le pensioni private sono aperte da anni e con buoni risultati. Poi c’è da tenere conto dell’aspetto dell’impossibilità reale per una persona comune di capire, di leggere al di là dei numeri quale sarà la sua pensione futura. Noi, detto per inteso, non abbiamo finalità sociali. Non siamo l’INPS e nemmeno le poste. Discorso diverso è quelli dei fondi chiusi, il vero business dei sindacati. Qua c’è il vero schifo. Loro godono di una grande fiducia da parte dei lavoratori e in più hanno una diffusione capillare di sportelli, servizi, patronati etc. I delegati ormai, anche qua in banca, cercano di vendere i fondi privati. Ci sono migliaia di esuberi con la fusione con San Paolo e loro fanno pubblicità per i fondi privati. Ti sembra normale? Dei venditori sindacali, non è male questa. Ma è la stessa cosa che è successa in Germania e Inghilterra. Ora anche qua siamo arrivati a questo punto.
Tu ti fideresti di un fondo chiuso?
Ma stai scherzando. Guarda cosa è successo con l’Euro, una perdita secca del potere di acquisto dei salari e un aumento generalizzato dei prezzi. Il tutto è avvenuto legalmente. Chiunque gioca in borsa sa che i rendimenti sono irrisori. E che nei prossimi 30 anni potrebbe succedere di tutto. Meglio investire i propri soldi da sè. Molto meglio fidarsi delle proprie piccole conoscenze ma sicure magari diversificando tra titoli di stato, obbligazioni libretti postali e conti correnti normali. E’ meglio, molto meglio fidarsi di se stessi che di altri. E’ quello che facciamo tutti qua in banca. Secondo lei io tengo i miei soldi nel conto corrente della banca? No e come me molti miei colleghi, nonostante abbiamo delle condizioni di favore.
Pisa, stabilizzazione dei lavoratori precari in Comune
L’assessore al Personale chiarisce la posizione dell’Amministrazione. I venti posti, fino ad ora coperti a tempo determinato, saranno messi a concorso
“La Finanziaria, pur non prefigurando nessun automatismo, dà la facoltà agli enti, che abbiano un piano assunzioni, di stabilizzare i lavoratori che abbiano alle spalle almeno tre anni non consecutivi di contratto a tempo determinato e aver sostenuto un prova selettiva pubblica”. L’assessore al Personale del Comune di Pisa, Federico Eligi, spiega la posizione dell’Amministrazione nei confronti dei 20 posti di lavoro coperti, fino ad ora a tempo determinato.
“Il Comune di Pisa – spiega Eligi in una nota - ha da tempo avviato, anche attraverso la costituzione di proprie società (SEPI, Farmacie spa, eccetera) il processo di stabilizzazione dei posti di lavoro precario. A partire dal 2003 si è proceduto tramite il Formez (agenzia della Presidenza del Consiglio), alla individuazione dei posti vacanti all'interno dell’ente. A seguito dell'individuazione delle carenze strutturali dell'ente, che ammontano a 20 unità, si è proceduto alla copertura di quei posti con contratti a tempo determinato, in attesa della possibilità di indire concorsi pubblici. Appena uscito il DPCM che dava la possibilità di assumere dopo anni di blocco, era ancora in carica Berlusconi, abbiamo attivato tutte le procedure per indire i concorsi. A seguito delle anticipazioni della Finanziaria che apriva alla possibilità per i comuni di stabilizzare i lavoratori precari, abbiamo deciso di attendere il testo definivo: infatti dalle indiscrezioni si apriva per il Comune di Pisa la possibilità di stabilizzare non solo il posto di lavoro, così come avevamo fatto, ma anche il lavoratore precario che occupava quel posto”.
Ma per quanto riguarda il Comune di Pisa “nessuno dei lavoratori che occupano i posti individuati dal piano assunzioni, da un attento esame effettuato dai nostri uffici, rientrano nella fattispecie prevista dalla Finanziaria”. Tutto quello che si può fare ora, conclude, è “applicare la legge in modo rigoroso e procedere all'indizione dei concorsi, pur prevedendo all'interno del bando la possibilità di garantire tutte le forme possibili di riconoscimento del lavoro svolto dagli attuali lavoratori precari”.
(25/01/2007)
“La Finanziaria, pur non prefigurando nessun automatismo, dà la facoltà agli enti, che abbiano un piano assunzioni, di stabilizzare i lavoratori che abbiano alle spalle almeno tre anni non consecutivi di contratto a tempo determinato e aver sostenuto un prova selettiva pubblica”. L’assessore al Personale del Comune di Pisa, Federico Eligi, spiega la posizione dell’Amministrazione nei confronti dei 20 posti di lavoro coperti, fino ad ora a tempo determinato.
“Il Comune di Pisa – spiega Eligi in una nota - ha da tempo avviato, anche attraverso la costituzione di proprie società (SEPI, Farmacie spa, eccetera) il processo di stabilizzazione dei posti di lavoro precario. A partire dal 2003 si è proceduto tramite il Formez (agenzia della Presidenza del Consiglio), alla individuazione dei posti vacanti all'interno dell’ente. A seguito dell'individuazione delle carenze strutturali dell'ente, che ammontano a 20 unità, si è proceduto alla copertura di quei posti con contratti a tempo determinato, in attesa della possibilità di indire concorsi pubblici. Appena uscito il DPCM che dava la possibilità di assumere dopo anni di blocco, era ancora in carica Berlusconi, abbiamo attivato tutte le procedure per indire i concorsi. A seguito delle anticipazioni della Finanziaria che apriva alla possibilità per i comuni di stabilizzare i lavoratori precari, abbiamo deciso di attendere il testo definivo: infatti dalle indiscrezioni si apriva per il Comune di Pisa la possibilità di stabilizzare non solo il posto di lavoro, così come avevamo fatto, ma anche il lavoratore precario che occupava quel posto”.
Ma per quanto riguarda il Comune di Pisa “nessuno dei lavoratori che occupano i posti individuati dal piano assunzioni, da un attento esame effettuato dai nostri uffici, rientrano nella fattispecie prevista dalla Finanziaria”. Tutto quello che si può fare ora, conclude, è “applicare la legge in modo rigoroso e procedere all'indizione dei concorsi, pur prevedendo all'interno del bando la possibilità di garantire tutte le forme possibili di riconoscimento del lavoro svolto dagli attuali lavoratori precari”.
(25/01/2007)
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Precari della sanità di Brindisi: le iniziative
Il tema della stabilizzazione dei precari nel comparto della sanità è una questione che il Centro sinistra ha ritenuto di fare proprio sin dall’ultima campagna elettorale. Va dato atto che alcune scelte regionali hanno affrontato il problema dando però risposte parziali . Chi vive di lavoro precario però, ha bisogno di certezze per l’oggi e soprattutto per il domani. La ASL BR, dopo anni di attesa, ha finalmente concluso un concorso per 75 Infermieri professionali bandito nel lontano 2000. La graduatoria conclusiva, su 75 posti dichiara idonei oltre 1000 partecipanti, la stragrande maggioranza dei quali già lavora con la ASL con incarichi semestrali. Questa situazione ha determinato la nascita di un coordinamento del personale sanitario precario della ASL BR che intendono portare avanti tutta una serie di iniziative tese a porre il problema della stabilizzazione di questo personale. La prima iniziativa, sul tema “Quale futuro per il personale sanitario precario della ASL BR” si terrà venerdì 26 gennaio 2007 con inizio alle ore 17,30 a Brindisi presso il Salone Congressi dell’Hotel Barsotti. I lavori verranno introdotti dal Dott. Salvatore Brigante, componente della Direzione cittadina dei DS. Alla iniziativa partecipa il Dott. Emanuele Vinci, Direttore Sanitario della ASL BR/1, mentre le conclusione verranno tratte dal Consigliere regionale DS Pino Romano, capogruppo della Commissione Sanità della Regione Puglia. E’ stata, inoltre, richiesta la formale partecipazione all’iniziativa delle segreterie provinciali del Settore Sanità di CGIL CISL e UIL. Tutti gli interessati al problema sono invitati a partecipare numerosi.
Il Coordinamento personale sanitario precario della ASL BR
1/25/2007
Il Coordinamento personale sanitario precario della ASL BR
1/25/2007
18.1.07
San Precario patrono degli istruttori
Lavorano senza garanzie, una palestra su cinque non ha neanche un assunto. L'istruttore sportivo è un lavoro «neanche precario, precarissimo», denuncia Beppe Fiorolli, del sindacato dei lavoratori dello sport e dello spettacolo Cgil. Grazie anche alla legge Pescante che di fatto ha "legalizzato" il lavoro nero
di Eleonora De Bernardi
Solo due dipendenti fissi per palestra. E' la media delle persone assunte nei centri sportivi privati in provincia di Bologna. Secondo la Camera di commercio, delle 49 imprese che hanno fornito i dati sul personale (presumibilmente le più grandi e organizzate), il 90% ha meno di cinque lavoratori fissi mentre il 20% non ne ha neanche uno. Ne emerge una situazione in cui il lavoro a tempo determinato è più unico che raro. Il gestore di una palestra ammette: «Per far funzionare un centro di media grandezza con 500 abbonati, ci vogliono almeno una ventina di operatori sportivi. Di questi, la quasi totalità sono precari. Quando uno fa solo qualche corso a settimana, come fai?».
Due ore di qua, quattro di là. Quando scampano al sommerso, gli istruttori lavorano o con una collaborazione a progetto o con un contratto che nella pratica è simile al lavoro nero, anche se legalmente non lo è. Si chiama legge Pescante: permette a chi lavora per un ente di promozione sportiva no profit di incassare fino a 7.500 euro all’anno di "rimborso spese", di fatto un reddito non tassato, ma che non dà tutele. Spesso anche le palestre private a scopo di lucro riescono ad utilizzare questa legge: basta appoggiarsi ad un ente no profit o crearne uno all’interno della palestra per disporre di personale senza dover dare garanzie né pagare contributi.
«La legge Pescante - spiega Beppe Fiorolli, di Cgil-Slc – è nata per favorire l'associazionismo, ma nella pratica per centri sportivi e palestre è un modo per avere lavoratori specializzati con pochi vincoli contrattuali: niente tasse né contributi, nessuna tariffa fissa per le varie prestazioni e, di fatto, licenziamento libero. Quando la palestra non ha più bisogno del lavoratore, basta non chiamarlo più». Inoltre, continua Fiorolli, «pochi degli operatori sportivi presi con questa legge, hanno una lettera di incarico in cui sono scritte nero su bianco le mansioni che si devono svolgere, i diritti e i doveri».
Franz (il nome è di fantasia) ha alle spalle vent'anni di precariato e di lavoro nero. «Ora sono fuori dal guado, perché ho avuto una cattedra di educazione fisica. Ma è stata dura». Tuttora lavora in una palestra e ne ha viste di tutti i colori. «Questa legge è un bluff. Non solo perché ormai ne fanno ampiamente uso anche le palestre a scopo di lucro, soprattutto le piccole e medie. Ma anche perché il tetto si può facilmente aggirare: se viene un controllo io risulto sotto la legge Pescante, ma se poi faccio qualche ora in più il mio titolare mi aggiunge una busta con i soldi in contanti. Oppure lo stesso istruttore che lavora in più palestre chiede ai suoi datori di lavoro di dichiarare un po' meno per rientrare sotto i 7500 euro».
Ma tutto sommato l'istruttore ci guadagna poco. «C'è da chiedersi come mai non è mai aumentato il massimale previsto dalla legge Pescante con l'aumentare del costo della vita. Un tempo con un milione e duecento mila lire ci potevi vivere, oggi con 620 euro non paghi neanche l’affitto» dice Franz. Un responsabile della sala attrezzi guadagna dai 7 ai 10 euro l'ora. Chi tiene un corso anche il doppio o il triplo. Ma non esistono malattie pagate: se non puoi andare a lavorare, non guadagni niente.
Ma come si fa a lavorare così? Franz ride: «Eh, incroci le dita e preghi San Gennaro! È un rischio. Tra l'altro, pochissime palestre ti fanno l'assicurazione per responsabilità civile. Se uno mi fa causa perché sostiene che gli ho insegnato male a fare gli esercizi, posso andare nei guai».
E la pensione? Altro miraggio. «È impensabile potersi pagare un fondo pensione con lo stipendio che si ottiene. Bisogna contare che la stragrande maggioranza quando va bene guadagna 700, 800 euro al mese». Secondo Franz dunque, soprattutto per le nuove generazioni il futuro è «lavorare nello sport come secondo lavoro o finché si è giovani, poi cambiare o sperare di entrare nella scuola pubblica». Fiorolli, della Cgil su questo non lascia speranza: «L’insegnamento per un bel po’ resterà un'opportunità solo per pochi: da quando hanno unificato i corsi per maschi e femmine, c'è stato un taglio del 50% dei posti». Insomma per lavorare nello sport, ci vuole un fisico bestiale e muscoli flessibili.
di Eleonora De Bernardi
Solo due dipendenti fissi per palestra. E' la media delle persone assunte nei centri sportivi privati in provincia di Bologna. Secondo la Camera di commercio, delle 49 imprese che hanno fornito i dati sul personale (presumibilmente le più grandi e organizzate), il 90% ha meno di cinque lavoratori fissi mentre il 20% non ne ha neanche uno. Ne emerge una situazione in cui il lavoro a tempo determinato è più unico che raro. Il gestore di una palestra ammette: «Per far funzionare un centro di media grandezza con 500 abbonati, ci vogliono almeno una ventina di operatori sportivi. Di questi, la quasi totalità sono precari. Quando uno fa solo qualche corso a settimana, come fai?».
Due ore di qua, quattro di là. Quando scampano al sommerso, gli istruttori lavorano o con una collaborazione a progetto o con un contratto che nella pratica è simile al lavoro nero, anche se legalmente non lo è. Si chiama legge Pescante: permette a chi lavora per un ente di promozione sportiva no profit di incassare fino a 7.500 euro all’anno di "rimborso spese", di fatto un reddito non tassato, ma che non dà tutele. Spesso anche le palestre private a scopo di lucro riescono ad utilizzare questa legge: basta appoggiarsi ad un ente no profit o crearne uno all’interno della palestra per disporre di personale senza dover dare garanzie né pagare contributi.
«La legge Pescante - spiega Beppe Fiorolli, di Cgil-Slc – è nata per favorire l'associazionismo, ma nella pratica per centri sportivi e palestre è un modo per avere lavoratori specializzati con pochi vincoli contrattuali: niente tasse né contributi, nessuna tariffa fissa per le varie prestazioni e, di fatto, licenziamento libero. Quando la palestra non ha più bisogno del lavoratore, basta non chiamarlo più». Inoltre, continua Fiorolli, «pochi degli operatori sportivi presi con questa legge, hanno una lettera di incarico in cui sono scritte nero su bianco le mansioni che si devono svolgere, i diritti e i doveri».
Franz (il nome è di fantasia) ha alle spalle vent'anni di precariato e di lavoro nero. «Ora sono fuori dal guado, perché ho avuto una cattedra di educazione fisica. Ma è stata dura». Tuttora lavora in una palestra e ne ha viste di tutti i colori. «Questa legge è un bluff. Non solo perché ormai ne fanno ampiamente uso anche le palestre a scopo di lucro, soprattutto le piccole e medie. Ma anche perché il tetto si può facilmente aggirare: se viene un controllo io risulto sotto la legge Pescante, ma se poi faccio qualche ora in più il mio titolare mi aggiunge una busta con i soldi in contanti. Oppure lo stesso istruttore che lavora in più palestre chiede ai suoi datori di lavoro di dichiarare un po' meno per rientrare sotto i 7500 euro».
Ma tutto sommato l'istruttore ci guadagna poco. «C'è da chiedersi come mai non è mai aumentato il massimale previsto dalla legge Pescante con l'aumentare del costo della vita. Un tempo con un milione e duecento mila lire ci potevi vivere, oggi con 620 euro non paghi neanche l’affitto» dice Franz. Un responsabile della sala attrezzi guadagna dai 7 ai 10 euro l'ora. Chi tiene un corso anche il doppio o il triplo. Ma non esistono malattie pagate: se non puoi andare a lavorare, non guadagni niente.
Ma come si fa a lavorare così? Franz ride: «Eh, incroci le dita e preghi San Gennaro! È un rischio. Tra l'altro, pochissime palestre ti fanno l'assicurazione per responsabilità civile. Se uno mi fa causa perché sostiene che gli ho insegnato male a fare gli esercizi, posso andare nei guai».
E la pensione? Altro miraggio. «È impensabile potersi pagare un fondo pensione con lo stipendio che si ottiene. Bisogna contare che la stragrande maggioranza quando va bene guadagna 700, 800 euro al mese». Secondo Franz dunque, soprattutto per le nuove generazioni il futuro è «lavorare nello sport come secondo lavoro o finché si è giovani, poi cambiare o sperare di entrare nella scuola pubblica». Fiorolli, della Cgil su questo non lascia speranza: «L’insegnamento per un bel po’ resterà un'opportunità solo per pochi: da quando hanno unificato i corsi per maschi e femmine, c'è stato un taglio del 50% dei posti». Insomma per lavorare nello sport, ci vuole un fisico bestiale e muscoli flessibili.
Lavoratori 118 in sciopero della fame
GARGANO, giovedì 18 gennaio 2007 - ORE 12.21
PRC: 'tavolo regionale non più rinviabile'
Gli Autisti, gli Infermieri del 118 del Gargano Nord e la FLAICA CUB sono, da oggi, in sciopero della fame. “Sciopero che sarà interrotto – affermano in una nota - solo se avremo certezza dell’apertura di un tavolo di confronto con il Presidente Vendola e con l’Assessore Tedesco volto a superare definitivamente i problemi posti in essere dalla vertenza in atto”. I lavoratori e i sindacati ricordano che l’azione intrapresa non influirà sul regolare svolgimento del servizio che sarà garantito nella massima sicurezza per i lavoratori e per i cittadini costretti a rivolgersi al servizio stesso.
Intanto il Gruppo di Rifondazione Comunista si offre come mediatore tra i lavoratori e la Regione Puglia al fine di individuare gli strumenti più idonei per affrontare e risolvere la vertenza. “Pur consci degli ostacoli legislativi attuali, - afferma il capogruppo di Rifondazione comunista, Arcangelo Sannicandro - ci sembra comunque non rinviabile un tavolo regionale sulla questione del 118, tavolo al quale si invita sin da ora l’Assessore alla Sanità Tedesco, il Presidente Vendola e i lavoratori precari”.
Daniela Zazzara
PRC: 'tavolo regionale non più rinviabile'
Gli Autisti, gli Infermieri del 118 del Gargano Nord e la FLAICA CUB sono, da oggi, in sciopero della fame. “Sciopero che sarà interrotto – affermano in una nota - solo se avremo certezza dell’apertura di un tavolo di confronto con il Presidente Vendola e con l’Assessore Tedesco volto a superare definitivamente i problemi posti in essere dalla vertenza in atto”. I lavoratori e i sindacati ricordano che l’azione intrapresa non influirà sul regolare svolgimento del servizio che sarà garantito nella massima sicurezza per i lavoratori e per i cittadini costretti a rivolgersi al servizio stesso.
Intanto il Gruppo di Rifondazione Comunista si offre come mediatore tra i lavoratori e la Regione Puglia al fine di individuare gli strumenti più idonei per affrontare e risolvere la vertenza. “Pur consci degli ostacoli legislativi attuali, - afferma il capogruppo di Rifondazione comunista, Arcangelo Sannicandro - ci sembra comunque non rinviabile un tavolo regionale sulla questione del 118, tavolo al quale si invita sin da ora l’Assessore alla Sanità Tedesco, il Presidente Vendola e i lavoratori precari”.
Daniela Zazzara
Cattedre vietate agli under 40
Ateneo sempre più vecchio
Ilaria Venturi
I giovani assunti sono meno del 10%
L´ateneo più antico imbianca. Nei capelli dei suoi professori. I trentenni in «cattedra» all´Alma Mater sono appena 36. A dirlo sono i dati del ministero a dicembre 2005: solo tre gli ordinari, che ora hanno 39 anni; 33 gli associati, il primo gradino di accesso al titolo di professore. In complesso, i docenti e ricercatori tra i 32 e i 38 anni sono 284 su circa 3.200 assunti.
Addio alla cattedra entro i quarant´anni. Il progressivo invecchiamento dell´Università italiana non esclude Bologna che conta, racconta l´Annuario 2005, oltre 650 ordinari e associati ultrasessantenni. Con una prospettiva ancora più allarmante. Chi lascerà il posto nei prossimi anni non farà spazio ai giovani.
Nessuna nuova assunzione sino al 2008 se non arriveranno i soldi dal governo. E´ lo stesso rettore ad annunciarlo: «Quest´anno e nel 2008 dovremo utilizzare le risorse liberate da chi va in pensione per pagare gli incrementi annuali di stipendio, che neppure decido io, di chi è già assunto». Una prospettiva che agita i presidi nelle Facoltà. Al punto che Santino Prosperi, alla guida di Veterinaria, lancia una provocazione: «Sono pronto al blocco degli aumenti pur di assumere i giovani». Il grande esodo dall´Alma Mater è previsto tra il 2012 e il 2013; da quest´anno al 2010 gli uffici stimano, per difetto, 230 «uscite dai ruoli». Poi ci sarà almeno il raddoppio, un ritiro di massa. Due fenomeni che viaggiano insieme. «Il problema c´è, occorre per questo una politica coraggiosa. Al di sopra dei 65 anni bisognerebbe cominciare a lasciare», commenta Prosperi che racconta di chi è in attesa. «Hanno meno di 30 anni, sono tutti andati all´estero, hanno dottorati e post-dottorati alle spalle e che prospettive hanno? Nessuna. In un anno potrei assumere sei, sette precari se si sbloccasse la situazione». Sull´invecchiamento il rettore frena. «Nella ricerca conta anche l´esperienza, non è questo che ingessa la ricerca. E´ vero, comunque, che le cose stanno peggiorando, un tempo si andava in cattedra prima, ma perché erano gli anni di massima espansione dell´Università».
Calzolari sposta il tiro: «Se mancano uscite laterali dall´Università non c´è salvezza, il problema è che la società non utilizza la ricerca, non offre ai giovani posizioni differenti. A Bologna abbiamo anticipato l´incremento dei ricercatori, 350 in tre anni. Ma il problema non si risolve». Per Ivano Dionigi, voce dei direttori di dipartimenti, «occorre attrezzarsi subito di fronte all´esodo di massa che arriverà tra un lustro e a fronte del fatto che si è persa almeno una generazione di arruolamento».
«Ai giovani è riservato solo precariato», dice Anna Borghi, voce della Rete dei ricercatori precari. Nelle Facoltà scientifiche il problema è più sentito. «Le persone formano il loro curriculum scientifico entro i 40 anni, per questo da noi il fenomeno è preoccupante, lo stiamo avvertendo», dice Lorenzo Donatiello, preside di Scienze. «Ormai diventare ricercatore a 30 anni, associato a 35 e ordinario a 40 è un miraggio». Amara conclusione.
(17 gennaio 2007)
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Ilaria Venturi
I giovani assunti sono meno del 10%
L´ateneo più antico imbianca. Nei capelli dei suoi professori. I trentenni in «cattedra» all´Alma Mater sono appena 36. A dirlo sono i dati del ministero a dicembre 2005: solo tre gli ordinari, che ora hanno 39 anni; 33 gli associati, il primo gradino di accesso al titolo di professore. In complesso, i docenti e ricercatori tra i 32 e i 38 anni sono 284 su circa 3.200 assunti.
Addio alla cattedra entro i quarant´anni. Il progressivo invecchiamento dell´Università italiana non esclude Bologna che conta, racconta l´Annuario 2005, oltre 650 ordinari e associati ultrasessantenni. Con una prospettiva ancora più allarmante. Chi lascerà il posto nei prossimi anni non farà spazio ai giovani.
Nessuna nuova assunzione sino al 2008 se non arriveranno i soldi dal governo. E´ lo stesso rettore ad annunciarlo: «Quest´anno e nel 2008 dovremo utilizzare le risorse liberate da chi va in pensione per pagare gli incrementi annuali di stipendio, che neppure decido io, di chi è già assunto». Una prospettiva che agita i presidi nelle Facoltà. Al punto che Santino Prosperi, alla guida di Veterinaria, lancia una provocazione: «Sono pronto al blocco degli aumenti pur di assumere i giovani». Il grande esodo dall´Alma Mater è previsto tra il 2012 e il 2013; da quest´anno al 2010 gli uffici stimano, per difetto, 230 «uscite dai ruoli». Poi ci sarà almeno il raddoppio, un ritiro di massa. Due fenomeni che viaggiano insieme. «Il problema c´è, occorre per questo una politica coraggiosa. Al di sopra dei 65 anni bisognerebbe cominciare a lasciare», commenta Prosperi che racconta di chi è in attesa. «Hanno meno di 30 anni, sono tutti andati all´estero, hanno dottorati e post-dottorati alle spalle e che prospettive hanno? Nessuna. In un anno potrei assumere sei, sette precari se si sbloccasse la situazione». Sull´invecchiamento il rettore frena. «Nella ricerca conta anche l´esperienza, non è questo che ingessa la ricerca. E´ vero, comunque, che le cose stanno peggiorando, un tempo si andava in cattedra prima, ma perché erano gli anni di massima espansione dell´Università».
Calzolari sposta il tiro: «Se mancano uscite laterali dall´Università non c´è salvezza, il problema è che la società non utilizza la ricerca, non offre ai giovani posizioni differenti. A Bologna abbiamo anticipato l´incremento dei ricercatori, 350 in tre anni. Ma il problema non si risolve». Per Ivano Dionigi, voce dei direttori di dipartimenti, «occorre attrezzarsi subito di fronte all´esodo di massa che arriverà tra un lustro e a fronte del fatto che si è persa almeno una generazione di arruolamento».
«Ai giovani è riservato solo precariato», dice Anna Borghi, voce della Rete dei ricercatori precari. Nelle Facoltà scientifiche il problema è più sentito. «Le persone formano il loro curriculum scientifico entro i 40 anni, per questo da noi il fenomeno è preoccupante, lo stiamo avvertendo», dice Lorenzo Donatiello, preside di Scienze. «Ormai diventare ricercatore a 30 anni, associato a 35 e ordinario a 40 è un miraggio». Amara conclusione.
(17 gennaio 2007)
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Ecco il rapporto dei sindacati sul precariato nell'Università
Carlo ha 36 anni, è ricercatore alla Sapienza, ha una fidanzata e vorrebbe sposarsi. Ma non riesce a comprare casa, né può permettersi di pagare un affitto. Francesca anche. Ricercatrice da cinque anni, spera un giorno di diventare mamma. Ma per ora non può permetterselo: la gravidanza e poi la maternità la allontanerebbero dal giro. Intanto gli anni passano. Maria, dopo anni di ricerca, alla fine è stata costretta ad una difficile scelta: ha deciso di cambiare lavoro e rinunciare al sogno della sua vita.
Tre storie, tre esempi di come vivono oggi i ricercatori precari nel mondo della scienza. Con stipendi che variano dagli 800 ai 1200 euro al mese e l’impossibilità di programmare la propria vita o di pensare a metter su famiglia. La conferma arriva da un rapporto curato dalla Nidil-Cgil sul mondo della precarietà nei settori dell’Università e della ricerca secondo il quale si tratta di stipendi molto inferiori alla media europea. Ma per i ricercatori scientifici il problema della precarietà è ancora più grave poiché spesso, trascorso un certo numero di anni, non possono rinnovare i contratti da ricercatore e ciò li spinge ad accettare altri tipi di contratti di collaborazione, con il risultato di allontanarsi dal percorso di carriera cui si sono dedicati interi anni. Una situazione che la Cgil definisce “allarmante”, se si considera che in Italia “il 60% di chi lavora nelle università nel settore ricerca non ha un contratto a tempo indeterminato.
Dal rapporto emerge anche che un ricercatore su quattro ha più di 35 anni e il 65% si lamenta della propria condizione economica. A fronte di stipendi minimi, i tempi lavorativi sono però notevoli: il 50% dei ricercatori, rileva la Nidil-Cgil, lavora oltre 38 ore alla settimana, con punte anche di 45 ore. Condizioni che spingono la maggioranza a scelte forzate sul piano della vita privata, tanto che l’82% degli interpellati non ha figli.
Tre storie, tre esempi di come vivono oggi i ricercatori precari nel mondo della scienza. Con stipendi che variano dagli 800 ai 1200 euro al mese e l’impossibilità di programmare la propria vita o di pensare a metter su famiglia. La conferma arriva da un rapporto curato dalla Nidil-Cgil sul mondo della precarietà nei settori dell’Università e della ricerca secondo il quale si tratta di stipendi molto inferiori alla media europea. Ma per i ricercatori scientifici il problema della precarietà è ancora più grave poiché spesso, trascorso un certo numero di anni, non possono rinnovare i contratti da ricercatore e ciò li spinge ad accettare altri tipi di contratti di collaborazione, con il risultato di allontanarsi dal percorso di carriera cui si sono dedicati interi anni. Una situazione che la Cgil definisce “allarmante”, se si considera che in Italia “il 60% di chi lavora nelle università nel settore ricerca non ha un contratto a tempo indeterminato.
Dal rapporto emerge anche che un ricercatore su quattro ha più di 35 anni e il 65% si lamenta della propria condizione economica. A fronte di stipendi minimi, i tempi lavorativi sono però notevoli: il 50% dei ricercatori, rileva la Nidil-Cgil, lavora oltre 38 ore alla settimana, con punte anche di 45 ore. Condizioni che spingono la maggioranza a scelte forzate sul piano della vita privata, tanto che l’82% degli interpellati non ha figli.
Più posti fissi nei call center Comdata
Un accordo sindacale prevede l'assunzione a tempo indeterminato di 350 operatori a Torino e a Ivrea.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 17-01-2007]
La circolare del ministro Damiano sul lavoro nei call center che prevede che gli operatori inbound (cioè che ricevono le chiamate) non possano essere assunti con contratto a progetto. I bonus, previsti dalla nuova Finanziaria, per le aziende che trasformano i contratti precari in posti fissi, cominciano a dare dei frutti positivi in fatto di riduzione della precarietà del lavoro in questo settore.
In Piemonte, infatti, in questi giorni i sindacati di settore Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil e l'azienda di call center Comdata hanno siglato un accordo che prevede entro la fine dell'anno l'assunzione in pianta stabile di 350 operatori delle sedi di Torino e Ivrea, quelli che hanno già alle spalle 18 mesi di lavoro a termine presso la stessa azienda.
Comdata svolge attività di risposta in outsourcing per i servizi di assistenza clienti di Telecom Italia (il 187 e il 191) ma anche per i numeri verdi di aziende come Enel, Lavazza, Delonghi e Carrefour.
In questo modo si rispettano le percentuali previste dal contratto nazionale di lavoro delle Telco di un buon 60% di lavoratori a tempo indeterminato, contro il 40% a termine.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 17-01-2007]
La circolare del ministro Damiano sul lavoro nei call center che prevede che gli operatori inbound (cioè che ricevono le chiamate) non possano essere assunti con contratto a progetto. I bonus, previsti dalla nuova Finanziaria, per le aziende che trasformano i contratti precari in posti fissi, cominciano a dare dei frutti positivi in fatto di riduzione della precarietà del lavoro in questo settore.
In Piemonte, infatti, in questi giorni i sindacati di settore Slc-Cgil, Fistel-Cisl e Uilcom-Uil e l'azienda di call center Comdata hanno siglato un accordo che prevede entro la fine dell'anno l'assunzione in pianta stabile di 350 operatori delle sedi di Torino e Ivrea, quelli che hanno già alle spalle 18 mesi di lavoro a termine presso la stessa azienda.
Comdata svolge attività di risposta in outsourcing per i servizi di assistenza clienti di Telecom Italia (il 187 e il 191) ma anche per i numeri verdi di aziende come Enel, Lavazza, Delonghi e Carrefour.
In questo modo si rispettano le percentuali previste dal contratto nazionale di lavoro delle Telco di un buon 60% di lavoratori a tempo indeterminato, contro il 40% a termine.
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Vertenza Why Not, la Cisl sollecita la Regione
LAMEZIA TERME - Stabilizzare i 200 lavoratori precari dell'azienda Why Not di Lamezia che lavorano negli uffici regionali. Questa la richiesta che arriva dopo una riunione nella sede della Cisl regionale con i lavoratori dipendenti della Why Not.
All'incontro, alla presenza di Rosetta Raso (segretario nazionale della Fisascat Cisl, è stato fatto "il punto della situazione" dopo il decreto di proroga emesso il 29 dicembre scorso e valido fino al 31 marzo prossimo, per tutti i lavoratori impegnati nei servizi esternalizzati della Regione Calabria, nelle more del bando di gara con l'indizione della procedura aperta per la gestione integrata dei servizi di censimento del patrimonio immobiliare e della difesa dell'ambiente e del territorio (sorveglianza idraulica, erosione costiera, monitoraggio permanente dello stato d'uso dei depuratori ).
«Nel bando di gara – si legge in una nota sindacale - non sono previsti i servizi amministrativi che interessano circa 200 lavoratori impegnati da oltre 5 anni nella gestione degli uffici amministrativi della Regione».
Dal sindacato viene sollecitata una soluzione occupazionale che riguarda anche questi lavoratori: «Auspichiamo una soluzione adeguata a dare garanzie a tutti i lavoratori impegnati negli attuali servizi con la precisazione che vigilerà e terrà alta l'attenzione sino a quando la giunta non sarà consequenziale con gli impegni assunti negli accordi siglati e non assumerà le determinazioni necessarie».
All'incontro, alla presenza di Rosetta Raso (segretario nazionale della Fisascat Cisl, è stato fatto "il punto della situazione" dopo il decreto di proroga emesso il 29 dicembre scorso e valido fino al 31 marzo prossimo, per tutti i lavoratori impegnati nei servizi esternalizzati della Regione Calabria, nelle more del bando di gara con l'indizione della procedura aperta per la gestione integrata dei servizi di censimento del patrimonio immobiliare e della difesa dell'ambiente e del territorio (sorveglianza idraulica, erosione costiera, monitoraggio permanente dello stato d'uso dei depuratori ).
«Nel bando di gara – si legge in una nota sindacale - non sono previsti i servizi amministrativi che interessano circa 200 lavoratori impegnati da oltre 5 anni nella gestione degli uffici amministrativi della Regione».
Dal sindacato viene sollecitata una soluzione occupazionale che riguarda anche questi lavoratori: «Auspichiamo una soluzione adeguata a dare garanzie a tutti i lavoratori impegnati negli attuali servizi con la precisazione che vigilerà e terrà alta l'attenzione sino a quando la giunta non sarà consequenziale con gli impegni assunti negli accordi siglati e non assumerà le determinazioni necessarie».
Giappone, romanzo su precari vince premio più prestigioso
mercoledì, 17 gennaio 2007
TOKYO (Reuters) - Un'impiegata di 23 anni di Tokio che ha vinto ieri il più prestigioso premio letterario del Paese, ha detto che vuole che il suo libro aiuti i giovani che hanno paura di crescere e di diventare indipendenti.
Nanae Aoyama ha vinto il premio Akutagawa con il romanzo "Hitoribiyori" ("Essere soli"), in cui racconta la storia di una ragazza senza un lavoro fisso che vive con un parente anziano e che sogna di poter essere indipendente.
La storia raccontata nel romanzo riflette una tendenza diffusa tra i giovani giapponesi, che non sono in grado o non vogliono trovare un lavoro a tempo pieno. In molti vivono ancora con la famiglia, anche perché il loro stipendio non gli permette di affittare un appartamento.
"La gente ha paura di lanciarsi nel mondo che sta fuori, spesso senza però sapere il perché", ha spiegato Aoyama ai giornalisti al momento della premiazione. "Anch'io mi sento così" ha aggiunto.
"Vorrei che la gente sapesse che una volta fatto il primo passo, poi si va avanti naturalmente".
Aoyama che ha vinto un premio in denaro di 1 milione di yen (ovvero 8.277 dollari), ha detto che non ha intenzione di lasciare il suo attuale lavoro di impiegata.
TOKYO (Reuters) - Un'impiegata di 23 anni di Tokio che ha vinto ieri il più prestigioso premio letterario del Paese, ha detto che vuole che il suo libro aiuti i giovani che hanno paura di crescere e di diventare indipendenti.
Nanae Aoyama ha vinto il premio Akutagawa con il romanzo "Hitoribiyori" ("Essere soli"), in cui racconta la storia di una ragazza senza un lavoro fisso che vive con un parente anziano e che sogna di poter essere indipendente.
La storia raccontata nel romanzo riflette una tendenza diffusa tra i giovani giapponesi, che non sono in grado o non vogliono trovare un lavoro a tempo pieno. In molti vivono ancora con la famiglia, anche perché il loro stipendio non gli permette di affittare un appartamento.
"La gente ha paura di lanciarsi nel mondo che sta fuori, spesso senza però sapere il perché", ha spiegato Aoyama ai giornalisti al momento della premiazione. "Anch'io mi sento così" ha aggiunto.
"Vorrei che la gente sapesse che una volta fatto il primo passo, poi si va avanti naturalmente".
Aoyama che ha vinto un premio in denaro di 1 milione di yen (ovvero 8.277 dollari), ha detto che non ha intenzione di lasciare il suo attuale lavoro di impiegata.
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