(da Apogeonline)
di Roberto Venturini
D'accordo che il nuovo lavoro è nomade e atipico, ma del bimbo urlante accanto al pc che cosa ne facciamo? Qualche soluzione empirica e una buona idea (andata a monte).
Quando chiacchiero con la mia anziana madre, cresciuta nell’ordinato mondo delle aziende strutturate e stabili, ho a volte delle difficoltà a spiegarle il disordinato e instabile procedere della società in cui ci tocca di vivere. La faccenda dei lavori temporanei, della virtuale impossibilità di rientrare nel mondo del lavoro una volta sparati fuori a una certa età, delle aziende diventate anch’esse virtuali, dell’indifferenza della fisicità della sede operativa… sono concetti che fa fatica a inquadrare – al di fuori del concetto di anomalie rispetto a un naturale ordine delle cose che ci vuole tutti i giorni seduti a una scrivania ben identificabile, all’interno di una azienda solida, con l’occhio teso a una pensione il meno incerta possibile.
Lei che la pensione ce l’ha questa fatica a capire può anche farla. Per il resto di noi, invece, è giocoforza accettare e farci più o meno piacere un mondo lavorativo completamente destabilizzato, dove si intrecciano precarietà, nomadismo, il ricorso all’attività consulenziale per motivi totalmente opposti(scelta di vita o scelta di sopravvivenza), l’irrompere di Internet che ha tolto molto senso al concetto di sede, di ufficio, di gente ammassata in un unico luogo giorno dopo giorno.
Io da anni vivo felice senza un ufficio: per amore filiale lascio perdere quando mia madre sostiene che io “lavoro da casa” quando io in realtà ormai lavoro da ogni luogo, sul bus, dai clienti, in aereo, dalla barca o da un bar. Non posso certo spiegarle che in fondo sono un “neo beduino”. Bisogna ammettere che la tecnologia può darci molto – in termini di connettività ubiqua e di accesso a una mole infinita di dati, informazioni, connessioni e relazioni che ci permettono di lavorare qualitativamente e quantitativamente come mai prima nella storia. Bisogna ammettere che la tecnologia non può però darci tutto.
Anzi, alcune delle cose più preziose non ce le può dare. Ad esempio la tranquillità. La concentrazione. La focalizzazione delle nostre risorse mentali. Tutti aspetti fondamentali per riuscire a quagliare: sapeste che fatica sto facendo a concentrarmi e a terminare quest’articolo, con la mia signora e mia madre intenti a combattere in corridoio per condurre i due irriducibili figli al riposo notturno. E dato che è notte e fa freddino, non posso pensare (con tutto il supporto tecnologico del mondo) di andarmene a lavorare su una panchina di fronte al mare, o in un bar, o in biblioteca. Io sono ancora fortunato dato che, essendo in ritardo per la consegna di questo pezzo, ho ben due persone pronte a filtrarmi e a regalarmi un po’ di tempo e di concentrazione sul lavoro (a buon rendere).
In molti casi la famiglia si è ridotta a un unico genitore. E in tanti casi questo genitore (in genere questa) “lavora da casa”, il che vuol dire che deve cercare di eseguire complicati numeri di funambolismo gestendo bambino e lavoro, ad esempio lavorando velocissimamente nei rari e brevi pisolini del figlio piccolo, mentre i nonni – se ancora sopravvivono – sono magari a centinaia di chilometri di distanza. Ci si trova di fronte al dilemma se lavorare per pagare una baby sitter o non riuscire a lavorare affatto finché il bambino non va all’asilo al mattino e a qualche altra terapia occupazionale fino al tardo pomeriggio.
Le possibilità offerte dalla tecnologia e i vincoli posti da famiglie destrutturate stanno dunque portando all’orizzonte un nuovo settore di business, quello degli uffici virtuali. Spazi dove per un’ora o mezza giornata o 8 ore al giorno, possiamo trovare un angolino tranquillo, una presa di corrente, una sedia, una superficie su cui appoggiare il portatile, qualche genere di conforto, un caffé, un microonde. Se negli Stati Uniti nascono vere e proprie catene di spazi aperti a lavoratori telematici o forse nomadi, in molti altri paesi sono spazi più tradizionali che stanno iniziando ad allestire aree consone a supportare le necessità di questi nuovi lavoratori. Dalla tradizionalissima biblioteca, che offre ora il WiFi gratuito, al mio ufficio virtuale favorito: un locale della catena Starbucks, posto in posizione centralissima a Barcellona.
Un po’ nascosto dai flussi turistici, e quindi poco affollato, ha un secondo piano allestito a sale riunioni (due tavoli da 12 posti, tavolini per riunioni più piccole, accesso WiFi a caro prezzo, e secondo me tra un po’ ci mettono pure dei videoproiettori). Lo scenario, in un martedì mattino, è una stratigrafia dell’evoluzione imprenditoriale. Al basso della scala evolutiva un po’ di studenti sprofondati – libro o laptop sulle ginocchia – nelle poltrone avvolgenti. Si sale con un certo numero di startuppari che a gruppetti di due, massimo tre, si raccolgono in modo carbonaro attorno ai tavolini piccoli, cercando di inchiodare un business plan che stia in piedi (oggigiorno più di una pizzeria che di una web company). Giovani imprenditori che guardano con invidia quelli riuniti attorno ai tavoli grandi, generalmente indaffarati in presentazioni tra agenzia/fornitore/consulente-strutturato-ma-senza-fissa-dimora e cliente-nomade-e-attento-ai-costi. Ci si guarda, ci si ammicca, un po’ si ride e – Internet a parte – con 5 o 6 euro di consumazione pro capite (e qualche centinaio di calorie) una buona mattinata di lavoro la si mette insieme.
Ma il vero apice dell’evoluzione, quello che ritengo il modello killer, è quello della no profit americana Tworooms. Un luogo, posto nell’Upper West Side di Manhattan, che offre da un lato spazio per lavorare e dall’altro una nursery che si smazza i figli dei suddetti. E, tutto insieme, una community di utenti che condividono la stessa situazione. Una soluzione intelligente, che permette di lavorare senza l’ingombro del pupo, ma con la possibilità di controllarlo o di coccolarlo facendo solo pochi metri. Una soluzione tanto perfetta che ha già chiuso le porte e non prevede di riaprirle, nella migliore tradizione di milioni di ottime idee. Ma un’idea,quella di combinare tecnologia, spazio per lavorare e concentrarsi, isolamento e cura dei bambini che, coi tempi che corrono, mi sembra inevitabilmente destinata (almeno a medio termine) a rinascere e a diffondersi. Per permettere a milioni di “atipici” come noi nel mondo, di vivere/sopravvivere secondo quei modelli organizzativi flessibili e virtuali che Internet ci ha messo a portata di mano.
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