15 gennaio 2007 - Unità
Ebbene sì, sarà un paradosso, ma esistono anche i precari di lusso
Bruno Ugolini
Ebbene sì, sarà un paradosso, ma esistono anche i precari di lusso. Stanno nascosti nel vasto popolo dei flessibili. Sono gli appartenenti a quella schiera - spesso una legione - di «consulenti», adottati dalle più diverse istituzioni pubbliche. Godono sovente di paghe abbondanti che si aggiungono agli stipendi derivanti dalle loro normali occupazioni. Non sempre offrono «saperi» e strumenti indispensabili all'efficienza dell'amministrazione pubblica. Non sempre sono scelti per le loro specifiche ad acclamante competenze. Può capitare che giungano ad acchiappare quei compiti e quelle prebende solo per aver stabilito rapporti amichevoli e fraterni col dirigente politico di turno. È un fenomeno che purtroppo è sfuggito a tanti soloni, ogni giorno intenti a denunciare i «nullafacenti» del lavoro pubblico, senza l'accortezza di distinguere tra chi sputa sangue e chi fa lo sfaticato. Così in una Asl, come dietro uno sportello comunale, o in un ufficio fiscale o ministeriale.
Tutte tematiche trattate con rigore in un interessante volume dell'Ediesse «La sindacalizzazione del pubblico impiego». Una raccolta di saggi dedicata a Massimo D'Antona, curata da Pasquale Iuso, con la prefazione di Guglielmo Epifani. Un proseguimento di tale ricerca la ritroviamo poi nell'ultimo numero di «Quale Stato», la rivista della Funzione Pubblica Cgil. E qui, nell'editoriale di Paolo Nerozzi, si legge, tra l'altro, una sintesi di alcune caratteristiche del lavoro pubblico. Assai trasformato negli ultimi cinque anni. C'è stata, infatti, una continua, enorme proliferazione di Enti inutili e di società pubbliche o meglio parapubbliche: «luoghi di costruzione di un ceto politico non eletto e non controllabile democraticamente; luoghi di gestione clientelare del personale e dunque di spreco e inefficienza nell'erogazione dei servizi». Questo perché il dirigente prescelto bada più alle esigenze di chi lo ha messo in quel posto, più che alle esigenze degli utenti.
I crociati contro i «nullafacenti» non parlano di questo. E magari, scrive Nerozzi, tra di loro c'è qualche docente impegnato per poche ore al mese presso l'amministrazione pubblica (l'università) mentre dedica tempo in ricchissime consulenze ottenute dalla stessa amministrazione pubblica di cui denuncia sprechi e inefficienze. Ed è un vero peccato, che a proposito sempre di consulenze, non sia passata nella legge Finanziaria l'istituzione di «un centro unico di costo». Nessuno parla di tali aspetti. Così come non si parla di quanto ammontino le indennità di un consigliere di quartiere o di un consigliere comunale o provinciale o di un assessore. Indennità che spesso, annota il segretario della Cgil, sono il doppio delle paghe del lavoratore di un «call center». Certo, anche il sindacato ha le sue responsabilità e le sue possibilità in questo groviglio di cose.
C'è, anche qui, come denuncia Nerozzi, chi grida alla precarizzazione ma poi nella contrattazione aziendale magari privilegia i già garantiti, rispetto ai precari, o addirittura spiana la strada all'assunzione non di precari bensì dei figli di padri a posto fisso. Ed è importante la proposta della Funzione pubblica Cgil: impiegare una parte delle risorse, derivanti dagli incrementi di produttività, a sostegno della stabilizzazione delle lavoratrici e del lavoratori a tempo determinato. Così come sono importanti le parole del segretario dello stesso sindacato di categoria, Carlo Podda, quando propone di far partecipare i cittadini, gli utenti, ai vari modi di organizzare servizi delicati come quelli sanitari. E così si potrebbe anche ridurre lo spaventoso fenomeno delle infinite liste d'attesa facendo fare le analisi anche la domenica, facendo funzionare gli impianti dodici ore al giorno e non otto, oppure per sei-sette giorni alla settimana e non per cinque. Certo, il tutto facendo i conti con una dirigenza spesso ostile, afona. Questo è un modo per fare del riformismo serio, uscendo dai polveroni che lasciano il tempo che trovano.
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