21.6.06

Lavoro. Precario e pericoloso

Gli atipici rischiano infortuni, malattie professionali e morti sul lavoro molto più dei lavoratori tradizionali. In particolare tra i lavoratori temporanei i tassi di mortalità e di infortunio sono almeno due, tre volte superiori a quelli dei lavoratori stabili e permanenti, essendo generalizzata la tendenza ad assegnare a questi ultimi i compiti pericolosi, rischiosi o da prestarsi in ambienti insalubri che il personale regolare dell'impresa di norma rifiuterebbe.
Per la flessibilità che ne connota il modo di lavorare, per le condizioni estremamente individualizzate e slegate da ogni contesto collettivo, gli atipici sono sottoposti a rischi molto superiori alla norma. Spesso nel loro caso la legislazione vigente non viene osservata e, venendo a mancare la tutela sindacale, è quasi impossibile denunciare gli abusi e ottenere garanzie per la categoria. È una situazione che riguarda più di 6 milioni di lavoratori tra co.co.pro, interinali, impiegati a tempo determinato o parziale, apprendisti e giovani in formazione lavoro. L'indagine sottolinea anche come l'Inail (l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro) attribuisca proprio alla maggiore flessibilità il fatto che gli incidenti sul lavoro non diminuiscono,
individuando una correlazione tra gli infortuni in ripresa negli ultimi anni e la proliferazione delle aziende individuali. Secondo l'Inail la flessibilizzazione del lavoro porta a spostare l'attenzione dall'azienda ai singoli lavoratori, sempre più autonomi e da considerarsi individualmente, che divengono quindi inevitabilmente "gestori e beneficiari di una strategia individuale di prevenzione”.

In realtà una piccola flessione degli infortuni totali (mortali e non: -1%) c'è stata nel corso degli ultimi anni, ma stiamo sempre parlando di cifre enormi e, per essere più precisi, anche se uno solo, faticando per
portarsi il pane a casa, si facesse male, sarebbe uno di troppo.

Le cifre ufficiali e i dati reali: una premessa necessaria

Ma veniamo alle cifre disponibili per gli ultimi anni rilevate dall'Inail, ovvero degli infortuni denunciati regolarmente. Bisognerebbe infatti sapere quanti infortuni sul lavoro non vengono denunciati a causa di
possibili ritorsioni, compresa la perdita del lavoro stesso, ma non mi stupirei che questa cifra fosse alquanto ragguardevole dato che il lavoro nero in Italia copre circa un terzo del PIL complessivo con punte del 32% in agricoltura (pensiamo alla raccolta dei pomodori, delle olive, ai lavori stagionali…) e del 19% nel commercio (bar, piccoli esercizi commerciali etc). Nel complesso la forza lavoro disponibile, sommatoria dei lavoratori occupati sia come dipendenti che autonomi ed i disoccupati, ammonta (dati 2004) a 24 milioni e 365 mila unità. Si può invece pensare
che la forza lavoro in Italia impiegata in nero copra oltre i quattro milioni di persone, tenuto conto che per disoccupati e inoccupati si intendono quei lavoratori che di propria iniziativa si iscrivono alle
liste dei centri per l'impiego, pari ad 1 milione e 960mila unità e che quindi esiste una quantità almeno pari di forza lavoro non registrata da alcuna parte. Avendo il "privilegio” di lavorare presso un Centro per
l'Impiego pubblico, dalle interviste che svolgo con i disoccupati in cerca di lavoro stabile, posso tranquillamente affermare che su diverse decine
di persone che vedo mensilmente, almeno il 90% svolge un'attività non in regola per poter campare. Se dovessimo disaggregare ulteriormente i dati degli occupati pari a 24 milioni e 365mila unità scopriamo che 6 milioni e 287 mila persone svolgono in Italia un'attività che l'Inail chiama autonoma e che potremmo far ricadere sul popolo delle partite IVA, co.co.pro etc, quel popolo che sicuramente non gode di assicurazione infortunistica. Abbiamo quindi un campione che sommando i lavoratori autonomi, i disoccupati registrati ed i disoccupati non registrati arriva a coprire una cifra variabile tra gli 8 ed i 10 milioni di lavoratori e lavoratrici o non assicurati del tutto o parzialmente assicurati. Questa
premessa, che nessun ente vi fornirà mai, serve a leggere i dati che darò a proposito degli infortuni.


Infortuni

In Italia nel 2004 si sono registrati 966mila e 568 infortuni sul lavoro di cui 1278 mortali. Di questi ultimi 1.009 sono avvenuti sul posto di lavoro, mentre 269 sono avvenuti "in itinere” ovvero durante gli
spostamenti dichiarati per lavoro. Sugli spostamenti tornerò alla fine.

Nell'Industria e nei Servizi sono aumentati sia per uomini che per donne gli infortuni di lavoratori dai 50 ai 64 anni (134.00 infortuni) e addirittura sopra i 65 anni (legge Maroni sul prolungamento del lavoro
oltre la pensione) con circa 5.000 casi denunciati. Per tornare brevemente all'analisi precedente sui dati non dichiarati è assolutamente curioso notare che nella classifica tra regioni il Trentino Alto Adige denunci
3.687 infortuni in Agricoltura nel 2004 contro i 3.318 della Campania, i 4.329 della Puglia ed i 3650 della Sardegna. Nel settore Industria e Servizi il primato tocca sempre al settore Edile con 104.918 casi
dichiarati di cui 275 mortali, seguita dall'industria dei metalli con 59.856 infortuni denunciati di cui 83 mortali. Nel commercio si registrano 75.041 infortuni di cui 16.037 nel commercio e riparazione di auto (22
mortali), 20.743 nel commercio all'ingrosso (40 mortali) e 38.261 in quello al dettaglio di cui 33 mortali.

Ma le morti non mancano neppure negli alberghi e ristoranti (25 su oltre 30.655 denunciati), nella Pubblica Amministrazione (14 su 29.012 denunciati), nella Attività Immobiliari e Servizi alle Imprese (71 morti su 56.517 infortuni dichiarati). Sugli infortuni non mortali nel Complesso Industria e Servizi oltre il 34% è sottoposto ad inabilità temporanea (non vengono forniti dati sul recupero medio degli infortuni in termini di tempo né sulla qualità degli infortuni), mentre 1,49% ad Inabilità permanente. Nell'agricoltura il 53,52% è sottoposto ad inabilità temporanea, mentre il 3,53% ad inabilità permanente.

Per quanto riguarda la forza lavoro immigrata registrata ufficialmente si tratta di 1 milione e 765.578mila unità pari a circa il 7,3% della forza
lavoro totale. Ebbene il 7,3% di questa forza lavoro denuncia circa il 12% complessivo degli infortuni (si presume al ribasso vista la ricattabilità alla quale sono sottoposti) in crescita del 6% rispetto al 2003 e del 25% rispetto al 2002. In testa il Marocco con circa 23.292 infortuni dichiarati, pari al 20%, poi l'Albania con 14.645 casi denunciati pari al 12,6%, poi la Romania con 10.380 casi seguita da Tunisia (6479 pari al 5,6%), Jugoslavia (5.417 pari al 4,7%) . In testa per le morti invece ci sono i Romeni con 33 casi, seguiti dagli albanesi con 22 casi, 18 i marocchini, etc. I romeni fanno registrare un tasso elevato di morti perché sono maggiormente impiegati nelle professioni nel settore Edile e nei trasporti.

Per concludere questa carrellata sui dati faccio ancora menzione alle malattie professionali (alcune mortali a lungo termine): nel settore agricolo sono stati registrati (sempre 2004 come anno di riferimento) 1.030 casi (tendinite, ipoacusia, artrosi, sindrome tunnel carpale, bronchite cronica…) e 24.334 nei settori Industria e Servizi di cui asbestosi, silicosi, neoplasie da absesto, pneumoconiosi da silicati coprono più di 1500 lavoratori e lavoratrici ogni anno.


Incidenti sulla strada del lavoro

Un'ultima riflessione su questi dati vergognosi: mi sono spesso chiesto di coloro che, invece, si spostano per andare al lavoro e subiscono danni più o meno gravi a causa di questo. Non è una domanda leziosa dato che milioni di persone ogni giorno con mezzi pubblici e con mezzi privati si spostano per andare a lavorare. Nessuno di loro sarai mai contabilizzato nelle vittime per il lavoro, ma quello che dobbiamo dire ad onore del vero è che anche costoro fanno parte di quella grande strage che il capitalismo quotidiano produce ogni giorno.

Secondo i dati dell'Istituto nazionale di Statistica, riferiti all'anno 2003, dati assoluti, si sono verificati 225.141 incidenti con 6015 morti e 318.961 feriti. Il dato più interessante è che il numero di morti e di feriti, nonché di incidenti è pari, circa per ogni giorno della settimana, a 32.430 di lunedì con 698 morti, a 33.101 di martedì con 756 morti, a 33.231 di mercoledì con 719 morti e così via con punte di sabato e domenica con oltre 1000 morti. Ma se volessimo fare un aggregato di dati, togliendo il venerdì, anche se non sarebbe del tutto corretto, avremmo una netta prevalenza di incidenti stradali e di morti durante la settimana lavorativa ed a conferma di ciò l'Istituto Nazionale di Statistica ribadisce che le ore dove avvengono maggiormente gli incidenti sono concentrate intorno alle 8 di mattina (concomitanza con lavoro e scuola) alle 12 (lavoratori che godono dell'orario spezzato) ed alle ore 18 (uscita dal lavoro).

Quindi le discoteche, i locali notturni e l'ubriachezza molesta fanno meno danni di quanti quotidianamente ce ne procuri il lavoro; solo che per l'ideologia dominante non si può desacralizzare l'icona che ogni giorno ci permette di riprodurci dentro i suoi confini. La nostra alternativa rivoluzionaria non può che mettere in discussione la produzione, le sue modalità di regolamentazione, le sue quantità, la sua distribuzione nonché i suoi scopi. Per il presente lavorativo e sindacale occorre ribadire che sicurezza materiale e sicurezza economica non sono elementi contrattabili.

Pietro Stara

Da Umanità Nova, n 22 del 18 giugno 2006, anno 86
http://www.ecn.org/uenne

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