16.6.06

Il mestiere del giornalista

La Nazione fa parte del gruppo che comprende il Resto del Carlino e il Giorno. Dalla lettura si ricava anche una risposta a questa domanda:

Un calcio alla notizia
di Anonimo
Ci scrive un lettore italiano qualsiasi, con una semplice domanda
Giornalisti,
mi spiegate perchè oggi con tre omicidi di mafia, uno contro una persona impegnata a battersi contro il racket e due catanesi, con un bimbo di 7 anni in fin di vita, tutti i grandi giornali on line e cartacei aprono su Totti?
A che gioco giocate?

Un italiano qualsiasi.
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Se questo è un mestiere
di Uiaz

Vi racconto io la vita di un collaboratore de La Nazione

Proprio oggi, via mail, mi è arrivato l'atteso cedolino delle collaborazioni del mese di maggio. Il primo dopo i tagli delle tariffe.

Risultato: 55 pezzi pubblicati, per un totale di 265 euro lorde.

Ora mi chiedo: ma quanto guadagna in un mese un clochard che sta seduto su un marciapiede fingendo di avere otto figli e una gamba amputata? E un lavavetri?

Sto infatti pensando che sarebbe molto più semplice fare tali scelte invece di continuare con questa vita da sfruttato. "Sfruttato" perché a questo punto il termine "precario" non credo sia più consono.

E il problema non finisce qui. Infatti il mio caso, come credo quello di numerosi altri giovani che si affacciano in questo mondo dove le parole rispetto umano, professionalità, meritocrazia eccetera non esistono proprio, si compie mentre sulle pagine dei giornali si sventolano le bandiere di battaglie per un mondo migliore e si parla sempre di giornale verità.

E la colpa di tutto questo, se si può parlare di colpa, non dobbiamo scaricarla interamente sui nostri editori, perché il "cancro" del nostro settore nasce dentro la casta dei giornalisti: ben stipendiati e che, prendendo spunto da Mazzarò di Verga, si tengono stretti e ammucchiano tutti i privilegi. Guai a toccarglieli, altrimenti si invocano scioperi e scioperetti, per la dignità della professione.

Ma poi in redazione cosa accade? Spesso questi giornalisti che si credono scienziati della comunicazione, scaldano la scrivania e alla fine di una giornata riescono a scrivere al massimo dieci titoli, mentre i collaboratori sgobbano da matti, dal lunedì alla domenica giorno e notte, recuperando notizie di ogni genere, incidenti, rapine, foto di morti, tabellini di dieci partite ogni domenica, conferenze stampa.

In pratica un lavoro che comporta un impegno quotidiano di almeno nove-dieci ore, nella normalità. E se di notte ci scappa il morto, ti dimentichi anche di dormire.

Tutto per 265 euro mensili, senza una possiblità di un percorso professionale, senza una considerazione concreta (spesso dobbiamo accontentarci di un "bravo"). E quando si inizia a chiedere di valutare la nostra posizione, per eventuali contratti a termine o per articoli 12, cala il silenzio più totale, mentre ti vedi sorpassare in un soffio da perfetti sconosciuti che del giornale non conoscono nemmeno il numero delle pagine, ma chissà quanti santi in Paradiso li proteggono.

Insomma, questa è la mia storia, quella di un collaboratore de "La Nazione" che da quasi dieci anni sgobba fra nera, giudiziaria, sport e chi più ne ha più ne metta, pubblicando pezzi sia sulle pagine regionali che nazionali con storie e fatti spesso in esclusiva, riuscendo a ricavare soltanto uno stage di dodici mesi, che in effetti è stato uno stage simulato, visto che, finito il periodo, mi sono ritrovato a fare il collaboratore come dieci anni fa. Con le tariffe tagliate.

E i colleghi giornalisti che mi hanno sempre spinto a continuare, che se non mi presento in redazione anche solo per un giorno mi telefonano chiedendomi notizie, cosa fanno? Niente. Niente di niente. Si limitano a dire: "Non mollare, sei nato per fare questo mestiere".

Se questo è un mestiere.

Uiaz


Arrabbiati, schifati, armiamoci e partiamo
di Cococo Nazione

Dai cococo de La Nazione: sono passate circa due settimane dal nostro ultimo intervento, ma questo non significa che siamo stati colti dalla malattia del sonno o che abbiamo esaurito le nostre forze. Anzi. Le stiamo organizzando meglio

Sottoscriviamo in pieno, punto su punto,le esternazioni dei nostri colleghi Uiaz e Other. Da una parte siamo schifati, dall'altra arrabbiati. Ma è proprio questa rabbia che ci da la forza di reagire e andare avanti.

C'è chi sostiene che la nostra sarà una battaglia inutile e persa in partenza, ma non è deprimendoci che andremo molto lontano. Solo con la convinzione delle nostre azioni potremo cambiare questo stato di cose, allora "armiamoci e partiamo". Per dove? Forse adesso non lo sappiamo, ma la méta ci sarà più chiara andando avanti e perseguendo i diritti che giorno dopo giorno ci vengono calpestati e negati.

Dobbiamo dire basta alla politica messa in atto dagli editori, pur sapendo che l'impresa sarà ardua. Molti ci diranno che facciamo prima a cambiare lavoro (se così si può ancora chiamare), che non ne vale la pena. Ma ricordiamo che le conquiste (mai facili) sono sempre state fatte sul campo di battaglia.

Invitiamo, dunque, i nostri colleghi Co.co.co a non credere alle false promesse, a non farsi intimorire dalle minacce dell'azienda e, soprattutto, a non sottostare ai ricatti. E questo non lo diciamo soltanto ai collaboratori e precari de La Nazione, ma a tutti i colleghi "sfigati" che prestano la loro opera sia nei quotidiani locali che nazionali, sia nelle emittenti radiotelevisive pubbliche e private.

Tutti quanti, lo sappiamo bene, siamo nella stessa barca. Non basta fare la "guerra" ad ogni singola azienda, ma a tutte quante le aziende messe insieme. Occorre spostare la protesta a livelli più alti: occorre andare ai ministeri e costringere chi di dovere a starci a sentire. Dal momento che nessuno muove una paglia per noi (...le mummie continuano a restare nei loro sarcofagi), dobbiamo aiutarci da soli. Della serie "aiutati.. che Dio ti aiuta". Che importa! Meglio soli che male accompagnati.

Siamo tanti, siamo un vero esercito, allora torniamo a ripetere "uniamoci e partiamo". Per dove? Questa volta lo sappiamo: per la guerra, pacifica s'intende. D'altra parte per cambiare la storia occorrono "armi" appropriate: ovviamente non parliamo di quelle letali, ma di quelle della forza delle idee. E' necessario credere in ciò che facciamo e, forse, uniti andremo avanti.

Ma c'è anche un'altra ipotesi da non scartare: alla fine, potremo pensare di unirci in maniera massiccia anche in un altro modo (a buon intenditor poche parole), lasciando in braghe di tela coloro che pensano di sfruttarci a vita o di sfruttare altri che verranno dopo di noi.

Insomma, le ipotesi sono molte. Basta saper scegliere quelle giuste.

I Co.co.co. de La Nazione


E ALLORA FATTI UN MASTER" O NO?

Precari: la punta dell'Everest
di Anonimo

Coordinamento delle Associazioni per un sindacato di servizio: Troppi disoccupati e precari, l’Ordine sospenda i master di giornalismo

Giornalismo, accesso alla professione e precariato, elemento irrinunciabile nella trattativa contrattuale. L’Ordine fermi la crescita dell’ “Everest” dei precari: nel prossimo quinquennio questo esercito arriverà a quota 8000.

Il numero di giornalisti professionisti e praticanti iscritti alle liste di disoccupazione Fieg-Fnsi sta per raggiungere quota 3000 persone.

Ogni anno 1.400 praticanti si presentano agli esami di stato per l’abilitazione professionale. E sono circa un migliaio i colleghi che passano l’esame, diventando professionisti. Però solo una minima parte di loro viene assorbita dalle aziende con contratti a tempo indeterminato. La maggior parte invece va a rafforzare le fila del precariato.

I dati del bilancio 2005 dell’Inpgi confermano la tendenza alla precarizzazione del settore dell’informazione. I rapporti di lavoro a tempo indeterminato sono cresciuti meno del 5 per cento, quelli a termine del 9 per cento circa. I praticantati a termine circa del 18 per cento.

Ma il dato più impressionante riguarda l’andamento degli ultimi cinque anni: i contratti a termine sono stati il 70 per cento in una congiuntura occupazionale assolutamente sfavorevole nel settore giornalistico.

E’ del tutto evidente che se ogni anno il sistema di accesso alla professione giornalistica continuerà a sfornare mille professionisti in gran parte sotto/occupati (5000 in 5 anni più gli attuali 3000 disoccupati, porteranno la quota a 8.000) a fronte di 15.000 giornalisti con contratti stabili, la situazione diventerà drammatica trasformando il problema dell’accesso alla professione in problema sindacale.

Sono di questi giorni le forti e giuste con trapposizioni avvenute anche nelle grandi testate giornalistiche come il Corriere, e La Repubblica, tra Cdr e azienda, sulla questione degli stagisti. Come gli accordi sottoscritti in tema di sostituzione ferie a Repubblica e Corriere oltre che al Gazzettino.

La posizione della Fnsi e delle Associazioni della stampa è stata ferma in questo senso: gli stagisti, tutti, non vanno e non devono andare in produzione, né devono essere utilizzati nei grandi e piccoli giornali come sostituti ombra per le carenze di organico, le assenze per malattia o altri motivi.

Sempre di questi giorni (ma è da tempo che la protesta dilaga) sono le prese di posizione di gruppi spontanei di disoccupati contro l’uso selvaggio degli stagisti e le scuole di giornalismo.

E’ evidente a questo punto che il sistema dell’accesso sta collassando, che la svalutazione del titolo professionale corre di pari passo con la precarizzazione e marginalizzazione della categoria, sono indispensabili soluzioni urgenti senza attendere i risultati dell’Iter della riforma Siquilini.

Come prima cosa l’Ordine dovrebbe sospendere i Master in giornalismo. E il sindacato in tutte le sue articolazioni dovrebbe fare del pacchetto precariato (contratti a termine, legge Biagi, Cococo) una priorità nel rinnovo del contratto. E all’Ordine in tutte le sue espressioni nazionali e regionali va l’invito pressante e fermo di muoversi in modo tale da non consentire una ulteriore crescita dell’”Everest” della disoccupazione contingente e di prospettiva, ponendo grande attenzione alla nascita delle scuole di giornalismo universitarie quando quella storica (e gratuita) di Milano si trova oggi in grande difficoltà.

Non è un problema di difesa corporativa della categoria, ma della dignità della professione, della garanzia di un accesso al lavoro e alla professione degno di questo nome e di queste regole. Il problema va affrontato anche sul fronte dei pubblicisti, settore in cui vanno difesi e tutelati anche a livello ordinistico i veri pubblicisti, rispetto a quelli che si iscrivono per poi scomparire e riemergere solo in occasione di una verifica sul loro status professionale per la continuità dell’iscrizione all’ordine.

Troppo spesso le cancellazioni di pubblicisti fantasma decise a livello regionale vengono annullate a livello nazionale: fare giornalismo non è e non deve essere una mera preoccupazione legata all’interesse di garantire la continuità di una quota di iscrizione all’ordine professionale.

Marcello Zinola
Portavoce Coordinamento delle Associazioni per un sindacato di servizio
(Valle d’Aosta, Liguria, Veneto, Trentino Alto Adige, Emilia Romagna, Marche, Umbria, Abruzzo, Puglia, Basilicata)

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