22.5.06

Siamo tutti precari (Panorama)

Siamo tutti precari

di Gianluca Beltrame e Alberto Toscano
22/5/2006

Julie Coudry e Francesco Raparelli


Julie, 27 anni, leader del nuovo movimento studentesco francese. Francesco, 28 anni: dalle tute bianche di Genova all'occupazione delle università contro la Moratti. «Panorama» li ha messi insieme per discutere di giovani e lavoro. Le loro tesi? La piena occupazione è un mito del passato. E siamo più poveri per colpa dei cinquantenni. Quanto al welfare, va cambiato.

«Mobilità sì, precarietà no» è lo slogan che emerge dal faccia a faccia, organizzato a Parigi da Panorama, fra la leader del nuovo movimento studentesco francese Julie Coudry e Francesco Raparelli, protagonista di molte lotte studentesche, per la casa, contro la globalizzazione e la precarizzazione in Italia.
Lontanissimi dal punto di vista ideologico (Julie tiene nella sua stanza di lavoro un poster di Solidarnosc, Francesco collabora con Toni Negri), nel corso dell'incontro i due giovani non hanno contestato l'economia di mercato (pragmaticamente hanno riconosciuto che è questo il sistema con cui devono confrontarsi, e tanto basta) e condividono l'analisi di fondo: la loro generazione è la prima in Occidente a sapere che sarà più povera di quella dei loro genitori che, a trent'anni, pensavano a comprarsi una casa, stipulavano mutui, contavano su un reddito fisso.

Ma la responsabilità di questa situazione, dicono, va cercata tra i cinquanta-sessantenni che, per garantirsi lo standard di vita più alto che il mondo abbia mai conosciuto, hanno inguaiato i più giovani. Arroccandosi sulle loro rigide garanzie (lavorative e pensionistiche) lasciano che i ventenni passino da un contratto a tempo determinato a un altro. Senza serie speranze che la situazione possa cambiare (tabella a pagina 37).
La precarietà del lavoro, insomma, è ormai una costante del nuovo sistema produttivo globalizzato. E non c'è da farsi l'illusione che sia un problema solo dei giovani: chiunque oggi perda il posto, infatti, si trova nella loro stessa situazione. Punto di partenza del faccia a faccia non poteva che essere quello della vittoria degli studenti francesi che hanno ottenuto il ritiro della legge sul Cpe, il tanto contestato contratto di prima assunzione.

Julie. Il primo ministro Dominique de Villepin aveva sostenuto in ogni sede, con forza, di non poter cancellare una legge approvata dal parlamento. Poi però ha dovuto rimangiarsi tutto quando sono scesi in piazza 12 sindacati di studenti e di lavoratori, uniti dalla parola d'ordine del no alla discriminazione contro i giovani. È stato straordinario: grazie a quell'unità abbiamo vinto una battaglia fondamentale, abbiamo cambiato le cose in un senso che consideriamo giusto.

Francesco. Noi studenti italiani abbiamo seguito con entusiasmo la lotta francese contro il Cpe. Solo qualche mese prima eravamo scesi in piazza contro il lavoro precario e in particolare contro la precarizzazione della ricerca nell'università. L'esperienza francese ci ha mostrato l'importanza della saldatura tra studenti e lavoratori.
Abbiamo solidarizzato con la lotta francese: ci sono state carovane di studenti italiani in occasione delle manifestazioni parigine del 16 e del 28 marzo. Eravamo a Parigi anche per il 1° maggio: due nostri compagni sono ancora nelle galere francesi per quella manifestazione. E abbiamo visto gli studenti francesi rompere le mura delle scuole e «prendersi» la città.

Julie. C'è poi un altro punto, interpretabile secondo me in chiave europea: la nostra generazione era stata descritta come affetta da «rassegnazione giovanile»: abbiamo dimostrato invece di non essere per nulla rassegnati. Certo, questa generazione deve confrontarsi con problemi difficili e nuovi, ma vuole costruire il proprio avvenire ed è capace di impegnarsi fino in fondo. Altro che rassegnazione. Se ne sono accorti anche i sindacati dei lavoratori, che avevano creduto, come pure i partiti politici, di poter trattare le organizzazioni studentesche come una loro semplice appendice. Forse in altri tempi è stato così: oggi certamente no.

Francesco. Julie ha ragione. La nostra non è una generazione chiusa o una generazione in ginocchio: gli studenti francesi lo hanno dimostrato a tutta Europa. Quanto ai sindacati, quelli italiani non riescono a capire che gli studenti possono occuparsi a pieno titolo e con pieno diritto di problemi del lavoro. Le confederazioni francesi lo hanno capito, quelle italiane in buona parte no.

Julie. Ora il problema è andare oltre la vittoria del Cpe. Noi rifiutiamo una logica puramente difensiva: abbiamo dimostrato di poter vincere, ma dire no non basta. Quand'anche riuscissimo a cancellare tutto quello che non ci va, non avremmo comunque una società che ci piace. Dobbiamo essere propositivi, anche perché nel caso del Cpe l'opinione pubblica ci ha sostenuti in quanto quella legge era ingiusta e la nostra battaglia era concreta. Non volevamo cambiare il mondo, ma batterci contro un'ingiustizia ben precisa. Ora dobbiamo dimostrare altrettanta concretezza: il problema non è rovesciare l'economia di mercato, ma creare condizioni più giuste per i giovani.

Julie Coudry, 27 anni, frequenta il master in economia alla Sorbona

Francesco. Il punto è il lavoro precario. Gli studenti di oggi, e non solo quelli italiani, non hanno il mito del posto fisso, del contratto a tempo indeterminato fino al giorno della pensione. Però non vogliamo che la flessibilità si traduca in una serie continua di ricatti (o accetti queste condizioni o sei disoccupato) e in forme inaccettabili di precarizzazione.
La soluzione non può essere trovata in un'ottica da vecchio capitalismo fordista: oggi la disoccupazione giovanile è elevatissima in Francia come in Italia. Dobbiamo accettare il fatto che non ci sarà più la piena occupazione. E allora la nostra sfida sta nel costruire una flessibilità non ricattatoria.
Penso a forme di reddito che coprano le cerniere tra un lavoro e un altro. Deve esserci una continuità del reddito anche in presenza di una discontinuità del lavoro. Il mercato del lavoro è cambiato, di conseguenza dobbiamo inventarci un nuovo welfare.

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