Lettera al governo: «Le gare pubbliche al massimo ribasso e le commesse private impediscono di fare contratti a tempo indeterminato per tutti». Cgil e Slc all'azienda: «Non applicare l'intesa di aprile»
Antonio Sciotto Il Manifesto 18/5/06
Tourbillon di lettere sulla vicenda Atesia, per il momento sempre impantanata. E in campo potrebbe entrare, presto, anche il nuovo governo. Ieri Gianni Camisa, amministratore delegato della società del Gruppo Cos (controllato a sua volta dalla Holding Almaviva di Alberto Tripi) ha indirizzato ai dipendenti e ai collaboratori di Atesia, e all'esecutivo Prodi, una lettera aperta «che fa il punto sulla situazione occupazionale alla luce delle recenti problematiche sui contratti di lavoro». Ma, soprattutto, la Cos ha posto al governo il tema delle commesse private e delle gare pubbliche al massimo ribasso, con l'intento di scaricare le proprie responsabilità sulle «esigenze di competizione»: i meccanismi di mercato selezionerebbero - è la tesi - solo chi abbatte i costi del lavoro. Intanto, dalla segreteria confederale Cgil e dalla Slc nazionale è stata inviata all'azienda un'altra lettera, dove si diffida dall'applicazione dell'accordo dell'11 aprile, perché sono in corso accertamenti dell'ispettorato del lavoro, e si rinvia a un ipotizzato tavolo da aprire al ministero del lavoro, da ieri a guida del diessino Cesare Damiano.
L'a. d. di Atesia spiega che in base al nuovo accordo «il call center avrà entro ottobre 530 lavoratori a tempo indeterminato rispetto ai 90 presenti ai tempi dell'acquisizione. Inoltre 1500 lavoratori saranno avviati verso un percorso di stabilizzazione contrattuale, premessa al tempo indeterminato, come formulato dal contratto collettivo di lavoro delle tlc». La lettera aggiunge che «ad oggi sono circa 3600 i dipendenti a tempo indeterminato operanti nel gruppo Cos, e che con l'ultimo accordo Atesia diventeranno circa 4100». In questo modo «la società avrà il più alto rapporto di lavoratori a tempo indeterminato tra le aziende presenti in Italia». Noi aggiungiamo i dati contenuti nel sito del gruppo Cos: si parla di 15 mila lavoratori nel 2005 (dunque, in prospettiva, oltre due terzi non a tempo indeterminato), mentre per la sola Atesia siamo al rapporto di circa quattromila collaboratori attuali a fronte di 1500 che l'azienda annuncia verso la stabilizzazione. Senza contare che l'accordo dell'11 aprile prevede carta bianca all'assunzione di nuovi lavoratori a progetto e non individua per i medesimi alcun percorso, anche graduale, di stabilizzazione.
La lettera del gruppo Cos, comunque, prosegue denunciando «la concorrenza selvaggia che a partire dal 2004 è stata stimolata anche dalle gare per la pubblica amministrazione centrale e locale: l'attuale sistema delle gare pubbliche e delle commesse dei privati imperniato sul massimo ribasso dei costi comporta necessariamente, nostro malgrado e pena l'esclusione dal mercato stesso, l'utilizzo di contratti di lavoro a progetto: ricordiamo che i nostri concorrenti in qualche caso arrivano a non avere alcun lavoratore dipendente». La missiva si conclude con «la richiesta di un confronto tra le organizzazioni dei lavoratori, le imprese, il governo centrale e locale, per chiarire le modalità del ricorso a figure professionali non dipendenti», oltre a sollecitare che venga «affrontato il problema dei criteri di aggiudicazione delle gare pubbliche e l'introduzione di regole uguali sia per le aziende pubbliche che per quelle private».
Sempre sul sito Cos, vediamo che il fatturato dell'impresa è in costante crescita, passando dai 90 milioni di euro del 2002 ai 250 del 2005. Un tale ingrandirsi dal punto di vista economico, oltre che nel volume degli addetti (passati da 5 mila a 15 mila), indica nell'attuale mercato un ruolo di assoluta predominanza della Cos. E allora, chi decide realmente i prezzi? Soltanto i committenti? E' chiaro che il tema della responsabilità degli enti appaltanti - i soggetti pubblici, come le compagnie telefoniche o altri privati - è centrale, ma ci chiediamo anche se ci sia un equilibrato rapporto tra le entrate (e i profitti) del gruppo e le condizioni di lavoro e contrattuali degli addetti, indipendentemente dalle condizioni esterne di mercato.
Quanto alla segreteria confederale Cgil e alla Slc Cgil nazionale, nelle persone di Nicoletta Rocchi ed Emilio Miceli, insieme alla «diffida a non applicare momentaneamente il contratto per mezzo di transazioni con i singoli operatori», spiegano di attendere la chiusura dell'ispezione, «motivo per cui non si è finora proceduto alla consultazione sull'accordo dell'11 aprile». Una giustificazione avanzata nei confronti dei tanti lavoratori che chiedono - giustamente - il referendum. E non solo loro, dato che buona parte della Cgil Lazio si è detta favorevole a un referendum con tutti i crismi: quando i lavoratori avranno finalmente diritto a pronunciarsi su un accordo che riguarda innanzitutto loro? Rocchi e Miceli concludono affermando che «è necessario costruire al più presto un tavolo di confronto con il ministero del lavoro».
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