19.5.06

Atesia - Errori e autocritiche per Cgil e sinistra

Francesco Piccioni

Gli errori si pagano. Magari in ritardo, ma a prezzo pieno. Qualche volta con gli interessi. Nella sala Cattid dell'università di Roma un pezzo importante della Cgil e la sinistra romana si interrogano sul «mostro Atesia», sulle difficoltà del sindacato sia nel rapporto con i lavoratori che in quello con l'azienda. Il tutto dopo un accordo - firmato da Cisl, Uil e, per la Cgil, da Rosario Strazzullo e Nicoletta Rocchi, ma non dalle strutture Nidil che in Atesia provano a lavorare - che risulta peggiorativo della stessa legge 30, di cui peraltro la stessa Cgil chiede giustamente la cancellazione. Un accordo contestato dai lavoratori, in primo luogo, nel corso di due infuocate assemblee. Il referendum confermativo, che avrebbe dovuto svolgersi l'altroieri, è «misteriosamente» scomparso dalle scadenze in agenda. Una pagina davvero nera per il sindacato.
Gli errori, si diceva. Il principale sta nella stessa nascita del «modello Atesia». Un «concentrato degli aspetti peggiori» della precarietà reso possibile addirittura dal «pacchetto Treu» varato dal primo governo Prodi, ben prima dello sconcio della legge 30. E certo deve aver pesato il fatto che «il padrone», Alberto Tripi, sia da sempre uno sponsor pubblico della Margherita rutelliana. Ricorda Luigi Nieri, neo-assessore regionale, quanto sia «aggressiva» questa azienda più volte convocata dagli enti locali per trovare soluzione agli infiniti problemi sociali che provoca. «L'azienda è così, non abbiamo niente da cambiare», era il ritornello, anche quando ancora imponeva l'affitto della postazione lavorativa a quelli che solo l'ipocrisia della legge permetteva di considerare dei «liberi collaboratori» pagati a cottimo.
Un errore più grande, probabilmente, è stato l'appoggio dato dalla sinistra alla privatizzazione di Telecom, i cui assetti successivi - Atesia nasce dalla dissoluzione di parte di questa galassia - hanno trovato nel Slc-Cgil una tolleranza a volte imbarazzante. Un ultimo errore, della Cgil stavolta, è stato commesso con l'affidare il compito della rappresentanza del precariato a una categoria apposita, il Nidil, anziché alle categorie di lavoro; quasi che la precarietà sia una condizione «normale», pacificamente accettata, e «un mondo a parte» rispetto al resto del lavoro dipendente. In questo quadro, è stato anche detto, l'attività sindacale si limita a «normare» la precarietà, non a superarla puntando alle assunzioni a tempo indeterminato. Solo così si può spiegare la leggerezza con cui, nel 2004, il Nidil ha firmato un accordo che riconosceva il «carattere non subordinato» della prestazione lavorativa in Atesia; un autentico suicidio per il ruolo stesso del sindacato (se non sono «dipendenti», perché pretendi di rappresentarli?).
Un lungo periodo di «cedimenti» culturali e pratici sotto la pressione dei cantori delle «magnifiche sorti e progrssive» del mercato, della logica dei due tempi (meno diritti e salario oggi per un lavoro migliore e più pagato in un giorno lontano, ecc). Ora si prova a correre ai ripari, nuotando controcorrente. Nel frattempo, piaccia o no, il lavoro autenticamente sindacale in Atesia - l'organizzazione dei lavoratori in vertenze dagli obiettivi condivisi, cui partecipa la grande maggioranza - è stato svolto dai ragazzi del Collettivo precari. I quali, pur se con qualche ingenuità, nella discussione, non hanno fatto sconti alla più grande organizzazione sindacale. Del resto lo stesso Daniele Canti, del direttivo regionale, ammette la «difficoltà di rapporto con i giovani precari a causa di comportamenti sindacali incoerenti con la linea congressuale».
Nel frattempo il «modello Atesia» è cresciuto e si è diffuso, diventando l'esempio di azienda in cui la precarietà non serve a gestire emergenze produttive, ma diviene l'elemento costitutivo del «fare impresa». Un'impresa arretrata, non creatrice di valore, ma che con il suo solo esistere suggerisce le regole in una fetta consistente del mercato del lavoro.
Ne è consapevole Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale Fiom, che indica questa come una delle «vertenze esemplari» dove si vanno a «conquistare nuove condizioni» rovesciando - se ce n'è la forza - la logica dell'impresa. Perché «il lavoro in Atesia è a tempo indeterminato» sul piano pratico, ma non lo è su quello legale e contrattuale. Perché lo diventi occorre una «mobilitazione generale», di altre categorie ma anche dei «movimenti» (è in corso di preparazione una manifestazione nazionale a Roma contro la precarietà). Perché, chiede infine Vittorio Mantelli, ex licenziato Ligabue ora responsabile lavoro del Prc, «quale modello di sviluppo viene proposto al paese e a questa città? La politica deve mettere al centro il problema di come si redistribuisce quel 4,5% di Pil in più che, in una città come questa, sembra finire in tasca solo a palazzinari e negozianti». Ci vorrebbe, forsee, anche un sindacato che non lasci libero corso alle imprese.

da "Il Manifesto" 17.5.06 pag.12

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