6.5.06

Abruzzo: La Repubblica affondata sul lavoro (flessibile)

La Repubblica affondata sul lavoro (flessibile)

L'INCHIESTA

ABRUZZO. Il motore vero di un Paese è senza dubbio la sua forza lavoro.
Ormai è fuori di dubbio: l’Italia degli ultimi anni si è fermata ed è sprofondata in una crisi che ha investito progressivamente tutti gli ambiti produttivi ed economici. Ma è un cambiamento che incide fortemente sulla società che cambia inesorabilmente e si adegua alle nuove difficoltà. I giovani d'oggi si sposano sempre più tardi e per loro la pensione sarà più misera che mai. Benvenuti nella società della precarietà.

di Alessandro Biancardi

Dipingevamo il quadro in una inchiesta di gennaio 2005
(allora erano in pochissimi ad ammetterlo); i numeri indicavano che anche l’Abruzzo stava fermandosi ed entrando in una fase di recessione che non viveva da oltre 15 anni. Insomma, la crescita ed il boom, quelli del dopoguerra e poi quello degli anni ’70-80, erano finiti.
Le cose iniziavano ad andare male.
Nel corso del 2005 e soprattutto in questo scorcio di 2006 l’Istat (seppure con le sue bizzarrie dovute al metodo di rilevazione e alla costituzione del “paniere”) confermava: “Paese fermo”.
Non ci soffermeremo questa volta sull’economia e le sue congiunture ma vogliamo fare un piccolo viaggio in quella parte “umana” del sistema economico, quella fatta da persone in carne ed ossa con i loro problemi ed i loro malumori.
In gergo freddo e tecnico si chiama “forza lavoro”, cioè coloro che contribuiscono con il loro lavoro a far muovere il Paese.
Una parte di questa enorme comunità è sempre più formata da lavoratori non dipendenti, assunti con contratti che la legge Biagi (e le sue distorsioni normative e quelle dovute alla sua applicazione) ha saputo inventare.
Si credeva che agevolando la “flessibilità” si sarebbero aumentati gli occupati, dato una mano alle aziende e una ai lavoratori. Invece, le cose sono andate in maniera diversa (anche se non imprevedibile): le aziende assumono sempre meno a tempo indeterminato perché il “dipendente-cozza” (avvinghiato all’azienda come ad uno scoglio) ha un costo elevato, è molto tutelato, ha tutti i diritti di questo mondo ed è difficile licenziarlo. Meglio sfruttare sempre più i contratti atipici di collaborazione, economici, veloci, snelli: il lavoratore diventa una merce da scaricare non appena cambia il tempo.
Privati e pubblico, tutti concorrono al precariato senza curarsi più di tanto (perché non dovrebbero? Si applica semplicemente la legge), così facendo, però, la società cambiando in maniera irreversibile e pericolosa per tutti.
I precari (cioè tutti quelli che lavorano saltuariamente e con contratti a tempo determinato) sono persone spesso poco tranquille perché già pensano alla data di scadenza del loro contratto e al modo per pagare bollette, benzina, mutuo. Moltissimi sono giovani, moltissimi laureati trentenni. Molti sono invece alla soglia dei quaranta. Sono insoddisfatti e irrealizzati.
Volendo infischiarcene altamente della loro qualità di vita (si sposano? Possono farsi una famiglia? Ed i figli? Possono comprarsi una casa e l’affitto come fanno a pagarlo?) crediamo che siano persone che vadano al lavoro con il loro fardello di incertezze e malessere potendo forse non sempre riuscire a dare il meglio di sé.
Cosa significa? Che in questo modo, con una situazione tale il Paese non potrà ripartire, la ricchezza di un tempo stenterà a tornare per tutti.
Insomma, il posto fisso ormai non esiste più ma oggi di instabile e precaria c’è solo la nostra società, fatta di tante persone che non possono dare quello che potrebbero perché non sono messe in condizioni di farlo.
Con una retribuzione annua media di 10mila euro la generazione dei collaboratori sta zavorrando il nostro sistema economico: non possono spendere e vanno ad aumentare quella fascia di povertà che oggi pare indegna di quel Paese che era un tempo al 5° posto delle nazioni più ricche.
Quella Repubblica affondata sul lavoro deve riemergere.



I FLESSIBILI D’ABRUZZO

Il lavoro atipico in Abruzzo negli anni 2003-2004 ha assunto queste forme.
Secondo “Abruzzo Lavoro” gli occupati a tempo parziale nel 2003 erano 30.000; nel 2004 sono passati a 55.000 con una variazione dell'82,9%, pari a 11,5% del totale degli occupati.
Gli occupati a tempo determinato nel 2003 erano 28.656 sono passati nel 2004 a 43.000, cioè 14.344 persone in più (+ 50,1%).
I lavoratori parasubordinati sono aumentati di poco più di 10.000 unità passando da 47.000 del 2003 a 57.395 del 2005 (+21,8%).
I lavoratori interinali sono aumentati di 3821 unità con una variazione del 18% passando da 21.179 del 2003 a 25.000 del 2004.
Secondo i dati raccolti dalla Camera del Lavoro regionale a passarsela peggio sono i precari aquilani: il contributo medio versato all’ente di previdenza da ciascun lavoratore parasubordinato della provincia dell’Aquila è di circa 546 euro, il che fa supporre un compenso annuo pari a circa 2.732 euro.
Cifre, quelle fornite da Luigi Fiammata, della segreteria provinciale della Cgil L’Aquila, che disegnano una situazione allarmante: crescita esponenziale della precarietà, dal 2000 al 2004, redditi in picchiata, così come le contribuzioni pensionistiche. Per Fiammata, se resta invariata la formula della legge Biagi, «non riuscirà mai ad inserirsi stabilmente nel mondo del lavoro».


LA LEGGE 30/2003 (BIAGI)

La legge 30 partiva dall’assunto che la flessibilità, ossia la diversificazione delle forme contrattuali, fosse una strategia vincente per far crescere l’occupazione, ma a guardare l’andamento piuttosto deludente del tasso di occupazione del Mezzogiorno, proprio nel periodo di attuazione delle riforma, si ha più di un motivo per dubitare della bontà dell’assunto stesso.
Obiettivo dichiarato della riforma, era tuttavia anche quello di produrre fenomeni evolutivi nelle forme contrattuali già in essere, in particolare nell’area del lavoro parasubordinato, tali da garantire maggiore efficienza ed equità nel sistema del lavoro italiano. L’introduzione del lavoro a progetto nelle intenzioni del legislatore avrebbe, infatti, dovuto spingere verso il lavoro dipendente le false posizioni autonome, così che le critiche condizioni di lavoro e di vita dei “falsi collaboratori”, che le ricerche degli ultimi anni hanno concorso nel mettere a fuoco, avrebbero dovuto trovare una loro positiva risoluzione.

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