Atesia licenzia i dissidenti
Nonostante l'accordo recentemente siglato con Cgil-Cisl-Uil, tra i lavoratori precari che non verranno assunti ci sono tutti i componenti del collettivo autogestito.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 29-05-2006]
Atesia è la più grande società di call center italiana, fondata da Telecom Italia, che ancora, ne possiede una quota; ora è di Alberto Tripi (e famiglia), proprietario anche di Finsiel, degli altri call center Cos, che lavorano per tutti da Telecom Italia alla Rai, dall'Aci al Governo, dall'Alitalia a Wind e a Sky.
Atesia è anche il simbolo della flessibilità esasperata e selvaggia, prima e dopo la legge 30: dal tempo dei famigerati co.co.co, cioè quasi tutti i suoi dipendenti, fino agli attuali contratti a progetto che, secondo una circolare (l'ultima) dell'ex ministro del Lavoro Maroni (uno che si definisce pregiudizialmente favorevole alla flessibilità), difficilmene si dovrebbero utilizzare in un call center.
Un punto fermo positivo, anche se parziale e con limiti, avrebbe dovuto essere l'accordo siglato tra il gruppo Atesia-Almaviva e Cgil-Cisl-Uil, al fine di stabilizzare un forte numero di rapporti di lavoro, trasformandoli in parte in contratti a tempo indeterminato o di inserimento, e in parte in contratti a tempo.
L'accordo è stato raggiunto soprattutto grazie alla spinta portata avanti con scioperi, assemblee, manifestazioni, la mobilitazione degli enti locali romani e del Collettivo Precari Atesia: è un Collettivo autogestito e autonomo dai sindacati confederali che, in pratica, ha fatto una grossa azione di supplenza rispetto ai sindacati confederali.
Questi ultimi, nel caso Atesia, avevano mostrato per troppo tempo insufficienze, omissioni, carenze, debolezze e subalternità; paradossalmente, Almaviva ha dovuto legittimare e cercare un accordo con i sindacati ufficiali, per non essere travolta da quelli non ufficiali.
L'accordo è contestato dal Collettivo Precari Atesia, che ha chiesto (invano) che si tenesse un referendum approvativo tra i lavoratori, come ormai di prassi avviene in occasione del rinnovo di molti contratti importanti nazionali e aziendali.
Il punto è che, nei giorni scorsi, la direzione Atesia ha provveduto a trasformare i primi contratti precari in tempi indeterminati, escludendo sistematicamente i componenti del Collettivo Precari e quanti hanno partecipato più attivamente alle lotte.
La Polizia sarebbe stata presente all'interno degli stessi uffici del personale per garantire l'incolumità dei quadri aziendali da chissà quali minacce, inesistenti finora visto il carattere assolutamente pacifico e non violento di tutte le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici di questo call center.
Adesso i lavoratori del Collettivo Precari sperano che intervengano anche i nuovi ministri del Lavoro e del Welfare, Damiano e Ferrero, provenienti dalle file del sindacato della Cgil e da sempre critici verso le forme esasperate e senza diritti della flessibilità, per mettere fine a questi licenziamenti "di rappresaglia".
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31.5.06
Verona 3/6: Invisible workers of the world
Invisible workers of the world
Per una rete europea contro la precarietà, il razzismo e per i diritti sociali e di cittadinanza del lavoro migrante, intermittente e precario
Il 3 giugno a Verona sarà una giornata particolare, pensata con una doppia articolazione: da un lato un seminario organizzato da Uninomade (rete di ricercatori e docenti che stanno dentro e fuori le università), dall’altro l’assemblea costituente di una rete autorganizzata di migranti e precari, i soggetti e i protagonisti della tendenza al centro delle analisi del seminario della mattinata. In comune, lo spazio fisico, Sala Lucchi nel piazzale dello Stadio, scelto per rimarcare la continuità tra i due momenti: ricerca e lotta, analisi e soggettivazione politica.
Al centro del seminario, i movimenti migratori e il controllo dei confini.
Il diritto di fuga soggettivo dei migranti e i muri, formali e informali (dai reticolati al confine tra Messico e USA, alle mura dei CPT, alle leggi sull’immigrazione in discussione in Italia, in Francia negli USA, alle mille banlieues informali interne agli spazi metropolitani delle città europee) che vengono loro opposti per inchiodarli allo sfruttamento e all’invisibilità sociale.
In assemblea, gli IWW, gli Invisible Workers of the World, i migranti e i precari che si autorganizzano per desalambrar, per buttare giù, come lo hanno fatto gli indocumentados il 1 maggio nelle grandi metropoli USA, e come lo hanno fatto in autunno i banlieusards parigini, i reticolati e i muri eretti contro il loro desiderio di libertà.
* Programma completo
* Appello per l’assemblea degli IWW
L’assemblea degli IWW verrà trasmessa su Radio Melting Pot via satellite domenica 4 giugno alle ore 15.00 [Hot Bird 13° E, frequenza 11199,66 Mhz, Polarizzazione verticale, Symbolrate 27500.
Streaming audio dal sito www.globalproject.info]
Coordinamento Migranti Verona - Coord. Migranti San Bonifacio (Vr) - Action Casa Verona - Coord. Migranti Vicenza - Ass. Razzismo Stop Veneto – Ass. Razzismo Stop Venezia Giulia ADL-invisibili PD TV VE - RdB/CUB del Veneto – Movimento Antagonista Toscano – Coord. Immigrati – Mov. Di lotta x la casa FI - Cso Il Clandestino Gorizia - Migranti ambulanti di Venezia - Ass. Senegalesi Venezia - Csoa La Chimica Verona - Laboratorio sociale Occupato PAZ Rimini - LabAq 16 Reggio Emilia - Ass. Ya Basta Parma - Caffè Babele Reggio Emilia - Officina Sociale Trento - TPO Bologna - Collettivo Passepartout Bologna - ESC Atelier occupato Roma - Il Cantiere Milano – Action Milano - Occupanti/e Case di plastica di Sesto S. Giovanni (Mi) - Ass. Città Aperta Genova – Action Roma- Sportello Diritti fed. Rdb Bari - Tost Ye Lubiana (Slovenia) - Entránsito Precarios en Movimento - Casa Argentina de Málaga - Coordinadora de Inmigrantes de Málaga (CIM) - Indymedia Estrecho (Spagna)
Categorie: verona migranti precari maggio2006 uninomade università usa francia iww cpt seminario assemblea
Per una rete europea contro la precarietà, il razzismo e per i diritti sociali e di cittadinanza del lavoro migrante, intermittente e precario
Il 3 giugno a Verona sarà una giornata particolare, pensata con una doppia articolazione: da un lato un seminario organizzato da Uninomade (rete di ricercatori e docenti che stanno dentro e fuori le università), dall’altro l’assemblea costituente di una rete autorganizzata di migranti e precari, i soggetti e i protagonisti della tendenza al centro delle analisi del seminario della mattinata. In comune, lo spazio fisico, Sala Lucchi nel piazzale dello Stadio, scelto per rimarcare la continuità tra i due momenti: ricerca e lotta, analisi e soggettivazione politica.
Al centro del seminario, i movimenti migratori e il controllo dei confini.
Il diritto di fuga soggettivo dei migranti e i muri, formali e informali (dai reticolati al confine tra Messico e USA, alle mura dei CPT, alle leggi sull’immigrazione in discussione in Italia, in Francia negli USA, alle mille banlieues informali interne agli spazi metropolitani delle città europee) che vengono loro opposti per inchiodarli allo sfruttamento e all’invisibilità sociale.
In assemblea, gli IWW, gli Invisible Workers of the World, i migranti e i precari che si autorganizzano per desalambrar, per buttare giù, come lo hanno fatto gli indocumentados il 1 maggio nelle grandi metropoli USA, e come lo hanno fatto in autunno i banlieusards parigini, i reticolati e i muri eretti contro il loro desiderio di libertà.
* Programma completo
* Appello per l’assemblea degli IWW
L’assemblea degli IWW verrà trasmessa su Radio Melting Pot via satellite domenica 4 giugno alle ore 15.00 [Hot Bird 13° E, frequenza 11199,66 Mhz, Polarizzazione verticale, Symbolrate 27500.
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Coordinamento Migranti Verona - Coord. Migranti San Bonifacio (Vr) - Action Casa Verona - Coord. Migranti Vicenza - Ass. Razzismo Stop Veneto – Ass. Razzismo Stop Venezia Giulia ADL-invisibili PD TV VE - RdB/CUB del Veneto – Movimento Antagonista Toscano – Coord. Immigrati – Mov. Di lotta x la casa FI - Cso Il Clandestino Gorizia - Migranti ambulanti di Venezia - Ass. Senegalesi Venezia - Csoa La Chimica Verona - Laboratorio sociale Occupato PAZ Rimini - LabAq 16 Reggio Emilia - Ass. Ya Basta Parma - Caffè Babele Reggio Emilia - Officina Sociale Trento - TPO Bologna - Collettivo Passepartout Bologna - ESC Atelier occupato Roma - Il Cantiere Milano – Action Milano - Occupanti/e Case di plastica di Sesto S. Giovanni (Mi) - Ass. Città Aperta Genova – Action Roma- Sportello Diritti fed. Rdb Bari - Tost Ye Lubiana (Slovenia) - Entránsito Precarios en Movimento - Casa Argentina de Málaga - Coordinadora de Inmigrantes de Málaga (CIM) - Indymedia Estrecho (Spagna)
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28.5.06
La vita "imperfetta" dei precari il futuro senza lavoro fa paura
Un'indagine su 3mila giovani tra i 15 e 35 anni svela le difficoltà
del passaggio verso la maturità. E il problema resta la ricerca del posto fisso
La vita "imperfetta" dei precari il futuro senza lavoro fa paura
La vita "imperfetta" dei precari
il futuro senza lavoro fa paura
di FEDERICO PACE
Alla vita adulta, si dice, ci si arriva soprattutto grazie al lavoro. E' da un impiego, dalla capacità di autofinanziarsi, dalla possibilità di esprimersi, che si deve passare. Ma questa porta, già stretta da tempo, si è fatta più stretta. Il lavoro si è fatto sempre più instabile, incerto e insicuro. E troppi giovani, quel passaggio temono di non riuscire a varcarlo. O a passarci con troppi stenti. Cresce così tra le nuove generazioni la paura di trovarsi costretti a restare in una specie di limbo che non ha più nulla dell'adolescenza e ha ancora troppo poco della vita adulta. Con il rischio che anche il sistema Italia, che non utilizza molto poco queste risorse, rischia di non riuscire più a recuperare dinamismo e sviluppo.
Quando ai giovani si chiede qual è il rischio che ritengono che saranno costretti a dovere affrontare in futuro, parlano sempre di lavoro. Quasi esclusivamente di lavoro. Secondo l'indagine realizzata dalla Gioc (Gioventù operaia cristiana) insieme alla Fondazione Nord-Est - che hanno sentito tremila giovani con un'età compresa tra 15 e 35 anni - il 24,9% dei giovani mette al primo posto il rischio del lavoro precario (vedi tabella). Altrettanto sentito il timore di rimanere disoccupati, di non avere il necessario per vivere e di non riuscire a fare un lavoro adeguato al titolo di studio. Solo il 7 per cento ritiene di non correre alcun rischio.
"Di fronte a questa situazione alcuni non si arrendono e reagiscono - spiega Andrea Sterpone della Gioc. Molti però da soli non riescono a reagire. Molti si trovano a dovere affrontare in solitudine le transizioni dalla scuola al lavoro e dal lavoro al lavoro. Assistiamo a una problematica di relazioni che non aiutano al momento delle scelti importanti".
Le paure prendono forme differenti a seconda del titolo di studio che ciascuno è riuscito a conseguire. Confermando anche il fatto che i giovani non sono un universo uniforme ma un complesso insieme di cui si devono conoscere i diversi contorni per poter individuare il modo migliore per aiutare ciascuno di loro. A temere di restare senza un lavoro sono soprattutto quelli che hanno una qualifica professionale o che la scuola dell'obbligo non sono riusciti a terminarla mentre i laureati guardano con preoccupazione maggiore al rischio di ritrovarsi per troppo tempo a dovere fare i conti con un lavoro precario (vedi tabella).
Quanto alla tipologia del rapporto di lavoro, secondo l'indagine della Gioc, sono i laureati e i liceali i più coinvolti dal fenomeno dei contratti a termine, siano essi a progetto, occasionali o interinali (vedi tabella). Mentre chi ha la qualifica professionale per lo più ha un contratto da dipendente a tempo indeterminato. Ma tra questi ultimi uno su cinque lavora senza avere un contratto. A pagare sono soprattutto i giovani che non hanno il sostegno della famiglia, visto che a loro il sistema del welfare offre molto poco.
Nonostante tutto, se gli si chiede in base a cosa dovrebbe venire stabilita la propria retribuzione, "i giovani - sottolinea il professore Daniele Marini - si aspettano di essere valorizzati per quello che sono e quindi pensano che una persona dovrebbe essere retribuita in base al merito. D'altro canto si aspettano anche un sistema di welfare amico, sono convinti che è questa la vera medicina per combattere la precarietà. Sono le politiche sociali che dovrebbero aiutare i giovani a transitare da una condizione all'altra."
Ma quali conseguenze ci possono essere in un contesto in cui i giovani si trovano davanti a un lavoro che sfugge, a uno scarso sostegno da parte del sistema pubblico e che quasi sempre finiscono per dovere ricorrere all'aiuto dei genitori? Secondo Alessandro Rosina, professore di demografia alla Cattolica di Milano ed esperto di temi riguardanti l'entrata nella vita adulta e la formazione della famiglia, l'Italia deve trovare subito una risposta al fenomeno se non vogliamo dire addio ai sogni di sviluppo e dinamismo economico.
A questo si aggiunga che giovani rischiano di essere vittime di una specie di 'ricatto affettivo.' "Il forte legame tra genitori e figli e la carenza di politiche sociali - ci ha detto Alessandro Rosina (vedi intervista) - creano uno stato di dipendenza dei giovani dalla famiglia di origine che è sia di tipo economico ma è anche di tipo psicologico. I giovani venti-trentenni sanno di dipendere fortemente dai genitori. Grazie a loro trovano lavoro, grazie a loro si laureano e comperano casa. Senza contare che molti, una volta usciti, di fronte alle difficoltà rientrano nella famiglia di origine. In qualche modo i giovani finiscono per sentirsi in debito perché sanno che quello che stanno costruendo dipende in gran parte dalla famiglia d'origine. Negli altri paesi europei i ragazzi e le ragazze riescono a farcela da soli. Da noi non è così."
Forse è anche per questo che i giovani italiani non riescono ancora a trovare il modo per dare voce, così come è successo ai loro colleghi francesi, ai loro disagi e alle loro paure e a fare valere davvero le proprie ragioni.
(23 maggio 2006)
Categorie: precari indagine dati gioc fondazione_nordest maggio2006 futuro
del passaggio verso la maturità. E il problema resta la ricerca del posto fisso
La vita "imperfetta" dei precari il futuro senza lavoro fa paura
La vita "imperfetta" dei precari
il futuro senza lavoro fa paura
di FEDERICO PACE
Alla vita adulta, si dice, ci si arriva soprattutto grazie al lavoro. E' da un impiego, dalla capacità di autofinanziarsi, dalla possibilità di esprimersi, che si deve passare. Ma questa porta, già stretta da tempo, si è fatta più stretta. Il lavoro si è fatto sempre più instabile, incerto e insicuro. E troppi giovani, quel passaggio temono di non riuscire a varcarlo. O a passarci con troppi stenti. Cresce così tra le nuove generazioni la paura di trovarsi costretti a restare in una specie di limbo che non ha più nulla dell'adolescenza e ha ancora troppo poco della vita adulta. Con il rischio che anche il sistema Italia, che non utilizza molto poco queste risorse, rischia di non riuscire più a recuperare dinamismo e sviluppo.
Quando ai giovani si chiede qual è il rischio che ritengono che saranno costretti a dovere affrontare in futuro, parlano sempre di lavoro. Quasi esclusivamente di lavoro. Secondo l'indagine realizzata dalla Gioc (Gioventù operaia cristiana) insieme alla Fondazione Nord-Est - che hanno sentito tremila giovani con un'età compresa tra 15 e 35 anni - il 24,9% dei giovani mette al primo posto il rischio del lavoro precario (vedi tabella). Altrettanto sentito il timore di rimanere disoccupati, di non avere il necessario per vivere e di non riuscire a fare un lavoro adeguato al titolo di studio. Solo il 7 per cento ritiene di non correre alcun rischio.
"Di fronte a questa situazione alcuni non si arrendono e reagiscono - spiega Andrea Sterpone della Gioc. Molti però da soli non riescono a reagire. Molti si trovano a dovere affrontare in solitudine le transizioni dalla scuola al lavoro e dal lavoro al lavoro. Assistiamo a una problematica di relazioni che non aiutano al momento delle scelti importanti".
Le paure prendono forme differenti a seconda del titolo di studio che ciascuno è riuscito a conseguire. Confermando anche il fatto che i giovani non sono un universo uniforme ma un complesso insieme di cui si devono conoscere i diversi contorni per poter individuare il modo migliore per aiutare ciascuno di loro. A temere di restare senza un lavoro sono soprattutto quelli che hanno una qualifica professionale o che la scuola dell'obbligo non sono riusciti a terminarla mentre i laureati guardano con preoccupazione maggiore al rischio di ritrovarsi per troppo tempo a dovere fare i conti con un lavoro precario (vedi tabella).
Quanto alla tipologia del rapporto di lavoro, secondo l'indagine della Gioc, sono i laureati e i liceali i più coinvolti dal fenomeno dei contratti a termine, siano essi a progetto, occasionali o interinali (vedi tabella). Mentre chi ha la qualifica professionale per lo più ha un contratto da dipendente a tempo indeterminato. Ma tra questi ultimi uno su cinque lavora senza avere un contratto. A pagare sono soprattutto i giovani che non hanno il sostegno della famiglia, visto che a loro il sistema del welfare offre molto poco.
Nonostante tutto, se gli si chiede in base a cosa dovrebbe venire stabilita la propria retribuzione, "i giovani - sottolinea il professore Daniele Marini - si aspettano di essere valorizzati per quello che sono e quindi pensano che una persona dovrebbe essere retribuita in base al merito. D'altro canto si aspettano anche un sistema di welfare amico, sono convinti che è questa la vera medicina per combattere la precarietà. Sono le politiche sociali che dovrebbero aiutare i giovani a transitare da una condizione all'altra."
Ma quali conseguenze ci possono essere in un contesto in cui i giovani si trovano davanti a un lavoro che sfugge, a uno scarso sostegno da parte del sistema pubblico e che quasi sempre finiscono per dovere ricorrere all'aiuto dei genitori? Secondo Alessandro Rosina, professore di demografia alla Cattolica di Milano ed esperto di temi riguardanti l'entrata nella vita adulta e la formazione della famiglia, l'Italia deve trovare subito una risposta al fenomeno se non vogliamo dire addio ai sogni di sviluppo e dinamismo economico.
A questo si aggiunga che giovani rischiano di essere vittime di una specie di 'ricatto affettivo.' "Il forte legame tra genitori e figli e la carenza di politiche sociali - ci ha detto Alessandro Rosina (vedi intervista) - creano uno stato di dipendenza dei giovani dalla famiglia di origine che è sia di tipo economico ma è anche di tipo psicologico. I giovani venti-trentenni sanno di dipendere fortemente dai genitori. Grazie a loro trovano lavoro, grazie a loro si laureano e comperano casa. Senza contare che molti, una volta usciti, di fronte alle difficoltà rientrano nella famiglia di origine. In qualche modo i giovani finiscono per sentirsi in debito perché sanno che quello che stanno costruendo dipende in gran parte dalla famiglia d'origine. Negli altri paesi europei i ragazzi e le ragazze riescono a farcela da soli. Da noi non è così."
Forse è anche per questo che i giovani italiani non riescono ancora a trovare il modo per dare voce, così come è successo ai loro colleghi francesi, ai loro disagi e alle loro paure e a fare valere davvero le proprie ragioni.
(23 maggio 2006)
Categorie: precari indagine dati gioc fondazione_nordest maggio2006 futuro
27.5.06
Bologna. La Uil: "Precari sfruttati nei call center"
Il sindacato cpo degli atipici: "Falsi collaboratori, roba da terzo mondo"
Bologna, 26 maggio 2006 - A Bologna, nel call center di Hera gestito dalla società Telework, lavorano "oltre 250 falsi collaboratori a progetto" che operano in condizioni di precarietà "non più sostenibili". La denuncia è del sindacato degli atipici della Uil (Cpo) che, in queste ultime settimane ai propri sportelli di assistenza dedicati ai lavoratori "flessibili", ha visto arrivare "una ventina di falsi collaboratori coordinati e continuativi a progetto che ci hanno esposto con la massima franchezza le loro condizioni lavorative terzomondiste", racconta Carmelo Massari della Cpo.
Il call center della Telework è in in Via Saffi e, "la parola 'falsi' non e' utilizzata in modo casuale, ma è volontaria". Infatti, spiega il sindacalista, "il servizio che svolgono è quello di addetti alle risposte in entrata". Ad esempio, se si chiama il numero verde Hera, "loro rispondono: buon giorno Hera, mi dica...".
"Quindi- domanda Massari- dove inizia e dove finisce il progetto?". Inoltre, l'autonomia del collaboratore, "è inesistente. Dai racconti degli stessi operatori e da ciò che è riscontrabile dal contratto che sottoscrivono con la società che gestisce per conto di Hera il servizio di costumer service, si evince con chiarezza il numero di ore da svolgere in un mese per ogni singolo collaboratore e la turnazione settimanale, e che le mansioni non cambiano mai". In pratica, spiegano dal sindacato, gli stessi contratti "fotocopia" possono essere ipoteticamente prolungati all'infinito. "Siamo di fronte alle classiche distorsioni della flessibilità", protesta Massari.
Categorie: bologna hera telework call_center precari maggio2006 uil uil_cpo
Bologna, 26 maggio 2006 - A Bologna, nel call center di Hera gestito dalla società Telework, lavorano "oltre 250 falsi collaboratori a progetto" che operano in condizioni di precarietà "non più sostenibili". La denuncia è del sindacato degli atipici della Uil (Cpo) che, in queste ultime settimane ai propri sportelli di assistenza dedicati ai lavoratori "flessibili", ha visto arrivare "una ventina di falsi collaboratori coordinati e continuativi a progetto che ci hanno esposto con la massima franchezza le loro condizioni lavorative terzomondiste", racconta Carmelo Massari della Cpo.
Il call center della Telework è in in Via Saffi e, "la parola 'falsi' non e' utilizzata in modo casuale, ma è volontaria". Infatti, spiega il sindacalista, "il servizio che svolgono è quello di addetti alle risposte in entrata". Ad esempio, se si chiama il numero verde Hera, "loro rispondono: buon giorno Hera, mi dica...".
"Quindi- domanda Massari- dove inizia e dove finisce il progetto?". Inoltre, l'autonomia del collaboratore, "è inesistente. Dai racconti degli stessi operatori e da ciò che è riscontrabile dal contratto che sottoscrivono con la società che gestisce per conto di Hera il servizio di costumer service, si evince con chiarezza il numero di ore da svolgere in un mese per ogni singolo collaboratore e la turnazione settimanale, e che le mansioni non cambiano mai". In pratica, spiegano dal sindacato, gli stessi contratti "fotocopia" possono essere ipoteticamente prolungati all'infinito. "Siamo di fronte alle classiche distorsioni della flessibilità", protesta Massari.
Categorie: bologna hera telework call_center precari maggio2006 uil uil_cpo
26.5.06
Palermo 26/5: Sciopero e picchetto dei lavoratori precari Cos-med
VENERDI 26 MAGGIO I LAVORATORI LAP DELLA COS-MED SCIOPERANO E PICCHETTANO IL CALL CENTER
Questa mattina 26 maggio un centinaio di precari e di precarie hanno scioperato e picchettato l'azienda Cos-Med di palermo contro la precarietà,per l'abrogazione della legge Biagi e contro il peggioramento contrattuale proposto dall'azienda nei giorni scorsi.
Gli 800 lavoratori a progetto (lap) della Cos.med, che si occupano della commessa Sky, oggi in massa non si sono presentati al lavoro, al call center. I lap sono al quarto giorno di protesta perche' l'azienda, sulla scorta delle condizioni mutate di Sky e di una commessa che scade a dicembre, ha proposto ai lavoratori un abbassamento del compenso da 70 a 60 centesimi di euro lordi per ogni chiamata smistata con in alternativa alcune opzioni sul tavolo come quella della vendita del pacchetto Sky con un compenso di 4 euro lordi per ogni ora di parlato e per ogni contratto Sky venduto in out bound 15 euro.
CONTRO LA PRECARIETA'
PIU' SALARIO MENO ORARIO
www.euromayday.org/palermo
ALTRE FOTO | AUDIO
Categorie: palermo maggio2006 cos sky cosmed presidio precari call_center picchetto cocopro legge30
Questa mattina 26 maggio un centinaio di precari e di precarie hanno scioperato e picchettato l'azienda Cos-Med di palermo contro la precarietà,per l'abrogazione della legge Biagi e contro il peggioramento contrattuale proposto dall'azienda nei giorni scorsi.
Gli 800 lavoratori a progetto (lap) della Cos.med, che si occupano della commessa Sky, oggi in massa non si sono presentati al lavoro, al call center. I lap sono al quarto giorno di protesta perche' l'azienda, sulla scorta delle condizioni mutate di Sky e di una commessa che scade a dicembre, ha proposto ai lavoratori un abbassamento del compenso da 70 a 60 centesimi di euro lordi per ogni chiamata smistata con in alternativa alcune opzioni sul tavolo come quella della vendita del pacchetto Sky con un compenso di 4 euro lordi per ogni ora di parlato e per ogni contratto Sky venduto in out bound 15 euro.
CONTRO LA PRECARIETA'
PIU' SALARIO MENO ORARIO
www.euromayday.org/palermo
ALTRE FOTO | AUDIO
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25.5.06
Studiare con lentezza
L'Università, la precarietà e il ritorno delle rivolte studentesche
Anno accademico 2005/2206. Tornano in Europa le rivolte studentesche, dichiarate troppo presto defunte dalla memoria ufficiale e non. Dal movimento studentesco italiano dell'autunno 2005 contro il ddl Moratti sulla precarizzazione della ricerca, al movimento del marzo francese contro il Cpe (contratto di primo impiego), nascono i primi movimenti dello studente massa, soggetto sociale modificato dalle trasformazioni produttive degli ultimi anni, e dalle riforme imposte in tutta Europa con il cosiddetto "processo di Bologna" - in Italia applicato dalle riforme Berlinguer/Zecchino/Moratti.
Dentro atenei trasformati in fabbriche di precari, con i tempi di una catena di montaggio, la precarietà entra prepotentemente al centro delle mobilitazioni. Rivolte con una natura profondamente sociale che favorisce una effettiva - ed esplosiva - possibilità di autoriconoscimento, e di autorganizzazione. Un fantasma di cui le classi dirigenti europee iniziano ad avere paura.
AUTORI
Il libro è il prodotto collettivo di un lavoro di ricerca e di elaborazione di un gruppo di collaboratori della rivista Erre che hanno in comune l'esperienza, in periodi diversi, nei Collettivi universitari, e l'attiva partecipazione ai movimenti studenteschi degli ultimi anni. Ciascuno ha contribuito a partire dalla sua specificità di esperienze, e di studi, con lo scopo di mettere in rete conoscenze diverse, e di integrare, in particolare, i punti di vista teorico, storico e sociologico - e la proiezione diretta all'agire sociale. Tutti in comune hanno il rifiuto consapevole di quest'università.
Categorie: università roma bologna zecchino moratti studenti cpe francia europa berlinguer libro maggio2006
Anno accademico 2005/2206. Tornano in Europa le rivolte studentesche, dichiarate troppo presto defunte dalla memoria ufficiale e non. Dal movimento studentesco italiano dell'autunno 2005 contro il ddl Moratti sulla precarizzazione della ricerca, al movimento del marzo francese contro il Cpe (contratto di primo impiego), nascono i primi movimenti dello studente massa, soggetto sociale modificato dalle trasformazioni produttive degli ultimi anni, e dalle riforme imposte in tutta Europa con il cosiddetto "processo di Bologna" - in Italia applicato dalle riforme Berlinguer/Zecchino/Moratti.
Dentro atenei trasformati in fabbriche di precari, con i tempi di una catena di montaggio, la precarietà entra prepotentemente al centro delle mobilitazioni. Rivolte con una natura profondamente sociale che favorisce una effettiva - ed esplosiva - possibilità di autoriconoscimento, e di autorganizzazione. Un fantasma di cui le classi dirigenti europee iniziano ad avere paura.
AUTORI
Il libro è il prodotto collettivo di un lavoro di ricerca e di elaborazione di un gruppo di collaboratori della rivista Erre che hanno in comune l'esperienza, in periodi diversi, nei Collettivi universitari, e l'attiva partecipazione ai movimenti studenteschi degli ultimi anni. Ciascuno ha contribuito a partire dalla sua specificità di esperienze, e di studi, con lo scopo di mettere in rete conoscenze diverse, e di integrare, in particolare, i punti di vista teorico, storico e sociologico - e la proiezione diretta all'agire sociale. Tutti in comune hanno il rifiuto consapevole di quest'università.
Categorie: università roma bologna zecchino moratti studenti cpe francia europa berlinguer libro maggio2006
22.5.06
Milano : Le 'scodellatrici' si astengono dal lavoro
Sciopero delle cosiddette 'scodellatrici' delle mense scolastiche a Milano, nell'ambito di un'agitazione di lavoratori e lavoratrici di 'Milano Ristorazione', la società che gestisce i servizi di mensa scolastica nel capoluogo lombardo.
La protesta e' stata indetta dalle sigle sindacali contro gli orari e i carichi di lavoro imposti dall' azienda e contro i contratti di assunzione stagionale.
Secondo i delegati sindacali la situazione più critica è proprio quella delle circa 900 lavoratrici del settore assunte dalle cooperative, le cosiddette 'scodellatrici'.
Per loro, oggi in sciopero tutto il giorno, la richiesta prioritaria è quella di un nuovo inquadramento contrattuale nel settore del commercio.
In mattinata si è svolto un presidio davanti Palazzo Marino.
''Il servizio di ristorazione - ha detto Gianfranco Besenzoni della Filcam Cgil - deve tornare ad essere gestito direttamente dal Comune di Milano. Dal 2001, da quando cioè i lavoratori sono stati esternalizzati a Milano Ristorazione, la qualità del servizio è peggiorata, insieme alle garanzie contrattuali dei lavoratori''.
''E' indicente che a Milano siano negati diritti fondamentali come quelli di questi lavoratori'', ha detto invece Giansandro Barzaghi, assessore provinciale all'Istruzione in piazza stamani insieme ai lavoratori.
I sindacati, che in giornata hanno in programma un incontro in Prefettura, hanno annunciato la preparazione di un libro bianco di denuncia sui disservizi della ristorazione milanese.
Categorie: palazzo_marino presidio scodellatrici filcam cgil milano maggio2006 comune ristorazione sciopero prefettura
La protesta e' stata indetta dalle sigle sindacali contro gli orari e i carichi di lavoro imposti dall' azienda e contro i contratti di assunzione stagionale.
Secondo i delegati sindacali la situazione più critica è proprio quella delle circa 900 lavoratrici del settore assunte dalle cooperative, le cosiddette 'scodellatrici'.
Per loro, oggi in sciopero tutto il giorno, la richiesta prioritaria è quella di un nuovo inquadramento contrattuale nel settore del commercio.
In mattinata si è svolto un presidio davanti Palazzo Marino.
''Il servizio di ristorazione - ha detto Gianfranco Besenzoni della Filcam Cgil - deve tornare ad essere gestito direttamente dal Comune di Milano. Dal 2001, da quando cioè i lavoratori sono stati esternalizzati a Milano Ristorazione, la qualità del servizio è peggiorata, insieme alle garanzie contrattuali dei lavoratori''.
''E' indicente che a Milano siano negati diritti fondamentali come quelli di questi lavoratori'', ha detto invece Giansandro Barzaghi, assessore provinciale all'Istruzione in piazza stamani insieme ai lavoratori.
I sindacati, che in giornata hanno in programma un incontro in Prefettura, hanno annunciato la preparazione di un libro bianco di denuncia sui disservizi della ristorazione milanese.
Categorie: palazzo_marino presidio scodellatrici filcam cgil milano maggio2006 comune ristorazione sciopero prefettura
Una vasta campagna ispettiva come rimedio al precariato
Una vasta campagna ispettiva come rimedio al precariato
di Michele Tiraboschi
Il lavoro nei call center rappresenta un osservatorio privilegiato degli attuali limiti e delle contraddizioni del dibattito su legge Biagi e precariato.
Indicati, spesso non a torto, come emblema del lavoro usa e getta, i call center non sono certo nati ieri, con la legge Biagi a cui pure vengono imputati tutti i mali del nostro mercato del lavoro. Vero è anzi, come dimostrano i due accordi Atesia di cui parlano Nicoletta Rocchi e Luciano Scalia (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri), che è stata la legge Biagi a imporre una drastica riorganizzazione del lavoro nei call center sino ad allora caratterizzati per un utilizzo massiccio e abusivo delle collaborazioni coordinate e continuative. Quanto accaduto in Atesia mostra anche agli osservatori più scettici e ideologicamente prevenuti la vera finalità della legge Biagi: incrementare cioè i livelli di tutela dei lavoratori fornendo al contempo alle imprese valide alternative all'utilizzo distorto della flessibilità tipologica dei contratti di lavoro. È questo quanto ho sostenuto sul Sole 24-Ore del 23 maggio 2004 parlando di un percorso di emersione mirata e selettiva di molteplici forme di lavoro grigio che oggi caratterizzano il nostro mercato del lavoro e quello dei call center in particolare.
Se questo percorso di progressivo passaggio dalle collaborazioni fittizie a forme flessibili di lavoro dipendente non è stato possibile con riferimento al primo accordo del 2004 ciò non è imputabile alla legge Biagi, semmai all'ostruzionismo delle Regioni che non hanno ancora dato attuazione alle regolamentazione dell'apprendistato professionalizzante (in Lazio, dove opera Atesia, manca una legge regionale e questo paralizza l'utilizzo dell'apprendistato). Vero è però che l'accordo firmato lo scorso 11 aprile individua un percorso chiaramente contra legem: pur di non applicare lo staff leasing, ovviamente in via sperimentale e per un numero circoscritto di ex cococo, si forza la normativa sul contratto di apprendistato superando i tetti di contingentamento imposti dalla legge. Quanto basta per intuire quale sia stato l'interesse congiunto, tra azienda e organizzazioni sindacali, che ha portato alla firma della recente intesa. L'azienda ha infatti subito di buon grado il veto sindacale sul famigerato staff leasing perché sa bene che non è affatto una forma di lavoro precario con cui è possibile ridurre il costo del lavoro. Meglio ricorrere a contratti incentivati e con trattamenti retributivi ridotti in luogo della sperimentazione di uno degli aspetti più innovativi della legge Biagi, e cioè la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, che pure prevede l'assunzione stabile dei lavoratori e percorsi mirati di formazione e tutela del reddito grazie alla quota del 4% sul costo complessivo del lavoro.
Ciò rilevato, proprio a tutela dell'anima laburista e riformista della legge Biagi, che è poi l'unica cosa che mi stava a cuore nello scrivere l'articolo di sabato scorso, non posso non concordare con la proposta, concreta e incisiva, di Nicoletta Rocchi: avviare cioè finalmente una larga inchiesta su tutto il territorio nazionale sia con riferimento alla organizzazione del lavoro nei call center sia in relazione al tema delicatissimo delle gare di appalto per i servizi nella pubblica amministrazione che è poi il principale utilizzatore di forme di lavoro irregolari. È questa l'unica strada per combattere il vero precariato e superare le dispute ideologiche e nominalistiche sulla Legge Biagi. Potrebbe essere peraltro questa l'occasione, da parte del nuovo Ministro del lavoro, per prendere in mano e rispolverare la "direttiva fantasma" sul lavoro a progetto che detta regole rigorose ma certe sull'impiego dei collaboratori anche con riferimento ai call center. Avviare una massiccia campagna ispettiva senza aver prima chiarito le modalità di corretto utilizzo del lavoro a progetto non farebbe altro che alimentare nuova confusione e un imponente contenzioso dannoso non solo per le imprese ma anche per gli stessi lavoratori.
Michele Tiraboschi
(Il Sole 24 Ore, 11 maggio 2006)
Categorie: tiraboschi call_center il_sole_24_ore legge30 atesia
di Michele Tiraboschi
Il lavoro nei call center rappresenta un osservatorio privilegiato degli attuali limiti e delle contraddizioni del dibattito su legge Biagi e precariato.
Indicati, spesso non a torto, come emblema del lavoro usa e getta, i call center non sono certo nati ieri, con la legge Biagi a cui pure vengono imputati tutti i mali del nostro mercato del lavoro. Vero è anzi, come dimostrano i due accordi Atesia di cui parlano Nicoletta Rocchi e Luciano Scalia (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri), che è stata la legge Biagi a imporre una drastica riorganizzazione del lavoro nei call center sino ad allora caratterizzati per un utilizzo massiccio e abusivo delle collaborazioni coordinate e continuative. Quanto accaduto in Atesia mostra anche agli osservatori più scettici e ideologicamente prevenuti la vera finalità della legge Biagi: incrementare cioè i livelli di tutela dei lavoratori fornendo al contempo alle imprese valide alternative all'utilizzo distorto della flessibilità tipologica dei contratti di lavoro. È questo quanto ho sostenuto sul Sole 24-Ore del 23 maggio 2004 parlando di un percorso di emersione mirata e selettiva di molteplici forme di lavoro grigio che oggi caratterizzano il nostro mercato del lavoro e quello dei call center in particolare.
Se questo percorso di progressivo passaggio dalle collaborazioni fittizie a forme flessibili di lavoro dipendente non è stato possibile con riferimento al primo accordo del 2004 ciò non è imputabile alla legge Biagi, semmai all'ostruzionismo delle Regioni che non hanno ancora dato attuazione alle regolamentazione dell'apprendistato professionalizzante (in Lazio, dove opera Atesia, manca una legge regionale e questo paralizza l'utilizzo dell'apprendistato). Vero è però che l'accordo firmato lo scorso 11 aprile individua un percorso chiaramente contra legem: pur di non applicare lo staff leasing, ovviamente in via sperimentale e per un numero circoscritto di ex cococo, si forza la normativa sul contratto di apprendistato superando i tetti di contingentamento imposti dalla legge. Quanto basta per intuire quale sia stato l'interesse congiunto, tra azienda e organizzazioni sindacali, che ha portato alla firma della recente intesa. L'azienda ha infatti subito di buon grado il veto sindacale sul famigerato staff leasing perché sa bene che non è affatto una forma di lavoro precario con cui è possibile ridurre il costo del lavoro. Meglio ricorrere a contratti incentivati e con trattamenti retributivi ridotti in luogo della sperimentazione di uno degli aspetti più innovativi della legge Biagi, e cioè la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, che pure prevede l'assunzione stabile dei lavoratori e percorsi mirati di formazione e tutela del reddito grazie alla quota del 4% sul costo complessivo del lavoro.
Ciò rilevato, proprio a tutela dell'anima laburista e riformista della legge Biagi, che è poi l'unica cosa che mi stava a cuore nello scrivere l'articolo di sabato scorso, non posso non concordare con la proposta, concreta e incisiva, di Nicoletta Rocchi: avviare cioè finalmente una larga inchiesta su tutto il territorio nazionale sia con riferimento alla organizzazione del lavoro nei call center sia in relazione al tema delicatissimo delle gare di appalto per i servizi nella pubblica amministrazione che è poi il principale utilizzatore di forme di lavoro irregolari. È questa l'unica strada per combattere il vero precariato e superare le dispute ideologiche e nominalistiche sulla Legge Biagi. Potrebbe essere peraltro questa l'occasione, da parte del nuovo Ministro del lavoro, per prendere in mano e rispolverare la "direttiva fantasma" sul lavoro a progetto che detta regole rigorose ma certe sull'impiego dei collaboratori anche con riferimento ai call center. Avviare una massiccia campagna ispettiva senza aver prima chiarito le modalità di corretto utilizzo del lavoro a progetto non farebbe altro che alimentare nuova confusione e un imponente contenzioso dannoso non solo per le imprese ma anche per gli stessi lavoratori.
Michele Tiraboschi
(Il Sole 24 Ore, 11 maggio 2006)
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Siamo tutti precari (Panorama)
Siamo tutti precari
di Gianluca Beltrame e Alberto Toscano
22/5/2006
Julie Coudry e Francesco Raparelli
Julie, 27 anni, leader del nuovo movimento studentesco francese. Francesco, 28 anni: dalle tute bianche di Genova all'occupazione delle università contro la Moratti. «Panorama» li ha messi insieme per discutere di giovani e lavoro. Le loro tesi? La piena occupazione è un mito del passato. E siamo più poveri per colpa dei cinquantenni. Quanto al welfare, va cambiato.
«Mobilità sì, precarietà no» è lo slogan che emerge dal faccia a faccia, organizzato a Parigi da Panorama, fra la leader del nuovo movimento studentesco francese Julie Coudry e Francesco Raparelli, protagonista di molte lotte studentesche, per la casa, contro la globalizzazione e la precarizzazione in Italia.
Lontanissimi dal punto di vista ideologico (Julie tiene nella sua stanza di lavoro un poster di Solidarnosc, Francesco collabora con Toni Negri), nel corso dell'incontro i due giovani non hanno contestato l'economia di mercato (pragmaticamente hanno riconosciuto che è questo il sistema con cui devono confrontarsi, e tanto basta) e condividono l'analisi di fondo: la loro generazione è la prima in Occidente a sapere che sarà più povera di quella dei loro genitori che, a trent'anni, pensavano a comprarsi una casa, stipulavano mutui, contavano su un reddito fisso.
Ma la responsabilità di questa situazione, dicono, va cercata tra i cinquanta-sessantenni che, per garantirsi lo standard di vita più alto che il mondo abbia mai conosciuto, hanno inguaiato i più giovani. Arroccandosi sulle loro rigide garanzie (lavorative e pensionistiche) lasciano che i ventenni passino da un contratto a tempo determinato a un altro. Senza serie speranze che la situazione possa cambiare (tabella a pagina 37).
La precarietà del lavoro, insomma, è ormai una costante del nuovo sistema produttivo globalizzato. E non c'è da farsi l'illusione che sia un problema solo dei giovani: chiunque oggi perda il posto, infatti, si trova nella loro stessa situazione. Punto di partenza del faccia a faccia non poteva che essere quello della vittoria degli studenti francesi che hanno ottenuto il ritiro della legge sul Cpe, il tanto contestato contratto di prima assunzione.
Julie. Il primo ministro Dominique de Villepin aveva sostenuto in ogni sede, con forza, di non poter cancellare una legge approvata dal parlamento. Poi però ha dovuto rimangiarsi tutto quando sono scesi in piazza 12 sindacati di studenti e di lavoratori, uniti dalla parola d'ordine del no alla discriminazione contro i giovani. È stato straordinario: grazie a quell'unità abbiamo vinto una battaglia fondamentale, abbiamo cambiato le cose in un senso che consideriamo giusto.
Francesco. Noi studenti italiani abbiamo seguito con entusiasmo la lotta francese contro il Cpe. Solo qualche mese prima eravamo scesi in piazza contro il lavoro precario e in particolare contro la precarizzazione della ricerca nell'università. L'esperienza francese ci ha mostrato l'importanza della saldatura tra studenti e lavoratori.
Abbiamo solidarizzato con la lotta francese: ci sono state carovane di studenti italiani in occasione delle manifestazioni parigine del 16 e del 28 marzo. Eravamo a Parigi anche per il 1° maggio: due nostri compagni sono ancora nelle galere francesi per quella manifestazione. E abbiamo visto gli studenti francesi rompere le mura delle scuole e «prendersi» la città.
Julie. C'è poi un altro punto, interpretabile secondo me in chiave europea: la nostra generazione era stata descritta come affetta da «rassegnazione giovanile»: abbiamo dimostrato invece di non essere per nulla rassegnati. Certo, questa generazione deve confrontarsi con problemi difficili e nuovi, ma vuole costruire il proprio avvenire ed è capace di impegnarsi fino in fondo. Altro che rassegnazione. Se ne sono accorti anche i sindacati dei lavoratori, che avevano creduto, come pure i partiti politici, di poter trattare le organizzazioni studentesche come una loro semplice appendice. Forse in altri tempi è stato così: oggi certamente no.
Francesco. Julie ha ragione. La nostra non è una generazione chiusa o una generazione in ginocchio: gli studenti francesi lo hanno dimostrato a tutta Europa. Quanto ai sindacati, quelli italiani non riescono a capire che gli studenti possono occuparsi a pieno titolo e con pieno diritto di problemi del lavoro. Le confederazioni francesi lo hanno capito, quelle italiane in buona parte no.
Julie. Ora il problema è andare oltre la vittoria del Cpe. Noi rifiutiamo una logica puramente difensiva: abbiamo dimostrato di poter vincere, ma dire no non basta. Quand'anche riuscissimo a cancellare tutto quello che non ci va, non avremmo comunque una società che ci piace. Dobbiamo essere propositivi, anche perché nel caso del Cpe l'opinione pubblica ci ha sostenuti in quanto quella legge era ingiusta e la nostra battaglia era concreta. Non volevamo cambiare il mondo, ma batterci contro un'ingiustizia ben precisa. Ora dobbiamo dimostrare altrettanta concretezza: il problema non è rovesciare l'economia di mercato, ma creare condizioni più giuste per i giovani.
Julie Coudry, 27 anni, frequenta il master in economia alla Sorbona
Francesco. Il punto è il lavoro precario. Gli studenti di oggi, e non solo quelli italiani, non hanno il mito del posto fisso, del contratto a tempo indeterminato fino al giorno della pensione. Però non vogliamo che la flessibilità si traduca in una serie continua di ricatti (o accetti queste condizioni o sei disoccupato) e in forme inaccettabili di precarizzazione.
La soluzione non può essere trovata in un'ottica da vecchio capitalismo fordista: oggi la disoccupazione giovanile è elevatissima in Francia come in Italia. Dobbiamo accettare il fatto che non ci sarà più la piena occupazione. E allora la nostra sfida sta nel costruire una flessibilità non ricattatoria.
Penso a forme di reddito che coprano le cerniere tra un lavoro e un altro. Deve esserci una continuità del reddito anche in presenza di una discontinuità del lavoro. Il mercato del lavoro è cambiato, di conseguenza dobbiamo inventarci un nuovo welfare.
Categorie: precari francia reddito cpe moratti università flessibilità maggio2006 panorama disoccupazione sorbona la_sapienza esc
di Gianluca Beltrame e Alberto Toscano
22/5/2006
Julie Coudry e Francesco Raparelli
Julie, 27 anni, leader del nuovo movimento studentesco francese. Francesco, 28 anni: dalle tute bianche di Genova all'occupazione delle università contro la Moratti. «Panorama» li ha messi insieme per discutere di giovani e lavoro. Le loro tesi? La piena occupazione è un mito del passato. E siamo più poveri per colpa dei cinquantenni. Quanto al welfare, va cambiato.
«Mobilità sì, precarietà no» è lo slogan che emerge dal faccia a faccia, organizzato a Parigi da Panorama, fra la leader del nuovo movimento studentesco francese Julie Coudry e Francesco Raparelli, protagonista di molte lotte studentesche, per la casa, contro la globalizzazione e la precarizzazione in Italia.
Lontanissimi dal punto di vista ideologico (Julie tiene nella sua stanza di lavoro un poster di Solidarnosc, Francesco collabora con Toni Negri), nel corso dell'incontro i due giovani non hanno contestato l'economia di mercato (pragmaticamente hanno riconosciuto che è questo il sistema con cui devono confrontarsi, e tanto basta) e condividono l'analisi di fondo: la loro generazione è la prima in Occidente a sapere che sarà più povera di quella dei loro genitori che, a trent'anni, pensavano a comprarsi una casa, stipulavano mutui, contavano su un reddito fisso.
Ma la responsabilità di questa situazione, dicono, va cercata tra i cinquanta-sessantenni che, per garantirsi lo standard di vita più alto che il mondo abbia mai conosciuto, hanno inguaiato i più giovani. Arroccandosi sulle loro rigide garanzie (lavorative e pensionistiche) lasciano che i ventenni passino da un contratto a tempo determinato a un altro. Senza serie speranze che la situazione possa cambiare (tabella a pagina 37).
La precarietà del lavoro, insomma, è ormai una costante del nuovo sistema produttivo globalizzato. E non c'è da farsi l'illusione che sia un problema solo dei giovani: chiunque oggi perda il posto, infatti, si trova nella loro stessa situazione. Punto di partenza del faccia a faccia non poteva che essere quello della vittoria degli studenti francesi che hanno ottenuto il ritiro della legge sul Cpe, il tanto contestato contratto di prima assunzione.
Julie. Il primo ministro Dominique de Villepin aveva sostenuto in ogni sede, con forza, di non poter cancellare una legge approvata dal parlamento. Poi però ha dovuto rimangiarsi tutto quando sono scesi in piazza 12 sindacati di studenti e di lavoratori, uniti dalla parola d'ordine del no alla discriminazione contro i giovani. È stato straordinario: grazie a quell'unità abbiamo vinto una battaglia fondamentale, abbiamo cambiato le cose in un senso che consideriamo giusto.
Francesco. Noi studenti italiani abbiamo seguito con entusiasmo la lotta francese contro il Cpe. Solo qualche mese prima eravamo scesi in piazza contro il lavoro precario e in particolare contro la precarizzazione della ricerca nell'università. L'esperienza francese ci ha mostrato l'importanza della saldatura tra studenti e lavoratori.
Abbiamo solidarizzato con la lotta francese: ci sono state carovane di studenti italiani in occasione delle manifestazioni parigine del 16 e del 28 marzo. Eravamo a Parigi anche per il 1° maggio: due nostri compagni sono ancora nelle galere francesi per quella manifestazione. E abbiamo visto gli studenti francesi rompere le mura delle scuole e «prendersi» la città.
Julie. C'è poi un altro punto, interpretabile secondo me in chiave europea: la nostra generazione era stata descritta come affetta da «rassegnazione giovanile»: abbiamo dimostrato invece di non essere per nulla rassegnati. Certo, questa generazione deve confrontarsi con problemi difficili e nuovi, ma vuole costruire il proprio avvenire ed è capace di impegnarsi fino in fondo. Altro che rassegnazione. Se ne sono accorti anche i sindacati dei lavoratori, che avevano creduto, come pure i partiti politici, di poter trattare le organizzazioni studentesche come una loro semplice appendice. Forse in altri tempi è stato così: oggi certamente no.
Francesco. Julie ha ragione. La nostra non è una generazione chiusa o una generazione in ginocchio: gli studenti francesi lo hanno dimostrato a tutta Europa. Quanto ai sindacati, quelli italiani non riescono a capire che gli studenti possono occuparsi a pieno titolo e con pieno diritto di problemi del lavoro. Le confederazioni francesi lo hanno capito, quelle italiane in buona parte no.
Julie. Ora il problema è andare oltre la vittoria del Cpe. Noi rifiutiamo una logica puramente difensiva: abbiamo dimostrato di poter vincere, ma dire no non basta. Quand'anche riuscissimo a cancellare tutto quello che non ci va, non avremmo comunque una società che ci piace. Dobbiamo essere propositivi, anche perché nel caso del Cpe l'opinione pubblica ci ha sostenuti in quanto quella legge era ingiusta e la nostra battaglia era concreta. Non volevamo cambiare il mondo, ma batterci contro un'ingiustizia ben precisa. Ora dobbiamo dimostrare altrettanta concretezza: il problema non è rovesciare l'economia di mercato, ma creare condizioni più giuste per i giovani.
Julie Coudry, 27 anni, frequenta il master in economia alla Sorbona
Francesco. Il punto è il lavoro precario. Gli studenti di oggi, e non solo quelli italiani, non hanno il mito del posto fisso, del contratto a tempo indeterminato fino al giorno della pensione. Però non vogliamo che la flessibilità si traduca in una serie continua di ricatti (o accetti queste condizioni o sei disoccupato) e in forme inaccettabili di precarizzazione.
La soluzione non può essere trovata in un'ottica da vecchio capitalismo fordista: oggi la disoccupazione giovanile è elevatissima in Francia come in Italia. Dobbiamo accettare il fatto che non ci sarà più la piena occupazione. E allora la nostra sfida sta nel costruire una flessibilità non ricattatoria.
Penso a forme di reddito che coprano le cerniere tra un lavoro e un altro. Deve esserci una continuità del reddito anche in presenza di una discontinuità del lavoro. Il mercato del lavoro è cambiato, di conseguenza dobbiamo inventarci un nuovo welfare.
Categorie: precari francia reddito cpe moratti università flessibilità maggio2006 panorama disoccupazione sorbona la_sapienza esc
21.5.06
Verona 3/6 - Seminario e assemblea degli IWW
Verona - Seminario e assemblea degli IWW
Sabato 3 Giugno Giornata di mobilitazione a Verona:
ore 10:30: Seminario
Migrations movements and borders control in an european space
An international workshop
Uninomade - Laboratorio territoriale del Nordest
Verona, June 3th 2006 - Sala Lucchi Stadio
- Manuela Bojadzijev (Frankfurt am Main)
- Sandro Chignola (Università di Padova)
- Sandro Mezzadra (Università di Bologna)
- Judith Revel (Paris)
- Javi Toret (Sevilla)
Per arrivare: uscita Verona Nord, seguire le indicazioni per lo Stadio.
Dalla stazione: Piazzale Olimpia, Stadio. 10 minuti a piedi.
ore 15:00 Assemblea di migranti e precari in movimento - IWW: invisible workers of the world
Il documento che segue e l’assemblea sono promossi da:
Coordinamento migranti Verona, ADL - Padova, Razzismo Stop, RDB/CUB Veneto, Movimento antagonista toscano
Per adesioni: chisa[at]sis.it
Invisible workers of the world
Per una rete europea contro la precarietà, il razzismo e per i diritti sociali e di cittadinanza del lavoro migrante, intermittente e precario
Dal centro del Mediterraneo
Due eventi hanno lacerato il velo della chiacchiera pre- e postelettorale. Parigi, aprile 2006, centinaia di miglia di giovani attraversano i boulevards e occupano licei e università, le fabbriche del sapere, rifiutando un futuro di precarietà.
Los Angeles, 1 maggio 2006, mezzo milione di lavoratori invisibili occupa il centro della città. Centinaia di migliaia di migranti escono dalla clandestinità nelle metropoli americane e si riuniscono per desalambrar, per buttare giù, il muro che li separa dallo spazio pubblico.
Parigi e Los Angeles bruciano di indignazione e di desiderio.
Di futuro.
Due eventi che disegnano le coordinate di un nuova fase del movimento globale. Precarietà e migrazione: la nuova composizione del lavoro vivo, mobile, flessibile.
Insorgenze che marcano il nuovo terreno della battaglia per i diritti sociali. Il lavoro migrante: attestato in luoghi cruciali della fabbrica sociale globale e tuttavia occultato, rimosso, confinato nelle banlieues informali delle grandi metropoli.
Il lavoro precario: la soggettività moltitudinaria e indocile di una generazione che ha molto di più da perdere che le proprie catene.
Riteniamo che precarietà e migrazione – lo ha dimostrato anche il successo dell’Euromayday del 1 maggio - rappresentino il terreno di maggiore radicamento e di maggiore espressività del conflitto sociale della nuova fase di movimento. Che attorno alle esperienze di lotta che si sono mosse al loro incrocio debbano annodarsi le reti di un nuovo spazio politico europeo.
CPT e accordi bilaterali per gestire le espulsioni dei clandestini, processi di governance orientati a massimizzare lo sfruttamento imbrigliando il lavoro in figure contrattuali che lo rendano erogabile a tempo, smantellamento del welfare e sua sostituzione con strumenti di mercato sono dispositivi il cui marchio europeo permette di legittimare politiche nazionali e rappresentano la risposta del capitale alla mobilità e all’autonomia del lavoro vivo.
Riteniamo che allo spazio europeo del comando si opponga uno spazio europeo delle lotte. E che le lotte abbiano perimetrato – da Genova in avanti – un’area della condivisione i cui limiti possano essere ulteriormente allargati.
La disobbedienza sociale e l’azione diretta, l’occupazione di case da parte di precari e migranti, il blocco degli sfratti e la resistenza al razzismo, l’autorganizzazione dei conflitti di lavoro, il lavorare politicamente alla costruzione di reti europee e transnazionali di movimento e dentro di esse, rappresentano la base sulla quale muoverci e la direttrice per un nuovo percorso.
Che si esprima tanto sul lato dell’organizzazione – valorizzando le proprie strutture di intervento e di conflitto – quanto su quello del movimento.
Si tratta di accettare il fatto che i processi di autorganizzazione del lavoro precario e migrante hanno raggiunto una soglia dalla quale non è dato recedere. E che – a partire dai nostri territori – le nuove dimensioni della messa a valore rendono di fatto inattuale e perdente qualsiasi scelta di mobilitazione non si ponga l’obiettivo di agire all’altezza di flussi la cui territorializzazione si è fatta sfuggente, diffusa, non contenibile.
Si tratta di coniugare autorganizzazione sindacale, resistenza sociale, lotta al razzismo e battaglia sui diritti. Di produrre un quadro di articolazione delle lotte per i diritti sociali di migranti e precari che espanda la potenza di soggettivazione del lavoro vivo registrando l’eccedenza che esso dimostra rispetto agli schemi di compatibilizzazione e di imbrigliamento con cui sindacati e partiti della sinistra sovranista e di "governo" cercano di esorcizzarla.
Non sarà certo "umanizzando" i CPT e la Legge 30 che, per restare in Italia, verrà realizzato il superamento delle questioni che le molecolari insorgenze del lavoro migrante e precario hanno posto negli ultimi cinque anni.
Si tratta di imporre un’agenda politica e sindacale volta a creare conflitto scavando nelle contraddizioni che si aprono nell’incrocio di legge 30 e legge Bossi-Fini e di porsi in continuità con il ciclo di lotte degli ultimi anni: di rivendicare lo sganciamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, di pretendere i contributi versati dai migranti per la pensione senza aspettare il raggiungimento dei 65 anni, di smascherare la finzione per cui i lavoratori migranti e non vengono assunti come soci di cooperative che però si riservano il diritto di licenziarli quando piace a loro.
E, su di un terreno politico più generale, di rivendicare l’amnistia per i reati connessi alla Bossi-Fini e alle lotte contro di essa: la cancellazione delle condanne per aver venduto merce che è "falsa" quanto lo è quella delle grandi firme o per non aver obbedito al foglio di via, una sanatoria generalizzata per chi non si trovi in regola col permesso di soggiorno, il riconoscimento del diritto alla casa per chi l’abbia occupata e quello di lottare, anche disobbedendo alla legge, per i propri diritti sociali.
Recuperare reddito, scavare contraddizioni nella giungla dei rapporti di lavoro della finzione cooperativa, rivendicare diritti di mobilità e di formazione, autoassegnarsi le case e, per restare per un momento al dispositivo di legge italiano sull’immigrazione, pretendere i contributi e il TFR con cui Bossi e Fini vorrebbero finanziare la costruzione di quei CPT di cui noi rivendichiamo, invece, lo smontaggio e il sabotaggio, sono i punti nodali su cui costruire piattaforme di lotta in cui connettere i mille fili delle vertenze che le lotte hanno aperto nei nostri territori.
Riteniamo che sul terreno della migrazione siano state sperimentate forme di invisibilizzazione, precarizzazione e sfruttamento destinate ad essere estese all’intero mondo del lavoro.
Spezzare la connessione tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, svuotare la pretesa della certificazione di idoneità dell’alloggio per accedere al diritto di ingresso e di residenza sul territorio e revocare la politica delle quote che subordina il lavoro e la sua autonomia alle esigenze del mercato, significa tenere aperto, a partire dalle concrete lotte dei migranti, lo spazio del conflitto per i diritti sociali di tutto il lavoro invisibile e precario.
Si tratta di saldare autorganizzazione sindacale e conflitto in nuovi percorsi di protagonismo politico.
Di elaborare il comune del lavoro invisibile e precario.
Di generalizzare le vertenze in una dimensione locale, metropolitana ed europea.
Di attraversare i confini e di abbattere i reticolati dell’imbrigliamento e dell’invisibilizzazione.
Nella metropoli diffusa del nord del paese (e nel cuore dell’Europa) – da Trento a Bologna, da Trieste alla Toscana, da Milano a Venezia – sui processi dell’accumulazione flessibile si sono sviluppate esperienze di lotta e di autorganizzazione che si tratta di connettere e di potenziare.
Riteniamo che le forme di autorganizzazione che precari e migranti si sono dati rappresentino un dato emblematico in questo senso.
Sportelli, mobilitazioni diffuse, occupazioni di case, scioperi e vertenze, processi di sindacalizzazione dal basso autonomi ed indisponibili al paternalista concertazionismo di CGIL, CISL e UIL vanno posti in rete per dispiegare una nuova agenda del conflitto.
L’autonomia dei movimenti è tale di fronte a qualsiasi governo e il nostro spazio politico è l’Europa.
Il lavoro politico contro il dispositivo complessivo della legge Bossi-Fini, della Turco-Napolitano che l’ha preceduta, quello in cantiere rispetto alla legge che verrà, e per i diritti soggettivi del lavoro migrante ha sedimentato consapevolezza e organizzazione.
Un patrimonio di analisi e di lotte.
CPT, erogazione di contratti di lavoro a termine, bassi salari, negazione dei più elementari diritti sociali hanno progressivamente saldato piattaforme rivendicative generalizzabili all’insieme del lavoro precario.
Riteniamo sia tempo di dare vita a una rete degli invisibili e dei precari che agisca sui nostri territori come parte e come punto di snodo di uno spazio europeo delle lotte e del conflitto.
Il nostro tempo è qui e comincia adesso.
¡ VAMOS A DESALAMBRAR !
Coordinamento Migranti Verona – ADL-Padova – RDB-CUB Veneto – Razzismo Stop - Movimento Antagonista Toscano
Verona, 3 giugno 2006:
Assemblea degli IWW
Sala Lucchi, Stadio
Ore 15:00
Categorie: verona giugno2006 iww uninomade nordest workshop seminario assemblea
Sabato 3 Giugno Giornata di mobilitazione a Verona:
ore 10:30: Seminario
Migrations movements and borders control in an european space
An international workshop
Uninomade - Laboratorio territoriale del Nordest
Verona, June 3th 2006 - Sala Lucchi Stadio
- Manuela Bojadzijev (Frankfurt am Main)
- Sandro Chignola (Università di Padova)
- Sandro Mezzadra (Università di Bologna)
- Judith Revel (Paris)
- Javi Toret (Sevilla)
Per arrivare: uscita Verona Nord, seguire le indicazioni per lo Stadio.
Dalla stazione: Piazzale Olimpia, Stadio. 10 minuti a piedi.
ore 15:00 Assemblea di migranti e precari in movimento - IWW: invisible workers of the world
Il documento che segue e l’assemblea sono promossi da:
Coordinamento migranti Verona, ADL - Padova, Razzismo Stop, RDB/CUB Veneto, Movimento antagonista toscano
Per adesioni: chisa[at]sis.it
Invisible workers of the world
Per una rete europea contro la precarietà, il razzismo e per i diritti sociali e di cittadinanza del lavoro migrante, intermittente e precario
Dal centro del Mediterraneo
Due eventi hanno lacerato il velo della chiacchiera pre- e postelettorale. Parigi, aprile 2006, centinaia di miglia di giovani attraversano i boulevards e occupano licei e università, le fabbriche del sapere, rifiutando un futuro di precarietà.
Los Angeles, 1 maggio 2006, mezzo milione di lavoratori invisibili occupa il centro della città. Centinaia di migliaia di migranti escono dalla clandestinità nelle metropoli americane e si riuniscono per desalambrar, per buttare giù, il muro che li separa dallo spazio pubblico.
Parigi e Los Angeles bruciano di indignazione e di desiderio.
Di futuro.
Due eventi che disegnano le coordinate di un nuova fase del movimento globale. Precarietà e migrazione: la nuova composizione del lavoro vivo, mobile, flessibile.
Insorgenze che marcano il nuovo terreno della battaglia per i diritti sociali. Il lavoro migrante: attestato in luoghi cruciali della fabbrica sociale globale e tuttavia occultato, rimosso, confinato nelle banlieues informali delle grandi metropoli.
Il lavoro precario: la soggettività moltitudinaria e indocile di una generazione che ha molto di più da perdere che le proprie catene.
Riteniamo che precarietà e migrazione – lo ha dimostrato anche il successo dell’Euromayday del 1 maggio - rappresentino il terreno di maggiore radicamento e di maggiore espressività del conflitto sociale della nuova fase di movimento. Che attorno alle esperienze di lotta che si sono mosse al loro incrocio debbano annodarsi le reti di un nuovo spazio politico europeo.
CPT e accordi bilaterali per gestire le espulsioni dei clandestini, processi di governance orientati a massimizzare lo sfruttamento imbrigliando il lavoro in figure contrattuali che lo rendano erogabile a tempo, smantellamento del welfare e sua sostituzione con strumenti di mercato sono dispositivi il cui marchio europeo permette di legittimare politiche nazionali e rappresentano la risposta del capitale alla mobilità e all’autonomia del lavoro vivo.
Riteniamo che allo spazio europeo del comando si opponga uno spazio europeo delle lotte. E che le lotte abbiano perimetrato – da Genova in avanti – un’area della condivisione i cui limiti possano essere ulteriormente allargati.
La disobbedienza sociale e l’azione diretta, l’occupazione di case da parte di precari e migranti, il blocco degli sfratti e la resistenza al razzismo, l’autorganizzazione dei conflitti di lavoro, il lavorare politicamente alla costruzione di reti europee e transnazionali di movimento e dentro di esse, rappresentano la base sulla quale muoverci e la direttrice per un nuovo percorso.
Che si esprima tanto sul lato dell’organizzazione – valorizzando le proprie strutture di intervento e di conflitto – quanto su quello del movimento.
Si tratta di accettare il fatto che i processi di autorganizzazione del lavoro precario e migrante hanno raggiunto una soglia dalla quale non è dato recedere. E che – a partire dai nostri territori – le nuove dimensioni della messa a valore rendono di fatto inattuale e perdente qualsiasi scelta di mobilitazione non si ponga l’obiettivo di agire all’altezza di flussi la cui territorializzazione si è fatta sfuggente, diffusa, non contenibile.
Si tratta di coniugare autorganizzazione sindacale, resistenza sociale, lotta al razzismo e battaglia sui diritti. Di produrre un quadro di articolazione delle lotte per i diritti sociali di migranti e precari che espanda la potenza di soggettivazione del lavoro vivo registrando l’eccedenza che esso dimostra rispetto agli schemi di compatibilizzazione e di imbrigliamento con cui sindacati e partiti della sinistra sovranista e di "governo" cercano di esorcizzarla.
Non sarà certo "umanizzando" i CPT e la Legge 30 che, per restare in Italia, verrà realizzato il superamento delle questioni che le molecolari insorgenze del lavoro migrante e precario hanno posto negli ultimi cinque anni.
Si tratta di imporre un’agenda politica e sindacale volta a creare conflitto scavando nelle contraddizioni che si aprono nell’incrocio di legge 30 e legge Bossi-Fini e di porsi in continuità con il ciclo di lotte degli ultimi anni: di rivendicare lo sganciamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, di pretendere i contributi versati dai migranti per la pensione senza aspettare il raggiungimento dei 65 anni, di smascherare la finzione per cui i lavoratori migranti e non vengono assunti come soci di cooperative che però si riservano il diritto di licenziarli quando piace a loro.
E, su di un terreno politico più generale, di rivendicare l’amnistia per i reati connessi alla Bossi-Fini e alle lotte contro di essa: la cancellazione delle condanne per aver venduto merce che è "falsa" quanto lo è quella delle grandi firme o per non aver obbedito al foglio di via, una sanatoria generalizzata per chi non si trovi in regola col permesso di soggiorno, il riconoscimento del diritto alla casa per chi l’abbia occupata e quello di lottare, anche disobbedendo alla legge, per i propri diritti sociali.
Recuperare reddito, scavare contraddizioni nella giungla dei rapporti di lavoro della finzione cooperativa, rivendicare diritti di mobilità e di formazione, autoassegnarsi le case e, per restare per un momento al dispositivo di legge italiano sull’immigrazione, pretendere i contributi e il TFR con cui Bossi e Fini vorrebbero finanziare la costruzione di quei CPT di cui noi rivendichiamo, invece, lo smontaggio e il sabotaggio, sono i punti nodali su cui costruire piattaforme di lotta in cui connettere i mille fili delle vertenze che le lotte hanno aperto nei nostri territori.
Riteniamo che sul terreno della migrazione siano state sperimentate forme di invisibilizzazione, precarizzazione e sfruttamento destinate ad essere estese all’intero mondo del lavoro.
Spezzare la connessione tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro, svuotare la pretesa della certificazione di idoneità dell’alloggio per accedere al diritto di ingresso e di residenza sul territorio e revocare la politica delle quote che subordina il lavoro e la sua autonomia alle esigenze del mercato, significa tenere aperto, a partire dalle concrete lotte dei migranti, lo spazio del conflitto per i diritti sociali di tutto il lavoro invisibile e precario.
Si tratta di saldare autorganizzazione sindacale e conflitto in nuovi percorsi di protagonismo politico.
Di elaborare il comune del lavoro invisibile e precario.
Di generalizzare le vertenze in una dimensione locale, metropolitana ed europea.
Di attraversare i confini e di abbattere i reticolati dell’imbrigliamento e dell’invisibilizzazione.
Nella metropoli diffusa del nord del paese (e nel cuore dell’Europa) – da Trento a Bologna, da Trieste alla Toscana, da Milano a Venezia – sui processi dell’accumulazione flessibile si sono sviluppate esperienze di lotta e di autorganizzazione che si tratta di connettere e di potenziare.
Riteniamo che le forme di autorganizzazione che precari e migranti si sono dati rappresentino un dato emblematico in questo senso.
Sportelli, mobilitazioni diffuse, occupazioni di case, scioperi e vertenze, processi di sindacalizzazione dal basso autonomi ed indisponibili al paternalista concertazionismo di CGIL, CISL e UIL vanno posti in rete per dispiegare una nuova agenda del conflitto.
L’autonomia dei movimenti è tale di fronte a qualsiasi governo e il nostro spazio politico è l’Europa.
Il lavoro politico contro il dispositivo complessivo della legge Bossi-Fini, della Turco-Napolitano che l’ha preceduta, quello in cantiere rispetto alla legge che verrà, e per i diritti soggettivi del lavoro migrante ha sedimentato consapevolezza e organizzazione.
Un patrimonio di analisi e di lotte.
CPT, erogazione di contratti di lavoro a termine, bassi salari, negazione dei più elementari diritti sociali hanno progressivamente saldato piattaforme rivendicative generalizzabili all’insieme del lavoro precario.
Riteniamo sia tempo di dare vita a una rete degli invisibili e dei precari che agisca sui nostri territori come parte e come punto di snodo di uno spazio europeo delle lotte e del conflitto.
Il nostro tempo è qui e comincia adesso.
¡ VAMOS A DESALAMBRAR !
Coordinamento Migranti Verona – ADL-Padova – RDB-CUB Veneto – Razzismo Stop - Movimento Antagonista Toscano
Verona, 3 giugno 2006:
Assemblea degli IWW
Sala Lucchi, Stadio
Ore 15:00
Categorie: verona giugno2006 iww uninomade nordest workshop seminario assemblea
Una vita: i 13 anni di Maria nella cattedrale del precariato
Gennaio ’92. Licenziata; causa: cessata attività dell’azienda, che già da tempo navigava in cattive acque.
Maria ha 36 anni, sposata, 2 figlie di cui una nata da appena un mese.
Conosce bene, Maria, oltre l’italiano, l’inglese e anche il russo perché anni di lavoro nella oramai fallita azienda l’avevano portata a trattare con persone che da quei paesi provenivano.
A 36 anni dunque, Maria approda e tenta di districarsi in quel mare che presto si rivelerà essere il mercato del lavoro, alla stregua di un girone dantesco i cui dannati sono irretiti da una flessibilità parossisiticamente portata dalle regole della concorrenza ad una spregiudicata precarietà professionale... e di vita.
Maria invia 25 curriculum a varie aziende, enti sia pubblici che privati, ambasciate, uffici turistici presso i quali la sua figura professionale sarebbe potuta essere utile o quantomeno “sfiziosamente”interessante.
Le risposte? Mai ricevute. Da nessuno.
Del resto, già nell’Italia del ’92 una donna con competenze linguistiche affatto elementari e 15 anni di esperienza lavorativa maturati nella stessa azienda, ma di 36 anni (e due figlie a carico – particolare non poco rilevante per un qualsiasi datore di lavoro) è già troppo vecchia... meglio dire... matura per il mercato.
Fine ’93. Maria, 37 anni nel frattempo, tramite fruttuosa conoscenza, tentennante si appresta alla sua attività presso un call-center di una delle maggiori società di telecomunicazioni. Non è certo l’agognato posto fisso ma è pur sempre un contratto di collaborazione come consulente telefonico con l’onere di provvedere a noiose attività di telemarketing, estenuanti sondaggi ed interessantissime... rilevazioni statistiche.
Maria lavora tramite partita IVA, come se fosse una libera professionista insomma e possedesse una sua attività personale da cui trarre profitto, ma questa è solo una delle tante soluzioni formali grazie alle quali le aziende che assoldano personale, lungi dall’assunzione, paradisiaco ed elitario miraggio, mascherano l’avere subordinate a sé migliaia di utenze o lavoratori e lavoratrici (atipici e atipiche), caldamente invitati ad attenersi ad orari e turnazioni stabiliti che col libero professionismo poco o nulla hanno a che spartire.
Anno 2000: cambia la legge. Legge Treu. Chiusa la partita IVA, il contratto si trasforma in una collaborazione coordinata e continuativa. Maria è ufficialmente una “co.co.co.”, ha 45 anni ed è, anche lei, orgogliosamente militante tra le innumerevoli fila di giovani – e non – precari che popolano il massivo mondo dei nuovi “assunti” nel settore privato.
Essere “co.co.co” significa: essere entrati a far parte di coloro i quali vengono fortunatamente considerati lavoratori, ma non avere diritto a: ferie e malattia retribuite, non avere mensilmente una retribuzione fissa poiché si percepisce uno stipendio in base a quanto si produce; retribuzione che per ovvi motivi (di lucro aziendale) non potrà essere straordinariamente elevata ma che varierà, a seconda delle oscillazioni del magico mondo della telefonia, tra i 300 e i 700 euro mensili massimo, con una conseguente maturazione di contributi INPS dall’irrisorio o quantomeno scarso valore.
Settembre 2005. L’entrata in vigore della legge Biagi delegittima la legalità dei co.co.co. nel privato, che grazie ad un ingegnoso e puro gioco linguistico si trasformano in co.co.pro. Maria, 50 anni, è ora una collaboratrice a progetto.
Nella forma molto cambia, nella sostanza, nulla: il regime lavorativo per Maria in azienda è sempre lo stesso.
Si staglia nel frattempo nella lontananza dell’orizzonte per lei ed un altro centinaio di miracolati eletti, dopo tredici anni trascorsi tra le cattedrali del precariato, la possibilità di una fatidica assunzione. Il contratto che il sindacato ha difficilmente strappato all’azienda prevede 650 euro mensili, part time di 25 ore lavorative ma con turnazione h 18 cioè tra le 7 di mattina e le 24 di sera, inclusa la domenica.
Un giusto trattamento del resto, per chi è rimasto più di un decennio al servizio di un’azienda, in balia di contratti da rinnovare nel migliore dei casi trimestralmente e che nella paura di essere oggetto di qualche rappresaglia umanamente non ha acconsentito al trattamento dei propri dati.
600 euro, indispensabili ma drammaticamente incongrui per la sussistenza di un ordinario nucleo familiare.
Sara Felline
19/05/2006 20.03.44
Categorie: roma maggio2006 precari storia licenziamento
Maria ha 36 anni, sposata, 2 figlie di cui una nata da appena un mese.
Conosce bene, Maria, oltre l’italiano, l’inglese e anche il russo perché anni di lavoro nella oramai fallita azienda l’avevano portata a trattare con persone che da quei paesi provenivano.
A 36 anni dunque, Maria approda e tenta di districarsi in quel mare che presto si rivelerà essere il mercato del lavoro, alla stregua di un girone dantesco i cui dannati sono irretiti da una flessibilità parossisiticamente portata dalle regole della concorrenza ad una spregiudicata precarietà professionale... e di vita.
Maria invia 25 curriculum a varie aziende, enti sia pubblici che privati, ambasciate, uffici turistici presso i quali la sua figura professionale sarebbe potuta essere utile o quantomeno “sfiziosamente”interessante.
Le risposte? Mai ricevute. Da nessuno.
Del resto, già nell’Italia del ’92 una donna con competenze linguistiche affatto elementari e 15 anni di esperienza lavorativa maturati nella stessa azienda, ma di 36 anni (e due figlie a carico – particolare non poco rilevante per un qualsiasi datore di lavoro) è già troppo vecchia... meglio dire... matura per il mercato.
Fine ’93. Maria, 37 anni nel frattempo, tramite fruttuosa conoscenza, tentennante si appresta alla sua attività presso un call-center di una delle maggiori società di telecomunicazioni. Non è certo l’agognato posto fisso ma è pur sempre un contratto di collaborazione come consulente telefonico con l’onere di provvedere a noiose attività di telemarketing, estenuanti sondaggi ed interessantissime... rilevazioni statistiche.
Maria lavora tramite partita IVA, come se fosse una libera professionista insomma e possedesse una sua attività personale da cui trarre profitto, ma questa è solo una delle tante soluzioni formali grazie alle quali le aziende che assoldano personale, lungi dall’assunzione, paradisiaco ed elitario miraggio, mascherano l’avere subordinate a sé migliaia di utenze o lavoratori e lavoratrici (atipici e atipiche), caldamente invitati ad attenersi ad orari e turnazioni stabiliti che col libero professionismo poco o nulla hanno a che spartire.
Anno 2000: cambia la legge. Legge Treu. Chiusa la partita IVA, il contratto si trasforma in una collaborazione coordinata e continuativa. Maria è ufficialmente una “co.co.co.”, ha 45 anni ed è, anche lei, orgogliosamente militante tra le innumerevoli fila di giovani – e non – precari che popolano il massivo mondo dei nuovi “assunti” nel settore privato.
Essere “co.co.co” significa: essere entrati a far parte di coloro i quali vengono fortunatamente considerati lavoratori, ma non avere diritto a: ferie e malattia retribuite, non avere mensilmente una retribuzione fissa poiché si percepisce uno stipendio in base a quanto si produce; retribuzione che per ovvi motivi (di lucro aziendale) non potrà essere straordinariamente elevata ma che varierà, a seconda delle oscillazioni del magico mondo della telefonia, tra i 300 e i 700 euro mensili massimo, con una conseguente maturazione di contributi INPS dall’irrisorio o quantomeno scarso valore.
Settembre 2005. L’entrata in vigore della legge Biagi delegittima la legalità dei co.co.co. nel privato, che grazie ad un ingegnoso e puro gioco linguistico si trasformano in co.co.pro. Maria, 50 anni, è ora una collaboratrice a progetto.
Nella forma molto cambia, nella sostanza, nulla: il regime lavorativo per Maria in azienda è sempre lo stesso.
Si staglia nel frattempo nella lontananza dell’orizzonte per lei ed un altro centinaio di miracolati eletti, dopo tredici anni trascorsi tra le cattedrali del precariato, la possibilità di una fatidica assunzione. Il contratto che il sindacato ha difficilmente strappato all’azienda prevede 650 euro mensili, part time di 25 ore lavorative ma con turnazione h 18 cioè tra le 7 di mattina e le 24 di sera, inclusa la domenica.
Un giusto trattamento del resto, per chi è rimasto più di un decennio al servizio di un’azienda, in balia di contratti da rinnovare nel migliore dei casi trimestralmente e che nella paura di essere oggetto di qualche rappresaglia umanamente non ha acconsentito al trattamento dei propri dati.
600 euro, indispensabili ma drammaticamente incongrui per la sussistenza di un ordinario nucleo familiare.
Sara Felline
19/05/2006 20.03.44
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Lombardia. Aumenta sempre più il numero dei lavoratori atipici.
Regionamenti
Lombardia. Aumenta sempre più il numero dei lavoratori atipici. A Milano e provincia sono già oltre 300mila, 600mila nella regione
Fabio Brioschi
Precariato, cifre da capogiro
Lombardia. Aumenta sempre più il numero dei lavoratori atipici. A Milano e provincia sono già oltre 300mila, 600mila in tutta la regione.
Fabio Brioschi
Se la retorica della Milano capitale morale d’Italia è stata spazzata via con la stagione di tangentopoli, ora anche la retorica della Lombardia come una delle locomotive economiche e produttive d’Europa sta per essere messa definitivamente in crisi. Da un lato sono sempre più numerose le fabbriche e le attività produttive in genere che si trasferiscono altrove, dall’altro i dati sull’occupazione ne risentono in modo sempre più pesante.
Un interessante articolo, comparso in settimana sulle pagine locali milanesi del “Corriere della Sera” a firma di Rita Querzè, raccoglie dati molto preoccupanti circa le tipologie contrattuali degli impiegati lombardi: in regione sono già 600mila i lavoratori precari, di cui circa la metà a Milano e provincia, a cui si aggiungono (ma sono dati del 2004) 156mila lavoratori cosiddetti “in affitto”. Non sono contemplati in questi numeri i contratti a termine e i part time. Una cifra pesante che metterebbe seriamente in discussione qualsiasi modello di sviluppo economico e sociale, al di là di ogni retorica di seconda e terza mano.
Rita Querzè snocciola dati seriamente preoccupanti, non solo per il settore privato – dove la fa da padrone il commercio, con un impiegato precario su due –, ma anche per il pubblico: una persona su sei nel Comune di Milano e, addirittura, una su tre per quanto riguarda la Provincia lavorano con contratti atipici. Questa tipologia di lavoratori si riscontra in ogni settore produttivo e commerciale, pubblico e privato: sanità, scuola, aeroporti, call center. In particolar modo il 15% appartiene al settore della “conoscenza”, ossia maestri, professori, ricercatori; tutti lavoratori, insomma, dalla grande preparazione scolastica e universitaria, che non riescono, però, a fare fruttare la propria alta formazione scientifica (45mila solo in provincia di Milano).
Oggi come oggi nessun settore sfugge all’utilizzo anche massiccio e spesso incontrollato di lavoratori precari, ma in particolar modo è il settore pubblico a fare grande ricorso ai contratti atipici, anche mediante l’utilizzo di cooperative. Nel comparto sanità sono ben 19mila i lavoratori con contratto diverso da quello a tempo indeterminato.
La grande varietà delle mansioni e dei settori in cui sono impiegati, tuttavia, non comporta per la maggior parte di essi una sostanziale differenziazione dello stipendio finale, che si aggira intorno ai mille euro al mese.
Sotto gli occhi di tutti, data l’alta estensione del fenomeno, sono inoltre i grandi centri commerciali, dove circa il 50% dei lavoratori ha forme contrattuali non a tempo indeterminato, e la scuola (8mila circa fra supplenti e ausiliari annuali, senza contare coloro che fanno supplenze più brevi).
Il tutto, mentre a Roma diventa ministro del Lavoro l’ex sindacalista Cesare Damiano, che di lavoro si occupava anche in seno alla segreteria nazionale Ds. Il neo-ministro ha subito dichiarato la volontà del governo Prodi di mettere profondamente mano alla riforma della legge Biagi, ma senza cancellarla integralmente. La sinistra Ds con a capo Fabio Mussi, suo collega di governo, oltre che ovviamente di partito, è impegnata da settimana nella raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare contro il lavoro precario e, quindi, palesemente contro la legge Biagi. Tuttavia, questa della legge di iniziativa popolare è una scelta difficile e parzialmente in controtendenza all’interno del centrosinistra – come dimostrano le prime dichiarazioni di Damiano – e alla quale manca il sostegno forte di un’organizzazione di partito o sindacale nel suo complesso.
Dalla Lombardia, insomma, giungono segnali importanti di un modello sull’orlo del tracollo. Quanto durerà ancora?
Categorie: lombardia regione_lombardia regione provincia milano atipici precari dati
Lombardia. Aumenta sempre più il numero dei lavoratori atipici. A Milano e provincia sono già oltre 300mila, 600mila nella regione
Fabio Brioschi
Precariato, cifre da capogiro
Lombardia. Aumenta sempre più il numero dei lavoratori atipici. A Milano e provincia sono già oltre 300mila, 600mila in tutta la regione.
Fabio Brioschi
Se la retorica della Milano capitale morale d’Italia è stata spazzata via con la stagione di tangentopoli, ora anche la retorica della Lombardia come una delle locomotive economiche e produttive d’Europa sta per essere messa definitivamente in crisi. Da un lato sono sempre più numerose le fabbriche e le attività produttive in genere che si trasferiscono altrove, dall’altro i dati sull’occupazione ne risentono in modo sempre più pesante.
Un interessante articolo, comparso in settimana sulle pagine locali milanesi del “Corriere della Sera” a firma di Rita Querzè, raccoglie dati molto preoccupanti circa le tipologie contrattuali degli impiegati lombardi: in regione sono già 600mila i lavoratori precari, di cui circa la metà a Milano e provincia, a cui si aggiungono (ma sono dati del 2004) 156mila lavoratori cosiddetti “in affitto”. Non sono contemplati in questi numeri i contratti a termine e i part time. Una cifra pesante che metterebbe seriamente in discussione qualsiasi modello di sviluppo economico e sociale, al di là di ogni retorica di seconda e terza mano.
Rita Querzè snocciola dati seriamente preoccupanti, non solo per il settore privato – dove la fa da padrone il commercio, con un impiegato precario su due –, ma anche per il pubblico: una persona su sei nel Comune di Milano e, addirittura, una su tre per quanto riguarda la Provincia lavorano con contratti atipici. Questa tipologia di lavoratori si riscontra in ogni settore produttivo e commerciale, pubblico e privato: sanità, scuola, aeroporti, call center. In particolar modo il 15% appartiene al settore della “conoscenza”, ossia maestri, professori, ricercatori; tutti lavoratori, insomma, dalla grande preparazione scolastica e universitaria, che non riescono, però, a fare fruttare la propria alta formazione scientifica (45mila solo in provincia di Milano).
Oggi come oggi nessun settore sfugge all’utilizzo anche massiccio e spesso incontrollato di lavoratori precari, ma in particolar modo è il settore pubblico a fare grande ricorso ai contratti atipici, anche mediante l’utilizzo di cooperative. Nel comparto sanità sono ben 19mila i lavoratori con contratto diverso da quello a tempo indeterminato.
La grande varietà delle mansioni e dei settori in cui sono impiegati, tuttavia, non comporta per la maggior parte di essi una sostanziale differenziazione dello stipendio finale, che si aggira intorno ai mille euro al mese.
Sotto gli occhi di tutti, data l’alta estensione del fenomeno, sono inoltre i grandi centri commerciali, dove circa il 50% dei lavoratori ha forme contrattuali non a tempo indeterminato, e la scuola (8mila circa fra supplenti e ausiliari annuali, senza contare coloro che fanno supplenze più brevi).
Il tutto, mentre a Roma diventa ministro del Lavoro l’ex sindacalista Cesare Damiano, che di lavoro si occupava anche in seno alla segreteria nazionale Ds. Il neo-ministro ha subito dichiarato la volontà del governo Prodi di mettere profondamente mano alla riforma della legge Biagi, ma senza cancellarla integralmente. La sinistra Ds con a capo Fabio Mussi, suo collega di governo, oltre che ovviamente di partito, è impegnata da settimana nella raccolta di firme per una legge di iniziativa popolare contro il lavoro precario e, quindi, palesemente contro la legge Biagi. Tuttavia, questa della legge di iniziativa popolare è una scelta difficile e parzialmente in controtendenza all’interno del centrosinistra – come dimostrano le prime dichiarazioni di Damiano – e alla quale manca il sostegno forte di un’organizzazione di partito o sindacale nel suo complesso.
Dalla Lombardia, insomma, giungono segnali importanti di un modello sull’orlo del tracollo. Quanto durerà ancora?
Categorie: lombardia regione_lombardia regione provincia milano atipici precari dati
Damiano: La riforma pensioni di Maroni è ingiusta. La cambieremo con più gradualità per tutti
L'ESPONENTE DIESSINO ANTICIPA I PRIMI INTERVENTI: LE ASSUNZIONI A TEMPO INDETERMINATO SARANNO INCENTIVATE, TORNINO AD ESSERE LA NORMALITA'.
21/5/2006
Gigi Padovani
Il ministro del Lavoro Cesare Damiano è nato a Cuneo nel 1948: dopo trent’anni di sindacato, nella Fiom dei metalmeccanici, nel 2001 è entrato nella segreteria Ds
Cesare Damiano è il terzo ex sindacalista, con Bertinotti e Marini, nella nuova nomenclatura del potere prodiano. Piemontese, riformista, amante della pittura (vignette e acquerelli) e delle musiche da film (da Nino Rota al minimalista Michael Nyman di Lezioni di piano), Damiano dice di aver preso possesso del ministero di Maroni senza dimenticare «l’odore della manifattura» che incominciò a conoscere a Mirafiori, quando era dirigente della mitica V Lega Fiom di corso Unione Sovietica a Torino. «Conosco la materialità del lavoro, della fatica, della vita di un operaio che guadagna 1200 euro netti al mese», dice al telefono mentre sta tornando da Montebelluna, distretto dello scarpone in provincia di Treviso, dove ha avuto il suo primo impegno da ministro del Lavoro. «E della Previdenza sociale», corregge con quella leggera pignoleria che soltanto chi è stato per trent’anni ai tavoli di trattativa sindacale può avere. Damiano non è un tipo da battute fulminanti - salvo il «farò come Zapatero» sulla legge Biagi, detta al giuramento che non gli ha portato fortuna - e così anticipa quali saranno i suoi primi passi.
La notizia che dà agli italiani questo diessino vagamente somigliante a Nanni Moretti (senza essere nevrotico come il regista) e che non si interessa di calcio - uno dei pochi in Italia - dovrebbe rassicurare gli ultra-cinquantacinquenni che vorrebbero andare in pensione. Vuole ripristinare le regole di flessibilità in uscita e abolire il «gradone» che il suo predecessore Maroni ha istituito dal primo gennaio 2008.
Ministro Damiano, passata l’emozione del primo giorno di scuola, se c’è stata?
«Sì, sì, è stato un cumulo di emozioni. Prima l’elezione alla Camera, poi l’onore di far parte dei grandi elettori di Giorgio Napolitano. Mi ha fatto effetto stare “dentro” Montecitorio, leggere quelle lapidi dell’annessione al Regno Sabaudo... E poi quella telefonata».
Chi l’ha avvisata che era nella squadra di Prodi?
«Piero Fassino, la mattina in cui il presidente è tornato al Colle con la lista. Da cuneese, non avevo pretese... E’ un incarico del quale sento la responsabilità, un grande impegno».
Lei è molto legato al segretario dei Ds: le dispiace che non sia entrato nel governo?
«Ero convinto che dovesse far parte della squadra di Prodi. Poi si è fatta una scelta diversa, condivisa anche da lui. Piero deve rimanere alla guida del partito per completare il percorso coraggioso che avviò al congresso di Pesaro del 2001, fino alla eventuale formazione del partito dell’Ulivo o democratico che dir si voglia, col passaggio del testimone a una nuova generazione di dirigenti».
Allora lei lasciò la Cgil.
«Già, accettai di entrare con Fassino in segreteria, prendendo la strada opposta di quella presa da tutto il gruppo dirigente Cgil: con Cofferati scelsero il correntone».
Da sempre con Fassino...
«Quando io ero alla Fiom di Torino, dopo essere entrato nel ‘68 come impiegato della Riv Skf ed essermi ribellato al clima pesante che vi si respirava, lui era in commissione fabbriche del Pci. Entrai nel 1975 nel partito di Berlinguer, siamo legati dall’ipotesi riformista e da una stima personale con profondi tratti culturali comuni».
Vacanze insieme?
«Anche, due giorni, vicino a Capalbio quest’estate nella casa del filosofo Sebastiano Maffettone: l’ho battuto a ping-pong».
Comuni frequentazioni di oratori e parrocchie?
«No, io sono di formazione laica, ma ho incontrato la politica e la passione civile attraverso la San Vincenzo con un campo di lavoro in Sicilia. Poi è venuto tutto il resto: i miei genitori erano commercianti a Cuneo, dove sono rimasto fino a 12 anni, per poi andare a studiare a Torino. Ma dovevo lavorare per mantenermi all’università: per me il sindacato fu il primo strumento di difesa dei miei diritti di impiegato. Lo dicevo agli amici studenti, che criticavano il sindacato: “Voi siete tranquilli, papà vi mantiene”».
Gli anni torinesi l’hanno molto colpita, prima di andare in Veneto come segretario regionale Cgil e poi a Roma.
«La mia università sono stati gli operai Fiat della Mirafiori. Oggi la classe operaia è passata dalla centralità a una certa solitudine, ma secondo me per agganciare la ripresa economica non dobbiamo dimenticare i valori del lavoro, di una organizzazione che, nella materialità della fatica quotidiana, come nei distretti produttivi, ha i suoi riferimenti».
Però i ragazzi dei call-center con contratti precari non sanno neppure di cosa si tratti.
«La mia non è nostalgia, la mia storia sindacale racconta che ho sempre evitato il conflitto sociale. Né voglio predicare il ritorno al posto fisso per questi giovani. Però loro hanno bassi salari come gli operai che ho conosciuto io, senza avere in cambio il posto fisso e il diritto alla pensione. E questo non va bene».
Come la mettiamo con la flessibilità?
«Non va negata. Bisogna però tornare al rapporto di lavoro stabile come normale tipo di assunzione e concedere alle imprese il diritto al lavoro temporaneo in momenti eccezionali di ripresa e di forti ordini. Ma il lavoro a progetto non deve diventare un tipo di concorrenza sleale: agiremo sul pedale dell’incentivo affinché le imprese assumano a tempo indeterminato».
Parliamo di legge Biagi: ha già detto che vuole cambiarla. E gli altri provvedimenti dei primi cento giorni?
«Questa espressione non mi piace. Ci sono di mezzo i conti pubblici e il “buco” che stiamo scoprendo non è quello “politico” che denunciò Tremonti: mi pare che stiamo andando verso un 4,5 per cento di deficit sul Pil, quasi un punto in più di quanto prevedeva Berlusconi. Detto questo, ribadisco quanto ho scritto nel programma dell’Unione con gli alleati: ci deve essere una crescita della competitività senza dimenticare i diritti del lavoro. Quindi si deve ridurre il costo del lavoro, con i cinque punti del cuneo fiscale, e metteremo anche mano alle pensioni».
Scusi, ne ha la competenza?
«Io e il ministro alla Solidarietà sociale Paolo Ferrero, abbiamo concordato, di comune intesa, che la Previdenza è una mia delega. C’è stato un errore nel decreto, rimedieremo presto».
Maroni dice che lo «spacchettamento» del Welfare ha riaperto un «polveroso vecchio ministero».
«Mica tanto: potrò occuparmi meglio del lavoro. Il solco è quello tracciato da uomini come Carlo Donat-Cattin, Gino Giugni, Tiziano Treu, Antonio Bassolino, Cesare Salvi...».
Torniamo alle pensioni.
«Tra pochi giorni avrò 58 anni e ho già più di 35 anni di contributi: credo che potrei andare a riposo, se lo volessi. Ma trovo ingiusto che la riforma introdotta da Maroni costringa chi al primo gennaio 2008 abbia 56 anni e 364 giorni a non poter andare in pensione, ma ad aspettare altri tre anni, fino ai sessanta. E’ incongruo, penalizza soltanto una classe di età. Perciò intendiamo ripristinare la flessibilità in uscita dal lavoro tra i 57 e 65 anni, come prima. Certo, tutto questo compatibilmente con i conti dell’Inps, ma so che si potrà tornare ad una gradualità e abolire questo ingiusto ”scalone”».
Quali saranno i suoi primi impegni della settimana?
«Farò un giro di incontri con le parti sociali, sindacati e imprenditori: ho sempre creduto nell’ascolto e nella concertazione».
Qualcuno ha detto che lei conosce il Settentrione, sia il Nord Ovest sia il Nord Est. Che nel voto però non è stato tenero con l’Unione.
«E’ vero, abbiamo fatto alcuni errori in campagna elettorale, ad esempio sulle tasse. Ma la fiducia del Nord si conquista con i fatti, come dice Andrea Pininfarina. Le imprese sanno che noi vogliamo dar fiato alla competitività e allo sviluppo qualitativo, con un concorso del fare e non con le contrapposizioni».
Categorie: damiano ds fiom legge30 pensioni tfr maroni bertinotti maggio2006
21/5/2006
Gigi Padovani
Il ministro del Lavoro Cesare Damiano è nato a Cuneo nel 1948: dopo trent’anni di sindacato, nella Fiom dei metalmeccanici, nel 2001 è entrato nella segreteria Ds
Cesare Damiano è il terzo ex sindacalista, con Bertinotti e Marini, nella nuova nomenclatura del potere prodiano. Piemontese, riformista, amante della pittura (vignette e acquerelli) e delle musiche da film (da Nino Rota al minimalista Michael Nyman di Lezioni di piano), Damiano dice di aver preso possesso del ministero di Maroni senza dimenticare «l’odore della manifattura» che incominciò a conoscere a Mirafiori, quando era dirigente della mitica V Lega Fiom di corso Unione Sovietica a Torino. «Conosco la materialità del lavoro, della fatica, della vita di un operaio che guadagna 1200 euro netti al mese», dice al telefono mentre sta tornando da Montebelluna, distretto dello scarpone in provincia di Treviso, dove ha avuto il suo primo impegno da ministro del Lavoro. «E della Previdenza sociale», corregge con quella leggera pignoleria che soltanto chi è stato per trent’anni ai tavoli di trattativa sindacale può avere. Damiano non è un tipo da battute fulminanti - salvo il «farò come Zapatero» sulla legge Biagi, detta al giuramento che non gli ha portato fortuna - e così anticipa quali saranno i suoi primi passi.
La notizia che dà agli italiani questo diessino vagamente somigliante a Nanni Moretti (senza essere nevrotico come il regista) e che non si interessa di calcio - uno dei pochi in Italia - dovrebbe rassicurare gli ultra-cinquantacinquenni che vorrebbero andare in pensione. Vuole ripristinare le regole di flessibilità in uscita e abolire il «gradone» che il suo predecessore Maroni ha istituito dal primo gennaio 2008.
Ministro Damiano, passata l’emozione del primo giorno di scuola, se c’è stata?
«Sì, sì, è stato un cumulo di emozioni. Prima l’elezione alla Camera, poi l’onore di far parte dei grandi elettori di Giorgio Napolitano. Mi ha fatto effetto stare “dentro” Montecitorio, leggere quelle lapidi dell’annessione al Regno Sabaudo... E poi quella telefonata».
Chi l’ha avvisata che era nella squadra di Prodi?
«Piero Fassino, la mattina in cui il presidente è tornato al Colle con la lista. Da cuneese, non avevo pretese... E’ un incarico del quale sento la responsabilità, un grande impegno».
Lei è molto legato al segretario dei Ds: le dispiace che non sia entrato nel governo?
«Ero convinto che dovesse far parte della squadra di Prodi. Poi si è fatta una scelta diversa, condivisa anche da lui. Piero deve rimanere alla guida del partito per completare il percorso coraggioso che avviò al congresso di Pesaro del 2001, fino alla eventuale formazione del partito dell’Ulivo o democratico che dir si voglia, col passaggio del testimone a una nuova generazione di dirigenti».
Allora lei lasciò la Cgil.
«Già, accettai di entrare con Fassino in segreteria, prendendo la strada opposta di quella presa da tutto il gruppo dirigente Cgil: con Cofferati scelsero il correntone».
Da sempre con Fassino...
«Quando io ero alla Fiom di Torino, dopo essere entrato nel ‘68 come impiegato della Riv Skf ed essermi ribellato al clima pesante che vi si respirava, lui era in commissione fabbriche del Pci. Entrai nel 1975 nel partito di Berlinguer, siamo legati dall’ipotesi riformista e da una stima personale con profondi tratti culturali comuni».
Vacanze insieme?
«Anche, due giorni, vicino a Capalbio quest’estate nella casa del filosofo Sebastiano Maffettone: l’ho battuto a ping-pong».
Comuni frequentazioni di oratori e parrocchie?
«No, io sono di formazione laica, ma ho incontrato la politica e la passione civile attraverso la San Vincenzo con un campo di lavoro in Sicilia. Poi è venuto tutto il resto: i miei genitori erano commercianti a Cuneo, dove sono rimasto fino a 12 anni, per poi andare a studiare a Torino. Ma dovevo lavorare per mantenermi all’università: per me il sindacato fu il primo strumento di difesa dei miei diritti di impiegato. Lo dicevo agli amici studenti, che criticavano il sindacato: “Voi siete tranquilli, papà vi mantiene”».
Gli anni torinesi l’hanno molto colpita, prima di andare in Veneto come segretario regionale Cgil e poi a Roma.
«La mia università sono stati gli operai Fiat della Mirafiori. Oggi la classe operaia è passata dalla centralità a una certa solitudine, ma secondo me per agganciare la ripresa economica non dobbiamo dimenticare i valori del lavoro, di una organizzazione che, nella materialità della fatica quotidiana, come nei distretti produttivi, ha i suoi riferimenti».
Però i ragazzi dei call-center con contratti precari non sanno neppure di cosa si tratti.
«La mia non è nostalgia, la mia storia sindacale racconta che ho sempre evitato il conflitto sociale. Né voglio predicare il ritorno al posto fisso per questi giovani. Però loro hanno bassi salari come gli operai che ho conosciuto io, senza avere in cambio il posto fisso e il diritto alla pensione. E questo non va bene».
Come la mettiamo con la flessibilità?
«Non va negata. Bisogna però tornare al rapporto di lavoro stabile come normale tipo di assunzione e concedere alle imprese il diritto al lavoro temporaneo in momenti eccezionali di ripresa e di forti ordini. Ma il lavoro a progetto non deve diventare un tipo di concorrenza sleale: agiremo sul pedale dell’incentivo affinché le imprese assumano a tempo indeterminato».
Parliamo di legge Biagi: ha già detto che vuole cambiarla. E gli altri provvedimenti dei primi cento giorni?
«Questa espressione non mi piace. Ci sono di mezzo i conti pubblici e il “buco” che stiamo scoprendo non è quello “politico” che denunciò Tremonti: mi pare che stiamo andando verso un 4,5 per cento di deficit sul Pil, quasi un punto in più di quanto prevedeva Berlusconi. Detto questo, ribadisco quanto ho scritto nel programma dell’Unione con gli alleati: ci deve essere una crescita della competitività senza dimenticare i diritti del lavoro. Quindi si deve ridurre il costo del lavoro, con i cinque punti del cuneo fiscale, e metteremo anche mano alle pensioni».
Scusi, ne ha la competenza?
«Io e il ministro alla Solidarietà sociale Paolo Ferrero, abbiamo concordato, di comune intesa, che la Previdenza è una mia delega. C’è stato un errore nel decreto, rimedieremo presto».
Maroni dice che lo «spacchettamento» del Welfare ha riaperto un «polveroso vecchio ministero».
«Mica tanto: potrò occuparmi meglio del lavoro. Il solco è quello tracciato da uomini come Carlo Donat-Cattin, Gino Giugni, Tiziano Treu, Antonio Bassolino, Cesare Salvi...».
Torniamo alle pensioni.
«Tra pochi giorni avrò 58 anni e ho già più di 35 anni di contributi: credo che potrei andare a riposo, se lo volessi. Ma trovo ingiusto che la riforma introdotta da Maroni costringa chi al primo gennaio 2008 abbia 56 anni e 364 giorni a non poter andare in pensione, ma ad aspettare altri tre anni, fino ai sessanta. E’ incongruo, penalizza soltanto una classe di età. Perciò intendiamo ripristinare la flessibilità in uscita dal lavoro tra i 57 e 65 anni, come prima. Certo, tutto questo compatibilmente con i conti dell’Inps, ma so che si potrà tornare ad una gradualità e abolire questo ingiusto ”scalone”».
Quali saranno i suoi primi impegni della settimana?
«Farò un giro di incontri con le parti sociali, sindacati e imprenditori: ho sempre creduto nell’ascolto e nella concertazione».
Qualcuno ha detto che lei conosce il Settentrione, sia il Nord Ovest sia il Nord Est. Che nel voto però non è stato tenero con l’Unione.
«E’ vero, abbiamo fatto alcuni errori in campagna elettorale, ad esempio sulle tasse. Ma la fiducia del Nord si conquista con i fatti, come dice Andrea Pininfarina. Le imprese sanno che noi vogliamo dar fiato alla competitività e allo sviluppo qualitativo, con un concorso del fare e non con le contrapposizioni».
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Rieti: Alcatel in vendita, precari in ansia
RIETI — La procedura relativa alla cessione dell’Alcatel potrebbe creare notevoli problemi a precari ed «esterni». Nel piano di vendita infatti non si fa alcun cenno né ai lavoratori interinali né tantomeno a quelli delle aziende esternalizzate, i quali rischiano di rimanere fuori dalla trattativa in atto. Il rappresentante delle ditte esternalizzate Antonio Fioravanti lancia un appello affinché si tenga conto della difficile situazione in cui si verrebbero a trovare questi lavoratori se venisse approvato il piano Ritel. Intanto nello stabilimento di via Salaria per l'Aquila prosegue il presidio ai cancelli ed il blocco in uscita delle merci. Le organizzazioni sindacali sono in attesa di ricevere una risposta alla richiesta di incontro inoltrata al nuovo ministro delle Attività Produttive Bersani. Se nel corso della settimana non ci saranno novità da Roma saranno intensificate le manifestazioni di protesta. La tensione è alta: i lavoratori non hanno nessuna intenzione di mollare.
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20/5 Gazebo precario a Varese
Gazebo precario a Varese
(20 maggio 2006)
Grande successo ha riscosso l’iniziativa “gazebo precario” organizzata dai lavoratori precari del Comune di Varese sabato 13 maggio : in piazza nel centro cittadino per tutta la giornata, per volantinare, parlare con la gente, per incontrare altri precari, per rivendicare il diritto ad un lavoro stabile e sicuro, contro ogni forma di precarietà e contro l’esternalizzazione e la privatizzazione dei servizi pubblici.
Il risultato è stato molto positivo: centinaia sono state le persone che si sono avvicinate al gazebo per portare la loro solidarietà e per firmare una petizione popolare contro il precariato, per l’abolizione della Legge 30 e delle norme che vietano le assunzioni a tempo indeterminato nel pubblico impiego e per chiedere al Governo una legge specifica che porti alla stabilizzazione di tutti i lavoratori precari.
Al termine della giornata le firme raccolte sono state 680.
Il successo dell’iniziativa dà ulteriore forza e determinazione alle lavoratrici e lavoratori del Comune di Varese per continuare, insieme ai precari degli altri comuni, degli altri posti di lavoro, anche privati, la mobilitazione contro la precarietà.
La prossima iniziativa è già fissata per lunedì 22 maggio alle ore 18.00 presso la palazzina Cultura di Via Sacco dove si terrà una assemblea dei precari alla quale sono stati invitati tutti i candidati alla carica di Sindaco alle prossime elezioni del 28 maggio, per incalzarli ed impegnarli affinché con la prossima Amministrazione si affronti concretamente la richiesta di stabilizzazione dei lavoratori precari del Comune di Varese.
Quando la campagna elettorale sarà finita saremo lì a verificare che le parole spese si trasformino in atti concreti!
Associazione Lavoratori Cobas - Comune di Varese
Categorie: gazebo gazebo_precario varese maggio2006 cobas comune legge30 pubblico_impiego lombardia
(20 maggio 2006)
Grande successo ha riscosso l’iniziativa “gazebo precario” organizzata dai lavoratori precari del Comune di Varese sabato 13 maggio : in piazza nel centro cittadino per tutta la giornata, per volantinare, parlare con la gente, per incontrare altri precari, per rivendicare il diritto ad un lavoro stabile e sicuro, contro ogni forma di precarietà e contro l’esternalizzazione e la privatizzazione dei servizi pubblici.
Il risultato è stato molto positivo: centinaia sono state le persone che si sono avvicinate al gazebo per portare la loro solidarietà e per firmare una petizione popolare contro il precariato, per l’abolizione della Legge 30 e delle norme che vietano le assunzioni a tempo indeterminato nel pubblico impiego e per chiedere al Governo una legge specifica che porti alla stabilizzazione di tutti i lavoratori precari.
Al termine della giornata le firme raccolte sono state 680.
Il successo dell’iniziativa dà ulteriore forza e determinazione alle lavoratrici e lavoratori del Comune di Varese per continuare, insieme ai precari degli altri comuni, degli altri posti di lavoro, anche privati, la mobilitazione contro la precarietà.
La prossima iniziativa è già fissata per lunedì 22 maggio alle ore 18.00 presso la palazzina Cultura di Via Sacco dove si terrà una assemblea dei precari alla quale sono stati invitati tutti i candidati alla carica di Sindaco alle prossime elezioni del 28 maggio, per incalzarli ed impegnarli affinché con la prossima Amministrazione si affronti concretamente la richiesta di stabilizzazione dei lavoratori precari del Comune di Varese.
Quando la campagna elettorale sarà finita saremo lì a verificare che le parole spese si trasformino in atti concreti!
Associazione Lavoratori Cobas - Comune di Varese
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19.5.06
Roma 22/5. Contro la legge 30 e per lo sblocco delle assunzioni nel pubblico impiego
IL 22 MAGGIO A PIAZZA SS. APOSTOLI - PRESIDIO DALLE 16 ALLE 19,30 CONTRO LA LEGGE 30/03 E LA PRECARIETA', CONTRO FLESSIBILITA' E ESTERNALIZZAZIONI E IL PEGGIORAMENTO DELLE CONDIZIONI DI LAVORO, PER ASSUNZIONI (SBLOCCO NEL PUBBLICO IMPIEGO), LE STABILIZZAZIONI E I DIRITTI PER TUTTI/E
In tutti questi mesi, mentre aveva luogo una grande sceneggiata elettorale, i lavoratori e le lavoratrici hanno dovuto pagare un netto peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro.
Nella nostra città questo si è sentito ancora più forte per le esternalizzazioni dei servizi, la precarizzazione di molta della forza lavoro (assunta quasi sempre con contratti di co.co.pro.), una flessibilità dell'organizzazione del lavoro che sta peggiorando la situazione in molte realtà lavorative delle società della “Holding Campidoglio”.
Le morti sul lavoro in molti cantieri della capitale (siamo purtroppo già ad otto in solo cinque mesi del nuovo anno) stanno a dimostrare la carenza dei controlli e l'utilizzo di forza lavoro al nero o nelle tante forme di atipicità previste dalla legge Biagi (legge 30/03 e decreti attuativi).
Quello che si è ottenuto è stato possibile per la forza delle lotte che i lavoratori e le lavoratrici sono riusciti ad esprimere in questi anni, bloccando in molti casi esternalizzazioni e privatizzazioni.
Molti sono i problemi rimasti in campo, ne citiamo alcuni a titolo di esempio: i 5 mesi per il cambio dell'appalto tra ALL CLEAN e ZETEMA che mantiene disoccupati e senza stipendio 17 lavoratrici, le vertenze degli asili nido e delle scuole dell'infanzia contro l'attacco agli organi collegiali e il mantenimento di un'insostenibile numero di precarie, il problema degli AEC delle scuole ormai in netta maggioranza assunti da cooperative e associazioni, i tanti precari amministrativi o interinali negli Enti Pubblici, la precarietà diffusa nelle cooperative sociali o negli enti del “terzo settore”, lo sfruttamento nei call center, nel settore del turismo e della grande distribuzione ....
E' necessario riprendere o continuare le mobilitazioni ed il conflitto, dare un segnale tangibile che esiste una opposizione reale dal basso contro la Legge Biagi/legge 30, contro precarizzazioni e privatizzazioni, che non è possibile più accettare il blocco delle assunzioni a tempo indeterminato a partire dalle pubbliche amministrazioni (sono 300.000 i precari in Italia), addirittura quando si è già vincitori di concorsi o idonei utilizzati per ricoprire carenze strutturali di organico ...
Contro la precarietà lavorativa e sociale, contro la Legge 30 e le esternalizzazioni, contro flessibilità e sfruttamento, per le assunzioni e le stabilizzazioni, per riconquistare diritti e sviluppare autorganizzazione e autogestione chiediamo a tutti/e di riprendere le mobilitazioni per rispondere ad una esigenza concreta e sentita in molti posti di lavoro e (come proposto da diversi comitati e coordinamenti di lavoratrici e lavoratori pubblici precari, di precari dei call center, di servizi in appalto) di partecipare attivamente all'iniziativa indetta dall'USI AIT a Piazza SS. Apostoli il 22 maggio dalle ore 16.30 alle ore 19 di fronte alla sede dell'UNIONE.
La coalizione di centro sinistra dovrà prendersi la responsabilità di applicare il suo programma che ha tra i suoi punti il superamento della precarietà e il recupero di servizi pubblici con la “buona occupazione”, stabile e non precaria. E' la prima iniziativa di una lunga “campagna” per ottenere quel reale cambiamento di rotta da tanti e tante auspicato.
L'UNICA LOTTA CHE SI PERDE, E' QUELLA CHE NON SI FA...
UNIONE SINDACALE ITALIANA USI AIT
VIA ISIDE 12 – 00184 ROMA
TEL. 06/70451981 – FAX 06/77201444
Categorie: roma maggio2006 legge30 presidio pubblico_impiego usi usi_ait stabilizzazione precari cocopro
In tutti questi mesi, mentre aveva luogo una grande sceneggiata elettorale, i lavoratori e le lavoratrici hanno dovuto pagare un netto peggioramento delle loro condizioni di vita e di lavoro.
Nella nostra città questo si è sentito ancora più forte per le esternalizzazioni dei servizi, la precarizzazione di molta della forza lavoro (assunta quasi sempre con contratti di co.co.pro.), una flessibilità dell'organizzazione del lavoro che sta peggiorando la situazione in molte realtà lavorative delle società della “Holding Campidoglio”.
Le morti sul lavoro in molti cantieri della capitale (siamo purtroppo già ad otto in solo cinque mesi del nuovo anno) stanno a dimostrare la carenza dei controlli e l'utilizzo di forza lavoro al nero o nelle tante forme di atipicità previste dalla legge Biagi (legge 30/03 e decreti attuativi).
Quello che si è ottenuto è stato possibile per la forza delle lotte che i lavoratori e le lavoratrici sono riusciti ad esprimere in questi anni, bloccando in molti casi esternalizzazioni e privatizzazioni.
Molti sono i problemi rimasti in campo, ne citiamo alcuni a titolo di esempio: i 5 mesi per il cambio dell'appalto tra ALL CLEAN e ZETEMA che mantiene disoccupati e senza stipendio 17 lavoratrici, le vertenze degli asili nido e delle scuole dell'infanzia contro l'attacco agli organi collegiali e il mantenimento di un'insostenibile numero di precarie, il problema degli AEC delle scuole ormai in netta maggioranza assunti da cooperative e associazioni, i tanti precari amministrativi o interinali negli Enti Pubblici, la precarietà diffusa nelle cooperative sociali o negli enti del “terzo settore”, lo sfruttamento nei call center, nel settore del turismo e della grande distribuzione ....
E' necessario riprendere o continuare le mobilitazioni ed il conflitto, dare un segnale tangibile che esiste una opposizione reale dal basso contro la Legge Biagi/legge 30, contro precarizzazioni e privatizzazioni, che non è possibile più accettare il blocco delle assunzioni a tempo indeterminato a partire dalle pubbliche amministrazioni (sono 300.000 i precari in Italia), addirittura quando si è già vincitori di concorsi o idonei utilizzati per ricoprire carenze strutturali di organico ...
Contro la precarietà lavorativa e sociale, contro la Legge 30 e le esternalizzazioni, contro flessibilità e sfruttamento, per le assunzioni e le stabilizzazioni, per riconquistare diritti e sviluppare autorganizzazione e autogestione chiediamo a tutti/e di riprendere le mobilitazioni per rispondere ad una esigenza concreta e sentita in molti posti di lavoro e (come proposto da diversi comitati e coordinamenti di lavoratrici e lavoratori pubblici precari, di precari dei call center, di servizi in appalto) di partecipare attivamente all'iniziativa indetta dall'USI AIT a Piazza SS. Apostoli il 22 maggio dalle ore 16.30 alle ore 19 di fronte alla sede dell'UNIONE.
La coalizione di centro sinistra dovrà prendersi la responsabilità di applicare il suo programma che ha tra i suoi punti il superamento della precarietà e il recupero di servizi pubblici con la “buona occupazione”, stabile e non precaria. E' la prima iniziativa di una lunga “campagna” per ottenere quel reale cambiamento di rotta da tanti e tante auspicato.
L'UNICA LOTTA CHE SI PERDE, E' QUELLA CHE NON SI FA...
UNIONE SINDACALE ITALIANA USI AIT
VIA ISIDE 12 – 00184 ROMA
TEL. 06/70451981 – FAX 06/77201444
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Riscrivere la Biagi, l'Unione la vorrebbe in salsa spagnola
Riscrivere la Biagi, l'Unione la vorrebbe in salsa spagnola
di Il Legno Storto, inviato il 19/05/2006
il neoministro del Lavoro, Cesare Damiano
(Velino) - "Stimo il neoministro del Lavoro, Cesare Damiano, persona seria ed equilibrata, e gli rivolgo sinceri auguri di buon lavoro. E, davvero, confido che possa svolgere con ragionevolezza il suo compito. Ma, con molta franchezza, sono sconcertato dalle sue prime dichiarazioni, che (mi auguro) vorra' presto correggere". A essere sconcertato e' Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani e componente della segreteria della Rosa nel pugno. Ed ecco i motivi del suo sconcerto: "In particolare - spiega Capezzone - mi pare un grave errore l'attacco al Libro Bianco di Marco Biagi, che dovrebbe invece rappresentare il punto di riferimento della nuova politica sul lavoro. Sarebbe infatti un errore la cancellazione della legge Biagi, che va invece riequilibrata e completata proprio a partire dal Rapporto Biagi, che gettava le basi per una riscrittura innovativa ed equilibrata del sistema di ammortizzatori sociali. Questo attacco a Biagi e alla sua opera mi pare una partenza con il piede sbagliato: ripeto, mi auguro che giunga presto, molto presto una correzione di rotta". Ma che la Biagi debba essere sottoposta a revisione e' quanto - Capezzone dovra' farsene una ragione e tanti riformisti dell'Unione assieme a lui - non solo il nuovo ministro del Lavoro annuncia, ma quanto anche il presidente del Consiglio, Romano Prodi, sostiene a piu' riprese.
Che si parli di superamento o di abrogazione, le intenzioni del nuovo governo sulla Biagi sembrano essere abbastanza chiare: fare un passo indietro rispetto alla flessibilita' che ha garantito buone performances occupazionali anche in periodi di bassa crescita economica e che ha segnato l'ingresso di molte persone nel mercato del lavoro. Ex sindacalista della Cgil - anche se nella Fiom dove ha militato rappresentava l'ala riformista - Damiano intende raccogliere il guanto di sfida della Cgil sulla lotta alla precarieta'. Che il sindacato di Corso d'Italia identifica con la legge 30 e dunque di questa chiede la cancellazione, abrogazione o riscrittura che dir si voglia. "Riscrittura" anzi e' il termine che oggi va piu' di moda nell'Unione sulla Biagi: e riscrivere la legislazione sul mercato del lavoro e' quel che si propone di fare proprio Damiano con la benedizione di Prodi. Nella compagine governativa e precisamente al ministero del Lavoro non compare il mone di Tiziano Treu, padre del pacchetto del '97 che ha introdotto le prime forme contrattuali flessibili, e questo la dice lunga sebbene anche Treu si fosse posto sulla linea delle modifiche alla legge 30. Per l'opera di revisione della Biagi, Damiano propone come modello guida la riforma del lavoro che si appresta a varare Zapatero. Una legge che intende dare incentivi fiscali alle aziende che assumono a tempo indeterminato e che pone un limite temporale alla reiterazione dei contratti a termine.
Quel che pero' Damiano omette di dire e' che in Spagna e' molto piu' semplice licenziare e che non ci sono i tabu' dell'articolo 18 che c'e' in Italia. I contratti a termine - dunque in Spagna - secondo la riforma Zaptero devono essere, oltre un certo limite temporale, trasformati a tempo indeterminato o altrimenti devono essere interrotti. Non solo. In Spagna si prevede anche il taglio dell'indennizzo del licenziamento che scende a 33 giorni per anno, invece degli attuali 45 giorni. Tant'e' che il responsabile economico della Cgil, Beniamino Lapadula, al VELINO ha detto che "il modello Zapatero e' un ottimo modello ma per la Spagna".
Una deroga all'articolo 18 e' prevista per dire il vero anche nelle proposte che i professori del sito lavoce.info, molto ascoltati dal centrosinistra (vedi Tito Boeri) hanno avanzato per rivedere la legislazione sul mercato del lavoro. Proposte che la Cgil ha definito, con somma sorpresa, interessanti. E' difficile pero' che il sindacato, capitanato da Gugliemo Epifani, possa accettare che passino tali proposte il che equivarrebbe a rinnegare la battaglia del passato a difesa dell'articolo 18. Il Governo Prodi poi e' fermamente intenzionato procedere nella revisione al rialzo delle aliquote contributive degli autonomi e ad alzare il costo del lavoro per i precari, gli atipici e via dicendo. Una proposta quest'ultima che la Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali non faranno passare cosi' facilmente. E se l'ex ministro del Welfare Roberto Maroni si fida di Damiano e non vuol credere che possa stravolgere le riforme varate dal suo dicastero (lavoro, pensioni, Tfr), l'ex sottosegretario al Lavoro, Maurizio Sacconi, forse piu' realisticamente, prevede che i progetti del nuovo governo Prodi sulla Biagi e sulle pensioni siano destinati ad aprire un forte terreno di scontro sociale.
Categorie: legge30 spagna unione damiano riforma libro_bianco rosa_nel_pugno ds capezzone radicali_italiani
di Il Legno Storto, inviato il 19/05/2006
il neoministro del Lavoro, Cesare Damiano
(Velino) - "Stimo il neoministro del Lavoro, Cesare Damiano, persona seria ed equilibrata, e gli rivolgo sinceri auguri di buon lavoro. E, davvero, confido che possa svolgere con ragionevolezza il suo compito. Ma, con molta franchezza, sono sconcertato dalle sue prime dichiarazioni, che (mi auguro) vorra' presto correggere". A essere sconcertato e' Daniele Capezzone, segretario dei Radicali italiani e componente della segreteria della Rosa nel pugno. Ed ecco i motivi del suo sconcerto: "In particolare - spiega Capezzone - mi pare un grave errore l'attacco al Libro Bianco di Marco Biagi, che dovrebbe invece rappresentare il punto di riferimento della nuova politica sul lavoro. Sarebbe infatti un errore la cancellazione della legge Biagi, che va invece riequilibrata e completata proprio a partire dal Rapporto Biagi, che gettava le basi per una riscrittura innovativa ed equilibrata del sistema di ammortizzatori sociali. Questo attacco a Biagi e alla sua opera mi pare una partenza con il piede sbagliato: ripeto, mi auguro che giunga presto, molto presto una correzione di rotta". Ma che la Biagi debba essere sottoposta a revisione e' quanto - Capezzone dovra' farsene una ragione e tanti riformisti dell'Unione assieme a lui - non solo il nuovo ministro del Lavoro annuncia, ma quanto anche il presidente del Consiglio, Romano Prodi, sostiene a piu' riprese.
Che si parli di superamento o di abrogazione, le intenzioni del nuovo governo sulla Biagi sembrano essere abbastanza chiare: fare un passo indietro rispetto alla flessibilita' che ha garantito buone performances occupazionali anche in periodi di bassa crescita economica e che ha segnato l'ingresso di molte persone nel mercato del lavoro. Ex sindacalista della Cgil - anche se nella Fiom dove ha militato rappresentava l'ala riformista - Damiano intende raccogliere il guanto di sfida della Cgil sulla lotta alla precarieta'. Che il sindacato di Corso d'Italia identifica con la legge 30 e dunque di questa chiede la cancellazione, abrogazione o riscrittura che dir si voglia. "Riscrittura" anzi e' il termine che oggi va piu' di moda nell'Unione sulla Biagi: e riscrivere la legislazione sul mercato del lavoro e' quel che si propone di fare proprio Damiano con la benedizione di Prodi. Nella compagine governativa e precisamente al ministero del Lavoro non compare il mone di Tiziano Treu, padre del pacchetto del '97 che ha introdotto le prime forme contrattuali flessibili, e questo la dice lunga sebbene anche Treu si fosse posto sulla linea delle modifiche alla legge 30. Per l'opera di revisione della Biagi, Damiano propone come modello guida la riforma del lavoro che si appresta a varare Zapatero. Una legge che intende dare incentivi fiscali alle aziende che assumono a tempo indeterminato e che pone un limite temporale alla reiterazione dei contratti a termine.
Quel che pero' Damiano omette di dire e' che in Spagna e' molto piu' semplice licenziare e che non ci sono i tabu' dell'articolo 18 che c'e' in Italia. I contratti a termine - dunque in Spagna - secondo la riforma Zaptero devono essere, oltre un certo limite temporale, trasformati a tempo indeterminato o altrimenti devono essere interrotti. Non solo. In Spagna si prevede anche il taglio dell'indennizzo del licenziamento che scende a 33 giorni per anno, invece degli attuali 45 giorni. Tant'e' che il responsabile economico della Cgil, Beniamino Lapadula, al VELINO ha detto che "il modello Zapatero e' un ottimo modello ma per la Spagna".
Una deroga all'articolo 18 e' prevista per dire il vero anche nelle proposte che i professori del sito lavoce.info, molto ascoltati dal centrosinistra (vedi Tito Boeri) hanno avanzato per rivedere la legislazione sul mercato del lavoro. Proposte che la Cgil ha definito, con somma sorpresa, interessanti. E' difficile pero' che il sindacato, capitanato da Gugliemo Epifani, possa accettare che passino tali proposte il che equivarrebbe a rinnegare la battaglia del passato a difesa dell'articolo 18. Il Governo Prodi poi e' fermamente intenzionato procedere nella revisione al rialzo delle aliquote contributive degli autonomi e ad alzare il costo del lavoro per i precari, gli atipici e via dicendo. Una proposta quest'ultima che la Confindustria e le altre associazioni imprenditoriali non faranno passare cosi' facilmente. E se l'ex ministro del Welfare Roberto Maroni si fida di Damiano e non vuol credere che possa stravolgere le riforme varate dal suo dicastero (lavoro, pensioni, Tfr), l'ex sottosegretario al Lavoro, Maurizio Sacconi, forse piu' realisticamente, prevede che i progetti del nuovo governo Prodi sulla Biagi e sulle pensioni siano destinati ad aprire un forte terreno di scontro sociale.
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Atesia ai lavoratori: «Usiamo cocoprò per abbattere i costi»
Lettera al governo: «Le gare pubbliche al massimo ribasso e le commesse private impediscono di fare contratti a tempo indeterminato per tutti». Cgil e Slc all'azienda: «Non applicare l'intesa di aprile»
Antonio Sciotto Il Manifesto 18/5/06
Tourbillon di lettere sulla vicenda Atesia, per il momento sempre impantanata. E in campo potrebbe entrare, presto, anche il nuovo governo. Ieri Gianni Camisa, amministratore delegato della società del Gruppo Cos (controllato a sua volta dalla Holding Almaviva di Alberto Tripi) ha indirizzato ai dipendenti e ai collaboratori di Atesia, e all'esecutivo Prodi, una lettera aperta «che fa il punto sulla situazione occupazionale alla luce delle recenti problematiche sui contratti di lavoro». Ma, soprattutto, la Cos ha posto al governo il tema delle commesse private e delle gare pubbliche al massimo ribasso, con l'intento di scaricare le proprie responsabilità sulle «esigenze di competizione»: i meccanismi di mercato selezionerebbero - è la tesi - solo chi abbatte i costi del lavoro. Intanto, dalla segreteria confederale Cgil e dalla Slc nazionale è stata inviata all'azienda un'altra lettera, dove si diffida dall'applicazione dell'accordo dell'11 aprile, perché sono in corso accertamenti dell'ispettorato del lavoro, e si rinvia a un ipotizzato tavolo da aprire al ministero del lavoro, da ieri a guida del diessino Cesare Damiano.
L'a. d. di Atesia spiega che in base al nuovo accordo «il call center avrà entro ottobre 530 lavoratori a tempo indeterminato rispetto ai 90 presenti ai tempi dell'acquisizione. Inoltre 1500 lavoratori saranno avviati verso un percorso di stabilizzazione contrattuale, premessa al tempo indeterminato, come formulato dal contratto collettivo di lavoro delle tlc». La lettera aggiunge che «ad oggi sono circa 3600 i dipendenti a tempo indeterminato operanti nel gruppo Cos, e che con l'ultimo accordo Atesia diventeranno circa 4100». In questo modo «la società avrà il più alto rapporto di lavoratori a tempo indeterminato tra le aziende presenti in Italia». Noi aggiungiamo i dati contenuti nel sito del gruppo Cos: si parla di 15 mila lavoratori nel 2005 (dunque, in prospettiva, oltre due terzi non a tempo indeterminato), mentre per la sola Atesia siamo al rapporto di circa quattromila collaboratori attuali a fronte di 1500 che l'azienda annuncia verso la stabilizzazione. Senza contare che l'accordo dell'11 aprile prevede carta bianca all'assunzione di nuovi lavoratori a progetto e non individua per i medesimi alcun percorso, anche graduale, di stabilizzazione.
La lettera del gruppo Cos, comunque, prosegue denunciando «la concorrenza selvaggia che a partire dal 2004 è stata stimolata anche dalle gare per la pubblica amministrazione centrale e locale: l'attuale sistema delle gare pubbliche e delle commesse dei privati imperniato sul massimo ribasso dei costi comporta necessariamente, nostro malgrado e pena l'esclusione dal mercato stesso, l'utilizzo di contratti di lavoro a progetto: ricordiamo che i nostri concorrenti in qualche caso arrivano a non avere alcun lavoratore dipendente». La missiva si conclude con «la richiesta di un confronto tra le organizzazioni dei lavoratori, le imprese, il governo centrale e locale, per chiarire le modalità del ricorso a figure professionali non dipendenti», oltre a sollecitare che venga «affrontato il problema dei criteri di aggiudicazione delle gare pubbliche e l'introduzione di regole uguali sia per le aziende pubbliche che per quelle private».
Sempre sul sito Cos, vediamo che il fatturato dell'impresa è in costante crescita, passando dai 90 milioni di euro del 2002 ai 250 del 2005. Un tale ingrandirsi dal punto di vista economico, oltre che nel volume degli addetti (passati da 5 mila a 15 mila), indica nell'attuale mercato un ruolo di assoluta predominanza della Cos. E allora, chi decide realmente i prezzi? Soltanto i committenti? E' chiaro che il tema della responsabilità degli enti appaltanti - i soggetti pubblici, come le compagnie telefoniche o altri privati - è centrale, ma ci chiediamo anche se ci sia un equilibrato rapporto tra le entrate (e i profitti) del gruppo e le condizioni di lavoro e contrattuali degli addetti, indipendentemente dalle condizioni esterne di mercato.
Quanto alla segreteria confederale Cgil e alla Slc Cgil nazionale, nelle persone di Nicoletta Rocchi ed Emilio Miceli, insieme alla «diffida a non applicare momentaneamente il contratto per mezzo di transazioni con i singoli operatori», spiegano di attendere la chiusura dell'ispezione, «motivo per cui non si è finora proceduto alla consultazione sull'accordo dell'11 aprile». Una giustificazione avanzata nei confronti dei tanti lavoratori che chiedono - giustamente - il referendum. E non solo loro, dato che buona parte della Cgil Lazio si è detta favorevole a un referendum con tutti i crismi: quando i lavoratori avranno finalmente diritto a pronunciarsi su un accordo che riguarda innanzitutto loro? Rocchi e Miceli concludono affermando che «è necessario costruire al più presto un tavolo di confronto con il ministero del lavoro».
www.ilmanifesto.it
Categorie: maggio2006 il_manifesto cgil slc_cgil atesia tripi cos almaviva cocopro
Antonio Sciotto Il Manifesto 18/5/06
Tourbillon di lettere sulla vicenda Atesia, per il momento sempre impantanata. E in campo potrebbe entrare, presto, anche il nuovo governo. Ieri Gianni Camisa, amministratore delegato della società del Gruppo Cos (controllato a sua volta dalla Holding Almaviva di Alberto Tripi) ha indirizzato ai dipendenti e ai collaboratori di Atesia, e all'esecutivo Prodi, una lettera aperta «che fa il punto sulla situazione occupazionale alla luce delle recenti problematiche sui contratti di lavoro». Ma, soprattutto, la Cos ha posto al governo il tema delle commesse private e delle gare pubbliche al massimo ribasso, con l'intento di scaricare le proprie responsabilità sulle «esigenze di competizione»: i meccanismi di mercato selezionerebbero - è la tesi - solo chi abbatte i costi del lavoro. Intanto, dalla segreteria confederale Cgil e dalla Slc nazionale è stata inviata all'azienda un'altra lettera, dove si diffida dall'applicazione dell'accordo dell'11 aprile, perché sono in corso accertamenti dell'ispettorato del lavoro, e si rinvia a un ipotizzato tavolo da aprire al ministero del lavoro, da ieri a guida del diessino Cesare Damiano.
L'a. d. di Atesia spiega che in base al nuovo accordo «il call center avrà entro ottobre 530 lavoratori a tempo indeterminato rispetto ai 90 presenti ai tempi dell'acquisizione. Inoltre 1500 lavoratori saranno avviati verso un percorso di stabilizzazione contrattuale, premessa al tempo indeterminato, come formulato dal contratto collettivo di lavoro delle tlc». La lettera aggiunge che «ad oggi sono circa 3600 i dipendenti a tempo indeterminato operanti nel gruppo Cos, e che con l'ultimo accordo Atesia diventeranno circa 4100». In questo modo «la società avrà il più alto rapporto di lavoratori a tempo indeterminato tra le aziende presenti in Italia». Noi aggiungiamo i dati contenuti nel sito del gruppo Cos: si parla di 15 mila lavoratori nel 2005 (dunque, in prospettiva, oltre due terzi non a tempo indeterminato), mentre per la sola Atesia siamo al rapporto di circa quattromila collaboratori attuali a fronte di 1500 che l'azienda annuncia verso la stabilizzazione. Senza contare che l'accordo dell'11 aprile prevede carta bianca all'assunzione di nuovi lavoratori a progetto e non individua per i medesimi alcun percorso, anche graduale, di stabilizzazione.
La lettera del gruppo Cos, comunque, prosegue denunciando «la concorrenza selvaggia che a partire dal 2004 è stata stimolata anche dalle gare per la pubblica amministrazione centrale e locale: l'attuale sistema delle gare pubbliche e delle commesse dei privati imperniato sul massimo ribasso dei costi comporta necessariamente, nostro malgrado e pena l'esclusione dal mercato stesso, l'utilizzo di contratti di lavoro a progetto: ricordiamo che i nostri concorrenti in qualche caso arrivano a non avere alcun lavoratore dipendente». La missiva si conclude con «la richiesta di un confronto tra le organizzazioni dei lavoratori, le imprese, il governo centrale e locale, per chiarire le modalità del ricorso a figure professionali non dipendenti», oltre a sollecitare che venga «affrontato il problema dei criteri di aggiudicazione delle gare pubbliche e l'introduzione di regole uguali sia per le aziende pubbliche che per quelle private».
Sempre sul sito Cos, vediamo che il fatturato dell'impresa è in costante crescita, passando dai 90 milioni di euro del 2002 ai 250 del 2005. Un tale ingrandirsi dal punto di vista economico, oltre che nel volume degli addetti (passati da 5 mila a 15 mila), indica nell'attuale mercato un ruolo di assoluta predominanza della Cos. E allora, chi decide realmente i prezzi? Soltanto i committenti? E' chiaro che il tema della responsabilità degli enti appaltanti - i soggetti pubblici, come le compagnie telefoniche o altri privati - è centrale, ma ci chiediamo anche se ci sia un equilibrato rapporto tra le entrate (e i profitti) del gruppo e le condizioni di lavoro e contrattuali degli addetti, indipendentemente dalle condizioni esterne di mercato.
Quanto alla segreteria confederale Cgil e alla Slc Cgil nazionale, nelle persone di Nicoletta Rocchi ed Emilio Miceli, insieme alla «diffida a non applicare momentaneamente il contratto per mezzo di transazioni con i singoli operatori», spiegano di attendere la chiusura dell'ispezione, «motivo per cui non si è finora proceduto alla consultazione sull'accordo dell'11 aprile». Una giustificazione avanzata nei confronti dei tanti lavoratori che chiedono - giustamente - il referendum. E non solo loro, dato che buona parte della Cgil Lazio si è detta favorevole a un referendum con tutti i crismi: quando i lavoratori avranno finalmente diritto a pronunciarsi su un accordo che riguarda innanzitutto loro? Rocchi e Miceli concludono affermando che «è necessario costruire al più presto un tavolo di confronto con il ministero del lavoro».
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Atesia - Errori e autocritiche per Cgil e sinistra
Francesco Piccioni
Gli errori si pagano. Magari in ritardo, ma a prezzo pieno. Qualche volta con gli interessi. Nella sala Cattid dell'università di Roma un pezzo importante della Cgil e la sinistra romana si interrogano sul «mostro Atesia», sulle difficoltà del sindacato sia nel rapporto con i lavoratori che in quello con l'azienda. Il tutto dopo un accordo - firmato da Cisl, Uil e, per la Cgil, da Rosario Strazzullo e Nicoletta Rocchi, ma non dalle strutture Nidil che in Atesia provano a lavorare - che risulta peggiorativo della stessa legge 30, di cui peraltro la stessa Cgil chiede giustamente la cancellazione. Un accordo contestato dai lavoratori, in primo luogo, nel corso di due infuocate assemblee. Il referendum confermativo, che avrebbe dovuto svolgersi l'altroieri, è «misteriosamente» scomparso dalle scadenze in agenda. Una pagina davvero nera per il sindacato.
Gli errori, si diceva. Il principale sta nella stessa nascita del «modello Atesia». Un «concentrato degli aspetti peggiori» della precarietà reso possibile addirittura dal «pacchetto Treu» varato dal primo governo Prodi, ben prima dello sconcio della legge 30. E certo deve aver pesato il fatto che «il padrone», Alberto Tripi, sia da sempre uno sponsor pubblico della Margherita rutelliana. Ricorda Luigi Nieri, neo-assessore regionale, quanto sia «aggressiva» questa azienda più volte convocata dagli enti locali per trovare soluzione agli infiniti problemi sociali che provoca. «L'azienda è così, non abbiamo niente da cambiare», era il ritornello, anche quando ancora imponeva l'affitto della postazione lavorativa a quelli che solo l'ipocrisia della legge permetteva di considerare dei «liberi collaboratori» pagati a cottimo.
Un errore più grande, probabilmente, è stato l'appoggio dato dalla sinistra alla privatizzazione di Telecom, i cui assetti successivi - Atesia nasce dalla dissoluzione di parte di questa galassia - hanno trovato nel Slc-Cgil una tolleranza a volte imbarazzante. Un ultimo errore, della Cgil stavolta, è stato commesso con l'affidare il compito della rappresentanza del precariato a una categoria apposita, il Nidil, anziché alle categorie di lavoro; quasi che la precarietà sia una condizione «normale», pacificamente accettata, e «un mondo a parte» rispetto al resto del lavoro dipendente. In questo quadro, è stato anche detto, l'attività sindacale si limita a «normare» la precarietà, non a superarla puntando alle assunzioni a tempo indeterminato. Solo così si può spiegare la leggerezza con cui, nel 2004, il Nidil ha firmato un accordo che riconosceva il «carattere non subordinato» della prestazione lavorativa in Atesia; un autentico suicidio per il ruolo stesso del sindacato (se non sono «dipendenti», perché pretendi di rappresentarli?).
Un lungo periodo di «cedimenti» culturali e pratici sotto la pressione dei cantori delle «magnifiche sorti e progrssive» del mercato, della logica dei due tempi (meno diritti e salario oggi per un lavoro migliore e più pagato in un giorno lontano, ecc). Ora si prova a correre ai ripari, nuotando controcorrente. Nel frattempo, piaccia o no, il lavoro autenticamente sindacale in Atesia - l'organizzazione dei lavoratori in vertenze dagli obiettivi condivisi, cui partecipa la grande maggioranza - è stato svolto dai ragazzi del Collettivo precari. I quali, pur se con qualche ingenuità, nella discussione, non hanno fatto sconti alla più grande organizzazione sindacale. Del resto lo stesso Daniele Canti, del direttivo regionale, ammette la «difficoltà di rapporto con i giovani precari a causa di comportamenti sindacali incoerenti con la linea congressuale».
Nel frattempo il «modello Atesia» è cresciuto e si è diffuso, diventando l'esempio di azienda in cui la precarietà non serve a gestire emergenze produttive, ma diviene l'elemento costitutivo del «fare impresa». Un'impresa arretrata, non creatrice di valore, ma che con il suo solo esistere suggerisce le regole in una fetta consistente del mercato del lavoro.
Ne è consapevole Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale Fiom, che indica questa come una delle «vertenze esemplari» dove si vanno a «conquistare nuove condizioni» rovesciando - se ce n'è la forza - la logica dell'impresa. Perché «il lavoro in Atesia è a tempo indeterminato» sul piano pratico, ma non lo è su quello legale e contrattuale. Perché lo diventi occorre una «mobilitazione generale», di altre categorie ma anche dei «movimenti» (è in corso di preparazione una manifestazione nazionale a Roma contro la precarietà). Perché, chiede infine Vittorio Mantelli, ex licenziato Ligabue ora responsabile lavoro del Prc, «quale modello di sviluppo viene proposto al paese e a questa città? La politica deve mettere al centro il problema di come si redistribuisce quel 4,5% di Pil in più che, in una città come questa, sembra finire in tasca solo a palazzinari e negozianti». Ci vorrebbe, forsee, anche un sindacato che non lasci libero corso alle imprese.
da "Il Manifesto" 17.5.06 pag.12
www.ilmanifesto.it
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Gli errori si pagano. Magari in ritardo, ma a prezzo pieno. Qualche volta con gli interessi. Nella sala Cattid dell'università di Roma un pezzo importante della Cgil e la sinistra romana si interrogano sul «mostro Atesia», sulle difficoltà del sindacato sia nel rapporto con i lavoratori che in quello con l'azienda. Il tutto dopo un accordo - firmato da Cisl, Uil e, per la Cgil, da Rosario Strazzullo e Nicoletta Rocchi, ma non dalle strutture Nidil che in Atesia provano a lavorare - che risulta peggiorativo della stessa legge 30, di cui peraltro la stessa Cgil chiede giustamente la cancellazione. Un accordo contestato dai lavoratori, in primo luogo, nel corso di due infuocate assemblee. Il referendum confermativo, che avrebbe dovuto svolgersi l'altroieri, è «misteriosamente» scomparso dalle scadenze in agenda. Una pagina davvero nera per il sindacato.
Gli errori, si diceva. Il principale sta nella stessa nascita del «modello Atesia». Un «concentrato degli aspetti peggiori» della precarietà reso possibile addirittura dal «pacchetto Treu» varato dal primo governo Prodi, ben prima dello sconcio della legge 30. E certo deve aver pesato il fatto che «il padrone», Alberto Tripi, sia da sempre uno sponsor pubblico della Margherita rutelliana. Ricorda Luigi Nieri, neo-assessore regionale, quanto sia «aggressiva» questa azienda più volte convocata dagli enti locali per trovare soluzione agli infiniti problemi sociali che provoca. «L'azienda è così, non abbiamo niente da cambiare», era il ritornello, anche quando ancora imponeva l'affitto della postazione lavorativa a quelli che solo l'ipocrisia della legge permetteva di considerare dei «liberi collaboratori» pagati a cottimo.
Un errore più grande, probabilmente, è stato l'appoggio dato dalla sinistra alla privatizzazione di Telecom, i cui assetti successivi - Atesia nasce dalla dissoluzione di parte di questa galassia - hanno trovato nel Slc-Cgil una tolleranza a volte imbarazzante. Un ultimo errore, della Cgil stavolta, è stato commesso con l'affidare il compito della rappresentanza del precariato a una categoria apposita, il Nidil, anziché alle categorie di lavoro; quasi che la precarietà sia una condizione «normale», pacificamente accettata, e «un mondo a parte» rispetto al resto del lavoro dipendente. In questo quadro, è stato anche detto, l'attività sindacale si limita a «normare» la precarietà, non a superarla puntando alle assunzioni a tempo indeterminato. Solo così si può spiegare la leggerezza con cui, nel 2004, il Nidil ha firmato un accordo che riconosceva il «carattere non subordinato» della prestazione lavorativa in Atesia; un autentico suicidio per il ruolo stesso del sindacato (se non sono «dipendenti», perché pretendi di rappresentarli?).
Un lungo periodo di «cedimenti» culturali e pratici sotto la pressione dei cantori delle «magnifiche sorti e progrssive» del mercato, della logica dei due tempi (meno diritti e salario oggi per un lavoro migliore e più pagato in un giorno lontano, ecc). Ora si prova a correre ai ripari, nuotando controcorrente. Nel frattempo, piaccia o no, il lavoro autenticamente sindacale in Atesia - l'organizzazione dei lavoratori in vertenze dagli obiettivi condivisi, cui partecipa la grande maggioranza - è stato svolto dai ragazzi del Collettivo precari. I quali, pur se con qualche ingenuità, nella discussione, non hanno fatto sconti alla più grande organizzazione sindacale. Del resto lo stesso Daniele Canti, del direttivo regionale, ammette la «difficoltà di rapporto con i giovani precari a causa di comportamenti sindacali incoerenti con la linea congressuale».
Nel frattempo il «modello Atesia» è cresciuto e si è diffuso, diventando l'esempio di azienda in cui la precarietà non serve a gestire emergenze produttive, ma diviene l'elemento costitutivo del «fare impresa». Un'impresa arretrata, non creatrice di valore, ma che con il suo solo esistere suggerisce le regole in una fetta consistente del mercato del lavoro.
Ne è consapevole Giorgio Cremaschi, della segreteria nazionale Fiom, che indica questa come una delle «vertenze esemplari» dove si vanno a «conquistare nuove condizioni» rovesciando - se ce n'è la forza - la logica dell'impresa. Perché «il lavoro in Atesia è a tempo indeterminato» sul piano pratico, ma non lo è su quello legale e contrattuale. Perché lo diventi occorre una «mobilitazione generale», di altre categorie ma anche dei «movimenti» (è in corso di preparazione una manifestazione nazionale a Roma contro la precarietà). Perché, chiede infine Vittorio Mantelli, ex licenziato Ligabue ora responsabile lavoro del Prc, «quale modello di sviluppo viene proposto al paese e a questa città? La politica deve mettere al centro il problema di come si redistribuisce quel 4,5% di Pil in più che, in una città come questa, sembra finire in tasca solo a palazzinari e negozianti». Ci vorrebbe, forsee, anche un sindacato che non lasci libero corso alle imprese.
da "Il Manifesto" 17.5.06 pag.12
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Cronache di una televenditrice a progetto
venerdì 19 maggio 2006
Un diario di Michela Murgia , dall'inferno di un call-center. Appunti e una bussola per uscire dal deserto della precarietà
Cronaca: Trenta giorni passati davanti a un video con un cornetta tecnologicamente avanzata che consente di parlare ininterrottamente al telefono senza staccare le mani dalla tastiera. Con alle spalle l'occhio scrutatore di una «capetta» che non fa che insultanti e umiliarti di fronte a tutti gli altri.
Non è certo la prima volta che viene pubblicato un «diario» di uno schiavo dei call-center, ma questo di Michela Murgia è scritto con ironia e disincanto, come annuncia l'impegnativo titolo - tt mondo deve sapere (Isbn, pp. 123, euro 10) -, quasi che le sorti del pianeta dipendano, appunto, dalle rivelazioni della protagonista La storia è presto riassunta. Camilla lavora in un call-center di una società che vende un marchingegno multifunzione - dal massaggio all'aspirapolvere - chiamato Kirby. Ogni telefonista riceva una misera paga base a cui si aggiungono tot euro ogni appuntamento strappato, il cui pagamento è però subordinato al fatto che un venditore, chiamato Shark flo squalo) riesca a entrare nella casa del malcapitato. L'impresa è affiliata a una multinazionale yankee con un contratto forse in franchising, il clima dominante è quello della setta: devozione assoluta al prodotto, mentre l'impresa è una comunità che privilegia il merito dei «vincenti», mentre vengono allontanati senza pietà i «perdenti». Ogni telefonista o venditore deve sottostare a continui meeting interni, dove vengono fissati gli obiettivi settimanali e verificata la produttività individuale, mettendo in competizione tutti contro tutti. In questo caso, se l'obbiettivo non è raggiunto si paga pegno (dall' andare vestiti da donna in un supermercato se sei un maschio al pagare la pizza a tutti). I dipendenti sono tutti dei co.co.pro., che devono superare un rito di iniziazione: vendere i primi Kurby a parenti o strappare i primi appuntamenti alle amiche o agli amici.
Il tono del libro è leggero, ma il quadro che emerge ricorda il clima claustrofobico degli sweetshops nel Sud del mondo. Soltanto che siamo in Italia e invece dei vigilantes o dei soldati il comando viene esercitato in un rapporto vis-a-vis e il terrorismo psicologico viene pianificato grazie all'apporto di psicologi anch'essi con un contratto co.co.pro.
L'autrice è una giovane cattolica, laureata in teologia, forse una papa-girl, ma questo conta ben poco rispetto al lavoro di denuncia svolto senza nessun vittimismo. C'è, infatti, un passaggio in cui l'autrice scrive a chiare lettere che quando ha firmato il contratto sapeva bene cosa sarebbe andata a fare e quale era il clima che avrebbe trovato nell'impresa. Sapeva inoltre bene che avrebbe turlupinato il prossimo, aiutando a vendere un aggeggio inutile per 3000 euro. Ed è forse per la regola del contrappasso che le telefoniste sono chiamate in questo diario telefucker, cioè persone che ti «fottono» appunto. Ma è altrettanto cosciente che la sua è un'esperienza a tempo, mentre le altre e gli altri devono lavorare come cani per strappare 6-700 euro al mese, n lavoro, infatti, è un girone infernale in cui per resistere devi «fottere» il vicino di video. In questo caso il reddito di cittadinanza sarebbe una misura per garantire un minimo di difesa dall'arbitrio senza scomodare l'etica del lavoro, la piena occupazione o i sacri testi di Karl Marx.
Insomma, un piccolo, ma sicuramente utile pamphlet contro la precarietà e gli attuali rapporti sociali di produzione. In primo luogo, la flessibilità e la precarietà sono le regole dominanti. E poco importa se il tempo indeterminato rappresenti la maggioranza della forza-lavoro: la precarietà, in questo caso, serve per governare il mercato del lavoro e creare il clima per modificare i rapporti di forza tra capitale e forza-lavoro.
E poi: per chi ancora crede alla favola della piena occupazione, benvenuti nel deserto del «pieno impiego», dove l'intermittenza tra lavoro e non lavoro consente - come d'altronde già capita da decenni negli Stati Uniti - di definire occupato anche chi lavora part-time per due, tre giorni a settimana. E infine: quali sono le caratteristiche principali nell'erogazione della forza-lavoro? Capacità relazionali, attitudine al lavoro di gruppo e messa al lavoro di ciò che un decano della sociologia americana (RobertPutnam) chiama, chissà perché, capitale sociale dei singoli. Senza contare che il punto di forza della multinazionale del Kirby sarà anche il clima da setta, ma quello che conta davvero per esercitare il controllo del ciclo produttivo e della vendita della sua «creatura» è un'attenta politica del marchio, o meglio del logo. Dunque, sì, il mondo deve sapere, ma in primo luogo per conoscere davvero la realtà del precariato devono essere loro, i precari, a raccontarla Come d'altronde fa in questo diario Michela Murgia.
Benedetto Vecchi
fonte: Il Manifesto
Categorie: il_mondo_deve_sapere libro michela_murgia call_center il_manifesto maggio2006 isbn telefonia
Un diario di Michela Murgia , dall'inferno di un call-center. Appunti e una bussola per uscire dal deserto della precarietà
Cronaca: Trenta giorni passati davanti a un video con un cornetta tecnologicamente avanzata che consente di parlare ininterrottamente al telefono senza staccare le mani dalla tastiera. Con alle spalle l'occhio scrutatore di una «capetta» che non fa che insultanti e umiliarti di fronte a tutti gli altri.
Non è certo la prima volta che viene pubblicato un «diario» di uno schiavo dei call-center, ma questo di Michela Murgia è scritto con ironia e disincanto, come annuncia l'impegnativo titolo - tt mondo deve sapere (Isbn, pp. 123, euro 10) -, quasi che le sorti del pianeta dipendano, appunto, dalle rivelazioni della protagonista La storia è presto riassunta. Camilla lavora in un call-center di una società che vende un marchingegno multifunzione - dal massaggio all'aspirapolvere - chiamato Kirby. Ogni telefonista riceva una misera paga base a cui si aggiungono tot euro ogni appuntamento strappato, il cui pagamento è però subordinato al fatto che un venditore, chiamato Shark flo squalo) riesca a entrare nella casa del malcapitato. L'impresa è affiliata a una multinazionale yankee con un contratto forse in franchising, il clima dominante è quello della setta: devozione assoluta al prodotto, mentre l'impresa è una comunità che privilegia il merito dei «vincenti», mentre vengono allontanati senza pietà i «perdenti». Ogni telefonista o venditore deve sottostare a continui meeting interni, dove vengono fissati gli obiettivi settimanali e verificata la produttività individuale, mettendo in competizione tutti contro tutti. In questo caso, se l'obbiettivo non è raggiunto si paga pegno (dall' andare vestiti da donna in un supermercato se sei un maschio al pagare la pizza a tutti). I dipendenti sono tutti dei co.co.pro., che devono superare un rito di iniziazione: vendere i primi Kurby a parenti o strappare i primi appuntamenti alle amiche o agli amici.
Il tono del libro è leggero, ma il quadro che emerge ricorda il clima claustrofobico degli sweetshops nel Sud del mondo. Soltanto che siamo in Italia e invece dei vigilantes o dei soldati il comando viene esercitato in un rapporto vis-a-vis e il terrorismo psicologico viene pianificato grazie all'apporto di psicologi anch'essi con un contratto co.co.pro.
L'autrice è una giovane cattolica, laureata in teologia, forse una papa-girl, ma questo conta ben poco rispetto al lavoro di denuncia svolto senza nessun vittimismo. C'è, infatti, un passaggio in cui l'autrice scrive a chiare lettere che quando ha firmato il contratto sapeva bene cosa sarebbe andata a fare e quale era il clima che avrebbe trovato nell'impresa. Sapeva inoltre bene che avrebbe turlupinato il prossimo, aiutando a vendere un aggeggio inutile per 3000 euro. Ed è forse per la regola del contrappasso che le telefoniste sono chiamate in questo diario telefucker, cioè persone che ti «fottono» appunto. Ma è altrettanto cosciente che la sua è un'esperienza a tempo, mentre le altre e gli altri devono lavorare come cani per strappare 6-700 euro al mese, n lavoro, infatti, è un girone infernale in cui per resistere devi «fottere» il vicino di video. In questo caso il reddito di cittadinanza sarebbe una misura per garantire un minimo di difesa dall'arbitrio senza scomodare l'etica del lavoro, la piena occupazione o i sacri testi di Karl Marx.
Insomma, un piccolo, ma sicuramente utile pamphlet contro la precarietà e gli attuali rapporti sociali di produzione. In primo luogo, la flessibilità e la precarietà sono le regole dominanti. E poco importa se il tempo indeterminato rappresenti la maggioranza della forza-lavoro: la precarietà, in questo caso, serve per governare il mercato del lavoro e creare il clima per modificare i rapporti di forza tra capitale e forza-lavoro.
E poi: per chi ancora crede alla favola della piena occupazione, benvenuti nel deserto del «pieno impiego», dove l'intermittenza tra lavoro e non lavoro consente - come d'altronde già capita da decenni negli Stati Uniti - di definire occupato anche chi lavora part-time per due, tre giorni a settimana. E infine: quali sono le caratteristiche principali nell'erogazione della forza-lavoro? Capacità relazionali, attitudine al lavoro di gruppo e messa al lavoro di ciò che un decano della sociologia americana (RobertPutnam) chiama, chissà perché, capitale sociale dei singoli. Senza contare che il punto di forza della multinazionale del Kirby sarà anche il clima da setta, ma quello che conta davvero per esercitare il controllo del ciclo produttivo e della vendita della sua «creatura» è un'attenta politica del marchio, o meglio del logo. Dunque, sì, il mondo deve sapere, ma in primo luogo per conoscere davvero la realtà del precariato devono essere loro, i precari, a raccontarla Come d'altronde fa in questo diario Michela Murgia.
Benedetto Vecchi
fonte: Il Manifesto
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18.5.06
Busto Arsizio: Emergenza precarietà nella pubblica amministrazione
Busto Arsizio - Rischio licenziamento per i precari delle pubbliche amministrazioni, i sindacati scendono in piazza a Busto sabato 20 maggio
Emergenza precarietà nella pubblica amministrazione
Rischia di subire un salto di qualità l’emergenza “precarietà” nella pubblica amministrazione a causa dell’effetto combinato delle norme di contenimento della spesa per il personale previste nella Finanziaria per il 2006 e le modifiche apportate all’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 con la legge 80/2006, imposta dal Governo Berlusconi a legislatura praticamente finita (9 marzo).
I primi effetti si vedono già e se il nuovo governo non interviene tempestivamente esploderà una vera e propria emergenza occupazionale nella Pubblica Amministrazione.
In conseguenza della Finanziaria 2006, cioè del blocco delle assunzioni e della riduzione in essa prevista della spesa per il personale assunto a qualsiasi titolo dell’1% rispetto al 2004, migliaia di precari più o meno “storici” rischiano l’espulsione dalla Pubblica Amministrazione con gravi conseguenze per la qualità e la quantità di servizi essenziali per i cittadini.
In quasi tutti gli enti locali e negli altri comparti della Pubblica Amministrazione, i lavoratori e le RSU, dove ci sono e dove ancora esiste un minimo di attività sindacale degna di questo nome, sono alle prese con i piani occupazionali per il 2006 che, quando va bene, prevedono una copertura del solo 25% del turn-over. Il rimanente 75% potrebbe teoricamente essere coperto solo con personale precario ma le limitazioni alla spesa si stanno abbattendo addirittura sulla possibilità di prorogare i precari attualmente in servizio.
Una situazione drammatica a cui il Governo Berlusconi in uscita ha aggiunto il “colpo di coda” finale.
La legge 80/2006 all’articolo 4 infatti introduce una norma “restrittiva” nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato che potranno essere attivati solo per “esigenze temporanee ed eccezionali”. Una restrizione teoricamente condivisibile (esattamente opposta, val la pena sottolinearlo, a quella mantenuta nel privato) ma che, combinata con il divieto di assunzioni in ruolo, indica una precisa direzione. Una direzione peraltro nemmeno sottintesa visto che il testo della legge, a fronte della “restrizione” nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato, parla esplicitamente di valutazione “dell'opportunità di attivazione di contratti con le agenzie per la somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei servizi”.
Un regalo finale di Berlusconi alle agenzie che “affittano” mano d’opera, una ulteriore spinta alla privatizzazione dei servizi e dunque una norma che va immediatamente revocata. Così come va modificata tempestivamente la Finanziaria 2006 per rendere possibile la stabilizzazione delle centinaia di migliaia di precari pubblici. Questa la richiesta al nascente governo. In caso contrario dovremmo considerare delle semplici “chiacchiere da bar” le dichiarazioni rilasciate in campagna elettorale sul “grave problema della precarietà” e le promesse di risolverla.
Vi è quindi l’imprescindibile necessità di costruire al più presto una mobilitazione nazionale che chieda al nuovo governo interventi reali contro la precarietà e la cancellazione della legge 30.
I precari, i lavoratori stabili, le organizzazioni sindacali, e i movimenti scendano in campo per esigere un vero cambiamento.
Sabato 20 maggio dalle ore 15,30, le RSU insieme ai lavoratori precari, hanno organizzato una manifestazione per le via del centro della città per la difesa dei posti di lavoro e del servizio pubblico, contro la precarizzazione del personale e la privatizzazione dei servizi, per l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari.
Giovedi 18 Maggio 2006
Fausto Sartorato - SinCobas
Categorie: busto_arsizio varese lombardia maggio2006 manifestazione pubblica_amministrazione finanziaria2006 pubblico_impiego dlgs165/01 sincobas
Emergenza precarietà nella pubblica amministrazione
Rischia di subire un salto di qualità l’emergenza “precarietà” nella pubblica amministrazione a causa dell’effetto combinato delle norme di contenimento della spesa per il personale previste nella Finanziaria per il 2006 e le modifiche apportate all’art. 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 con la legge 80/2006, imposta dal Governo Berlusconi a legislatura praticamente finita (9 marzo).
I primi effetti si vedono già e se il nuovo governo non interviene tempestivamente esploderà una vera e propria emergenza occupazionale nella Pubblica Amministrazione.
In conseguenza della Finanziaria 2006, cioè del blocco delle assunzioni e della riduzione in essa prevista della spesa per il personale assunto a qualsiasi titolo dell’1% rispetto al 2004, migliaia di precari più o meno “storici” rischiano l’espulsione dalla Pubblica Amministrazione con gravi conseguenze per la qualità e la quantità di servizi essenziali per i cittadini.
In quasi tutti gli enti locali e negli altri comparti della Pubblica Amministrazione, i lavoratori e le RSU, dove ci sono e dove ancora esiste un minimo di attività sindacale degna di questo nome, sono alle prese con i piani occupazionali per il 2006 che, quando va bene, prevedono una copertura del solo 25% del turn-over. Il rimanente 75% potrebbe teoricamente essere coperto solo con personale precario ma le limitazioni alla spesa si stanno abbattendo addirittura sulla possibilità di prorogare i precari attualmente in servizio.
Una situazione drammatica a cui il Governo Berlusconi in uscita ha aggiunto il “colpo di coda” finale.
La legge 80/2006 all’articolo 4 infatti introduce una norma “restrittiva” nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato che potranno essere attivati solo per “esigenze temporanee ed eccezionali”. Una restrizione teoricamente condivisibile (esattamente opposta, val la pena sottolinearlo, a quella mantenuta nel privato) ma che, combinata con il divieto di assunzioni in ruolo, indica una precisa direzione. Una direzione peraltro nemmeno sottintesa visto che il testo della legge, a fronte della “restrizione” nell’utilizzo dei contratti a tempo determinato, parla esplicitamente di valutazione “dell'opportunità di attivazione di contratti con le agenzie per la somministrazione a tempo determinato di personale, ovvero di esternalizzazione e appalto dei servizi”.
Un regalo finale di Berlusconi alle agenzie che “affittano” mano d’opera, una ulteriore spinta alla privatizzazione dei servizi e dunque una norma che va immediatamente revocata. Così come va modificata tempestivamente la Finanziaria 2006 per rendere possibile la stabilizzazione delle centinaia di migliaia di precari pubblici. Questa la richiesta al nascente governo. In caso contrario dovremmo considerare delle semplici “chiacchiere da bar” le dichiarazioni rilasciate in campagna elettorale sul “grave problema della precarietà” e le promesse di risolverla.
Vi è quindi l’imprescindibile necessità di costruire al più presto una mobilitazione nazionale che chieda al nuovo governo interventi reali contro la precarietà e la cancellazione della legge 30.
I precari, i lavoratori stabili, le organizzazioni sindacali, e i movimenti scendano in campo per esigere un vero cambiamento.
Sabato 20 maggio dalle ore 15,30, le RSU insieme ai lavoratori precari, hanno organizzato una manifestazione per le via del centro della città per la difesa dei posti di lavoro e del servizio pubblico, contro la precarizzazione del personale e la privatizzazione dei servizi, per l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari.
Giovedi 18 Maggio 2006
Fausto Sartorato - SinCobas
Categorie: busto_arsizio varese lombardia maggio2006 manifestazione pubblica_amministrazione finanziaria2006 pubblico_impiego dlgs165/01 sincobas
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