26.2.06

I precari dell'università (Isola Possibile)

I precari dell’università
di Red online - 25 febbraio 2006

La protesta negli atenei denuncia l’insofferenza dei ricercatori alla condizione di precariato. Il D.D.L. moratti consegna l’università alle logiche del mercato.

di Salvo Tinè

La protesta e la mobilitazione dei lavoratori a termine della ricerca pubblica, cui abbiamo assistito in questi giorni, sfociata nell’iniziativa della “settimana contro la precarietà” ha di nuovo richiamato l’attenzione su uno dei più gravi e drammatici problemi del nostro sistema dell’università e della ricerca scientifica: quello della sempre maggiore flessibilizzazione e precarizzazione del lavoro intellettuale dei giovani ricercatori negli Atenei come negli Enti di ricerca. Non c’è dubbio che negli ultimi dieci anni il fenomeno della precarizzazione si è fortemente aggravato: nelle sole università i ricercatori precari sono, infatti, già 55.000; si tratta di una massa enorme di lavoratori intellettuali, alla quale l’Università italiana non riesce, in questo momento a fornire alcuna credibile prospettiva di reclutamento, nemmeno nel lungo periodo. Ciò a fronte del più basso numero di ricercatori a tempo indeterminato d’Europa, che in Italia ammontano a 70.000, mentre in Francia sono 170.000, in Germania 270.000.

I processi di flessibilizzazione del lavoro nel settore della ricerca hanno corrisposto in questi ultimi dieci anni ad una precisa volontà politica delle classi dirigenti del nostro paese, tesa a smantellare il ruolo stesso dell’università pubblica come principale fattore di sviluppo economico e civile del paese. La condizione di precarietà di tantissimi giovani ricercatori italiani, diventata drammaticamente cronica è esattamente ciò che le nostre classi dirigenti vogliono perpetuare allo scopo di creare una nuova divisione del lavoro, fondata su una più esasperata e prevalentemente artificiosa gerarchizzazione dei ruoli e delle funzioni. Le politiche di selvaggia riduzione dei finanziamenti agli Atenei insieme a quelle di blocco o di restrizione delle assunzioni hanno finito per moltiplicare, in modo abnorme, nuove e atipiche forme di lavoro flessibile quali le collaborazioni coordinate e continuative, i contratti a progetto, le prestazioni d’opera, ecc, sottoposti a regolamenti d’ateneo di fatto sottratti ad ogni controllo sindacale, e privi di ogni diritto e tutela.

Il ddl Moratti sullo stato giuridico della docenza universitaria intende rendere permanente ed elevare a sistema questa condizione di fatto: esso prevede l’abolizione della figura stessa del ricercatore e la sua sostituzione con una nuova figura di contrattista a tempo determinato (3 anni più al massimo altri tre anni). Si tratta di una figura che non sostituisce le attuali forme di precariato ma si aggiunge ad esse. Riducendo le figure permanenti ai soli professori ordinari e associati, il disegno di legge blocca, così, nel medio periodo, ogni prospettiva di accesso in ruolo per una parte degli attuali lavoratori precari. L’ulteriore peggioramento della già drammatica condizione di precarietà dei lavoratori della ricerca che il ddl Moratti introduce, risulta, perfettamente coerente con la più generale impianto della riforma universitaria, mirante ad ottenere una totale subordinazione dell’Università alle esigenze di un mercato del lavoro sempre più frammentato: si pensi all’introduzione della possibilità per l’impresa privata di finanziare l’istituzione di una cattedra per professore ordinario, perfino per chi non avesse ottenuto, tramite concorso, l’idoneità alla cattedra stessa; oppure, ancora alla divisione dello stipendio dei docenti in una parte fissa ed in una parte variabile stabilita sulla base di ambigui criteri di produttività e di efficienza. In questo senso precarizzazione e privatizzazione si saldano strettamente.

Non è chi non veda come colpendo così duramente non soltanto le condizioni e le prospettive di lavoro di migliaia di giovani aspiranti ricercatori ma a anche, più in generale, la stessa autonomia della ricerca e del lavoro scientifico si umiliino e si mortifichino proprie quelle potenzialità e risorse intellettuali di cui pure questo paese avrebbe bisogno per uscire dalla condizione di declino economico ed industriale nella quale continua a versare. In realtà dietro l’attacco ai diritti e alle garanzie del lavoro intellettuale si cela un più generale ed organico disegno di ristrutturazione dell’intero sistema della ricerca e della formazione universitaria; un disegno che intende privare l’Università di ogni capacità di visione generale dei problemi e delle esigenze della società ovvero di ogni finalità civile e democratica.

Precarizzare il lavoro intellettuale dei giovani aspiranti ricercatori, serve, infatti, a rendere questi ultimi sempre più deboli e ricattabili ovvero sempre meno motivati ad un impegno di ricerca autenticamente funzionale ad esigenze e bisogni di tipo pubblico e sociale. In tal senso il fenomeno della precarizzazione del lavoro intellettuale costituiscono in tal senso un momento fondamentale di quel più generale processo di dequalificazione dell’Università al quale abbiamo assistito in questi anni e che la stessa introduzione del cosiddetto 3+2 ha ulteriormente aggravato.

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