Storie di ordinario precariato quotidiano
Le testimonianze degli ex co.co.co.
24/8/2006
«Da dieci anni sono precaria a 900 euro»
ROMA. L’ultimo anno in Atesia per M. e colleghi, è stato «catastrofico». Si guadagna sempre meno, nella speranza che presto arrivi un contratto «decente», a tempo indeterminato. M. ha 36 anni, maturità classica, è tra i più anziani. Entrata in azienda nel ‘96 lavora al 119, il servizio assistenza clienti Tim. «All’inizio mi hanno fatto aprire una partita Iva, poi me l’hanno fatta chiudere. Meglio così, almeno pagano i contributi». Un contratto rinnovato prima mese per mese, ora ogni tre. M. è pagata a contatto: «dipende da quante telefonate prendi. Se lavori tutto il turno, sei ore, per sei giorni alla settimana riesci ad arrivare a 1000-1200 euro. Io guadagno tra i 700 e i 900 euro, faccio il turno dalle 10 alle 16». A M. il lavoro piace: l’«elasticità degli orari» le permette di rimpinguare il suo stipendio. «Per un periodo mi guadagnavo qualcos’altro facendo la fotografa». Ma è stanca di non potersi prendere una vacanza o assentarsi per malattia. «L’azienda non ti paga le ferie, se ti becchi un raffreddore e resti a casa 4, 5 giorni sono soldi persi, molte donne vengono a lavorare col pancione perché non ti pagano neppure la maternità». E poi nell’ultimo anno, dice M., soprattutto con l’arrivo del nuovo capo, le cose sono peggiorate. «È capitato che per un paio di mesi non ti facevano arrivare le telefonate, lavoravamo le stesse ore ma prendevamo la metà. Prima se il flusso di contatti era alto, l’azienda alzava il prezzo, adesso zero: anzi, prima per noi un contatto rappresentava un guadagno di un euro, adesso sono 80 centesimi. Assieme al contratto arriva un tariffario: se non ti sta bene, ti mandano via. È come se ti licenziassero». A volte lo stipendio di M. non corrisponde ai calcoli, «capita che non ti diano tutto quello che devono». M. spera in un contratto a tempo indeterminato. «L’accordo che volevano fare con i sindacati era ridicolo: contratti a tempo indeterminato con turnazione, 600 euro al mese, che non ti davano la possibilità di fare altro lavoro. Avrebbero riguardato i lavoratori più vecchi come me». Le cose non cambieranno fino a gennaio, è la voce che circola in azienda, dice M. che parla anche di un «clima di terrore. Agli ultimi scioperi eravamo sempre meno, anche perché ad alcuni precari sindacalizzati non hanno rinnovato il contratto. Se ti fai notare rischi il posto».
La signora G. 700 euro e figlio a carico
ROMA. Lap. Dietro questa fredda sigla c'è la storia di G., 42 anni, da quasi quattro in Atesia, una donna che si sta separando e che con il suo stipendio deve mantenere un bambino di 5 anni e arrivare a fine mese. Lavoratore a progetto per il 119, il servizio assistenza clienti Tim, G. fa sempre lo stesso turno 9-15 per stare con il figlio e non affrontare l’ulteriore spesa di una babysitter. «Se ti va bene arrivi a 700 euro al mese, senza ferie, malattie e maternità pagate. Un disastro. Pago quella cifra solo di affitto, mio marito mi passa qualcosa ma mi restano 400-500 euro per vivere e pagare le bollette». Un altro problema è l’assistenza sociale. «Non ci sono strutture per i bambini, d’estate devi iscriverlo a un centro estivo, l’assistenza te ne paga 10 ore e nient’altro. Ma poi ti si appiccica, vivi nel terrore che ti tolgano tuo figlio dopo esserti piombati in casa a fine mese e aver visto che hai il frigo vuoto». Poi, al lavoro, c’è l’obbligo dei «briefing», i corsi di formazione. «Ti pagano 9 euro lordi al giorno, e perdi il guadagno di quella giornata. Si fanno quando decidono che devi cambiare attività. Ma sono due mesi di apprendistato sprecati, per imparare un nuovo lavoro che nessuno garantisce ti terrai. C’è gente che è stata buttata fuori dopo due mesi. Atesia è una macchina stritolapersone, non sai mai chi ti ha fatto cosa, se ti buttano fuori nessuno sa niente». G. vorrebbe restare nell’azienda a tempo indeterminato ma non alle condizioni che poneva l’accordo tra Atesia e sindacati, poi bloccato. «Dicevano che ci avrebbero assunti a fine settembre. Era un contratto part time, a turnazione. Avrei dovuto cercarmi una babysitter per non lasciare mio figlio da solo. Meglio la situazione attuale. Mi sono ammazzata di lavoro ora che mio figlio è con suo padre per qualche giorno, sono arrivata anche a 10 ore al giorno, così quando torna posso stare con lui. Con quel nuovo tipo di contratto la mia vita sarebbe stata scombussolata. Su 400 persone forse solo la metà ce l’avrebbe fatta ad affrontare un cambiamento del genere. Ma G. è ottimista. «Quello che sta accadendo può rivelarsi un bene anche se sono anni che ci prendono in giro con le assunzioni. Se volete darci i turni dateci il full time». Le alternative per G. sono pochissime. «Dove vado a 42 anni? Se perdo il lavoro chi mi prende?».
Nessun commento:
Posta un commento