(ECO) Roma, 24 apr (Velino) - Sono soprattutto donne, giovani e laureati i 126 mila lavoratori atipici della Capitale, che rappresentano l’11,6 per cento degli occupati romani. Questa la fotografia scattata dall’ufficio statistico del Comune, che ha rielaborato dati Istat e Isfol. L’indagine è riferita al 2005 e contenuta nella rivista periodica I numeri di Roma, statistiche per la città, presentata in Campidoglio dall’assessore capitolino al Bilancio, Marco Causi. Dai dati emerge che le persone fra i 15 e i 34 anni sono il 59 per cento del totale degli atipici, la componente femminile copre il 58 per cento e vi è una forte incidenza di laureati e diplomati (34 per cento). A quei 126 mila, però, bisogna aggiungere anche coloro che si trovano in una “fase intermittente”, avendo appena concluso un contratto temporaneo e in attesa di un’altra occupazione: un bacino che conta circa 33 mila unità. Il totale, quindi, dei precari a Roma è di 158 mila persone (33 per cento), esclusi quanti possiedono la partita Iva. Numero che è cresciuto quasi del 20 per cento rispetto al quinquienno 1996-2000, in cui i contratti non standard costituivano il 10,4 per cento del totale. I settori in cui prevale “l’atipico” sono i call center, ma anche il commercio e l’informatica. Non mancano i tecnici, i ricercatori, i restauratori e gli specialisti di marketing. Circa l’80 per cento degli atipici, svolge un lavoro autonomo su richiesta del committente. Questo significa che la flessibilità per la maggior parte dei precari non è una scelta, ma un obbligo. Inoltre, il sospetto che dietro i contratti di collaborazione si celi in molti casi un lavoro dipendente a tutti gli effetti, con una notevole convenienza per il datore di lavoro, è avvalorato dalle analisi delle modalità di svolgimento di queste forme di occupazione.
A Roma, infatti, il 67,8 per cento dei collaboratori svolge incarichi per un’unica società, il 53 per cento è tenuto a garantire la sua presenza nella sede di lavoro, il 64 per cento ha concordato un orario giornaliero con il datore di lavoro e quasi il 50 per cento ha visto rinnovato il suo contratto più di una volta. Tuttavia, il mercato del lavoro, nella Capitale, offre possibilità maggiori di stabilizzazione rispetto a ciò che accade nel resto del paese: negli ultimi cinque anni il 34 per cento dei lavoratori a tempo determinato ha mantenuto un contratto atipico, contro il 37 per cento nazionale. Lo stesso è avvenuto per il 30 per cento di lavoratori impiegati in altre forme di lavoro dipendente, contro il 39 per cento nazionale. La durata media di un contratto flessibile, a Roma e nel resto del paese, è di un anno: per i lavoratori a tempo determinato, tuttavia, la situazione romana è migliore, perché i contratti con durata più lunga, tra i due e i tre anni, sono quasi il doppio della media nazionale (15,2 per cento rispetto all’8,3 per cento). Dall’indagine emerge che nel complesso il 56 per cento di tutti i lavoratori atipici esprime un livello medio o basso di soddisfazione e il 66 per cento manifesta una esplicita insoddisfazione sulle condizioni di stabilità e sicurezza del proprio posto di lavoro. Al titolo di studio, inoltre, non corrisponde nemmeno una retribuzione proporzionale, dal momento che il 68,5 per cento dei lavoratori atipici con laurea o titoli superiori manifestano insoddisfazione per il reddito percepito. Parzialmente migliore appare la condizione retributiva dei lavoratori diplomati, che nel 50 per cento dei casi sono soddisfatti nel loro stipendio.
“Il mercato del lavoro – ha sottolineato Causi – ha vissuto negli ultimi anni un forte dinamismo, con un complessivo aumento degli occupati di 207 mila unità (+15 per cento). Ma questa evoluzione – ha continuato l’assessore – ha evidenziato anche le criticità dei moderni mercati: la principale è la sottile linea grigia che distingue la flessibilità dalla precarietà e che determina la possibilità per i giovani di seguire percorsi professionali che permettano una crescita umana, senza restare al margine delle garanzie e dei diritti dei lavoratori”. Causi, inoltre, si è soffermato sulle prime pagine della rivista, in cui sono contenuti diversi dati riferiti agli stranieri: “Dalla ricerca dell’ufficio statistica – ha detto l’assessore – emerge che nel periodo 2002-2006 gli extracomunitari sono aumentati di 64 mila unità, ma in tutto la crescita della città è stata di 23 mila persone. Questo significa – ha concluso – che se non ci fossero stati gli stranieri la popolazione a Roma sarebbe diminuita di 41 mila unità”.
(mic) 24 apr 14:37
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