Scrivere un appello ai movimenti, ai comitati, ai collettivi, alle associazioni, al mondo del lavoro e del "non lavoro" per costruire insieme la May Day Parade del primo maggio a Napoli: per un istante abbiamo pensato (sperato...?!) che bastasse copiarne qualcuno degli anni scorsi... Non per pigrizia. Non per ritualità.
Da diversi anni, infatti, e attraversando molte città europee, la May Day parade rappresenta un esperimento consolidato di emersione delle domande, delle identità e delle lotte presenti nel molteplice universo della precarietà sociale e lavorativa. Costruzione di uno spazio comune che si misura continuamente con la sua stessa precarietà e col suo divenire. Ricerca di linguaggi e di pratiche, monitoraggio e valorizzazione di quella microfisica delle resistenze poste in essere dal lavoro vivo, mentre viene continuamente scomposto dal comando per riconnettersi poi nella fabbrica sociale.
Precarietà e precarizzazione sono ormai largamente riconosciute come le cerniere che collegano le vecchie forme del lavoro, aggredite dal liberismo, depauperate del salario diretto e indiretto e perfino del diritto alla pensione, con le nuove realtà di lavoratori in affitto o interinali, contorsionisti della prestazione a chiamata, operatori a progetto, cognitari, studenti....
Figure senza cittadinanza: un esempio per tutti è quello dei migranti, per i quali il lavoro è concepito giuridicamente come pura "sfruttabilità", subalternità del diritto alle necessità della macchina produttiva.
Tutti soggetti che si trovano ormai di fronte alla necessità di riscrivere l'alfabeto dei bisogni e riconquistare quasi completamente un proprio statuto dei diritti.
Poco o niente è cambiato col passaggio dal governo nazionale di una destra liberista, populista e inflazionista ad un centrosinistra liberista e tecnocratico, pronto a riproporre i feticci di Maastricht e del debito per continuare con l'opera di demolizione del welfare state. Entrambi brillano nell'assoluta mancanza di proposte per tutelare le nuove realtà sociali e lavorative. Che perciò cominciano a fare da sé!
"Reclame the Money" ("Reclama Reddito") è diventata negli anni una rivendicazione sempre più riconosciuta, che prova ad attraversare le aspettative del lavoro diffuso e di quello negato, declinando i diritti all'accesso, alla salute, ai saperi, alla libertà di movimento, all'abitabilità. Si è estesa inoltre la consapevolezza che di fronte a modelli di profitto così aggressivi verso il pianeta, la precarietà del reddito e del lavoro si rifletta nella precarietà dell'ambiente e della salute.
Importanti mobilitazioni locali e nazionali, così come la pratica dell'azione diretta (autoriduzioni, blocchi ecc), hanno amplificato queste battaglie sul piano simbolico e della comunicazione e contro di esse si è scatenata una repressione rapida e feroce con processi penali contro centinaia di precari e di precarie.
Perfino l'empasse con cui questi movimenti si misurano rappresenta una questione aperta ma non certo sconosciuta: la difficoltà ad agire pienamente il nuovo spazio pubblico europeo, il problema di associare continuità e cooperazione alla forza dei conflitti simbolici e puntuali, la necessità di ricomporre movimenti "senza centro" con dispositivi di reciproco riconoscimento e mutualità tra le lotte territoriali...
Eppure fra le mille ragioni per aggiornare collettivamete questa riflessione, una ci è sembrata più pressante delle altre: è l'accelerazione precipitosa e particolare che questi processi stanno vivendo a Napoli!
Innanzi tutto l'informalizzazione delle relazioni economiche, dei dispositivi sociali e abitativi ha una preponderanza sui segmenti urbani più "tradizionali" che ha pochi eguali in tutto l'occidente. Un processo di deregulation vertiginoso ma senza tutele, come attesta la cifra ormai "fossilizzata" del 60% di disoccupazione giovanile "ufficiale"!
In questo contesto si sviluppa la crescita di una violenza non solo verticale, ma anche orizzontale tra i ceti subalterni. Una realtà che non si può ridurre, come spesso viene fatto, alla presenza delle bande armate dell'economia extra-legale o alla speculare militarizzazione poliziesca, che pure soffocano le potenzialità di una riscossa sociale effettivamente consapevole.
C'è un reale disastro sociale con cui fare i conti!
L'inflazione degli ultimi anni, malamente camuffata dall'arrivo dell'euro, ha vertiginosamente aumentato la precarietà sociale ed esistenziale (affitti delle case cresciuti di otto volte in dieci anni, ventimila mutui abitativi abbandonati solo nell'ultimo anno). Politiche insieme liberiste e clientelari, come nella gestione della sanità pubblica, stanno facendo il resto. Sul piano imprenditoriale, l'aggressione speculativa al territorio e ai beni comuni (a partire dall'acqua ) sembra diventata l'unica opzione per rendite sempre più parassitarie.
Di fronte a questa realtà che non riesce nè a rappresentare nè ad afferrare, il ceto politico locale, impegnato nel più tranquillo naufragio che si ricordi, sembra preoccupato soltanto, e paradossalmente, di conservarsi. E di fare affari... Malgrado imponenti esempi di delegittimazione sociale e momenti di conflitto virulento, come nel caso dello smaltimento dei rifiuti in cui il governo locale e nazionale si sono rivelati incapaci di costruire soluzioni condivise e fuori dall'influenza delle ecomafie, soluzioni che il piu’ delle volte coincidono con uno nuovo stupro ambientale da mettere in atto da Acerra a Serre, dal LoUttaro al Vallone di San Rocco.
Si costruiscono, piuttosto, continui diaframmi rispetto ai cittadini, espropriati di ogni ruolo decisionale. Una condizione abituale per chi è storicamente sottomesso alle servitù militari NATO ed alla crescente militarizzazione del territorio (ultima clamorosa notizia la conferma che il porto di Napoli è sistematicamente utilizzato dai sommergibili nucleari, nell'ignoranza di tutta la popolazione). Ma anche laboratorio della globalizzazione liberista: Napoli e la Campania sono diventate un avamposto europeo nei processi globali di privatizzazione del potere pubblico. Commissariamenti, privatizzazioni, esternalizzazioni sono alcuni dei dispositivi di governo che deresponsabilizzano politicamente la classe dirigente e ne appaltano o nascondono le funzioni. Dal commissariamento regionale sui rifiuti ai tentativi di privatizzazione dell'acqua, dalle società di trasformazione urbana (STU) all'esternalizzazione delle funzioni amministrative. In quasi tutte le funzioni di governo del territorio i cittadini devono interfacciarsi con consigli d'amministrazione di soggetti privati o di società miste. Il Comune, la Provincia, la Regione, si propongono sempre più come renditieri "irresponsabili" dell'attività di queste società, percorrendo una strada spianata dal DDL Lanzillotta e dal governo Prodi.
Particolarmente grave l'appalto ad un'aggressiva azienda privata, la Gest-Line, di tutti i crediti amministrativi. Una sorta di usura legalizzata con cui il sistema di potere e comando cittadino pensa di occultare la rimozione del welfare informale col quale in questi anni ha tamponato la totale assenza di una politica di sostegno ai redditi.
A Napoli e in Campania la cosiddetta questione democratica coincide più che mai con la questione sociale!
Fuori e contro questi comitati d'affari, i territori hanno visto fiorire forme di mobilitazioni dal basso, comitati di quartiere, assisi democratiche e reti per la difesa dei beni comuni (l'acqua, il territorio, la salute, la scuola, l'accesso ai saperi, l’abitabilita’) che hanno affiancato le lotte più tradizionali dei precari e dei disoccupati. Dai nuovi fermenti dell'università e del precariato cognitivo alle resistenze contro la devastazione del territorio, dalle lotte alla quotidiana precarietà sociale dei disoccupati storici a quelle dei lavoratori della Ergom e dell’Alfa/Avio contro i processi di ristrutturazione selvaggia; queste vertenze vivono, purtroppo, in una inefficace separatezza mentre, invece, abbisognano di un linguaggio condiviso, un comune tessuto connettivo per una presa di parola forte ed autorevole che si faccia finalmente cambiamento politico.
Per questi percorsi l'organizzazione della May Day 2007 è la possibilità di attraversare uno spazio comune in cui annodare i tanti fili che si stanno già tessendo e per tesserne dei nuovi. Per sperimentare una narrazione collettiva che vada oltre l'occasione e prosegua lungo i percorsi di movimento e di autorganizzazione a cominciare dal prossimo appuntamento del 19 Maggio a Napoli indetto dall’Assemblea Popolare di Serre, in difesa della salute e dell’ambiente e contro la logica dell’incenerimento dei rifiuti.
Per i movimenti la Napoli May Day 2007 è un potenziale snodo perché continui a crescere quella cooperazione tra i precari e le precarie che sovverta la miseria del presente. Ed è anche un punto di verifica: nella costruzione asimmetrica del nuovo spazio pubblico europeo e mediterraneo, Napoli col suo laboratorio di contraddizioni, di conflitti, di globalizzazione informale e liberista, rappresenta una parte di quel "futuro di sotto" con cui è necessario misurarsi per conquistare un altro mondo possibile!
Invitiamo tutte le realtà regionali ad un incontro pubblico per la costruzione comune della May Day 2007
Lunedi 16 aprile alle ore 17.30
- Aula Francesco Lo Russo - Università Federico II –
- via Mezzocannone n°16, II Piano
Federazione Regionale dell’RdB/CUB della Campania, RdB/CUB “Precari Autorganizzati”, Red Link, Rete per il Reddito ed i Diritti Sociali, Laboratorio Occupato Insurgencia, Orientale Agitata , Comitato di lotta Vele di Scampia, Comitato in difesa del Vallone di San Rocco, Napoli Arcobaleno – per il diritto al territorio
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