Costanza Alvaro Venerdì 27 Aprile 2007
Il precariato è un virus che si è espanso a macchia d’olio, silenziosamente, contagiando ogni settore. Col tempo è diventato fenomeno: generazionale, sociale, di massa. Quindi culturale. È oggetto di riflessione per chi è in quarantena e per chi, da una posizione privilegiata, ne constata gli effetti: chi volesse leggere racconti, saggi o romanzi sul tema ha l’imbarazzo della scelta. Il giornalismo, da sempre considerato mestiere ricco di privilegi, non è affatto esente dal contagio.
Dei circa 30mila giornalisti presenti in Italia solo 12mila sono contrattualizzati. Ciò significa che l’informazione in Italia è affidata per due terzi a persone che hanno una debolezza contrattuale tale da essere esposte a ricatti d’ogni sorta. “Come è possibile raccontare i fatti con la schiena dritta, come chiese l’allora Capo dello Stato Ciampi, se proprio chi dovrebbe farle, le denunce, è sotto lo schiaffo continuo di un minaccioso licenziamento?”, si chiede Chiara Lico, 32 anni, giornalista Rai, che nel romanzo Zitto e scrivi, edito da Stampa alternativa, riflette su quella che considera un’emergenza nazionale. La grottesca storia di Pieffe, “giornalista praticante con contratto a termine da metalmeccanico” è l’emblema di un disagio sempre più diffuso, che fa male allo stesso sistema dell’informazione.
Alle stesse conclusioni giunge anche la seconda edizione del Libro bianco sul lavoro nero: storie di violazioni e soprusi nel mondo dell’informazione raccolte dal Fnsi. Nella prefazione Paolo Serventi Longhi, segretario del sindacato dei giornalisti, ricorda che “ciò che sta avvenendo da alcuni anni è la violazione sistematica di ogni regola nella maggioranza delle imprese editoriali, dalla carta stampata all’emittenza nazionale, dalle televisioni locali alle agenzie di informazione, dai siti internet ai canali tematici satellitari”.
Il panorama italiano non è però l’unico a essere dipinto a tinte fosche: anche un esponente del Sindacato Giornalisti Francese, Saafi Allag-Morris, considera che più i freelance sono mal pagati, più questi ultimi rappresenteranno un’attrattiva interessante agli occhi dei gruppi editoriali.
Lo ha detto in un convegno svoltosi in Belgio alla fine di marzo e intitolato “Pigeons, pas pigistes“, arguto gioco di parole che significa “Fessi, non freelance”.
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