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29.5.08
Precari, sempre precari…
Rimane in sospeso (chissà fino a quando) l’infinita questione dei precari Rai. Stiamo parlando di almeno 1.500 lavoratori dei quali la Tv di Stato ha bisogno per realizzare i suoi programmi, nonostante l’enorme “battaglione” di dipendenti a contratto, ben 13.000 circa. I rinnovi contrattuali dei precari Rai ora sono a rischio (ironia della sorte) a causa della nuova legge del Welfare che, tentando di regolarizzare proprio i precari, prevede che i lavoratori siano assunti a titolo definitivo dopo 36 mesi di contratti a termine. Dopo i 36 mesi può esserci solo un ultimo contratto a termine (con accordo delle parti), poi l’assunzione.
Secondo i calcoli effettuati, la Rai dovrebbe iniziare ad assumere, applicando la legge, da aprile 2009 all’incirca 1185 lavoratori tra quadri, impiegati e operai che hanno raggiunto i 36 mesi di contratto a termine. Altri 416 dovrebbero raggiungere la meta nella primavera del 2009.
Una situazione intricata e dall’esito incerto, perché a quel punto l’azienda tende a non rinnovare i contratti dei precari, per non doverli assumere, provocando ‘terrore’ in questi ultimi, che magari lavorano per la Rai (e lavorano sul serio) da molti anni. La Rai ha bisogno dei precari per realizzare quotidianamente i suoi programmi ma non può “permettersi di assumerli”, quindi tende al “congelamento” dei contratti o a dare spazio ad altri precari; del resto, senza questi lavoratori (e anche la loro esperienza’!) molti programmi sono a rischio (e questo nonostante le molte migliaia di dipendenti ricordate prima).
Un primo risultato è invece stato raggiunto per i giornalisti, che possono probabilmente contare su un sindacato più forte. La Rai in questo caso è addivenuta ad accordi impegnandosi ad assumere in via definitiva circa 160 redattori che fino ad ora hanno avuto contratti a termine; ma le assunzioni saranno graduali e si concluderanno nel 2013. Nel frattempo i 160 avranno ancora dei contratti a termine.
Per gli altri precari, nonostante l’incontro dei rappresentanti Rai con i sindacati la soluzione è ancora in stallo. Se ne riparlerà a breve.
7.6.07
La precaria RAI
Sono giorni duri, in Rai. Oltre alla solita paralisi del Consiglio d’Amministrazione, oltre alle attese sul caso Petroni, oltre al disagio per i sommovimenti governativi, in Rai anche fare le cose più semplici è diventata un’impresa. Entrare, per esempio, non è così semplice come si potrebbe pensare. Alla chetichella, non attesi e invitati solo ai piani alti per una pacifica riunione di routine, i radicali hanno deciso che, in fondo, il palazzo del cavallo non è poi tanto male, e si sono installati in alcune stanze del palazzo. Protestare contro la pena di morte, essere contrari alla sua applicazione in troppi Paesi, voler attirare l’attenzione delle nazioni Unite sull’argomento, non è affatto una cattiva idea. Ma farlo impedendo agli altri di lavorare, costringendo chiunque volesse entrare in Rai a lunghe file per l’accredito e poi a lunghe attese, per essere raccattati dalle persone con le quali si aveva un colloquio, si trattasse pure del Direttore Generale, non è sembrato utile alla causa. Finalmente, ogni sospetto di raccomandazione è caduto nel vuoto. Molto democraticamente, si attende tutti nell’atrio, a poca distanza dal giardino zen, che qualcuno passi a prelevarti.
Ed è così per tutti. Per il grande produttore che deve piazzare una fiction, come per il neolaureato che cerca un posto, precario, di lavoro. Il tesserino blu, quello con la farfallina e il nome del dipendente da incontrare, sono stati la nuova livella di questi giorni. O, forse, solo l’ultimo approdo di una incapacità di farsi ascoltare, di una impossibilità di farsi capire che paralizza l’azienda.
La Rai è un’ottima madre di precari. Una matrigna, a tratti. In Rai è entrato di tutto, negli anni buoni delle raccomandazioni Politiche, quelle serie. Bastava essere un po’ indecisi sul proprio futuro, magari dotati di una laurea in lettere classiche con specializzazione non spendibile e si poteva procedere alla ricerca del padrino. Il Padrino, il Postulatore della causa, avrebbe chiamato Chisapevalui dentro al palazzo del cavallo e il gioco sarebbe stato fatto.
Si entrava, così, a lavorare per la più grande azienda di comunicazione del Paese. Per sopperire a questo danno, è cominciata l’esternalizzazione. Così adesso per lavorare con la Rai ti basta aver già lavorato con la Rai. Ti serve un Precedente, e non un Postulatore. Non bastano le scuole per autori, quella di Mediaset o quella della Rai, serve un Sacrificio. Serve accontentarsi per un pochino di un contrattino da pochi spiccioli, che ti verranno liquidati a babbo morto, perché quelli che in Rai ci sono entrati col Postulatore, spesso fanno i Burocrati, con la B maiuscola.
E allora un contrattino da due lire, magari quello di un bravo inviato che anticipa anche i soldi dei viaggi, è il passaporto per l’ingresso nel meraviglioso mondo del precariato televisivo, una sorta di limbo dove non incontrerai mai un dirigente, dove non capirai mai chi sia il tuo referente, un luogo dal quale l’Azienda ti sembrerà un grande, infinito, limaccioso pantano.
Eppure, di gente entrata senza raccomandazione, di frequentatori del tempio del Sacrificio, in Rai ce ne sono molti. Ce ne sono tanti. E sono quelli che in queste mattine, quelle in cui la pacifica ma guerrafondaia occupazione Radicale ha reso impossibile il lavoro, sono entrati a fatica, ma sono andati a lavorare. Sono andati a sedersi al loro posto, in una redazione, uno studio o un ufficio, anche senza sapere chi avrebbe firmato il loro stipendio a fine mese.
E non è bello saperlo dalle voci di corridoio, dall’aria che tira nel governo e dall’orientamento delle correnti di partito, se la tua azienda ci sarà ancora, l’anno prossimo. Non è bello essere precari nel proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, senza sapere se fra una settimana, dieci giorni o un mese la tua sedia sarà occupata da altri, solo perché è cambiato un dirigente, solo perché il tuo gruppo di lavoro non esiste più, solo perché non hai occupato altro, se non la tua sedia, se non il posto che ti permette di portare soldi a casa.
Tutto questo è ancora meno bello se precario lo sei sul serio, se lavori a consulenza, e se il prossimo contratto te lo sudi facendo del tuo maledetto meglio, in un’Azienda in cui ignori i volti dei Dirigenti, i loro nomi, le loro mansioni. Il lavoro precario, la precarietà del posto di lavoro, sono la tomba dei desideri, sono la morte del futuro, sono un atto di guerra contro la forza lavoro di un Paese.
E così, mentre ci s’interroga sul futuro del Governo, in Rai dipendenti e precari si chiedono la stessa cosa, un mucciniano “che ne sarà di noi?”. Mentre piovono articoli sulla sorte dei Consiglieri, sulla loro indignazione per le conferenze stampa in trasferta del Direttore Generale, sulle opinioni di Fiorello sulla Guardia di Finanza, nessuno si chiede cosa diavolo abbiano in mente le persone che la Rai la fanno e la vivono, ogni giorno. Come si fa a trovare una motivazione seria, per uscire di casa e trascinarsi in un palazzo anche squallido, di un beige insipido, dove i

Il fatto che alla riunione degli Azionisti si sia presentato il solo Ministro delle Finanze non è forse, e prima di tutto, una mancanza di rispetto mostruosa nei confronti dei lavoratori? Alle 11.30 i Radicali hanno disoccupato la Rai, sono usciti com’erano entrati, alla chetichella. La fila è terminata, la situazione è tornata normale. Per tutti, ma non per chi in Rai lavora.
28.5.07
28/5 Roma. Il lavoro che non si vede
Scelti i finalisti di “Il Lavoro che non si vede” il concorso giornalistico televisivo sul lavoro organizzato da Nidil Cgil, Ucca, Arci, Articolo 21 e Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi e promosso da Regione Lazio, Provincia di Roma, Comune di Roma, Cgil Roma e Lazio, Sistema Servizi Cgil, Fondazione Di Vittorio, Facoltà di Scienze della Comunicazione Università degli Studi La Sapienza e FNSI, federazione nazionale stampa italiana. In collaborazione con Consum.it, e Unipol Assicurazioni. “Il lavoro che non si vede”, che rientra nel progetto “Obiettivi sul lavoro – racconti di precarietà”, è una sezione del Premio Giornalistico Televisivo Ilaria Alpi giunto quest’anno alla XIII edizione.
Sette i servizi in corsa per il premio 2007 che sarà consegnato lunedì 28 maggio a Roma in un appuntamento speciale di “Parla con Me”, nota trasmissione di Serena Dandini. Partecipano Ascanio Celestini e la Banda Osiris. La serata si svolgerà al teatro Ambra Jovinelli di Roma (via Guglielmo Pepe 43/47) ore 21. L’ingresso è gratuito su invito, fino ad esaurimento posti.
Questi i nomi dei 7 finalisti e le sinossi dei servizi:
Santo Della Volpe, VITA DA OPERAIO (TG3 Primo Piano - Rai Tre). La vita, i problemi, la giornata ed il lavoro di un operaio dal risveglio alla linea di montaggio della Carrozzeria Fiat Mirafiori.
Paolo Zagari, Fabio Trappolini, IL MERCATO DELLE BRACCIA. (Un Mondo a Colori – Rai Educational). Inchiesta nei cantieri edili italiani, dove sempre maggiore è la presenza dei lavoratori immigrati, molto spesso irregolari, sottopagati e vittime di incidenti sul lavoro, anche mortali.
Donato Placido, MORIRE PER UN GIORNO DI LAVORO (Tg2 Dossier – Rai Due). Cento morti al mese. Quasi un milione di feriti all’anno. Sono queste le cifre degli incidenti sul lavoro. Terribili, eppure non suscitano l’attenzione del grande pubblico. L’inchiesta di Tg2 Dossier ha tentato di raccontare questa realtà attraverso alcune storie emblematiche.
Michele Buono, Piero Riccardi, GLI ESTERNALIZZATI (Report – Rai Tre). Infermieri, centralinisti, archivisti, impiegati, sono diventati tutti lavoratori co.co.co., a progetto, interinali, noleggiati a ore, esternalizzati. Lavoratori pagati trecento, cinquecento, o se fortunati, ottocento euro al mese. E senza avere diritto alle ferie, ai giorni di malattia, e neppure alla pensione.
Vincenzo Guerrizio, PIAZZA DELLE BRACCIA ( Ballarò - Rai Tre). Ogni notte, nella piazza principale di Canicattì, centinaia di persone, quasi tutte rumene, attendono la chiamata per una giornata di lavoro. Il mercato delle braccia, per il lavoro nei campi e nei cantieri, si ripete ogni giorno, tra sfruttamento, mancanza di garanzia e di sicurezza, sotto gli occhi di tutti.
Alessandro Sortino e Francesca Biagiotti “L’INFERNO DEI CALL CENTER” (Le Iene _ Italia Uno). Alcune fondamentali attività che tengono in piedi marchi delle imprese di telecomunicazioni, (assistenza ai clienti, vendita dei servizi) sono svolti in luoghi totalmente anonimi, da lavoratori sottopagati e privi di garanzie, ingaggiati da imprese locali. Mister Bianco, un comune in provincia di Catania, si è trasformato in un vero e proprio distretto dei call center, nella zona industriale, in capannoni anonimi lavorano i giovani precari.
Giovanni Anversa e Elio Mazzacane, MATTEO VALENTI, (Racconti di Vita – Rai Tre). Il filmato da voce alla testimonianza della madre di Matteo Valenti, morto a 23 anni in una fabbrica di cere dove lavorava come apprendista. In sua memoria è nato a Viareggio il Comitato popolare Matteo Valenti, per la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro.
A giudicare i servizi è una giuria composta da: Italo Moretti, Presidente giuria Premio Ilaria Alpi, Fulvio Fammoni, Segretario Confederale Cgil, Filippo Ottone Vice coordinatore Sistema Servizi Cgil, Davide Imola, segretario nazionale NIdiL-Cgil, Alessandra Tibaldi, assessore al lavoro Regione Lazio, Dante Pomponi, assessore al lavoro Comune di Roma, Renzo Santelli della Fnsi e Gerardo Bombonato, Presidente dell’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia Romagna.
I vincitori saranno due, uno per i servizi brevi e uno per gli approfondimenti.
Per i giornalisti interessati, da mercoledì 23 maggio, sono disponibili su DVD gli estratti di 3 minuti delle inchieste finaliste.
La XIII edizione del Premio Ilaria Alpi si terrà dal 3 al 9 giugno al Palazzo del Turismo di Riccione.
26/05/2007
30.4.07
Licenziata Tiziana Boari: quando la Rai utilizza pesi e misure diverse!
E´ la prima volta che accade in ambito RAI. Tiziana Boari, giornalista, già collaboratrice di Limes e del Manifesto, già addetto stampa per ONU e OSCE, approdata in RAI nel 1999 con contratti a tempo determinato dopo aver messo piede a Saxa Rubra la prima volta in qualità di « ospite in studio » in una trasmissione radiofonica che parlava di Balcani (materia della quale è esperta riconosciuta ben oltre i confini nazionali), e dunque stretta nelle maglie del precariato forzato di Viale Mazzini, ha ricevuto una bella lettera di licenziamento (vedi sotto) a seguito del ricorso in appello della Rai contro la sentenza di primo grado che, nel giugno 2005, le ha riconosciuto il diritto all´assunzione a tempo indeterminato.
La Boari la conosciamo bene : per averla incontrata varie volte sul terreno di conflitti e perché è stata consigliere nazionale della FNSI dal 2001 al 2004.
La RAI dunque incassa la sua prima vittoria in appello e, prima ancora della pubblicazione delle motivazioni di una sentenza tanto inedita, mette alla porta la collega che ha utilizzato fino al giorno stesso nel turno notturno di Rainews24.
Questo malgrado una diffida ricevuta dall´avvocato Del Vecchio a estromettere dal posto di lavoro la collega sulla sola base del dispositivo (vedi art.431 c.p.c.) e nonostante la collega (che parla 4 lingue e gode di ampia stima professionale e personale in vari ambiti) sia altamente qualificata, abbia un curriculum al di sopra della media, che però - si sa
- purtroppo in RAI non ha peso.
Il direttore Corradino Mineo ha chiesto al direttore del personale Braccialarghe di tenerla nel suo organizo, vista la drammatica carenza di organico della testata. Ma non c'è stato verso: è scattata la vendetta.
Il sindacato dei giornalisti Rai, ha tentato di aprire una minima trattativa che è fallita sull'inaccettabilità dei termini proposti dalla RAI. Secondo l'azienda, il caso Boari, sulla pelle viva della collega, deve diventare d´esempio e monito per tutti quei precari che hanno deciso di far valere la giustizia e hanno fatto causa alla RAI o intendono farlo, per vedersi riconosciuto un diritto semplice: un posto di lavoro fisso a stipendio pieno.
Di fatto, la brutalità delle modalità di estromissione e lo stesso licenziamento rappresentano violazioni pesantissime del diritto e della decenza.
Ma che corte dei miracoli è questa RAI che reintegra con alta qualifica e stipendio l´ex direttore Meocci e lascia in brache di tela, a 1.600-2.000 euro al mese i professionisti che costringe al precariato?
Che RAI è quella che per dare una lezione, dimostrare che sa anche licenziare, sceglie goffamente come capro espiatorio il primo caso disponibile, la persona meno adatta, una collega che ha servito il paese in missioni internazionali, è entrata per merito ed ha avuto cariche sindacali a livello nazionale?
Non ci si rifa la verginità sulla pelle di una persona, estromettendola, come nel caso Boari, senza probabilmente neanche rispettare i termini di legge. E´ immorale, indecente, ingiusto e non chiede ma urla vendetta.
Giornalisti precari. Anche l’informazione è a rischio
Il precariato è un virus che si è espanso a macchia d’olio, silenziosamente, contagiando ogni settore. Col tempo è diventato fenomeno: generazionale, sociale, di massa. Quindi culturale. È oggetto di riflessione per chi è in quarantena e per chi, da una posizione privilegiata, ne constata gli effetti: chi volesse leggere racconti, saggi o romanzi sul tema ha l’imbarazzo della scelta. Il giornalismo, da sempre considerato mestiere ricco di privilegi, non è affatto esente dal contagio.
Dei circa 30mila giornalisti presenti in Italia solo 12mila sono contrattualizzati. Ciò significa che l’informazione in Italia è affidata per due terzi a persone che hanno una debolezza contrattuale tale da essere esposte a ricatti d’ogni sorta. “Come è possibile raccontare i fatti con la schiena dritta, come chiese l’allora Capo dello Stato Ciampi, se proprio chi dovrebbe farle, le denunce, è sotto lo schiaffo continuo di un minaccioso licenziamento?”, si chiede Chiara Lico, 32 anni, giornalista Rai, che nel romanzo Zitto e scrivi, edito da Stampa alternativa, riflette su quella che considera un’emergenza nazionale. La grottesca storia di Pieffe, “giornalista praticante con contratto a termine da metalmeccanico” è l’emblema di un disagio sempre più diffuso, che fa male allo stesso sistema dell’informazione.
Alle stesse conclusioni giunge anche la seconda edizione del Libro bianco sul lavoro nero: storie di violazioni e soprusi nel mondo dell’informazione raccolte dal Fnsi. Nella prefazione Paolo Serventi Longhi, segretario del sindacato dei giornalisti, ricorda che “ciò che sta avvenendo da alcuni anni è la violazione sistematica di ogni regola nella maggioranza delle imprese editoriali, dalla carta stampata all’emittenza nazionale, dalle televisioni locali alle agenzie di informazione, dai siti internet ai canali tematici satellitari”.
Il panorama italiano non è però l’unico a essere dipinto a tinte fosche: anche un esponente del Sindacato Giornalisti Francese, Saafi Allag-Morris, considera che più i freelance sono mal pagati, più questi ultimi rappresenteranno un’attrattiva interessante agli occhi dei gruppi editoriali.
Lo ha detto in un convegno svoltosi in Belgio alla fine di marzo e intitolato “Pigeons, pas pigistes“, arguto gioco di parole che significa “Fessi, non freelance”.
27.3.07
Arriva "Zitto e scrivi": il precariato visto da Chiara Lico
'Zitto e Scrivi' è la storia di Pieffe, giornalista praticante con contratto a termine da metalmeccanico
In Italia il numero dei giornalisti precari ha superato quello degli assunti. Sono 12 mila i professionisti contrattualizzati e più di 20 mila quelli che lavorano senza contratto a tempo indeterminato o determinato. Nel complesso, sono 30 mila le persone che in Italia fanno informazione e di queste solo un terzo hanno un contratto nazionale da professionisti. Il resto è fatto di collaboratori, precari e coloro i quali anche senza avere il requisito professionale adatto a svolgere questo mestiere, nei fatti lo svolgono. Il progressivo declino della competenza di chi lavora in questo ambito trova alimento anche nella minor selezione che viene fatta alla radice. Ad esempio nessuno affronta come si dovrebbe l’infausto pullulare delle scuole di giornalismo che sfornano, di anno in anno, giornalisti abilitati alla professione che a parte gli stages estivi non sanno neanche che cos’è la gerenza di un giornale ma in compenso tolgono possibilità a chi da anni si fa le ossa gravitando intorno a una redazione e collaborando in cambio di una scarsa remunerazione. A questo si aggiunga la politica (che attualmente - e in modo bipartisan - si deve solo vergognare di come svilisce il ruolo del giornalista), visto che si sente - e fa bene perché le viene permesso - di essere la padrona-editrice di giornali e telegiornali. Ma tutto questo potrebbe essere ancora arginabile se il giornalista ricordasse qual è il suo compito: dar voce ai fatti, raccontarli. Possibilmente con la schiena dritta, come chiese all’epoca l’allora Capo dello Stato Ciampi. Ma come è possibile se proprio chi dovrebbe farle, le denunce, è sotto lo schiaffo continuo di un minaccioso licenziamento? Su questo tessuto indebolito si sono innestate, a partire dall’anno 2000, tutta una serie di nuove iniziative editoriali benedette da nomi eterei che sanno di libertà (freepress), titoli impalpabili come l’online che le ospitò (portale, vortale… ve lo ricordavate il vortale?). Bene. Lo sciacallaggio vero si è alimentato lì: perché queste “novità” sono state (e sono tuttora) il ricettacolo di collaboratori giovani che cercano di accedere alla professione giornalistica attraverso le più strane e incredibili scorciatoie. Che spesso però si materializzano solo come grandi illusioni per chi ci lavora ma come un grande affare per chi alimenta queste speranze. Il risultato qual è: che il bravo professionista è spesso seduto accanto al precario di turno. Con la differenza che mentre il primo decide come muoversi su un pezzo, di capire quali sono le logiche, di studiare la situazione, chi è meno strutturato e tutelato (anche sindacalmente) in linea di massima asseconda - e in fretta - la linea editoriale che gli viene imposta. E dire linea editoriale è andarci molto leggeri. E allora parliamoci chiaro: ma ai capi conviene di più avere 20 persone “fisse” (che possono tenergli testa) o 20 contratti a termine (che ricatta a suo piacimento?). Diciamola tutta: va bene prendere il rinnovo del contratto nazionale, ma essere precari non significa essere idioti. E allora perché far passare lo sciopero per l’aumento del proprio stipendio come una battaglia per i precari? Perché far passare la terrorizzante applicazione selvaggia della legge Biaggi come la lotta per il debole contratto a termine? Ma per favore. Se il fine è davvero aiutare i precari non serve lo sciopero: basta far lavorare un po’ di più gli assunti. Basta non rifilare ai precari i servizi più scadenti che i più tutelati rifiutano di fare. E potremmo andare avanti con molti altri esempi. Dopodiché, sempre benvenuto il rinnovo del contratto. (25 marzo 2007-10:55)
17.3.07
Zitto e scrivi: il precariato nel giornalismo odierno
Chiara Lico, giornalista Rai, interviene sul blog di Stampa Alternativa sulla patata bollente del precariato nel giornalismo odierno (a introdurre il suo romanzo in uscita su temi analoghi). Eccone uno stralcio:
In Italia il numero dei giornalisti precari ha superato quello degli assunti. Sono 12 mila i professionisti contrattualizzati e più di 20 mila quelli che lavorano senza contratto a tempo indeterminato o determinato. Nel complesso, sono 30 mila le persone che in Italia fanno informazione e di queste solo un terzo hanno un contratto nazionale da professionisti. Il resto è fatto di collaboratori, precari e coloro i quali anche senza avere il requisito professionale adatto a svolgere questo mestiere, nei fatti lo svolgono…. A questo si aggiunga la politica (che attualmente - e in modo bipartisan - si deve solo vergognare di come svilisce il ruolo del giornalista), visto che si sente - e fa bene perché le viene permesso - di essere la padrona-editrice di giornali e telegiornali. Ma tutto questo potrebbe essere ancora arginabile se il giornalista ricordasse qual è il suo compito: dar voce ai fatti, raccontarli. Possibilmente con la schiena dritta, come chiese all’epoca l’allora Capo dello Stato Ciampi.
Continua qui.
9.1.07
Precari, sfruttati e malpagati. Palesatevi!
di Left
Cerchiamo testimonianze. Brevi ma intense
Il settimanale Left Avvenimenti si occuperà della vertenza dei giornalisti.
Perciò sta cercando testimonianze dal mondo dei precari. Non solo storie estreme, anche quotidiani affanni, di cococo abusivi freelance eccetera. Sono benvenute anche le storie felici, ce ne fossero.
Se volete raccontarci la vostra, scrivete a questa mail, spiegando in poche righe di che si tratta, sarete ricontattati. Oppure telefonate, oggi o lunedì dopo le 14, allo 06.44259535. La discrezione, ovvio, è assicurata.
I tempi sono molto stretti, il pezzo va chiuso martedì, quindi palesatevi prima possibile.
Grazie
4.1.07
Giornalisti senza diritti. A chi giova un’informazione precaria e senza libertà
Quella del giornalismo non è più una professione come poteva essere vent’anni fa. E dall’introduzione delle nuove tecnologie, dalla scomparsa dei poligrafici, dall’arrivo con prepotenza di capitali legati ad altri interessi e non più derivati da alcune famiglie di “editori puri”, che il giornalismo ha cambiato pelle.
Sono aumentati a dismisura i precari e sempre più gli editori e i loro direttori fanno ricorso alla “forza lavorativa esterna” alle redazioni: siano grandi opinionisti oppure semplici redattori inviati sui luoghi più disparati.
Forse come sindacato e ordine professionale non siamo riusciti negli anni scorsi a contrastare questa deriva illiberale, non abbiamo spinto con forza affinché la politica approvasse una legge moderna sullo statuto d’impresa, che pure il Gruppo di Fiesole (antesignano della corrente sindacale di Autonomia e solidarietà, alla guida della FNSI da anni) aveva discusso e preparato già agli inizi degli anni Novanta.
In tutto questo tempo, il mercato dell’editoria si è sviluppato senza regole, in sintonia quasi perfetta con l’anarchia mercantile delle televisioni. Da una parte, dunque, l’anomalia berlusconiana del duopolio televisivo pubblico e privato italiano, con il drenaggio di ingenti risorse pubblicitarie; dall’altro, l’ingresso nell’editoria scritta ( quotidiani, riviste, radio e tv locali, agenzie, siti web, free press) di potentati economici, che si servono della stampa per tessere intrecci politico-affaristici, strane alleanze politiche ed economiche per fare pressioni sul governo nazionale e su quelli locali.
Dietro alle principali testate scritte, agenzie nazionali e a veri e propri network locali e interregionali ci sono personaggi che contemporaneamente finanziano o compartecipano testate filogovernative oppure di opposizione.
Un mercato così vasto come quello della comunicazione è diventato oggi, e che tende ad allargarsi ancor più con la piena maturità della “WebPress”, ha bisogno di enormi quantità di “braccia da lavoro”, senza regole e a bassi salari.
Ecco allora che l’allargamento della professione giornalistica, grazie alle tante scuole post-universitarie di giornalismo riconosciute dall’Ordine, ai mille e più professionisti riconosciuti ogni anno attraverso l’esame di stato, se da una parte ha rotto la cortina di corporativismo e di “casta elitaria”, dall’altra ha permesso agli editori “impuri” di utilizzare una gran massa di professionisti precari, per dare vita a tutte le nuove iniziative editoriali.
Ma è vera libertà di stampa, quella che viene immessa sul mercato grazie al lavoro schiavistico di 20 mila professionisti che sopravvivono con meno di 800 euro di media al mese? La libertà, ce lo ricordano gli economisti di stampo neoliberista, ma anche i keynesiani e i marxisti puri, costa cara e va alimentata con regole chiare fatte rispettare da tutti. Ma in Italia le regole in questo mercato non esistono e quelle poche sono disattese. Mai che un giudice abbia indagato sulle condizioni di sfruttamento dei precari che nella propria regione di competenza permettono di far prosperare quei giornali che ogni mattina si ritrovano gratuitamente sulle scrivanie o quelle radio e televisioni locali che spesso li fanno conoscere al grande pubblico, dopo aver svolto magari un’indagine di rilievo.
Come se il precariato nel giornalismo fosse uno “scotto da pagare” per diventare professionisti, la mitica “gavetta” di un tempo. Solo che stiamo nel 2006/2007, nell’era di internet, nella società dove il successo spesso viene valutato più per i centimetri scoperti del corpo che per il quoziente di intelligenza!
Se il contratto nazionale non viene nemmeno discusso dagli editori ( i vari De Benedetti, Montezemolo, Tronchetti Provera, Della Valle, Angelucci, Caltagirone, Rieffeser-Monti, Berlusconi, le principali banche e società finanziarie italiane,che siedono nel “salotto buono” di Mediobanca), ci sarà pure una ragione “mercantile”! Ovvero ci sono interessi politici e affaristici affinché questa situazione di illeberalità e precarietà restino ben radicate nel settore della comunicazione italiana.
Continuando così, ovviamente a farne le spese sono i giornalisti, tutelati e precari, ma anche i lettori, gli spettatori, le forze sociali e soprattutto il governo di centrosinistra, guidato da Prodi.
Il contratto è scaduto a febbraio del 2005, in piena epoca berlusconiana, ma la sua odissea continua in piena epoca prodiana. Gli editori che allora facevano le pulci al mal governo di Sua Emittenza , oggi fanno altrettanto nei confronti del governo Prodi. Una semplice coincidenza? O non è cambiato davvero nulla nella società e nella politica italiana?
C’è un gioco delle parti che viene fatto alle nostre spalle( operatori dell’informazione e pubblico contribuente e votante)?
Di certo, assistiamo al perdurare dell’anarchia del mercato, in piena epoca di innovazione tecnologica al riposizionamento dei gruppi finanziari, all’indeterminatezza dei “poteri forti” a scegliere con chiarezza il campo politico dove installarsi per un certo, eventualmente lungo, periodo. E così tutti paghiamo lo scotto delle “non scelte”, anche i settori che dovrebbero avere un contratto sacrosanto dopo quasi due anni dal termine del precedente.
Ma è proprio la precarietà dell’establishment economico-finanziario-politico a creare un clima di evanescenza ed effervescenza nella società e nei luoghi di lavoro. Assistiamo, senza che i giornalisti producano analisi approfondite e comparazioni internazionali, al più grande risiko del sistema bancario. Siamo senza occhi ed orecchi per comprendere le mutazioni quasi genetiche che avvengono nei vari strati sociali, a partire dalla rivoluzione del mondo del lavoro, sempre più precario, sempre più senza tutele, dove la gente muore ( tre persone al giorno, record europeo!),
si ammala e non ha più prospettive di miglioramento. E il futuro, pensionistico e assistenziale, si chiama sempre e comunque precarietà!
Le città vivono nella violenza sottile e strisciante, senza che nessuna ricerca venga fatta per capire cosa sta succedendo tra chi abita nei centri storici e coloro che vivono nelle periferie (solo l’arcivescovo di Milano, monsignor Tettamanzi, ha azzardato sotto Natale un’analisi davvero interessante, la prima nel suo genere!).
Per non parlare dell’assenza nella grande informazione radiotelevisiva di quanto sta succedendo nel resto del mondo, che solo a tratti riusciamo a percepire quando però si tratta di casi di cronaca nera, guerre, epidemie, tsunami, o “cronaca rosa”, avvenimenti legati al paludato mondo dello spettacolo e del costume.
Questa non è la stampa, bellezza! Questa è il caos informativo indotto perché la gente, i milioni e milioni di elettori, contribuenti, lavoratori e pensionati vivano nella precarietà intellettuale, nell’incertezza del futuro. Questa è l’anticamera dell’illibertà e del regime. A meno che le coscienze libere e impegnate di questo paese non dimostrino uno scatto di orgoglio ed inizino a rialzare la testa, risolvendo i nodi più intricati di questo paese: cominciando proprio dal contratto nazionale collettivo dei giornalisti.
Agli inizi del Novecento, quando non esistevano i contratti collettivi, fu siglato per la prima volta nella storia dei rapporti sociali quello dei giornalisti. E da quella determinazione seguirono i contratti nazionali per altre più vaste ed importanti categorie. Oggi potrebbe accader l’esatto contrario: l’abolizione del contratto nazionale collettivo per i giornalisti farebbe così da battistrada al ridimensionamento dei contratti nazionali per metalmeccanici, chimici, commercio, e quanti altri, magari passando prima per la contrattazione locale e aziendale, per poi arrivare in tempi stretti agli sciagurati contratti individuali.
Cosa si aspetta ancora per fermare questa deriva illiberale? E dopo i contratti abrogati, ne siamo convinti, toccherà anche alla politica essere abrogata, perché senza certezze e dignità lavorative, l’informazione è solo asservita, precaria e di parte. E’ proprio vero: la libertà costa cara e la stampa libera lo è ancora di più! Ma questi sono i costi, benedetti, della democrazia.
24.12.06
City of gods, una voce della cospirazione precaria
No, non è subvertising (se non siete giornalisti potete passare alla riga sotto). O almeno, non solo.
Cosa avete in mano, o sul vostro schermo
City of gods - il primo free & free press (ovvero libero e gratuito) - è stato distribuito in 50.000 copie nelle città di Milano. E' la parola delle precarie e dei precari dell'informazione che si rivolge alle precarie e ai precari in generale.
I media non sono più un prodotto che vende informazioni al pubblico (troverete stime e dati all'interno di City of gods) ): sono lo spazio dell'inserzionista attraverso il quale l'editore vende i propri lettori, voi. E' un servizio che tra l'altro pagate pure 90 centesimi, 1 euro, 1 euro e 10. Più soldi hanno i lettori, più gli editori si arricchiscono dalla vendita degli spazi pubblicitari.
All'interno di questo meccanismo ci sono i giornalisti, precari, free lance, senza contratto, a cottimo, a pezzo, a parola, a riga, a comete millenarie e casi del destino. Precari e precarie sottoposti al ricatto dei precarizzatori, della manchette, della pagina di pubblicità all'ultimo momento, del “non
spingere troppo su questi che sono i nostri inserzionisti”, della creazione di quel complesso meccanismo di informazione, disinformazione che vi fa credere che se la vostra vita
è una merda, non potete farci un granché.
Per questo City of God è free & free: gratis, ma soprattutto libero, nelle parole, nell'irriverenza, nelle critiche, nello stile precario.
Per questo, in occasione dello sciopero dei giornalisti, che incredibilmente, ma non certo
casualmente, visto il contesto, da due anni aspettano che gli editori si siedano al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro precari e precari dell'informazione e non, hanno deciso di uscire con City of Gods: la stagione della cospirazione precaria è iniziata.
E ancora una volta i precari hanno preso la parola, attivandosi cospirando e creando relazioni e complicità che permettono di stampare, distribuire 50 mila copie di City of Gods (e scriverne il contenuto che per una volta, non ti precarizza, ma ti informa).
Al principio
"Al principio" fu la parola, poi venne il racconto ed infine l’informazione. A questo punto la storia presenta una sorpresa, o quasi: il diritto all’informazione si trasforma immediatamente nella disinformazione compensatrice delle vostre sfighe quotidiane, affinché esse siano “inevitabili”, “oggettive”, “certe”, “inattaccabili”.
Insieme, informazione + disinformazione, diventano propaganda, che trova nei media di massa il naturale alleato e nel brand la sua punta di diamante. Nella costruzione del brand, intimamente connesso alle informazioni che leggete ogni giorno sui giornali o sentite in radio e televisione,
è celato un meccanismo più complesso di quello che potrebbe sembrare.
Nel brand si determina la strutturazione di un potente retro_informatore che agisce anticipando l’informazione, creando quel bacino comporta/mentale all’interno del quale l’informazione stessa, e il suo contrario, si collocano. E’ un processo comunicazionale superiore alla propaganda. La rende, alternativamente, compatibile o inutile. In ciò tutta la difficoltà del presente. Ma anche il terreno
su cui agire.
L'intelligence precaria
Se vi siete persi il numero odierno di City of Gods lo troverete sul sito dell’intelligence precaria, che si attiva proprio da oggi in intima e sinergica collaborazione con i giornalisti e le giornaliste precari e precarie. L’intelligence è patrimonio comune dei precari e non solo del giornalismo. In esso confluiranno le mille sfaccettature dell’oppressione dei precarizzatori e dei contropiedi precari.
Ma che cosa rappresenta questo sito?
Immaginate un sito che non è un semplicemente tale, ma piuttosto un luogo che fa circolare informazione, non per informare, bensì per formare quel bacino di notizie da cui si estrarrà il bazar della creazione di conflitto. E che contiene anche i prodotti di queste creazioni e gli strumenti che le hanno consentite. Un sito crudele e spietato, scorretto verso le imprese, le istituzioni sociali, le merci ad alto contenuto ideologico e tutti i loro gli adepti: fazioso ma mai frazioso. Un sito che ha la classe del purosangue, la ricchezza del meticcio; che non esercita fashionismo e brigantaggio culturale, che vive da sé, con quello che fa e per quello che dà. Pone questioni di stile, perché lo stile è importante, e chiede, just in time, relazioni e complicità.
City of gods, una voce della cospirazione precaria
11.12.06
Giornalisti, precari sono il doppio dei dipendenti
ROMA (Reuters) - Dei circa 30.000 giornalisti italiani iscritti alla previdenza, solo un terzo ha un contratto da dipendente. Il resto è un universo di autonomi o per lo più di collaboratori precari, spesso reclutati fra i più giovani. Questo è il quadro che emerge dai dati dell'Istituto nazionale di previdenza giornalistica, analizzati e raccolti dal libro presentato oggi dalla Federazione nazionale della stampa a Roma.
"E' una situazione inaccettabile", ha detto il segretario dell'Fnsi Paolo Serventi Longhi, intervenuto alla presentazione del "Libro bianco sul lavoro nero".
"Una massa di manovra ... nelle mani degli editori e direttori senza scrupoli che serve per scardinare regole, diritti e tutele costruiti da giornalisti in anni di dure battaglie", ha aggiunto Serventi Longhi ricordando che la percentuale dei giornalisti precari in Italia è la più alta d'Europa.
Il problema più grave, secondo il rappresentante del sindacato dei giornalisti, è che l'assenza di regole per i collaboratori autonomi -- che molto spesso sono tali più per mancanza di alternative che per scelta -- porta chi lavora nel settore dell'informazione ad essere più facilmente "ricattabile" rispetto ai colleghi che hanno un contratto da dipendenti.
L'opinione di Serventi Longhi è rispecchiata dai dati emersi da uno studio dell'università di Cassino sul mondo dei giornalisti: il 70% dei quali ritiene che il lavoro autonomo sia un elemento di debolezza in quanto rende chi scrive più ricattabile.
Il fatto che la categoria dei lavoratori autonomi sia composta prevalentemente da giovani si deduce dai numeri forniti dell'Inpgi. I giornalisti professionisti contrattualizzati sono circa 12.000, mentre sul totale di 21.171 iscritti alla previdenza separata Inpgi 2 (quella per i non dipendenti), quasi 15.000 si concentrano nella fascia di età fra i 30 e i 45 anni.
Gli effetti devastanti della mancanza di regole per chi lavora da freelance sono descritte efficacemente dal "Libro bianco sul lavoro nero".
Raccogliendo decine di testimonianze di giornalisti, il libro dipinge le situazioni di importanti gruppi editoriali in Sardegna, Marche, Toscana, Lombardia e Emilia Romagna dove centinaia di giovani giornalisti vengono trattati a due euro lorde a notizia. Un "far west" dell'informazione le cui vittime principali sono i lavoratori sfruttati, ma anche la garanzia per i cittadini di fruire di un'informazione libera e trasparente.
"In questa situazione ... abbiamo chiesto agli editori di definire alcune regole elementari per l'utilizzo dei freelance, del lavoro autonomo e dei precari", ha sottolineato Serventi Longhi.
Fino ad ora, però, ha aggiunto Serventi Longhi, la risposta arrivata dalla Federazione degli editori è molto simile a quella fornita per le trattative sul rinnovo del contratto nazionale, scaduto da oltre due anni: un rifiuto netto anche solo di discutere, in questo caso sulla base del fatto che la Fnsi non può rappresentare i precari in quanto sindacato dei lavoratori dipendenti. Al momento la Fieg non è stata disponibile per un commento.
8.12.06
11/12 Libro bianco sul lavoro nero giornalistico
LUNEDI' 11 DICEMBRE CON IL PRESIDENTE DELLA CAMERA
giornalismo“Giornalisti collaboratori pagati dai 5 ai 10 euro lordi ad articolo, nessuna tutela previdenziale e sanitaria, nessun diritto sindacale per migliaia di giovani e non giovani colleghi nel panorama editoriale del nostro Paese.
Una situazione davvero insopportabile, anche negli uffici stampa pubblici e privati, fatta di continui soprusi e pericolosi ricatti che minano alle fondamenta la libera informazione. I dati e le storie di questa nuova emergenza sociale sono all’interno della seconda edizione del ‘Libro bianco sul lavoro nero’ ( con un capitolo specifico sui colleghi degli uffici stampa) che sarà presentato a Roma lunedì 11 dicembre prossimo alle 10,30 nella sede della Fnsi (Corso Vittorio Emanuele II, 349) a cui seguirà, nel primo pomeriggio, l’Assemblea nazionale dei collaboratori e dei freelance.
All’iniziativa della Fnsi, che si inquadra nella più generale battaglia di riconoscimento dei diritti dei collaboratori al centro del rinnovo contrattuale pervicacemente osteggiato dalla Federazione degli editori, parteciperà il Presidente della Camera, Fausto Bertinotti.
Hanno, inoltre, confermato la loro presenza: il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio per l’Editoria Ricardo Franco Levi, il Presidente della Commissione Cultura della Camera Pietro Folena, il capogruppo Pdci alla Camera, Pino Sgobio, l’ex ministro della Comunicazione, Maurizio Gasparri, i responsabili Informazione della Margherita Enzo Carra, dell’Udc Rodolfo De Laurentiis, dei Ds Roberto Cuillo, di Forza Italia Piero Testoni e il portavoce dell’Associazione Articolo 21 Giuseppe Giulietti. Hanno assicurato la loro presenza dirigenti sindacali di Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Rdb Cub”.
7.12.06
A Natale blackout dell’informazione
«La conferma dell’attuazione di più giorni consecutivi senza preavviso di sciopero nei quotidiani, nelle agenzie di stampa, nel web e negli uffici stampa, prima delle festività natalizie; due giornate di sciopero nell’emittenza radiotelevisiva nazionale pubblica e privata secondo le regole previste dalla legge sugli scioperi nei servizi pubblici; la proclamazione di più giornate di sciopero nazionale delle firme; l’attuazione rigorosa delle norme contrattuali in applicazione dello stato di agitazione della categoria; il sostegno sindacale alle numerose iniziative di sciopero decise dai comitati di redazione per la vertenza contrattuale e per specifiche situazioni aziendali; la manifestazione nazionale dei giornalisti precari in occasione della presentazione della seconda edizione del ’Libro bianco sul lavoro nero’, che avverrà lunedi’ 11 dicembre prossimo». «Altre iniziative sindacali di protesta -prosegue la nota della Giunta della Federazione - saranno decise per i mesi di gennaio e di febbraio. Allo stesso tempo dall’Fnsi è stato dato mandato alla Segreteria di partecipare alla nuova riunione del tavolo tecnico sulla previdenza dell’Inpgi con la volontà di ricercare ogni soluzione positiva che consenta di sbloccare la riforma delle prestazioni Inpgi e gli sgravi contributivi per l’assunzione dei giornalisti disoccupati. Il Sindacato dei Giornalisti, insieme alla Presidenza dell’Inpgi, verificherà al tavolo ministeriale le reali disponibilità degli editori a definire un accordo». «La Fnsi valuterà inoltre la disponibilità della Fieg a definire le intese sulla modifica dello Statuto del Fondo di Previdenza Complementare che consenta l’estensione delle norme di legge relative alla devoluzione del trattamento di fine rapporto a tutti i giornalisti italiani, compresi i praticanti, i pubblicisti contrattualizzati, i collaboratori fissi e i corrispondenti». La Federazione della Stampa auspica che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’Editoria, Ricardo Franco Levi, e il ministro del Lavoro, Cesare Damiano possano avviare rapidamente i tavoli di confronto sulla riforma del settore per uno sviluppo certo del pluralismo dell’informazione, e quelli relativi al mercato del lavoro giornalistico, al precariato e alla riforma degli ammortizzatori sociali annunciati nel recente incontro del Governo con la Fieg e la Fnsi. In questo ambito è possibile addivenire ad una soluzione per alcuni dei temi posti dai giornalisti relativamente all’applicazione della legge 30 e al rispetto della dignità dei collaboratori. L’adesione agli scioperi e alle astensioni dalle firme delle scorse settimane, hanno prodotto primi timidi risultati con l’impegno del Governo al superamento degli ostacoli alla riforma previdenziale. Resta grave il rifiuto del confronto contrattuale, mentre in tutto il Paese si moltiplicano gli episodi di rottura delle relazioni sindacali a livello aziendale, fatti che costringono il Sindacato dei Giornalisti a proseguire nelle azioni di sciopero.
27.11.06
La libertà di stampa è precaria
Qual è la vostra posizione all'interno di questa battaglia?
Questa vertenza è fatta in nome nostro, e questa protesta fatta per mettere in evidenza la fragilità del lavoro autonomo che allo stato attuale va chiamato con il suo vero nome, cioè lavoro parasubordinato. La fragilità di questo lavoro sia durante la ‘norma' sia durante la protesta.
Nel senso che voi siete più deboli anche e soprattutto durante lo sciopero?
Certo, perché il nostro problema non è solo economico. Per molti di noi aderire agli scioperi significa dimezzare o addirittura annullare il proprio introito mensile. Ma è un problema più vasto, che ha a che fare con i ricatti, con le pressioni psicologiche, con l'atteggiamento diffuso che se sgarri poi non ti chiamiamo più.
E cosa ne pensate dello sciopero della firma?
Un'iniziativa che ha funzionato molto bene, c'è stato un lavoro molto buono di coordinamento tra i giornalisti di Repubblica e tutti gli altri redattori delle testate facenti capo al gruppo Repubblica L'Espresso . E soprattutto apprezzo il lavoro di coordinamento che c'è stato tra interni ed esterni, tra gli assunti e i precari.
Riconoscimento dei vostri diritti, a cominciare dall'interno.
Sì, è importante che i cdr si occupino di noi, anche se la nostra situazione è strana, perché è difficile contare i precari, sapere realmente quanti sono, che tipo di collaborazione hanno, qual è il loro trattamento economico, estremamente variabile da collaborazione a collaborazione. Quindi per noi che veniamo trattati come gli extra-comunitari del giornalismo, è decisivo venir presi in considerazione nel prossimo contratto.
Uno scambio di forze. Gli ordinari vi supportano e voi, rischiando un po' di più, sostenete la battaglia generale. Di questi tempi, questo tipo di coesione è quasi un miracolo.
Crediamo molto nel lavoro che sta facendo la FNSI in questa direzione. Non c'è riunione in cui non sia coinvolta anche la consulta dei freepress, ed è insieme che si prendono le decisioni. Il precario che sciopera corre rischi quadrupli rispetto ad un redattore assunto, e a pensarci bene, è anche assurdo che scioperi. Non s'è mai visto un libero professionista che sciopera, è alquanto bizzarro. Ma noi non possiamo far altro che scioperare, perché siamo noi il soggetto trainante dell'intera questione, noi che subiamo i ricatti, noi che lavoriamo in delle condizioni assurde. Su questo il sindacato si gioca la sua unità, e perciò la sua forza.
Sintetizzando, che cosa avete chiesto al Governo?
Che non ci sia alcuna applicazione indiscriminata della legge Biagi alla nostra situazione, perché questo vorrebbe dire non solo disconoscere il nostro lavoro, il nostro ruolo, i nostri diritti, ma dimostrerebbe anche la libertà assoluta di mettere le mani liberamente e indiscriminatamente dentro il mondo del lavoro nella sua accezione più ampia.
Da un punto di vista comunicativo, che cosa pensa dello sciopero della firma?
Lo sciopero della firma di per sé è una iniziativa estetizzante ma collaterale, che si accompagna perciò, e non sostituisce, forme più forti di protesta, come la nuova ondata di scioperi da qui a Natale. Temo che i tempi saranno molto lunghi. La Fieg si è dimostrata molto chiusa anche verso il dialogo con Damiano, e ai vari tavoli che il governo ha aperto su questo.
Perché Scalfari ha firmato oggi il suo editoriale su Repubblica ?
Non lo so, sinceramente. Poteva anche non firmare, tutti sanno qual è la sua collocazione fisica nelle pagine del giornale, si riconoscerebbe ugualmente per come scrive. Ma lo sciopero non era imposto. Deve esserci una motivazione dietro questa firma, come quella di Navarro Vals al secondo giorno della protesta. Ma davvero non saprei dire.
di Paola Manduca