Nata a Roma, 32 anni, Chiara Lico è giornalista professionista dal 2000 e lavora in Rai. Laureata in Lettere, con la sua tesi di laurea ha conseguito il premio Mursia. Ha anche vinto il premio Enzimi con il suo racconto Denada. Prima di arrivare in Rai è stata nella redazione del Tg5, al gruppo Repubblica/L’Espresso e nel settimanale Liberal. Ha collaborato con Caffè Europa (Reset).
'Zitto e Scrivi' è la storia di Pieffe, giornalista praticante con contratto a termine da metalmeccanico
In Italia il numero dei giornalisti precari ha superato quello degli assunti. Sono 12 mila i professionisti contrattualizzati e più di 20 mila quelli che lavorano senza contratto a tempo indeterminato o determinato. Nel complesso, sono 30 mila le persone che in Italia fanno informazione e di queste solo un terzo hanno un contratto nazionale da professionisti. Il resto è fatto di collaboratori, precari e coloro i quali anche senza avere il requisito professionale adatto a svolgere questo mestiere, nei fatti lo svolgono. Il progressivo declino della competenza di chi lavora in questo ambito trova alimento anche nella minor selezione che viene fatta alla radice. Ad esempio nessuno affronta come si dovrebbe l’infausto pullulare delle scuole di giornalismo che sfornano, di anno in anno, giornalisti abilitati alla professione che a parte gli stages estivi non sanno neanche che cos’è la gerenza di un giornale ma in compenso tolgono possibilità a chi da anni si fa le ossa gravitando intorno a una redazione e collaborando in cambio di una scarsa remunerazione. A questo si aggiunga la politica (che attualmente - e in modo bipartisan - si deve solo vergognare di come svilisce il ruolo del giornalista), visto che si sente - e fa bene perché le viene permesso - di essere la padrona-editrice di giornali e telegiornali. Ma tutto questo potrebbe essere ancora arginabile se il giornalista ricordasse qual è il suo compito: dar voce ai fatti, raccontarli. Possibilmente con la schiena dritta, come chiese all’epoca l’allora Capo dello Stato Ciampi. Ma come è possibile se proprio chi dovrebbe farle, le denunce, è sotto lo schiaffo continuo di un minaccioso licenziamento? Su questo tessuto indebolito si sono innestate, a partire dall’anno 2000, tutta una serie di nuove iniziative editoriali benedette da nomi eterei che sanno di libertà (freepress), titoli impalpabili come l’online che le ospitò (portale, vortale… ve lo ricordavate il vortale?). Bene. Lo sciacallaggio vero si è alimentato lì: perché queste “novità” sono state (e sono tuttora) il ricettacolo di collaboratori giovani che cercano di accedere alla professione giornalistica attraverso le più strane e incredibili scorciatoie. Che spesso però si materializzano solo come grandi illusioni per chi ci lavora ma come un grande affare per chi alimenta queste speranze. Il risultato qual è: che il bravo professionista è spesso seduto accanto al precario di turno. Con la differenza che mentre il primo decide come muoversi su un pezzo, di capire quali sono le logiche, di studiare la situazione, chi è meno strutturato e tutelato (anche sindacalmente) in linea di massima asseconda - e in fretta - la linea editoriale che gli viene imposta. E dire linea editoriale è andarci molto leggeri. E allora parliamoci chiaro: ma ai capi conviene di più avere 20 persone “fisse” (che possono tenergli testa) o 20 contratti a termine (che ricatta a suo piacimento?). Diciamola tutta: va bene prendere il rinnovo del contratto nazionale, ma essere precari non significa essere idioti. E allora perché far passare lo sciopero per l’aumento del proprio stipendio come una battaglia per i precari? Perché far passare la terrorizzante applicazione selvaggia della legge Biaggi come la lotta per il debole contratto a termine? Ma per favore. Se il fine è davvero aiutare i precari non serve lo sciopero: basta far lavorare un po’ di più gli assunti. Basta non rifilare ai precari i servizi più scadenti che i più tutelati rifiutano di fare. E potremmo andare avanti con molti altri esempi. Dopodiché, sempre benvenuto il rinnovo del contratto. (25 marzo 2007-10:55)
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27.3.07
24.12.06
City of gods, una voce della cospirazione precaria
Scarica City of God: freepress
No, non è subvertising (se non siete giornalisti potete passare alla riga sotto). O almeno, non solo.
Cosa avete in mano, o sul vostro schermo
City of gods - il primo free & free press (ovvero libero e gratuito) - è stato distribuito in 50.000 copie nelle città di Milano. E' la parola delle precarie e dei precari dell'informazione che si rivolge alle precarie e ai precari in generale.
I media non sono più un prodotto che vende informazioni al pubblico (troverete stime e dati all'interno di City of gods) ): sono lo spazio dell'inserzionista attraverso il quale l'editore vende i propri lettori, voi. E' un servizio che tra l'altro pagate pure 90 centesimi, 1 euro, 1 euro e 10. Più soldi hanno i lettori, più gli editori si arricchiscono dalla vendita degli spazi pubblicitari.
All'interno di questo meccanismo ci sono i giornalisti, precari, free lance, senza contratto, a cottimo, a pezzo, a parola, a riga, a comete millenarie e casi del destino. Precari e precarie sottoposti al ricatto dei precarizzatori, della manchette, della pagina di pubblicità all'ultimo momento, del “non
spingere troppo su questi che sono i nostri inserzionisti”, della creazione di quel complesso meccanismo di informazione, disinformazione che vi fa credere che se la vostra vita
è una merda, non potete farci un granché.
Per questo City of God è free & free: gratis, ma soprattutto libero, nelle parole, nell'irriverenza, nelle critiche, nello stile precario.
Per questo, in occasione dello sciopero dei giornalisti, che incredibilmente, ma non certo
casualmente, visto il contesto, da due anni aspettano che gli editori si siedano al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro precari e precari dell'informazione e non, hanno deciso di uscire con City of Gods: la stagione della cospirazione precaria è iniziata.
E ancora una volta i precari hanno preso la parola, attivandosi cospirando e creando relazioni e complicità che permettono di stampare, distribuire 50 mila copie di City of Gods (e scriverne il contenuto che per una volta, non ti precarizza, ma ti informa).
Al principio
"Al principio" fu la parola, poi venne il racconto ed infine l’informazione. A questo punto la storia presenta una sorpresa, o quasi: il diritto all’informazione si trasforma immediatamente nella disinformazione compensatrice delle vostre sfighe quotidiane, affinché esse siano “inevitabili”, “oggettive”, “certe”, “inattaccabili”.
Insieme, informazione + disinformazione, diventano propaganda, che trova nei media di massa il naturale alleato e nel brand la sua punta di diamante. Nella costruzione del brand, intimamente connesso alle informazioni che leggete ogni giorno sui giornali o sentite in radio e televisione,
è celato un meccanismo più complesso di quello che potrebbe sembrare.
Nel brand si determina la strutturazione di un potente retro_informatore che agisce anticipando l’informazione, creando quel bacino comporta/mentale all’interno del quale l’informazione stessa, e il suo contrario, si collocano. E’ un processo comunicazionale superiore alla propaganda. La rende, alternativamente, compatibile o inutile. In ciò tutta la difficoltà del presente. Ma anche il terreno
su cui agire.
L'intelligence precaria
Se vi siete persi il numero odierno di City of Gods lo troverete sul sito dell’intelligence precaria, che si attiva proprio da oggi in intima e sinergica collaborazione con i giornalisti e le giornaliste precari e precarie. L’intelligence è patrimonio comune dei precari e non solo del giornalismo. In esso confluiranno le mille sfaccettature dell’oppressione dei precarizzatori e dei contropiedi precari.
Ma che cosa rappresenta questo sito?
Immaginate un sito che non è un semplicemente tale, ma piuttosto un luogo che fa circolare informazione, non per informare, bensì per formare quel bacino di notizie da cui si estrarrà il bazar della creazione di conflitto. E che contiene anche i prodotti di queste creazioni e gli strumenti che le hanno consentite. Un sito crudele e spietato, scorretto verso le imprese, le istituzioni sociali, le merci ad alto contenuto ideologico e tutti i loro gli adepti: fazioso ma mai frazioso. Un sito che ha la classe del purosangue, la ricchezza del meticcio; che non esercita fashionismo e brigantaggio culturale, che vive da sé, con quello che fa e per quello che dà. Pone questioni di stile, perché lo stile è importante, e chiede, just in time, relazioni e complicità.
City of gods, una voce della cospirazione precaria
No, non è subvertising (se non siete giornalisti potete passare alla riga sotto). O almeno, non solo.
Cosa avete in mano, o sul vostro schermo
City of gods - il primo free & free press (ovvero libero e gratuito) - è stato distribuito in 50.000 copie nelle città di Milano. E' la parola delle precarie e dei precari dell'informazione che si rivolge alle precarie e ai precari in generale.
I media non sono più un prodotto che vende informazioni al pubblico (troverete stime e dati all'interno di City of gods) ): sono lo spazio dell'inserzionista attraverso il quale l'editore vende i propri lettori, voi. E' un servizio che tra l'altro pagate pure 90 centesimi, 1 euro, 1 euro e 10. Più soldi hanno i lettori, più gli editori si arricchiscono dalla vendita degli spazi pubblicitari.
All'interno di questo meccanismo ci sono i giornalisti, precari, free lance, senza contratto, a cottimo, a pezzo, a parola, a riga, a comete millenarie e casi del destino. Precari e precarie sottoposti al ricatto dei precarizzatori, della manchette, della pagina di pubblicità all'ultimo momento, del “non
spingere troppo su questi che sono i nostri inserzionisti”, della creazione di quel complesso meccanismo di informazione, disinformazione che vi fa credere che se la vostra vita
è una merda, non potete farci un granché.
Per questo City of God è free & free: gratis, ma soprattutto libero, nelle parole, nell'irriverenza, nelle critiche, nello stile precario.
Per questo, in occasione dello sciopero dei giornalisti, che incredibilmente, ma non certo
casualmente, visto il contesto, da due anni aspettano che gli editori si siedano al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro precari e precari dell'informazione e non, hanno deciso di uscire con City of Gods: la stagione della cospirazione precaria è iniziata.
E ancora una volta i precari hanno preso la parola, attivandosi cospirando e creando relazioni e complicità che permettono di stampare, distribuire 50 mila copie di City of Gods (e scriverne il contenuto che per una volta, non ti precarizza, ma ti informa).
Al principio
"Al principio" fu la parola, poi venne il racconto ed infine l’informazione. A questo punto la storia presenta una sorpresa, o quasi: il diritto all’informazione si trasforma immediatamente nella disinformazione compensatrice delle vostre sfighe quotidiane, affinché esse siano “inevitabili”, “oggettive”, “certe”, “inattaccabili”.
Insieme, informazione + disinformazione, diventano propaganda, che trova nei media di massa il naturale alleato e nel brand la sua punta di diamante. Nella costruzione del brand, intimamente connesso alle informazioni che leggete ogni giorno sui giornali o sentite in radio e televisione,
è celato un meccanismo più complesso di quello che potrebbe sembrare.
Nel brand si determina la strutturazione di un potente retro_informatore che agisce anticipando l’informazione, creando quel bacino comporta/mentale all’interno del quale l’informazione stessa, e il suo contrario, si collocano. E’ un processo comunicazionale superiore alla propaganda. La rende, alternativamente, compatibile o inutile. In ciò tutta la difficoltà del presente. Ma anche il terreno
su cui agire.
L'intelligence precaria
Se vi siete persi il numero odierno di City of Gods lo troverete sul sito dell’intelligence precaria, che si attiva proprio da oggi in intima e sinergica collaborazione con i giornalisti e le giornaliste precari e precarie. L’intelligence è patrimonio comune dei precari e non solo del giornalismo. In esso confluiranno le mille sfaccettature dell’oppressione dei precarizzatori e dei contropiedi precari.
Ma che cosa rappresenta questo sito?
Immaginate un sito che non è un semplicemente tale, ma piuttosto un luogo che fa circolare informazione, non per informare, bensì per formare quel bacino di notizie da cui si estrarrà il bazar della creazione di conflitto. E che contiene anche i prodotti di queste creazioni e gli strumenti che le hanno consentite. Un sito crudele e spietato, scorretto verso le imprese, le istituzioni sociali, le merci ad alto contenuto ideologico e tutti i loro gli adepti: fazioso ma mai frazioso. Un sito che ha la classe del purosangue, la ricchezza del meticcio; che non esercita fashionismo e brigantaggio culturale, che vive da sé, con quello che fa e per quello che dà. Pone questioni di stile, perché lo stile è importante, e chiede, just in time, relazioni e complicità.
City of gods, una voce della cospirazione precaria
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27.11.06
La libertà di stampa è precaria
di Paola Manduca ad Andrea Rustichelli, responsabile dei Freelance dell'Associazione della Stampa Romana
Qual è la vostra posizione all'interno di questa battaglia?
Questa vertenza è fatta in nome nostro, e questa protesta fatta per mettere in evidenza la fragilità del lavoro autonomo che allo stato attuale va chiamato con il suo vero nome, cioè lavoro parasubordinato. La fragilità di questo lavoro sia durante la ‘norma' sia durante la protesta.
Nel senso che voi siete più deboli anche e soprattutto durante lo sciopero?
Certo, perché il nostro problema non è solo economico. Per molti di noi aderire agli scioperi significa dimezzare o addirittura annullare il proprio introito mensile. Ma è un problema più vasto, che ha a che fare con i ricatti, con le pressioni psicologiche, con l'atteggiamento diffuso che se sgarri poi non ti chiamiamo più.
E cosa ne pensate dello sciopero della firma?
Un'iniziativa che ha funzionato molto bene, c'è stato un lavoro molto buono di coordinamento tra i giornalisti di Repubblica e tutti gli altri redattori delle testate facenti capo al gruppo Repubblica L'Espresso . E soprattutto apprezzo il lavoro di coordinamento che c'è stato tra interni ed esterni, tra gli assunti e i precari.
Riconoscimento dei vostri diritti, a cominciare dall'interno.
Sì, è importante che i cdr si occupino di noi, anche se la nostra situazione è strana, perché è difficile contare i precari, sapere realmente quanti sono, che tipo di collaborazione hanno, qual è il loro trattamento economico, estremamente variabile da collaborazione a collaborazione. Quindi per noi che veniamo trattati come gli extra-comunitari del giornalismo, è decisivo venir presi in considerazione nel prossimo contratto.
Uno scambio di forze. Gli ordinari vi supportano e voi, rischiando un po' di più, sostenete la battaglia generale. Di questi tempi, questo tipo di coesione è quasi un miracolo.
Crediamo molto nel lavoro che sta facendo la FNSI in questa direzione. Non c'è riunione in cui non sia coinvolta anche la consulta dei freepress, ed è insieme che si prendono le decisioni. Il precario che sciopera corre rischi quadrupli rispetto ad un redattore assunto, e a pensarci bene, è anche assurdo che scioperi. Non s'è mai visto un libero professionista che sciopera, è alquanto bizzarro. Ma noi non possiamo far altro che scioperare, perché siamo noi il soggetto trainante dell'intera questione, noi che subiamo i ricatti, noi che lavoriamo in delle condizioni assurde. Su questo il sindacato si gioca la sua unità, e perciò la sua forza.
Sintetizzando, che cosa avete chiesto al Governo?
Che non ci sia alcuna applicazione indiscriminata della legge Biagi alla nostra situazione, perché questo vorrebbe dire non solo disconoscere il nostro lavoro, il nostro ruolo, i nostri diritti, ma dimostrerebbe anche la libertà assoluta di mettere le mani liberamente e indiscriminatamente dentro il mondo del lavoro nella sua accezione più ampia.
Da un punto di vista comunicativo, che cosa pensa dello sciopero della firma?
Lo sciopero della firma di per sé è una iniziativa estetizzante ma collaterale, che si accompagna perciò, e non sostituisce, forme più forti di protesta, come la nuova ondata di scioperi da qui a Natale. Temo che i tempi saranno molto lunghi. La Fieg si è dimostrata molto chiusa anche verso il dialogo con Damiano, e ai vari tavoli che il governo ha aperto su questo.
Perché Scalfari ha firmato oggi il suo editoriale su Repubblica ?
Non lo so, sinceramente. Poteva anche non firmare, tutti sanno qual è la sua collocazione fisica nelle pagine del giornale, si riconoscerebbe ugualmente per come scrive. Ma lo sciopero non era imposto. Deve esserci una motivazione dietro questa firma, come quella di Navarro Vals al secondo giorno della protesta. Ma davvero non saprei dire.
di Paola Manduca
Qual è la vostra posizione all'interno di questa battaglia?
Questa vertenza è fatta in nome nostro, e questa protesta fatta per mettere in evidenza la fragilità del lavoro autonomo che allo stato attuale va chiamato con il suo vero nome, cioè lavoro parasubordinato. La fragilità di questo lavoro sia durante la ‘norma' sia durante la protesta.
Nel senso che voi siete più deboli anche e soprattutto durante lo sciopero?
Certo, perché il nostro problema non è solo economico. Per molti di noi aderire agli scioperi significa dimezzare o addirittura annullare il proprio introito mensile. Ma è un problema più vasto, che ha a che fare con i ricatti, con le pressioni psicologiche, con l'atteggiamento diffuso che se sgarri poi non ti chiamiamo più.
E cosa ne pensate dello sciopero della firma?
Un'iniziativa che ha funzionato molto bene, c'è stato un lavoro molto buono di coordinamento tra i giornalisti di Repubblica e tutti gli altri redattori delle testate facenti capo al gruppo Repubblica L'Espresso . E soprattutto apprezzo il lavoro di coordinamento che c'è stato tra interni ed esterni, tra gli assunti e i precari.
Riconoscimento dei vostri diritti, a cominciare dall'interno.
Sì, è importante che i cdr si occupino di noi, anche se la nostra situazione è strana, perché è difficile contare i precari, sapere realmente quanti sono, che tipo di collaborazione hanno, qual è il loro trattamento economico, estremamente variabile da collaborazione a collaborazione. Quindi per noi che veniamo trattati come gli extra-comunitari del giornalismo, è decisivo venir presi in considerazione nel prossimo contratto.
Uno scambio di forze. Gli ordinari vi supportano e voi, rischiando un po' di più, sostenete la battaglia generale. Di questi tempi, questo tipo di coesione è quasi un miracolo.
Crediamo molto nel lavoro che sta facendo la FNSI in questa direzione. Non c'è riunione in cui non sia coinvolta anche la consulta dei freepress, ed è insieme che si prendono le decisioni. Il precario che sciopera corre rischi quadrupli rispetto ad un redattore assunto, e a pensarci bene, è anche assurdo che scioperi. Non s'è mai visto un libero professionista che sciopera, è alquanto bizzarro. Ma noi non possiamo far altro che scioperare, perché siamo noi il soggetto trainante dell'intera questione, noi che subiamo i ricatti, noi che lavoriamo in delle condizioni assurde. Su questo il sindacato si gioca la sua unità, e perciò la sua forza.
Sintetizzando, che cosa avete chiesto al Governo?
Che non ci sia alcuna applicazione indiscriminata della legge Biagi alla nostra situazione, perché questo vorrebbe dire non solo disconoscere il nostro lavoro, il nostro ruolo, i nostri diritti, ma dimostrerebbe anche la libertà assoluta di mettere le mani liberamente e indiscriminatamente dentro il mondo del lavoro nella sua accezione più ampia.
Da un punto di vista comunicativo, che cosa pensa dello sciopero della firma?
Lo sciopero della firma di per sé è una iniziativa estetizzante ma collaterale, che si accompagna perciò, e non sostituisce, forme più forti di protesta, come la nuova ondata di scioperi da qui a Natale. Temo che i tempi saranno molto lunghi. La Fieg si è dimostrata molto chiusa anche verso il dialogo con Damiano, e ai vari tavoli che il governo ha aperto su questo.
Perché Scalfari ha firmato oggi il suo editoriale su Repubblica ?
Non lo so, sinceramente. Poteva anche non firmare, tutti sanno qual è la sua collocazione fisica nelle pagine del giornale, si riconoscerebbe ugualmente per come scrive. Ma lo sciopero non era imposto. Deve esserci una motivazione dietro questa firma, come quella di Navarro Vals al secondo giorno della protesta. Ma davvero non saprei dire.
di Paola Manduca
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