7.6.07

La precaria RAI

di Betta Bertozzi

Sono giorni duri, in Rai. Oltre alla solita paralisi del Consiglio d’Amministrazione, oltre alle attese sul caso Petroni, oltre al disagio per i sommovimenti governativi, in Rai anche fare le cose più semplici è diventata un’impresa. Entrare, per esempio, non è così semplice come si potrebbe pensare. Alla chetichella, non attesi e invitati solo ai piani alti per una pacifica riunione di routine, i radicali hanno deciso che, in fondo, il palazzo del cavallo non è poi tanto male, e si sono installati in alcune stanze del palazzo. Protestare contro la pena di morte, essere contrari alla sua applicazione in troppi Paesi, voler attirare l’attenzione delle nazioni Unite sull’argomento, non è affatto una cattiva idea. Ma farlo impedendo agli altri di lavorare, costringendo chiunque volesse entrare in Rai a lunghe file per l’accredito e poi a lunghe attese, per essere raccattati dalle persone con le quali si aveva un colloquio, si trattasse pure del Direttore Generale, non è sembrato utile alla causa. Finalmente, ogni sospetto di raccomandazione è caduto nel vuoto. Molto democraticamente, si attende tutti nell’atrio, a poca distanza dal giardino zen, che qualcuno passi a prelevarti.

Ed è così per tutti. Per il grande produttore che deve piazzare una fiction, come per il neolaureato che cerca un posto, precario, di lavoro. Il tesserino blu, quello con la farfallina e il nome del dipendente da incontrare, sono stati la nuova livella di questi giorni. O, forse, solo l’ultimo approdo di una incapacità di farsi ascoltare, di una impossibilità di farsi capire che paralizza l’azienda.

La Rai è un’ottima madre di precari. Una matrigna, a tratti. In Rai è entrato di tutto, negli anni buoni delle raccomandazioni Politiche, quelle serie. Bastava essere un po’ indecisi sul proprio futuro, magari dotati di una laurea in lettere classiche con specializzazione non spendibile e si poteva procedere alla ricerca del padrino. Il Padrino, il Postulatore della causa, avrebbe chiamato Chisapevalui dentro al palazzo del cavallo e il gioco sarebbe stato fatto.

Si entrava, così, a lavorare per la più grande azienda di comunicazione del Paese. Per sopperire a questo danno, è cominciata l’esternalizzazione. Così adesso per lavorare con la Rai ti basta aver già lavorato con la Rai. Ti serve un Precedente, e non un Postulatore. Non bastano le scuole per autori, quella di Mediaset o quella della Rai, serve un Sacrificio. Serve accontentarsi per un pochino di un contrattino da pochi spiccioli, che ti verranno liquidati a babbo morto, perché quelli che in Rai ci sono entrati col Postulatore, spesso fanno i Burocrati, con la B maiuscola.

E allora un contrattino da due lire, magari quello di un bravo inviato che anticipa anche i soldi dei viaggi, è il passaporto per l’ingresso nel meraviglioso mondo del precariato televisivo, una sorta di limbo dove non incontrerai mai un dirigente, dove non capirai mai chi sia il tuo referente, un luogo dal quale l’Azienda ti sembrerà un grande, infinito, limaccioso pantano.

Eppure, di gente entrata senza raccomandazione, di frequentatori del tempio del Sacrificio, in Rai ce ne sono molti. Ce ne sono tanti. E sono quelli che in queste mattine, quelle in cui la pacifica ma guerrafondaia occupazione Radicale ha reso impossibile il lavoro, sono entrati a fatica, ma sono andati a lavorare. Sono andati a sedersi al loro posto, in una redazione, uno studio o un ufficio, anche senza sapere chi avrebbe firmato il loro stipendio a fine mese.

E non è bello saperlo dalle voci di corridoio, dall’aria che tira nel governo e dall’orientamento delle correnti di partito, se la tua azienda ci sarà ancora, l’anno prossimo. Non è bello essere precari nel proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, senza sapere se fra una settimana, dieci giorni o un mese la tua sedia sarà occupata da altri, solo perché è cambiato un dirigente, solo perché il tuo gruppo di lavoro non esiste più, solo perché non hai occupato altro, se non la tua sedia, se non il posto che ti permette di portare soldi a casa.

Tutto questo è ancora meno bello se precario lo sei sul serio, se lavori a consulenza, e se il prossimo contratto te lo sudi facendo del tuo maledetto meglio, in un’Azienda in cui ignori i volti dei Dirigenti, i loro nomi, le loro mansioni. Il lavoro precario, la precarietà del posto di lavoro, sono la tomba dei desideri, sono la morte del futuro, sono un atto di guerra contro la forza lavoro di un Paese.
E così, mentre ci s’interroga sul futuro del Governo, in Rai dipendenti e precari si chiedono la stessa cosa, un mucciniano “che ne sarà di noi?”. Mentre piovono articoli sulla sorte dei Consiglieri, sulla loro indignazione per le conferenze stampa in trasferta del Direttore Generale, sulle opinioni di Fiorello sulla Guardia di Finanza, nessuno si chiede cosa diavolo abbiano in mente le persone che la Rai la fanno e la vivono, ogni giorno. Come si fa a trovare una motivazione seria, per uscire di casa e trascinarsi in un palazzo anche squallido, di un beige insipido, dove il lavoro è spesso un ripetitivo passaggio di carte, senza la richiesta di un apporto o un’opinione personali, perché non si sa se il Capo sarà lo stesso, nemmeno fra poche ore?

Il fatto che alla riunione degli Azionisti si sia presentato il solo Ministro delle Finanze non è forse, e prima di tutto, una mancanza di rispetto mostruosa nei confronti dei lavoratori? Alle 11.30 i Radicali hanno disoccupato la Rai, sono usciti com’erano entrati, alla chetichella. La fila è terminata, la situazione è tornata normale. Per tutti, ma non per chi in Rai lavora.

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