3.7.06

Il lavoro sarà pure «immateriale» ma la salute ce la rimetti lo stesso

I risultati di una ricerca sugli operatori di call center. Condotta dai Cobas su un campione di 500 lavoratori: stress, mobbing, insonnia, depressione, gastrite. Ma anche dermatiti
Francesco Piccioni
Roma

Morire sul lavoro è sempre l'ipotesi estrema, naturalmente. ma è il punto terminale di una catena di indifferenza per la salute di chi «presta la propria opera» che parte dal momento stesso che un essere umano entra «in azienda». Qualsiasi cosa produca, materiale o «immateriale» che sia. Una situazione resa esplosiva dalla precarietà contrattuale, che è arrivata a squilibrare definitivamente un rapporto di forza già da tempo a tutto vantaggio dell'impresa. «Ritmi e ambiente di lavoro, flessibilità oraria, precarietà»: questa la miscela venefica individuata nella prima inchiesta nazionale sui lavoratori dei call center. Condotta dai Cobas, su basi sociologiche di prim'ordine, ha coinvolto un campione di 500 lavoratori, di diverse società, di tutte le tipologie contrattuali. I risultati sono stati illustrati ieri mattina, a Roma. Ne escono fuori dati pesanti per quanto riguarda lo stress mentale e fisico, le relazioni con i «capi», il mobbing o le vere e proprie vessazioni, fino all'uso di tranquillanti e antidepressivi. Un insieme di disagi che si presta grandemente ad essere minimizzato, confinato tra i piccoli o grandi «fastidi» del vivere associato. Ed è infatti questa, quasi sempre, la linea difensiva proposta dalle aziende e avallata da «specialisti» non sempre indifferenti al fascino imprenditoriale. Vito Totire -medico e presidente nazionale dell'Aea (Associazione esposti all'amianto) - legge i dati in perfetta continuità con quel che accade i tutti i luoghi di lavoro. Ricorda che la Ue ha quantificato il danno economico da stress lavorativo equiparandolo a quello della vera e propria infortunistica. E' questo, di fatto, l'unico «argine istituzionale» alla tendenza che vuol cancellare ogni responsabilità di impresa per una vasta tipologia di malattie professionali. Un grande aiuto alle aziende è dato dall'attuale legislazione, che rende estremamente difficile poter dimostrare che una certa patologia è causata da un certo lavoro. Persino nei casi di mesotelioma si è cercato di dimostrare che non era l'amianto il responsabile, ma la sola «predisposizione genetica». La stessa Inail ha ricevuto in questi anni oltre un migliaio di denunce per disturbi «da stress»; ma ne ha riconosciute solo pochissime, e quasi sempre dopo una sentenza di un giudice. La legislazione, infatti, permette alle aziende di nominare un proprio specialista per decidere se è responsabile o non d'aver provocato una determinata patologia in un lavoratore. E quindi l'azienda non paga quasi mai. La soluzione ci sarebbe, e a costo zero: affidare il riconoscimento alle Asl. Un suggerimento per un governo che volesse restituire dignità e tutela al lavoratore.
Eppure il lavoro di call center non sembrerebbe, a prima vista, tanto «stressante». Bisogna entrare nel dettaglio dei meccanismi produttivi per rendersene conto davvero. La tipologia di lavoro è altamente standardizzata e parcellizzata, ripetitiva. Ma la ripetizione si applica a una relazione col cliente, che richiede perciò grande attenzione e concentrazione. Le aziende, del resto, hanno attivato i call center proprio per interrompere i rapporti con gli utenti, che volentieri ridurrebbero all'esazione della bolletta. L'operatore, perciò, è nella posizione di dover collegare qualcuno che magari protesta per un disservizio ad un'azienda che non vuole avere rapporti diretti neppure con l'operatore stesso, che infatti «dipende» da altre società. «L'operatore - spiega un ricercatore - è psicologo, venditore, ragioniere, moderatore, centralinista». Deve essere uno che «risolve i problemi» senza avere nessuna certezza di poter risolvere i propri (la «condizione precaria» è talmente generalizzata nei call center da far sentire tali anche i lavoratori con contratto a tempo determinato). Ed ecco allora una serie di microeventi quotidiani che lentamente fanno evolvere patologie comuni a pressoché tutti gli operatori (al 70% donne, comunque). Il carico di lavoro è «sovradosato» per il 70% degli intervistati, la stessa percentuale che lo considera «mentalmente impegnativo», con intervalli di riposo sufficienti solo per il 18%. Sul posto di lavoro non si mangia affatto o lo si fa malissimo, in tempi ristrettissimi; mobbing e vessazioni sono «abituali» o quasi per il 40%. La stanchezza cronica aggredisce il 50%, anche perché il 70% di loro si trova a prendere di continuo decisioni in tempi rapidi. Così il 50% circa è stabilmente depresso, cosa che comporta un 10% di consumatori di antidepressivi; mentre fa uso di tranquillanti il 15%. Ben il 23% accusa patologie varie che riferisce direttamente al lavoro. E anche al luogo fisico (numerosi i casi di dermatiti, pediculosi, ecc). Le aziende ne sono così consapevoli che stanno già correndo ai ripari con annunci tipo: «selezioniamo persone particolarmente resistenti allo stress». Una razza a parte, per non intralciare la produttività.

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2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao, sono una studentessa di Sociologia e sto completando la mia tesi sul rapporto fra mobbing e precariato.
Studi specifici dimostrano che lo stress nel breve eriodo aumenta la produttività (Wilkie, 1996). Gli stessi studi dimostrano che alcuni lavoratori sono più resistenti allo stress e quindi, durante il mobbing, raggiungono il punto di rottura (quello dopo il quale si crolla e si va in depressione) dopo altri. Per questo le aziende cercano di selezionare questi lavoratori. Vengono fatti sempre più spesso test psicoattitudinali (in violazione degli art. 1, 8 e 15 dello Statuto dei Lavoratori) a tale scopo. Tecniche per mobbizzare i dipendenti fanno riferimento all'analisi transazionale o altre tecniche psicologiche e vengono apprese durante specifici master a pagamento per manager. Alcuni di essi fanno riferimento a sette come Scientology.
Lo scopo di tutto ciò è spremere la gente come dei limoni distruggendone la psiche per aumentare la produttività. Quando la persona (inevitabilmente) si abbandona al crollo psicologico e fisico e va in depressione, la sua produttività allora cala, ed è il momento di assumerne un'altra. Ecco perché il mobbing è un problema dei precari. IL MOBBING NON E' AFFATTO CONTROPRODUCENTE PER LE AZENDE!!! Si fa un gran parlare del calo della produttività conseguente al mobbing, ebbene chiedetevi allora come mai le aziende, che chiedono sempre l'impossibile per aumentare i propri utili, non abbiano mai fatto insistenti richieste al governo per arginare questo problema!! Masochisti? No! Furbi!
I consigli che posso dare a chi soffre questo disagio sono:
- non accettare posti di lavoro dove per la selezione del personale sono usati test psicologici, giochi di ruolo, tecniche psicologiche di gruppo.
- Se vi trovate già nel posto di lavoro imparate a vedere gli attacchi PESANTEMENTE PERSONALI dei vostri capi come la cosa più impersonale del mondo, una cosa che è stata studiata a tavolino su un libro di scuola e applicata endemicamente CON TUTTI per un motivo economico. VOI NON C'ENTRATE NIENTE!!
- Evitate di renere produttivi gli attacchi del mobber: il motto in questo caso è il famoso motto degli anni '70 "lavorare con lentezza". Non aumentate né diminuite le vostre prestazioni davanti a nessun tipo di insulti. La smetteranno. Certo, forse sarete licenziati. Ma lo sareste comunque.
- Non credete alle promesse di chi vi prospetta la possibilità di assunzione fissa se saprete avere le capacità relazionali adatte a fare un lavoro di squadra. E' falso! Lo dicono solo per invogliarvi a tenere duro quando in seguito si verificherà il mobbing su di voi.
- E in ultimo, naturalmente: Resistere, resistere, resistere!
Angelica

Anonimo ha detto...

E' pazzesco, ma dopo aver vissuto una esperienza di lavoro nella quale mi si rimproverava continuamente per la mia lentezza fin dal primo giorno di lavoro, penso che cio che dice Angelica sia la verità. Dopo soli due mesi lavorativi veramente stressanti nei quali mi hanno affidato incarichi sia complessi sia di bassa manovalanza senza avere la necessaria formazione e preparazione sono stata indotta a presentare le dimissioni senza neanche aver completato il periodo di prova, pertanto l'assunzione che mi avevano prospettato è sfumata.