22.5.06

Una vasta campagna ispettiva come rimedio al precariato

Una vasta campagna ispettiva come rimedio al precariato
di Michele Tiraboschi

Il lavoro nei call center rappresenta un osservatorio privilegiato degli attuali limiti e delle contraddizioni del dibattito su legge Biagi e precariato.
Indicati, spesso non a torto, come emblema del lavoro usa e getta, i call center non sono certo nati ieri, con la legge Biagi a cui pure vengono imputati tutti i mali del nostro mercato del lavoro. Vero è anzi, come dimostrano i due accordi Atesia di cui parlano Nicoletta Rocchi e Luciano Scalia (si veda «Il Sole-24 Ore» di ieri), che è stata la legge Biagi a imporre una drastica riorganizzazione del lavoro nei call center sino ad allora caratterizzati per un utilizzo massiccio e abusivo delle collaborazioni coordinate e continuative. Quanto accaduto in Atesia mostra anche agli osservatori più scettici e ideologicamente prevenuti la vera finalità della legge Biagi: incrementare cioè i livelli di tutela dei lavoratori fornendo al contempo alle imprese valide alternative all'utilizzo distorto della flessibilità tipologica dei contratti di lavoro. È questo quanto ho sostenuto sul Sole 24-Ore del 23 maggio 2004 parlando di un percorso di emersione mirata e selettiva di molteplici forme di lavoro grigio che oggi caratterizzano il nostro mercato del lavoro e quello dei call center in particolare.
Se questo percorso di progressivo passaggio dalle collaborazioni fittizie a forme flessibili di lavoro dipendente non è stato possibile con riferimento al primo accordo del 2004 ciò non è imputabile alla legge Biagi, semmai all'ostruzionismo delle Regioni che non hanno ancora dato attuazione alle regolamentazione dell'apprendistato professionalizzante (in Lazio, dove opera Atesia, manca una legge regionale e questo paralizza l'utilizzo dell'apprendistato). Vero è però che l'accordo firmato lo scorso 11 aprile individua un percorso chiaramente contra legem: pur di non applicare lo staff leasing, ovviamente in via sperimentale e per un numero circoscritto di ex cococo, si forza la normativa sul contratto di apprendistato superando i tetti di contingentamento imposti dalla legge. Quanto basta per intuire quale sia stato l'interesse congiunto, tra azienda e organizzazioni sindacali, che ha portato alla firma della recente intesa. L'azienda ha infatti subito di buon grado il veto sindacale sul famigerato staff leasing perché sa bene che non è affatto una forma di lavoro precario con cui è possibile ridurre il costo del lavoro. Meglio ricorrere a contratti incentivati e con trattamenti retributivi ridotti in luogo della sperimentazione di uno degli aspetti più innovativi della legge Biagi, e cioè la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato, che pure prevede l'assunzione stabile dei lavoratori e percorsi mirati di formazione e tutela del reddito grazie alla quota del 4% sul costo complessivo del lavoro.
Ciò rilevato, proprio a tutela dell'anima laburista e riformista della legge Biagi, che è poi l'unica cosa che mi stava a cuore nello scrivere l'articolo di sabato scorso, non posso non concordare con la proposta, concreta e incisiva, di Nicoletta Rocchi: avviare cioè finalmente una larga inchiesta su tutto il territorio nazionale sia con riferimento alla organizzazione del lavoro nei call center sia in relazione al tema delicatissimo delle gare di appalto per i servizi nella pubblica amministrazione che è poi il principale utilizzatore di forme di lavoro irregolari. È questa l'unica strada per combattere il vero precariato e superare le dispute ideologiche e nominalistiche sulla Legge Biagi. Potrebbe essere peraltro questa l'occasione, da parte del nuovo Ministro del lavoro, per prendere in mano e rispolverare la "direttiva fantasma" sul lavoro a progetto che detta regole rigorose ma certe sull'impiego dei collaboratori anche con riferimento ai call center. Avviare una massiccia campagna ispettiva senza aver prima chiarito le modalità di corretto utilizzo del lavoro a progetto non farebbe altro che alimentare nuova confusione e un imponente contenzioso dannoso non solo per le imprese ma anche per gli stessi lavoratori.

Michele Tiraboschi
(Il Sole 24 Ore, 11 maggio 2006)

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