10.5.06

Sono precario, dunque scrivo

Autori famosi ed emergenti alla Feltrinelli
Sono precario, dunque scrivo
Il tema del lavoro flessibile domina la nuova letteratura. Co.co.co., stage, mobbing visti da quattro autori. Si inizia oggi con Aldo Nove

Un tempo Guy Debord,l’autore de «La società dello spettacolo», scrisse su un muro «Non lavorare mai». Oggi, a decenni di distanza, la provocazione è quasi realtà se si aggiunge un «a tempo indeterminato». Un turbine di impieghi occasionali — precari o flessibili a seconda del punto di vista — ha trasformato il mondo del lavoro con sigle che vanno dal co.co.co. al co.co.pro allo stage. È un cambio dei tempi, ed è tra i pochi temi attuali emersi nella recente letteratura italiana. Ad aprire l'indagine nel 2004 sono stati il ritmo irresistibile di «Pausa Caffè» (Sironi) di Giorgio Falco, dove incontravi scaricatori occasionali di camion come ragazze dei telefoni erotici, e il nevrotico «Nicola Rubino è entrato in fabbrica» (Feltrinelli) di Francesco Dezio, cronaca della vita alla catena di montaggio durante un contratto di formazione.
Dopo due anni il tema si è quasi fatto genere a sé, tanto che a partire da questo giovedì presso la Feltrinelli Libri e Musica (piazza Piemonte 2, tel.02.43.35.41) si terrà il ciclo «Una repubblica affondata sul lavoro»: quattro incontri, sempre alle 18.30, per diversi autori che negli ultimi mesi hanno affrontato l'argomento «precariato».
Si parte con «Mi chiamo Roberta, ho 40 anni, guadagno 250 euro al mese»(Einaudi) di Aldo Nove, che dopo aver inventato un mondo deformato dall'immaginario consumistico e televisivo in libri come «Superwoobinda» e «Amore mio infinito», è passato alla pura realtà dei lavoratori «flessibili». Una serie di quindici interviste che documenta l'attualità della parola «incertezza»: dalla Roberta del titolo, ex co.co.co. che lavora in una scuola per studenti lavoratori, a Riccardo, sorta di precario culturale o «manovalanza intellettuale riciclabile come plastica», fino a Cilia che, perso il posto in un call-center, dice: «Di nuovo senza lavoro. E quindi daccapo. Di nuovo all'agenzia interinale».

Ed è partendo da queste agenzie che è nato «Mi spezzo ma non m'impiego» (Einaudi) di Andrea Bajani, una «Guida di viaggio per lavoratori flessibili» tra inchiesta e satira utile per occupare i periodi delle «vacanze dalla disoccupazione». «Ho tentato di essere varie persone — spiega Bajani che si è presentato alle agenzie con vari travestimenti, dal laureato in legge all'ingegnere petrolifero — perché il precariato interessa trasversalmente molte classi sociali». E com'è stata la ricerca di lavoro? «Divertente e inquietante, perché se da fuori le agenzie presentano un mondo meraviglioso dove è bello lavorare "ogni tanto", di fronte al cliente spesso c'è un atteggiamento di commiserazione».
Diversa è l'indagine di Angelo Ferracuti in «Le risorse umane» (Feltrinelli), da lui stesso definita«una campionatura di un grande libro in fieri, di lavori e mestieri, antichi o nostri contemporanei», dove si concentra in una serie di reportage attraverso l'Italia di oggi: dal mobbing di cui è vittima il violinista nell'orchestra al dopolavoro degli operai calzaturieri pakistani.
Se i tre precedenti sono tutti narratori che si sono convertiti all'inchiesta, l'ultimo a intervenire sarà Mario Desiati, autore del discusso romanzo «Vita precaria e amore eterno» (Mondadori) dove il protagonista, il trentenne Martin Bux, si muove arrabbiato in una Roma molto attuale: il tema del lavoro resta sullo sfondo, seppure come sfumatura essenziale. «Il precariato è un tema obbligatorio di questa generazione, da inserire per esigenze di contesto — spiega Desiati —. Ma non è solo precarietà lavorativa, è anche sociale, politica, esistenziale, economica e sentimentale». C’èuna soluzione a questa incertezza? «Il protagonista è un cattivissimo, ma si redime, almeno in parte, grazie a una persona e all'amore, non attraverso una soluzione politica». Una soluzione decisamente narrativa, non facile da importare nella realtà.

di Alessandro Beretta

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