6.5.06

Mayday, la grande festa dei precari parla all 'Unione (il manifesto)

Mayday, la grande festa dei precari parla all'Unione.

Quante centinaia di migliaia di precari devono sfilare per cambiare nei fatti la loro condizione di vita e di lavoro? La Mayday parade anche questo primo maggio ha sfilato per le vie di Milano come un serpente flessibile, sinuoso, rumoroso, lungo più di quattro chilometri. Ancora una volta è stata la più grande, libera, divertente ma determinata manifestazione della giornata dei lavoratori, in contemporanea con altre 19 sfilate in venti città europee.
Decine di carri mascherati, mille idee, hanno rimesso in piazza per il sesto anno consecutivo la voglia dei lavoratori precari e di una generazione di farsi sentire con fantasia ma anche con maturità. Impossibile oscurarla, neppure restrigendo ad arte il campo fino a inquadrare solo quei due sfigati che hanno gridato «Dieci cento mille Nassirya» davanti ad un banchetto del vicesindaco di Milano De Corato. Su centomila persone ce ne saranno sempre due che gridano qualcosa di stupido. Ma la realtà è che il corteo del pomeriggio precario milanese è filato via fin troppo liscio e sereno (cameraman disoccupati per ore anche davanti alle vetrine di McDonald's). Al confronto, i «vecchi» che alla mattina hanno voluto fischiare il ministro Moratti e i dirigenti dei sindacati che l'avevano improvvidamente invitata alla festa, sono stati dei veri «intemperanti».
La parata precaria invece è stata una grande festa. Da piazza XXIV Maggio al Castello Sforzesco, davanti la Banda degli Ottoni, un veliero pirata a pedali che ha tracciato una lunga linea bianca sull'asfalto per un'altra mobilità, gli «Imbattibili» con le loro figurine e i kit precari, i lavoratori dello spettacolo (anche della Scala), quelli delle grandi catene (anche della Feltrinelli), gli studenti e gli universitari, la Cub con un call center su quattro ruote, il «Sun system», ovvero il carro botanico a energia solare dei «Neurogreen», e visto che la vita precaria è come una lotteria, la lotteria c'è stata davvero, con distribuzione di biglietti numerati e premi finali; e poi tutti gli altri, il Leoncavallo, il Prc, gli umanisti, le associazioni e tanti carri spontanei dei quartieri più o meno periferici.
Le scaramucce dell'anno scorso, per questioni di chi sta davanti e chi sta dietro nell'ordine di sfilata, quest'anno si sono risolte con la defezione di qualche Cobas e con la scelta del centro sociale Cantiere di contribuire ad esportare la Mayday a Parigi; la sfilata francese però non ha rispettato le attese, qualche migliaio di persone - non male per essere la prima volta - ma in tono minore per essere la Francia che ha appena battuto il Cpe (con l'aggravante di 30 fermati a margine del corteo, quasi tutti rilasciati). Sono andate bene invece le parate di Helsinki e Berlino, dove hanno sfilato in 5 mila.
A Milano ognuno ha lavorato per la sua parte, sono bastate poche riunioni di preparazione, perché ormai la Mayday marcia da sola, chi la fa e chi vi partecipa conta più di chi la organizza. E' diventata una piattaforma flessibile a disposizione di chi vuole esserci e un appuntamento fisso capace di riportare in piazza chi non ha altre piazze di riferimento.
Ora, il punto vero è un altro. A fine estate le varie realtà che hanno costruito le Mayday europee si incontreranno per cercare di costituire un vero soggetto sindacale. Ma intanto, che fare per portare a casa qualche risultato concreto ora che non governa più Berlusconi? Le richieste sono chiare: innanzitutto l'abolizione della legge 30, ma anche diritto alla maternità e alla casa, ammortizzatori sociali di sostegno al reddito precario e centralità del rapporto a tempo indeterminato. L'Unione, a parole, in campagna elettorale, ha promesso che si sarebbe occupata dei precari, anche perchè non affrontare la «questione precaria» significherebbe stagnazione e declino per tutti. Ma l'aria centrista che tira non promette nulla di buono.

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