22.9.06

Atesia assume, a condizione

L'a.d. di Cos, Camisa, chiede in cambio il «condono» per il pregresso.

Quando la faccia tosta supera anche la fantasia, lì si annida un gestore di call center. Ieri mattina, dai microfoni di RaiUtile, Gianni Camisa, amministratore delegato del gruppo Cos - da cui dipende anche l'ormai famosa Atesia - ha comunicato «l'intenzione di assumere a tempo indeterminato, dal 2007, oltre 4mila lavoratori a part time che operano in regime di inbound». Ovvero quelli che rispondono alle telefonate.
Potrebbe sembrare un buona notizia, ma il veleno sta sempre nella coda. Cos detta condizioni per procedere alle assunzioni (che avrebbe già dovuto effettuare per legge, vista l'anomala sproporzione esistente in quelle aziende tra occupati a tempo pieno e precari): «prima ci attendiamo una sanatoria sul pregresso, perché non condividiamo le conclusioni degli ispettori del lavoro». Questi ultimi, infatti, hanno steso una relazione che accusa tutte le aziende Cos di utilizzare i precari in funzioni tipiche del «lavoro dipendente», esprimendo un parere favorevole all'assunzione piena di tutti i presunti «collaboratori». Senza distinguere tra in bound e out bound (quelli che fanno le telefonate promozionali per conto terzi) e certificando l'obbligo di versare i contributi pregressi a tutti i precari, dal 2001 in poi. Cos, per realizzare il proprio obiettivo, «auspica una ripresa della trattaiva sindacale e un interessamento del ministero del lavoro». Ovvio: i sindacati confederali hanno acconsentito a firmare un accordo addirittura peggiorativo della famigerata «legge 30», mentre il ministro Damiano, in contrasto con i suoi stessi ispettori, ha diramato una circolare che «distingue» tra addetti in bound (da assumere) e out bound (no).
La mossa di Cos è dunque chiarissima: vuole un «condono tombale» per tutto il pregresso. In questo modo non solo può riparmiare su cinque anni di controbuti previdenziali, ma soprattutto può evitare di dover riassumere tutti quei «collaboratori» che - a termini di legge - sarebbe stata costretta ad assumere dopo sette anni di precariato». A cominciare da quelli che hanno portato il «caso Atesia», e tutto il settore dei call center, sotto i riflettori dei media. Una «proposta indecente», tipica di un gruppo imprenditoriale che fino a qualche tempo fa pretendeva dai «collaboratori» addirittura una cifra per l'«affitto» della postazione di lavoro. Cosa ne pensano i cultori della «legalità»?

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