(ECO) Roma, 24 apr (Velino) - Sono soprattutto donne, giovani e laureati i 126 mila lavoratori atipici della Capitale, che rappresentano l’11,6 per cento degli occupati romani. Questa la fotografia scattata dall’ufficio statistico del Comune, che ha rielaborato dati Istat e Isfol. L’indagine è riferita al 2005 e contenuta nella rivista periodica I numeri di Roma, statistiche per la città, presentata in Campidoglio dall’assessore capitolino al Bilancio, Marco Causi. Dai dati emerge che le persone fra i 15 e i 34 anni sono il 59 per cento del totale degli atipici, la componente femminile copre il 58 per cento e vi è una forte incidenza di laureati e diplomati (34 per cento). A quei 126 mila, però, bisogna aggiungere anche coloro che si trovano in una “fase intermittente”, avendo appena concluso un contratto temporaneo e in attesa di un’altra occupazione: un bacino che conta circa 33 mila unità. Il totale, quindi, dei precari a Roma è di 158 mila persone (33 per cento), esclusi quanti possiedono la partita Iva. Numero che è cresciuto quasi del 20 per cento rispetto al quinquienno 1996-2000, in cui i contratti non standard costituivano il 10,4 per cento del totale. I settori in cui prevale “l’atipico” sono i call center, ma anche il commercio e l’informatica. Non mancano i tecnici, i ricercatori, i restauratori e gli specialisti di marketing. Circa l’80 per cento degli atipici, svolge un lavoro autonomo su richiesta del committente. Questo significa che la flessibilità per la maggior parte dei precari non è una scelta, ma un obbligo. Inoltre, il sospetto che dietro i contratti di collaborazione si celi in molti casi un lavoro dipendente a tutti gli effetti, con una notevole convenienza per il datore di lavoro, è avvalorato dalle analisi delle modalità di svolgimento di queste forme di occupazione.
A Roma, infatti, il 67,8 per cento dei collaboratori svolge incarichi per un’unica società, il 53 per cento è tenuto a garantire la sua presenza nella sede di lavoro, il 64 per cento ha concordato un orario giornaliero con il datore di lavoro e quasi il 50 per cento ha visto rinnovato il suo contratto più di una volta. Tuttavia, il mercato del lavoro, nella Capitale, offre possibilità maggiori di stabilizzazione rispetto a ciò che accade nel resto del paese: negli ultimi cinque anni il 34 per cento dei lavoratori a tempo determinato ha mantenuto un contratto atipico, contro il 37 per cento nazionale. Lo stesso è avvenuto per il 30 per cento di lavoratori impiegati in altre forme di lavoro dipendente, contro il 39 per cento nazionale. La durata media di un contratto flessibile, a Roma e nel resto del paese, è di un anno: per i lavoratori a tempo determinato, tuttavia, la situazione romana è migliore, perché i contratti con durata più lunga, tra i due e i tre anni, sono quasi il doppio della media nazionale (15,2 per cento rispetto all’8,3 per cento). Dall’indagine emerge che nel complesso il 56 per cento di tutti i lavoratori atipici esprime un livello medio o basso di soddisfazione e il 66 per cento manifesta una esplicita insoddisfazione sulle condizioni di stabilità e sicurezza del proprio posto di lavoro. Al titolo di studio, inoltre, non corrisponde nemmeno una retribuzione proporzionale, dal momento che il 68,5 per cento dei lavoratori atipici con laurea o titoli superiori manifestano insoddisfazione per il reddito percepito. Parzialmente migliore appare la condizione retributiva dei lavoratori diplomati, che nel 50 per cento dei casi sono soddisfatti nel loro stipendio.
“Il mercato del lavoro – ha sottolineato Causi – ha vissuto negli ultimi anni un forte dinamismo, con un complessivo aumento degli occupati di 207 mila unità (+15 per cento). Ma questa evoluzione – ha continuato l’assessore – ha evidenziato anche le criticità dei moderni mercati: la principale è la sottile linea grigia che distingue la flessibilità dalla precarietà e che determina la possibilità per i giovani di seguire percorsi professionali che permettano una crescita umana, senza restare al margine delle garanzie e dei diritti dei lavoratori”. Causi, inoltre, si è soffermato sulle prime pagine della rivista, in cui sono contenuti diversi dati riferiti agli stranieri: “Dalla ricerca dell’ufficio statistica – ha detto l’assessore – emerge che nel periodo 2002-2006 gli extracomunitari sono aumentati di 64 mila unità, ma in tutto la crescita della città è stata di 23 mila persone. Questo significa – ha concluso – che se non ci fossero stati gli stranieri la popolazione a Roma sarebbe diminuita di 41 mila unità”.
(mic) 24 apr 14:37
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24.4.07
17.3.07
Isfol: lavoro e insoddisfazione
14 marzo 2007
Tra i motivi di insoddisfazione nel rapporto Isfol 2006, emergono l'instabilità del rapporto di lavoro e la retribuzione: circa il 20% nel complesso teme di perdere il posto entro un anno, percentuale pari al 60% tra i lavoratori precari; il 55% degli intervistati che si dice preoccupato per le scarse opportunità di carriera (nell'ultima indagine risalente al 2002 la percentuale degli insoddisfatti era del 42%). Ma il vero punto dolente è quello dei precari. Tra i lavoratori a termine gli insoddisfatti rappresentano oltre il 20%. Il timore più diffuso è quello di perdere il posto (60% contro il 10% degli intervistati con un lavoro stabile), ma è forte anche il disagio per la mancata coincidenza tra il lavoro svolto e quello desiderato (nel 60% dei casi contro il 42% dei dipendenti stabili). Infine i precari lamentano bassi livelli retributivi, con il 47% che dichiara compensi inferiori a 900 euro contro il 15% dei dipendenti stabili con questa situazione.
Per approfondire: www.isfol.it
Tra i motivi di insoddisfazione nel rapporto Isfol 2006, emergono l'instabilità del rapporto di lavoro e la retribuzione: circa il 20% nel complesso teme di perdere il posto entro un anno, percentuale pari al 60% tra i lavoratori precari; il 55% degli intervistati che si dice preoccupato per le scarse opportunità di carriera (nell'ultima indagine risalente al 2002 la percentuale degli insoddisfatti era del 42%). Ma il vero punto dolente è quello dei precari. Tra i lavoratori a termine gli insoddisfatti rappresentano oltre il 20%. Il timore più diffuso è quello di perdere il posto (60% contro il 10% degli intervistati con un lavoro stabile), ma è forte anche il disagio per la mancata coincidenza tra il lavoro svolto e quello desiderato (nel 60% dei casi contro il 42% dei dipendenti stabili). Infine i precari lamentano bassi livelli retributivi, con il 47% che dichiara compensi inferiori a 900 euro contro il 15% dei dipendenti stabili con questa situazione.
Per approfondire: www.isfol.it
16.2.07
I lavoratori precari dell'Isfol in assemblea permanente
Chiedono l'uscita dal precariato infinito e la continuità dell'Istituto
Comunicato stampa
I lavoratori precari dell’ISFOL, in assemblea permanente da tre giorni, denunciano la gravissima situazione in cui versano i collaboratori interni all’Istituto, privi di contratto dal 31 dicembre 2006.
L’ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) è l’Ente Pubblico di Ricerca, vigilato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, che opera in Italia sui temi della formazione, delle politiche sociali e del lavoro.
Nonostante la rilevanza e l’utilità dei servizi che offre per la costruzione di una economia basata sulla conoscenza e la coesione sociale, l’85% del personale che contribuisce alle ordinarie attività è precario (tempi determinati e Co.co.co).
Da anni, per la realizzazione dei suoi compiti istituzionali, l’Isfol si avvale dell’apporto di centinaia di collaboratori presenti stabilmente in Istituto, per i quali ogni anno si pone il problema del rinnovo contrattuale.
Ad oggi, nonostante gli impegni assunti dall’Amministrazione, i contratti di collaborazione per il 2007 risultano bloccati e non si prospettano soluzioni chiare ed immediate per i rinnovi.
DENUNCIAMO l’irresponsabilità con cui l’attuale vertice dell’Istituto sta gestendo la questione, facendo pagare un prezzo altissimo ai collaboratori interni e pregiudicando non solo la funzione ma l’esistenza stessa dell’Istituto.
CHIEDIAMO pertanto ai vertici dell’Istituto ed al Ministro Damiano di assumere le decisioni che competono loro provvedendo al rinnovo immediato dei contratti, sanando quindi una situazione non oltre tollerabile.
CHIEDIAMO infine l’avvio di un percorso condiviso di stabilizzazione di tutto il personale precario dell’Isfol, condizione necessaria per garantire l’esistenza ed il rilancio dell’Istituto.
I lavoratori precari dell’Isfol in assemblea permanente
Comunicato stampa
I lavoratori precari dell’ISFOL, in assemblea permanente da tre giorni, denunciano la gravissima situazione in cui versano i collaboratori interni all’Istituto, privi di contratto dal 31 dicembre 2006.
L’ISFOL (Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori) è l’Ente Pubblico di Ricerca, vigilato dal Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, che opera in Italia sui temi della formazione, delle politiche sociali e del lavoro.
Nonostante la rilevanza e l’utilità dei servizi che offre per la costruzione di una economia basata sulla conoscenza e la coesione sociale, l’85% del personale che contribuisce alle ordinarie attività è precario (tempi determinati e Co.co.co).
Da anni, per la realizzazione dei suoi compiti istituzionali, l’Isfol si avvale dell’apporto di centinaia di collaboratori presenti stabilmente in Istituto, per i quali ogni anno si pone il problema del rinnovo contrattuale.
Ad oggi, nonostante gli impegni assunti dall’Amministrazione, i contratti di collaborazione per il 2007 risultano bloccati e non si prospettano soluzioni chiare ed immediate per i rinnovi.
DENUNCIAMO l’irresponsabilità con cui l’attuale vertice dell’Istituto sta gestendo la questione, facendo pagare un prezzo altissimo ai collaboratori interni e pregiudicando non solo la funzione ma l’esistenza stessa dell’Istituto.
CHIEDIAMO pertanto ai vertici dell’Istituto ed al Ministro Damiano di assumere le decisioni che competono loro provvedendo al rinnovo immediato dei contratti, sanando quindi una situazione non oltre tollerabile.
CHIEDIAMO infine l’avvio di un percorso condiviso di stabilizzazione di tutto il personale precario dell’Isfol, condizione necessaria per garantire l’esistenza ed il rilancio dell’Istituto.
I lavoratori precari dell’Isfol in assemblea permanente
9.1.07
Lavoro. Sondaggio Isfol: italiani soddisfatti ma stressati
Il 21% degli italiani non ha mai cambiato azienda
Roma, 9 gennaio 2007
Il 60% dei lavoratori italiani e' "abbastanza soddisfatto" del proprio lavoro, ma quasi il 30% si dichiara "stressato". Lo rivela la seconda indagine su "La qualità del lavoro in Italia" 2006, realizzata dall'Isfol (Istituto per lo Sviluppo e la Formazione Professionale dei Lavoratori) .
Sono stati presi in esame tutti gli occupati sia dipendenti che autonomi, di ogni settore produttivo, sia pubblico che privato, ogni dimensione di impresa, sia lavoratori standard che atipici.
In aumento i lavoratori sotto pressione rispetto al 2002
I piu' insoddisfatti (oltre il 20%) sono i precari, con riferimento soprattutto ai compiti svolti, ai livelli retributivi e all'attenzione delle imprese per la sicurezza e la salute sul lavoro.
Ma lo stress non si rivela l'unico nemico dei lavoratori: le insoddsfazioni per gli impieghi e la difficoltà di cambiamenti e crescite professionali si aggiungono alla lista dei problemi dell'ambiente lavorativo italiano.
Cambiare lavoro: il sogno impossibile degli italiani
Un lavoratore su cinque si propone di cambiare impiego a causa dell’insoddisfazione per la busta paga e la disillusione per le prospettive di carriera che non soddisfano a pieno i lavoratori, cosi come le attuali retribuzioni. Questi i maggiori motivi di malcontento dei lavoratori italiani, a cui si aggiunge la difficoltà di trovare un'impiego che soddifi le necessità.
Le carriere "ingessate"
Il malcontento lavorativo si accompagna alla preoccupazione per le scarse prospettive di avanzamento e crescita professionale. Altre indagini, nel passato, avevano dimostrato come l'Italia sia uno dei Paesi in cui la mobilità professionale è assai scarsa. Per la maggior parte degli occupati che hanno cambiato almeno una volta mestiere durante la propria vita lavorativa non vi è stato nessun miglioramento in termini di affermazione e carriera professionale, nè miglioramenti nella retribuzione.
''La maggiore flessibilità' del mercato del lavoro - avverte l'Isfol - non sembra dunque aver aumentato le probabilità di crescita professionale''.
Secondo i recenti dati , il 21% degli italiani non ha mai cambiato azienda durante l’arco della propria carriera professionale e il 47% lo ha fatto tra una e 5 volte. Solo il 3% più di sei volte. Il 28% lavora con lo stesso datore di lavoro da più di dieci anni e il 13% da almeno sei anni. Solo il 3% da meno di un anno. E tra chi cambia spesso è perché ci si trova in qualche modo costretti a passare da azienda in azienda più perché costretti che di propria scelta.
La poca mobilità impedisce ai lavoratori la crescita di carriera, e causa, oltre allo stress, il malcontento nell'ambito lavorativo.
"Relativamente all'aumento dello stress - ha dichiarato Sergio Trevisanato, presidente dell'Isfol- occorre dare maggiori garanzie sul mantenimento del posto di lavoro o anche una serie di servizi legati allo sviluppo della famiglia e
dell'attivita' privata. Cosi' le amministrazioni pubbliche potrebbero venire incontro a questi problemi. Superato questo aspetto - ha aggiunto - ovremmo trovare delle risposte piu' complete anche su altri versanti e servizi che possano sopperire a carenze". E per essere chiari cita le "garanzie nel settore bancario, soprattutto nella concessione di prestiti a mutui a giovani".
Roma, 9 gennaio 2007
Il 60% dei lavoratori italiani e' "abbastanza soddisfatto" del proprio lavoro, ma quasi il 30% si dichiara "stressato". Lo rivela la seconda indagine su "La qualità del lavoro in Italia" 2006, realizzata dall'Isfol (Istituto per lo Sviluppo e la Formazione Professionale dei Lavoratori) .
Sono stati presi in esame tutti gli occupati sia dipendenti che autonomi, di ogni settore produttivo, sia pubblico che privato, ogni dimensione di impresa, sia lavoratori standard che atipici.
In aumento i lavoratori sotto pressione rispetto al 2002
I piu' insoddisfatti (oltre il 20%) sono i precari, con riferimento soprattutto ai compiti svolti, ai livelli retributivi e all'attenzione delle imprese per la sicurezza e la salute sul lavoro.
Ma lo stress non si rivela l'unico nemico dei lavoratori: le insoddsfazioni per gli impieghi e la difficoltà di cambiamenti e crescite professionali si aggiungono alla lista dei problemi dell'ambiente lavorativo italiano.
Cambiare lavoro: il sogno impossibile degli italiani
Un lavoratore su cinque si propone di cambiare impiego a causa dell’insoddisfazione per la busta paga e la disillusione per le prospettive di carriera che non soddisfano a pieno i lavoratori, cosi come le attuali retribuzioni. Questi i maggiori motivi di malcontento dei lavoratori italiani, a cui si aggiunge la difficoltà di trovare un'impiego che soddifi le necessità.
Le carriere "ingessate"
Il malcontento lavorativo si accompagna alla preoccupazione per le scarse prospettive di avanzamento e crescita professionale. Altre indagini, nel passato, avevano dimostrato come l'Italia sia uno dei Paesi in cui la mobilità professionale è assai scarsa. Per la maggior parte degli occupati che hanno cambiato almeno una volta mestiere durante la propria vita lavorativa non vi è stato nessun miglioramento in termini di affermazione e carriera professionale, nè miglioramenti nella retribuzione.
''La maggiore flessibilità' del mercato del lavoro - avverte l'Isfol - non sembra dunque aver aumentato le probabilità di crescita professionale''.
Secondo i recenti dati , il 21% degli italiani non ha mai cambiato azienda durante l’arco della propria carriera professionale e il 47% lo ha fatto tra una e 5 volte. Solo il 3% più di sei volte. Il 28% lavora con lo stesso datore di lavoro da più di dieci anni e il 13% da almeno sei anni. Solo il 3% da meno di un anno. E tra chi cambia spesso è perché ci si trova in qualche modo costretti a passare da azienda in azienda più perché costretti che di propria scelta.
La poca mobilità impedisce ai lavoratori la crescita di carriera, e causa, oltre allo stress, il malcontento nell'ambito lavorativo.
"Relativamente all'aumento dello stress - ha dichiarato Sergio Trevisanato, presidente dell'Isfol- occorre dare maggiori garanzie sul mantenimento del posto di lavoro o anche una serie di servizi legati allo sviluppo della famiglia e
dell'attivita' privata. Cosi' le amministrazioni pubbliche potrebbero venire incontro a questi problemi. Superato questo aspetto - ha aggiunto - ovremmo trovare delle risposte piu' complete anche su altri versanti e servizi che possano sopperire a carenze". E per essere chiari cita le "garanzie nel settore bancario, soprattutto nella concessione di prestiti a mutui a giovani".
18.12.06
L’odissea di chi cerca lavoro in Sicilia e Puglia due anni per un posto
18 dicembre 2006
Indagine Isfol: nelle regioni del Sud più di venti mesi per un impiego. Tra quattro e sei mesi invece in Lombardia, Friuli, Trentino e Umbria. Come cambiano i tempi di ricerca, la mobilità geografica e quanto si impiega per andare in ufficio nelle regioni italiane.
REGIONI: quanto ci vuole per un lavoro.
LAVORO ATIPICO: % per regione.
TROVARE LAVORO IN EUROPA: dove è facile e dove è difficile.
CASA-UFFICIO: i tempi di percorrenza.
ISFOL: "Premiare la qualità".
BLOG: RACCONTA LA TUA ESPERIENZA
di FEDERICO PACE
I centri per l’impiego, qualche sede delle agenzie per il lavoro. Curriculum spediti a centinaia in risposta agli annunci letti sui giornali e sui siti web. Qualche telefonata in giro. Persino un po’ di lavoro nero. I tentativi tanti, ma i risultati pochi. “Io ho fatto di tutto - racconta L.P., neolaureato di Catania - ho cercato per mesi e bussato a tante porte. Dopo quasi un anno senza risposte, ho deciso di fare un master, ma poi, alla fine, ho trovato solo uno stage di pochi mesi in un’impresa di Milano. Adesso che è finito non so più cosa fare”. Già, adesso, non resta che mettersi di nuovo a cercare.
Nonostante i posti siano sempre più atipici, flessibili o precari, per trovare un impiego ci si impiega sempre più tempo. Anche, e soprattutto, in quelle regioni dove il lavoro è meno standard. E così si apre ancora di più il divario tra le due Italie. E il lavoro diventa il termometro più spietato di una febbre che non accenna a scendere. Nelle regioni del Mezzogiorno, la ricerca di lavoro pare divenire sempre più una specie di odissea dove il tempo non trascorre mai o trascorre troppo rapidamente senza mai portare frutti.
Secondo i dati dell’indagine Plus dell’Isfol, sono i siciliani e i pugliesi quelli che più di ogni altro si ritrovano a dovere fare i conti con una ricerca che sembra non finire mai. In Sicilia, Puglia e Basilicata la durata media di ricerca di lavoro è di oltre ventidue mesi (vedi tabella). Ma anche in Calabria, Campania e Molise si superano i 19 mesi.
“Alle persone preme soprattutto trovare il lavoro in tempi brevi – ci ha detto Emiliano Mandrone, responsabile dell’indagine Plus (leggi l'intervista integrale) – Infatti dal punto di vista individuale ci si aspetta che la flessibilità riduca i tempi di ricerca di lavoro. Rimarchiamo che se la flessibilità assorbe i disoccupati è buona, ma è cattiva se riduce la stabilità e aumenta la precarietà degli occupati. Invece noi ci accorgiamo che la precarietà del lavoro è su livelli più alti al Sud che al Nord, con esiti preoccupanti a medio termine. Il mercato del lavoro del Sud assorbe poco, con tempi, quote e mesi di permanenza nella disoccupazione maggiori rispetto al Centro-Nord. Se al Nord il mercato tende al tipo anglosassone (se io perdo un lavoro, lo ritrovo velocemente), al Sud, invece, perdere il lavoro vuol dire entrare in un percorso di prove ed errori, di concorsi che non si fanno, di iniziative che partono e poi muoiono, se non anche di iniziative capestro. Con risvolti demoralizzanti.”
Si perché la probabilità di avere un lavoro standard al Sud è molto meno elevata che altrove. In Calabria e Puglia è atipico quasi un lavoro su cinque (il 18%). Elevate le proporzioni anche in Sicilia e Sardegna (vedi tabella). E’ il Piemonte invece la regione dove prevale significativamente il lavoro standard.
Spesso le scelte al Sud sono influenzate anche dal contesto familiare. Ed è proprio nelle regioni dove le pressioni familiari sono più elevate che sale la disponibilità ad accettare un lavoro qualunque. E non conta più se un lavoro è “buono” o meno. La stabilità nel tempo dell’occupazione del partner, scrivono gli autori dell’indagine, aumenta in maniera significativa la soglia di accettazione media per le offerte di lavoro. E così si osserva una forte polarizzazione tra Mezzogiorno da un lato e Centro-Nord dall’altro. In Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, ovvero la quota di persone con un partner con lavoro sicuro è più bassa (intorno all’80%) sale di molto la percentuale di chi si dice disposto a lavorare immediatamente (più del 25%). Mentre in Regioni come Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia dove la quota di persone con partner con un posto sicuro è molto elevata (sopra al 90%) la disponibilità immediata a lavorare anche di chi non ha un lavoro scende in maniera sensibile (tra il 7 e il 9%).
Ma vediamo dove le cose vanno meglio. La regione dove si impiega meno tempo per trovare un impiego è il Trentino Alto Adige dove ai disoccupati in media bastano poco più di quattro mesi. Dinamici anche i mercati della Lombardia (6,8 mesi), Friuli Venezia Giulia (6,9 mesi) ed Emilia Romagna (7,2). Nel Lazio invece si attende un anno circa prima di riuscire a trovare un impiego.
Nelle città europee, secondo i dati dell’Urban Audit Perception Survey, trovare lavoro viene considerato difficile mediamente dal 60% degli intervistati. Le città dove trovare lavoro sembra meno complicato sono Dublino, Manchester, Londra, Helsinki, Parigi e Amsterdam. A Dublino il 47% ritiene che in qualche modo sia semplice trovare un lavoro. All'altro estremo della classifica si trovano Napoli, Berlino, Lisbona, Lipsia e Torino (vedi tabella).
In Italia, dati Cnel-Istat, le persone alla ricerca di un impiego sono quasi due milioni. Più donne (985 mila) che uomini (899 mila). Di questi, 212mila sono laureati, circa 700mila hanno un diploma, altri 700mila la licenza media e 200mila la licenza elementare. Dei 212mila laureati la gran parte (134mila) sono donne mentre gli uomini sono solo 78 mila.
Quanto alla mobilità, circa il dieci per cento dei lavoratori in Italia si sono spostati dalla propria residenza originaria per una nuova. Sette su cento hanno cambiato regione. E’ al Sud che la quota dei lavoratori raggiunge livelli più elevati seppure ancora lontani dalle cifre di una volta. Il 16% dei lavoratori del Sud si sono spostati per lo più al Nord Ovest (il 6,9%) e al Nord Est (il 5,2%). Ma molti sono anche quelli che hanno cambiato residenza pur rimanendo nel Mezzogiorno (il 20,9). A muoversi oggi, a cambiare provincia di residenza, sono soprattutto i laureati (il 15%). E soprattutto ci si sposta per un lavoro a tempo indeterminato. Un sogno, però, difficile da realizzare.
CLASSIFICA REGIONI:
Quanto ci vuole per trovare un lavoro
INTERVISTA:
Emiliano Mandrone, Isfol, responsabile indagine Plus "Premiare la qualità"
LAVORO ATIPICO:
La classifica per regione
TROVARE LAVORO IN EUROPA: Le città dove è facile e dove è difficile
CASA-UFFICIO:
I tempi di percorrenza in minuti
BLOG:
RACCONTA LA TUA ESPERIENZA
Indagine Isfol: nelle regioni del Sud più di venti mesi per un impiego. Tra quattro e sei mesi invece in Lombardia, Friuli, Trentino e Umbria. Come cambiano i tempi di ricerca, la mobilità geografica e quanto si impiega per andare in ufficio nelle regioni italiane.
REGIONI: quanto ci vuole per un lavoro.
LAVORO ATIPICO: % per regione.
TROVARE LAVORO IN EUROPA: dove è facile e dove è difficile.
CASA-UFFICIO: i tempi di percorrenza.
ISFOL: "Premiare la qualità".
BLOG: RACCONTA LA TUA ESPERIENZA
di FEDERICO PACE
I centri per l’impiego, qualche sede delle agenzie per il lavoro. Curriculum spediti a centinaia in risposta agli annunci letti sui giornali e sui siti web. Qualche telefonata in giro. Persino un po’ di lavoro nero. I tentativi tanti, ma i risultati pochi. “Io ho fatto di tutto - racconta L.P., neolaureato di Catania - ho cercato per mesi e bussato a tante porte. Dopo quasi un anno senza risposte, ho deciso di fare un master, ma poi, alla fine, ho trovato solo uno stage di pochi mesi in un’impresa di Milano. Adesso che è finito non so più cosa fare”. Già, adesso, non resta che mettersi di nuovo a cercare.
Nonostante i posti siano sempre più atipici, flessibili o precari, per trovare un impiego ci si impiega sempre più tempo. Anche, e soprattutto, in quelle regioni dove il lavoro è meno standard. E così si apre ancora di più il divario tra le due Italie. E il lavoro diventa il termometro più spietato di una febbre che non accenna a scendere. Nelle regioni del Mezzogiorno, la ricerca di lavoro pare divenire sempre più una specie di odissea dove il tempo non trascorre mai o trascorre troppo rapidamente senza mai portare frutti.
Secondo i dati dell’indagine Plus dell’Isfol, sono i siciliani e i pugliesi quelli che più di ogni altro si ritrovano a dovere fare i conti con una ricerca che sembra non finire mai. In Sicilia, Puglia e Basilicata la durata media di ricerca di lavoro è di oltre ventidue mesi (vedi tabella). Ma anche in Calabria, Campania e Molise si superano i 19 mesi.
“Alle persone preme soprattutto trovare il lavoro in tempi brevi – ci ha detto Emiliano Mandrone, responsabile dell’indagine Plus (leggi l'intervista integrale) – Infatti dal punto di vista individuale ci si aspetta che la flessibilità riduca i tempi di ricerca di lavoro. Rimarchiamo che se la flessibilità assorbe i disoccupati è buona, ma è cattiva se riduce la stabilità e aumenta la precarietà degli occupati. Invece noi ci accorgiamo che la precarietà del lavoro è su livelli più alti al Sud che al Nord, con esiti preoccupanti a medio termine. Il mercato del lavoro del Sud assorbe poco, con tempi, quote e mesi di permanenza nella disoccupazione maggiori rispetto al Centro-Nord. Se al Nord il mercato tende al tipo anglosassone (se io perdo un lavoro, lo ritrovo velocemente), al Sud, invece, perdere il lavoro vuol dire entrare in un percorso di prove ed errori, di concorsi che non si fanno, di iniziative che partono e poi muoiono, se non anche di iniziative capestro. Con risvolti demoralizzanti.”
Si perché la probabilità di avere un lavoro standard al Sud è molto meno elevata che altrove. In Calabria e Puglia è atipico quasi un lavoro su cinque (il 18%). Elevate le proporzioni anche in Sicilia e Sardegna (vedi tabella). E’ il Piemonte invece la regione dove prevale significativamente il lavoro standard.
Spesso le scelte al Sud sono influenzate anche dal contesto familiare. Ed è proprio nelle regioni dove le pressioni familiari sono più elevate che sale la disponibilità ad accettare un lavoro qualunque. E non conta più se un lavoro è “buono” o meno. La stabilità nel tempo dell’occupazione del partner, scrivono gli autori dell’indagine, aumenta in maniera significativa la soglia di accettazione media per le offerte di lavoro. E così si osserva una forte polarizzazione tra Mezzogiorno da un lato e Centro-Nord dall’altro. In Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, ovvero la quota di persone con un partner con lavoro sicuro è più bassa (intorno all’80%) sale di molto la percentuale di chi si dice disposto a lavorare immediatamente (più del 25%). Mentre in Regioni come Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia dove la quota di persone con partner con un posto sicuro è molto elevata (sopra al 90%) la disponibilità immediata a lavorare anche di chi non ha un lavoro scende in maniera sensibile (tra il 7 e il 9%).
Ma vediamo dove le cose vanno meglio. La regione dove si impiega meno tempo per trovare un impiego è il Trentino Alto Adige dove ai disoccupati in media bastano poco più di quattro mesi. Dinamici anche i mercati della Lombardia (6,8 mesi), Friuli Venezia Giulia (6,9 mesi) ed Emilia Romagna (7,2). Nel Lazio invece si attende un anno circa prima di riuscire a trovare un impiego.
Nelle città europee, secondo i dati dell’Urban Audit Perception Survey, trovare lavoro viene considerato difficile mediamente dal 60% degli intervistati. Le città dove trovare lavoro sembra meno complicato sono Dublino, Manchester, Londra, Helsinki, Parigi e Amsterdam. A Dublino il 47% ritiene che in qualche modo sia semplice trovare un lavoro. All'altro estremo della classifica si trovano Napoli, Berlino, Lisbona, Lipsia e Torino (vedi tabella).
In Italia, dati Cnel-Istat, le persone alla ricerca di un impiego sono quasi due milioni. Più donne (985 mila) che uomini (899 mila). Di questi, 212mila sono laureati, circa 700mila hanno un diploma, altri 700mila la licenza media e 200mila la licenza elementare. Dei 212mila laureati la gran parte (134mila) sono donne mentre gli uomini sono solo 78 mila.
Quanto alla mobilità, circa il dieci per cento dei lavoratori in Italia si sono spostati dalla propria residenza originaria per una nuova. Sette su cento hanno cambiato regione. E’ al Sud che la quota dei lavoratori raggiunge livelli più elevati seppure ancora lontani dalle cifre di una volta. Il 16% dei lavoratori del Sud si sono spostati per lo più al Nord Ovest (il 6,9%) e al Nord Est (il 5,2%). Ma molti sono anche quelli che hanno cambiato residenza pur rimanendo nel Mezzogiorno (il 20,9). A muoversi oggi, a cambiare provincia di residenza, sono soprattutto i laureati (il 15%). E soprattutto ci si sposta per un lavoro a tempo indeterminato. Un sogno, però, difficile da realizzare.
CLASSIFICA REGIONI:
Quanto ci vuole per trovare un lavoro
INTERVISTA:
Emiliano Mandrone, Isfol, responsabile indagine Plus "Premiare la qualità"
LAVORO ATIPICO:
La classifica per regione
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