Ci attendono all’entrata del Comune di Aversa, scherzano tra di loro, si sono inventati il “toto-assunzione”. Vincerà chi indovina, tra i 120 Lsu, i due nomi che verranno stabilizzati. Si, due nomi, non due persone, perché gli Lsu non lo sono affatto. “Il nostro è una sorta di lavoro in nero legalizzato, siamo senza identità e una forza lavoro in nero per il Comune è una comodità!” – ci riferisce uno di loro. Ma cosa si intende per Lsu? Sono lavori socialmente utili tutte le attività che hanno per oggetto la realizzazione di opere e la fornitura di servizi di utilità collettiva, mediante l'utilizzo di lavoratori in mobilità o in cassa integrazione guadagni straordinaria o in disoccupazione speciale oppure mediante il coinvolgimento in progetti di lavori socialmente utili di soggetti in cerca di prima occupazione o disoccupati.
La gestione dei lavori socialmente utili è demandata alle Regioni che agiscono sulla base di convenzioni con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. La normativa prevede una serie di incentivi per favorire la stabilizzazione dei lavoratori socialmente utili: incentivi per le imprese e le amministrazioni pubbliche che li assumono, finanziamenti per l'avvio di attività autonome, titoli di preferenza per le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni. Le Regioni possono finanziare con proprie risorse progetti di lavori socialmente utili (cosiddetti lavoratori socialmente utili autofinanziati) ed erogare incentivi per la stabilizzazione degli stessi in aggiunta a quelli finanziati dallo Stato. Lunedì 4 Dicembre, a margine di un confronto tra l’amministrazione comunale e i sindacati di categoria, che è iniziato a settembre con la creazione delle figure APO e la definizione della nuova dotazione organica, in Giunta Comunale è stato varato il Piano occupazionale. “Entro il 31 Dicembre – ci comunica Angelo Liguori dell’ufficio del personale – metteremo a concorso le nuove figure previste nella pianta organica; in particolare ci sarà un concorso interno per l’assunzione di due lavoratori socialmente utili”. Nel bando di concorso, pubblicato lo scorso 5 Dicembre, si legge che la selezione avverrà per titoli e colloquio. Lo scenario che viene fuori dalla nuova pianta organica è che nel piano comunale c’è una carenza di oltre 150 unità. “E’ chiaro che questi buchi vengono tappati da noi Lsu: in Comune ci utilizzano per coprire i buchi di chi va in pensione, siamo economici ed il Comune, che ha perso anche alcune occasioni per stabilizzarci, ne è contento” – ribatte un altro dei lavoratori “fantasma” che si unisce al gruppetto accorso all’entrata della Casa Comunale. Si, lavoratori “fantasma”, perché agli Lsu non vengono riconosciuti gli stessi diritti dei lavoratori dipendenti. Una grande contraddizione traspare da uno dei numerosi decreti legislativi in materia: anche se quello dei lavoratori socialmente utili viene riconosciuto come un tipo di lavoro assimilabile al lavoro dipendente, il loro non viene in alcun modo riconosciuto ai fini previdenziali. Con la nascita della figura dell’ Lsu nel Settembre del 1995 il Comune di Aversa ne contava più di 350. Oggi ne sono diventati 120, di cui 40 sono uomini, tutti con un’età superiore ai 50 anni d’età. Di questi il 30% è in possesso di un Diploma. “Eravamo tutti lavoratori fuoriusciti dalle industrie, molti dall’Indesit, operai, impiegati e l’Inps ha garantito ad ognuno di noi un sussidio di 495 euro, una cifra irrisoria se si pensa che in alcuni casi a trovarsi in questa situazione è il capofamiglia con la moglie casalinga” – continua un altro di loro. A partire dall’amministrazione Golia ad oggi, per 72 fortunati il Comune ha concesso l’integrazione che sommandosi al sussidio dell’Inps ha migliorato, seppur di poco, le condizioni in cui versava la stragrande maggioranza di loro. Nel corso di questi anni è stata trovata, per alcuni, una via d’uscita attraverso la costituzione di cooperative, le più note quelle afferenti al Consorzio di cooperative sociali Icaro, che ha stabilizzato circa 15 lavoratori socialmente utili, a quella dell’acquedotto, che ha inglobato 11 Lsu e degli ausiliari al traffico, che ne ha assunti sempre 11. Alcuni lavoratori sono poi riusciti a stabilizzarsi per conto proprio ed è lapalissiano che in questi interminabili anni molti siano andati in pensione. Dei 120 Lsu attualmente presenti ad Aversa non tutti sono impiegati negli uffici comunali: un gruppo è stato destinato all’assistenza per gli anziani, nelle scuole, alla cura del verde pubblico, alla collocazione della segnaletica stradale. “Siamo stanchi, scoraggiati, demotivati – esordisce uno tra loro, sarebbe ora che a livello governativo si provvedesse a trovare uno sbocco a un problema che lo Stato si porta dietro da anni; la nuova Finanziaria poi non ci è venuta incontro: il Governo ha dato la possibilità ai Comuni al di sotto di 5000 abitanti, una minima parte dei circa 800 comuni italiani, di stabilizzare i propri Lsu. Non ci sta bene in quanto la maggior parte dei comuni va dai 10000 abitanti in giù”. Apprendiamo che in uno dei più recenti decreti legislativi che ha regolato la normativa in materia è stato stabilito che ogni ente, in vista di assunzioni, deve impegnarsi a riservare il 50% dei posti disponibili ai lavoratori socialmente utili, ma non ci risulta che in tutto l’agro aversano in questo lungo periodo ciò sia avvenuto. Nella farraginosa e complicata vicenda degli Lsu una cosa è certa, che fin quando è lo Stato, attraverso l’Inps, a pagare in Comune fanno festa, si sfrutta al massimo una forza lavoro conveniente e a basso prezzo e si cerca di evitare nuove assunzioni per coprire le sedie vuote di coloro che sono andati in pensione, tanto ci sono i lavoratori socialmente utili a rendere un buon servizio che non ha nulla in meno di quello dei lavoratori dipendenti. “Allo stato attuale il Comune di Aversa con i suoi 120 Lsu, che non potrebbe mai stabilizzare tutti, altrimenti andrebbe in un ampio deficit di bilancio, è in una posizione senza dubbio più limpida rispetto a tutti gli altri comuni dell’agro aversano” – continua Angelo Liguori dell’ufficio del personale. “Ed è vero – conclude un Lsu che mi avvicina; in tutti questi anni qui al Comune di Aversa abbiamo sempre assicurato un ottimo lavoro ed abbiamo occupato dei posti importanti all’interno della macchina burocratica. Se, ad esempio, un giorno uno di noi viene meno non ci sarebbe un altro a fare il suo lavoro, l’apparato amministrativo, per quel determinato ambito, si fermerebbe appunto per un giorno”. Non ci troviamo certamente in un contesto come questo se ci spostiamo in qualsiasi altro comune dell’agro aversano in cui la stragrande maggioranza dei lavoratori socialmente utili timbrano il cartellino marcatempo la mattina e poi si dileguano, magari perché all’interno della loro macchina amministrativa sono un di più e non ci sarebbe lavoro per loro e soprattutto perché, se vogliono sostenere la propria famiglia, devono necessariamente intrattenere una seconda attività lavorativa.
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27.12.06
24.12.06
No al precariato, si protesta ancora contro i call center
In via Lamaro i dipendenti di Atesia protestano ancora contro le dure condizioni contrattuali imposte
di Veronica D’Amico
Nessuna tregua natalizia per i dipendenti di Atesia, l’enorme call center di Via Lamaro a Cinecittà, che non contenti dei recenti risultati ottenuti grazie al sindacato si ritrovano ancora una volta tutti in strada per protestare contro le nuove condizioni contrattuali imposte loro dall’azienda.
Appena qualche mese fa, grazie all’intervento dei mass media, era venuta alla luce l’inquietante situazione dei dipendenti dei call center, tutti precari dal primo all’ultimo, spesso assunti con un contratto stagionale o a progetto, ed altrettanto frequentemente subordinati ad uno stipendio non solo scarsamente gratificante ma scarno al tempo stesso. Quindici centesimi a contatti utili sono tutte quelle telefonate dove l’operatore riesce a trattenere in linea l’utente per almeno un minuto d’orologio, e dunque a presentargli il servizio su cui in quel momento il call center ha l’appalto. Ma quanti di noi, spesso stufi di sentirsi rifilare questo o quel prodotto, mettono giù la cornetta lasciando inconsapevoli dall’altra parte un povero operatore che neanche quella volta sarà riuscito nell’intento di guadagnarsi il ricco emolumento?
Così per ovviare ad una situazione occupazionale drammatica dove il precariato la fa da padroni, il 13 dicembre sindacati e Atesia hanno firmato un accordo secondo cui l’azienda prometteva di assumere tutti i suoi dipendenti attuali con un contratto a tempo indeterminato. E la promessa è stata ad oggi mantenuta ma con risultati men che meno allettanti per i lavoratori: i contratti a tempo indeterminato stipulati recentemente sono infatti tutti dei part-time orizzontali dove ai dipendenti viene richiesta una disponibilità oraria totalmente flessibile. Ciò significa lavorare 20 ore a settimana, 4 ore al giorno con turni che possono variare dalla mattina alla sera, impedendo agli assunti di avere la possibilità di trovare un secondo lavoro per arrotondare con il primo. Non solo, ma a sentire le recenti proteste sfociate in Via Lamaro, l’occupazione part-time produce una remunerazione mensile inutile per vivere, mentre prima seppur precari si aveva l’opportunità di lavorare per più ore e guadagnare di più.
Insomma per le 6.004 persone che oggi hanno un contratto Atesia la dura lotta contro il potere per ottenere un minimo di dignità occupazionale non si ferma qui.
22/12/2006
di Veronica D’Amico
Nessuna tregua natalizia per i dipendenti di Atesia, l’enorme call center di Via Lamaro a Cinecittà, che non contenti dei recenti risultati ottenuti grazie al sindacato si ritrovano ancora una volta tutti in strada per protestare contro le nuove condizioni contrattuali imposte loro dall’azienda.
Appena qualche mese fa, grazie all’intervento dei mass media, era venuta alla luce l’inquietante situazione dei dipendenti dei call center, tutti precari dal primo all’ultimo, spesso assunti con un contratto stagionale o a progetto, ed altrettanto frequentemente subordinati ad uno stipendio non solo scarsamente gratificante ma scarno al tempo stesso. Quindici centesimi a contatti utili sono tutte quelle telefonate dove l’operatore riesce a trattenere in linea l’utente per almeno un minuto d’orologio, e dunque a presentargli il servizio su cui in quel momento il call center ha l’appalto. Ma quanti di noi, spesso stufi di sentirsi rifilare questo o quel prodotto, mettono giù la cornetta lasciando inconsapevoli dall’altra parte un povero operatore che neanche quella volta sarà riuscito nell’intento di guadagnarsi il ricco emolumento?
Così per ovviare ad una situazione occupazionale drammatica dove il precariato la fa da padroni, il 13 dicembre sindacati e Atesia hanno firmato un accordo secondo cui l’azienda prometteva di assumere tutti i suoi dipendenti attuali con un contratto a tempo indeterminato. E la promessa è stata ad oggi mantenuta ma con risultati men che meno allettanti per i lavoratori: i contratti a tempo indeterminato stipulati recentemente sono infatti tutti dei part-time orizzontali dove ai dipendenti viene richiesta una disponibilità oraria totalmente flessibile. Ciò significa lavorare 20 ore a settimana, 4 ore al giorno con turni che possono variare dalla mattina alla sera, impedendo agli assunti di avere la possibilità di trovare un secondo lavoro per arrotondare con il primo. Non solo, ma a sentire le recenti proteste sfociate in Via Lamaro, l’occupazione part-time produce una remunerazione mensile inutile per vivere, mentre prima seppur precari si aveva l’opportunità di lavorare per più ore e guadagnare di più.
Insomma per le 6.004 persone che oggi hanno un contratto Atesia la dura lotta contro il potere per ottenere un minimo di dignità occupazionale non si ferma qui.
22/12/2006
Ricerca, università: per fortuna, io credo nella Befana
Marina Montacutelli*, 24 dicembre 2006
Letterina di Natale
Avevo preparato la letterina e l'avevo data per tempo a un signore coi baffi che mi sembrava proprio perbene. Avevo chiesto appena qualche soldino e il cominciare a ridarci un po' di speranza e di dignità: mi avevano spiegato che Babbo Natale quest'anno è povero. Poi, ho aspettato. Ed è successo che...
Ho scoperto che Babbo Natale non esiste: è terribile, anzi terribilissimo.
E' andata così.
Avevo preparato la letterina e l'avevo data per tempo a un signore coi baffi che mi sembrava proprio perbene. Sono previdente, io.
Non avevo chiesto tanto: mi avevano spiegato che Babbo Natale, quest'anno, è povero; mi avevano anche detto che siamo tanti: che ci sono i tassisti che menano e pure i notai che se lo annotano. E che ci sono i bisognosi, col macchinone fuoristrada o il negozio birichino. Insomma, avevo capito: sono giudiziosa, io.
Anche se mi ricordavo bene che l'altr'anni avevo trovato sotto l'alberello solo i gusci delle noci, e l'ultimo neanche quelli, avevo chiesto appena qualche soldino e il cominciare a ridarci un po' di speranza e di dignità. Poi, ho aspettato. Cercando di far la brava, è naturale. Io lo so che bisogna comportarsi bene e crederci tanto tanto, se vuoi che arrivi qualcosa. Io lo so che i bambini sono bambini e Babbo Natale è Babbo Natale: ciascuno al suo posto, insomma; ciascuno secondo le sue responsabilità, ciascuno secondo le sue competenze, dicono. Però si può anche parlare, ci si può anche aiutare. Magari è utile, disturbare ogni tanto il manovratore. E gliel'ho detto, al signore coi baffi, che Babbo Natale ci aveva promesso tanto l'altr'anno. Sono discola, io. E ho memoria, io.
Poi è successo che hanno cominciato tutti a litigare: non ho capito bene, per la verità. Dev'essere una cosa di grandi. Però vedevo il signore coi baffi agitarsi tanto e non succedeva niente: non lo so se è perché non conta tanto lui o perché Babbo Natale è cattivo o ha cambiato idea su questa storia della ricerca e dell'università come futuro del paese. E allora ho pensato che nella letterina avrei dovuto aggiungere che i soldini servono per scoprire a quale specie appartengono le renne, oppure cosa mangiano, oppure come si curano. Magari suggerendogli - come si usa adesso - che ci guadagna anche lui, che gli può tornare utile e non è solo cosa che si dice pensando alle favole, Babbo Natale forse si dava una regolata. Sono tarda, io.
Poi, ho capito pure io: Babbo Natale non esiste. E il signore coi baffi non lo so se gli perdona tutto perché ci crede ancora o è scurnacchiat' assaje. Il fatto è che neanche se mi avviluppo il cervello nella resina e fodero gli occhi in una fiducia davvero smarrita posso tornare a crederci, a Babbo Natale.
Ma c'è una cosa più grave ancora: non solo non esiste, o forse ha appeso la slitta al chiodo e mandato le renne a pascolare in ordine sparso: vuol farci credere che volano pure gli asini. E allora non ci sto. Sono analitica, io.
Perché se uso le tabelline, tre più due mi viene dubbio risultato; se mi impegno nel calcolo combinatorio, mi chiedo a che servono i dottori di ricerca: sono così tanti che ormai li prepara il cepu. Se passo all'analisi logica, non distinguo bene le università principali da quelle subordinate ma ne sento l'odorino come quando si brucia la torta (e chi andrà in castigo?); se il dizionario, mi dico che all'autorità che valuta e controlla preferirei l'autorevolezza. E quando mi tocca la biologia, vedo che hanno allevato le larve: quelle degli enti; e non ho ben capito che esperimento vogliono farci e se per comprovar l'eutanasia oppure il suicidio. Soprattutto, e questo riguarda l'ora di etica, sento una politica che delegittima se stessa: e non è antipolitica il gridarlo; sento aria di provincialismo, di rese dei conti interne. Di quattro spiccioli, e i precari stanno tutti lì: per programmare bisognerebbe fare un salto nel futuro e non ratificare le calze coi buchi o sancire i buchi sulle calze. Vedo mancette private: ma speriamo che Babbo Natale abbia sbagliato camino.
Sono stanca, io. Qui volano i cervelli, e gli asini siamo noi. Vorrei che fosse Pasqua, ma quella passata: quando le speranze c'erano tutte, ancora. E' triste, il Natale: l'allegrezza piena, e la fiducia, le ritrovi affogate quest'anno nella gravezza della disillusione. Non abbiamo più, proprio più, le parole per dirlo; anche, per crederci. Abbiamo solo la forza di sussurrare, giacché quella di parlare non ci è data: non fate niente. Lasciateci in pace.
Per fortuna, io credo nella Befana. La Befana è diversa da Babbo Natale: è donna, e pure meridionale. La Befana sfida la forza di gravità e le calze rotte sa cosa sono. La Befana non si veste coi colori della Coca Cola: ha personalità e dignità; un piano di volo non solo in base agli ordinativi, ma con obiettivi precisi e priorità. La Befana un programma ce l'ha davvero e sa distinguere le ciminiere dai comignoli.
La Befana sa cosa è proprio indifferibile; si ricorda che sapere sarà pure patire: ma che questo è già successo, e poi patire è altro da patimento; e che gli dei - che vogliono per definizione e non per conteggio postumo tener saldo il timone del mondo - devono prima o poi abbandonare la tracotanza, l'autolesionismo e l'autoreferenzialità se vogliono ‘ncamminarsi sulla diritta via. Non è difficile e non serve neanche il navigatore satellitare: basta la bussola di Flavio Gioia, o chi per lui., e qualche idea. Da parte nostra - che dei non siamo, né ci sentiamo - non cerchiamo più nemmen le stelle, che pure ci avevano promesso: ci basterebbe mantener i piedi in terra, e non in un continuo, estenuante, inutile rullio di una nave che va sempre e non viene mai; ci basterebbe che si smettesse di indicar la luna, quando non si vuole offrire nemmeno il dito. La Befana tutto questo, e altro ancora, lo sa.
La Befana esiste, senza dubbio. La Befana esiste, speriamo. Non muriamo i camini, ancora.
Buon anno, intanto.
*ricercatrice
Letterina di Natale
Avevo preparato la letterina e l'avevo data per tempo a un signore coi baffi che mi sembrava proprio perbene. Avevo chiesto appena qualche soldino e il cominciare a ridarci un po' di speranza e di dignità: mi avevano spiegato che Babbo Natale quest'anno è povero. Poi, ho aspettato. Ed è successo che...
Ho scoperto che Babbo Natale non esiste: è terribile, anzi terribilissimo.
E' andata così.
Avevo preparato la letterina e l'avevo data per tempo a un signore coi baffi che mi sembrava proprio perbene. Sono previdente, io.
Non avevo chiesto tanto: mi avevano spiegato che Babbo Natale, quest'anno, è povero; mi avevano anche detto che siamo tanti: che ci sono i tassisti che menano e pure i notai che se lo annotano. E che ci sono i bisognosi, col macchinone fuoristrada o il negozio birichino. Insomma, avevo capito: sono giudiziosa, io.
Anche se mi ricordavo bene che l'altr'anni avevo trovato sotto l'alberello solo i gusci delle noci, e l'ultimo neanche quelli, avevo chiesto appena qualche soldino e il cominciare a ridarci un po' di speranza e di dignità. Poi, ho aspettato. Cercando di far la brava, è naturale. Io lo so che bisogna comportarsi bene e crederci tanto tanto, se vuoi che arrivi qualcosa. Io lo so che i bambini sono bambini e Babbo Natale è Babbo Natale: ciascuno al suo posto, insomma; ciascuno secondo le sue responsabilità, ciascuno secondo le sue competenze, dicono. Però si può anche parlare, ci si può anche aiutare. Magari è utile, disturbare ogni tanto il manovratore. E gliel'ho detto, al signore coi baffi, che Babbo Natale ci aveva promesso tanto l'altr'anno. Sono discola, io. E ho memoria, io.
Poi è successo che hanno cominciato tutti a litigare: non ho capito bene, per la verità. Dev'essere una cosa di grandi. Però vedevo il signore coi baffi agitarsi tanto e non succedeva niente: non lo so se è perché non conta tanto lui o perché Babbo Natale è cattivo o ha cambiato idea su questa storia della ricerca e dell'università come futuro del paese. E allora ho pensato che nella letterina avrei dovuto aggiungere che i soldini servono per scoprire a quale specie appartengono le renne, oppure cosa mangiano, oppure come si curano. Magari suggerendogli - come si usa adesso - che ci guadagna anche lui, che gli può tornare utile e non è solo cosa che si dice pensando alle favole, Babbo Natale forse si dava una regolata. Sono tarda, io.
Poi, ho capito pure io: Babbo Natale non esiste. E il signore coi baffi non lo so se gli perdona tutto perché ci crede ancora o è scurnacchiat' assaje. Il fatto è che neanche se mi avviluppo il cervello nella resina e fodero gli occhi in una fiducia davvero smarrita posso tornare a crederci, a Babbo Natale.
Ma c'è una cosa più grave ancora: non solo non esiste, o forse ha appeso la slitta al chiodo e mandato le renne a pascolare in ordine sparso: vuol farci credere che volano pure gli asini. E allora non ci sto. Sono analitica, io.
Perché se uso le tabelline, tre più due mi viene dubbio risultato; se mi impegno nel calcolo combinatorio, mi chiedo a che servono i dottori di ricerca: sono così tanti che ormai li prepara il cepu. Se passo all'analisi logica, non distinguo bene le università principali da quelle subordinate ma ne sento l'odorino come quando si brucia la torta (e chi andrà in castigo?); se il dizionario, mi dico che all'autorità che valuta e controlla preferirei l'autorevolezza. E quando mi tocca la biologia, vedo che hanno allevato le larve: quelle degli enti; e non ho ben capito che esperimento vogliono farci e se per comprovar l'eutanasia oppure il suicidio. Soprattutto, e questo riguarda l'ora di etica, sento una politica che delegittima se stessa: e non è antipolitica il gridarlo; sento aria di provincialismo, di rese dei conti interne. Di quattro spiccioli, e i precari stanno tutti lì: per programmare bisognerebbe fare un salto nel futuro e non ratificare le calze coi buchi o sancire i buchi sulle calze. Vedo mancette private: ma speriamo che Babbo Natale abbia sbagliato camino.
Sono stanca, io. Qui volano i cervelli, e gli asini siamo noi. Vorrei che fosse Pasqua, ma quella passata: quando le speranze c'erano tutte, ancora. E' triste, il Natale: l'allegrezza piena, e la fiducia, le ritrovi affogate quest'anno nella gravezza della disillusione. Non abbiamo più, proprio più, le parole per dirlo; anche, per crederci. Abbiamo solo la forza di sussurrare, giacché quella di parlare non ci è data: non fate niente. Lasciateci in pace.
Per fortuna, io credo nella Befana. La Befana è diversa da Babbo Natale: è donna, e pure meridionale. La Befana sfida la forza di gravità e le calze rotte sa cosa sono. La Befana non si veste coi colori della Coca Cola: ha personalità e dignità; un piano di volo non solo in base agli ordinativi, ma con obiettivi precisi e priorità. La Befana un programma ce l'ha davvero e sa distinguere le ciminiere dai comignoli.
La Befana sa cosa è proprio indifferibile; si ricorda che sapere sarà pure patire: ma che questo è già successo, e poi patire è altro da patimento; e che gli dei - che vogliono per definizione e non per conteggio postumo tener saldo il timone del mondo - devono prima o poi abbandonare la tracotanza, l'autolesionismo e l'autoreferenzialità se vogliono ‘ncamminarsi sulla diritta via. Non è difficile e non serve neanche il navigatore satellitare: basta la bussola di Flavio Gioia, o chi per lui., e qualche idea. Da parte nostra - che dei non siamo, né ci sentiamo - non cerchiamo più nemmen le stelle, che pure ci avevano promesso: ci basterebbe mantener i piedi in terra, e non in un continuo, estenuante, inutile rullio di una nave che va sempre e non viene mai; ci basterebbe che si smettesse di indicar la luna, quando non si vuole offrire nemmeno il dito. La Befana tutto questo, e altro ancora, lo sa.
La Befana esiste, senza dubbio. La Befana esiste, speriamo. Non muriamo i camini, ancora.
Buon anno, intanto.
*ricercatrice
City of gods, una voce della cospirazione precaria
Scarica City of God: freepress
No, non è subvertising (se non siete giornalisti potete passare alla riga sotto). O almeno, non solo.
Cosa avete in mano, o sul vostro schermo
City of gods - il primo free & free press (ovvero libero e gratuito) - è stato distribuito in 50.000 copie nelle città di Milano. E' la parola delle precarie e dei precari dell'informazione che si rivolge alle precarie e ai precari in generale.
I media non sono più un prodotto che vende informazioni al pubblico (troverete stime e dati all'interno di City of gods) ): sono lo spazio dell'inserzionista attraverso il quale l'editore vende i propri lettori, voi. E' un servizio che tra l'altro pagate pure 90 centesimi, 1 euro, 1 euro e 10. Più soldi hanno i lettori, più gli editori si arricchiscono dalla vendita degli spazi pubblicitari.
All'interno di questo meccanismo ci sono i giornalisti, precari, free lance, senza contratto, a cottimo, a pezzo, a parola, a riga, a comete millenarie e casi del destino. Precari e precarie sottoposti al ricatto dei precarizzatori, della manchette, della pagina di pubblicità all'ultimo momento, del “non
spingere troppo su questi che sono i nostri inserzionisti”, della creazione di quel complesso meccanismo di informazione, disinformazione che vi fa credere che se la vostra vita
è una merda, non potete farci un granché.
Per questo City of God è free & free: gratis, ma soprattutto libero, nelle parole, nell'irriverenza, nelle critiche, nello stile precario.
Per questo, in occasione dello sciopero dei giornalisti, che incredibilmente, ma non certo
casualmente, visto il contesto, da due anni aspettano che gli editori si siedano al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro precari e precari dell'informazione e non, hanno deciso di uscire con City of Gods: la stagione della cospirazione precaria è iniziata.
E ancora una volta i precari hanno preso la parola, attivandosi cospirando e creando relazioni e complicità che permettono di stampare, distribuire 50 mila copie di City of Gods (e scriverne il contenuto che per una volta, non ti precarizza, ma ti informa).
Al principio
"Al principio" fu la parola, poi venne il racconto ed infine l’informazione. A questo punto la storia presenta una sorpresa, o quasi: il diritto all’informazione si trasforma immediatamente nella disinformazione compensatrice delle vostre sfighe quotidiane, affinché esse siano “inevitabili”, “oggettive”, “certe”, “inattaccabili”.
Insieme, informazione + disinformazione, diventano propaganda, che trova nei media di massa il naturale alleato e nel brand la sua punta di diamante. Nella costruzione del brand, intimamente connesso alle informazioni che leggete ogni giorno sui giornali o sentite in radio e televisione,
è celato un meccanismo più complesso di quello che potrebbe sembrare.
Nel brand si determina la strutturazione di un potente retro_informatore che agisce anticipando l’informazione, creando quel bacino comporta/mentale all’interno del quale l’informazione stessa, e il suo contrario, si collocano. E’ un processo comunicazionale superiore alla propaganda. La rende, alternativamente, compatibile o inutile. In ciò tutta la difficoltà del presente. Ma anche il terreno
su cui agire.
L'intelligence precaria
Se vi siete persi il numero odierno di City of Gods lo troverete sul sito dell’intelligence precaria, che si attiva proprio da oggi in intima e sinergica collaborazione con i giornalisti e le giornaliste precari e precarie. L’intelligence è patrimonio comune dei precari e non solo del giornalismo. In esso confluiranno le mille sfaccettature dell’oppressione dei precarizzatori e dei contropiedi precari.
Ma che cosa rappresenta questo sito?
Immaginate un sito che non è un semplicemente tale, ma piuttosto un luogo che fa circolare informazione, non per informare, bensì per formare quel bacino di notizie da cui si estrarrà il bazar della creazione di conflitto. E che contiene anche i prodotti di queste creazioni e gli strumenti che le hanno consentite. Un sito crudele e spietato, scorretto verso le imprese, le istituzioni sociali, le merci ad alto contenuto ideologico e tutti i loro gli adepti: fazioso ma mai frazioso. Un sito che ha la classe del purosangue, la ricchezza del meticcio; che non esercita fashionismo e brigantaggio culturale, che vive da sé, con quello che fa e per quello che dà. Pone questioni di stile, perché lo stile è importante, e chiede, just in time, relazioni e complicità.
City of gods, una voce della cospirazione precaria
No, non è subvertising (se non siete giornalisti potete passare alla riga sotto). O almeno, non solo.
Cosa avete in mano, o sul vostro schermo
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I media non sono più un prodotto che vende informazioni al pubblico (troverete stime e dati all'interno di City of gods) ): sono lo spazio dell'inserzionista attraverso il quale l'editore vende i propri lettori, voi. E' un servizio che tra l'altro pagate pure 90 centesimi, 1 euro, 1 euro e 10. Più soldi hanno i lettori, più gli editori si arricchiscono dalla vendita degli spazi pubblicitari.
All'interno di questo meccanismo ci sono i giornalisti, precari, free lance, senza contratto, a cottimo, a pezzo, a parola, a riga, a comete millenarie e casi del destino. Precari e precarie sottoposti al ricatto dei precarizzatori, della manchette, della pagina di pubblicità all'ultimo momento, del “non
spingere troppo su questi che sono i nostri inserzionisti”, della creazione di quel complesso meccanismo di informazione, disinformazione che vi fa credere che se la vostra vita
è una merda, non potete farci un granché.
Per questo City of God è free & free: gratis, ma soprattutto libero, nelle parole, nell'irriverenza, nelle critiche, nello stile precario.
Per questo, in occasione dello sciopero dei giornalisti, che incredibilmente, ma non certo
casualmente, visto il contesto, da due anni aspettano che gli editori si siedano al tavolo delle trattative per il rinnovo del contratto di lavoro precari e precari dell'informazione e non, hanno deciso di uscire con City of Gods: la stagione della cospirazione precaria è iniziata.
E ancora una volta i precari hanno preso la parola, attivandosi cospirando e creando relazioni e complicità che permettono di stampare, distribuire 50 mila copie di City of Gods (e scriverne il contenuto che per una volta, non ti precarizza, ma ti informa).
Al principio
"Al principio" fu la parola, poi venne il racconto ed infine l’informazione. A questo punto la storia presenta una sorpresa, o quasi: il diritto all’informazione si trasforma immediatamente nella disinformazione compensatrice delle vostre sfighe quotidiane, affinché esse siano “inevitabili”, “oggettive”, “certe”, “inattaccabili”.
Insieme, informazione + disinformazione, diventano propaganda, che trova nei media di massa il naturale alleato e nel brand la sua punta di diamante. Nella costruzione del brand, intimamente connesso alle informazioni che leggete ogni giorno sui giornali o sentite in radio e televisione,
è celato un meccanismo più complesso di quello che potrebbe sembrare.
Nel brand si determina la strutturazione di un potente retro_informatore che agisce anticipando l’informazione, creando quel bacino comporta/mentale all’interno del quale l’informazione stessa, e il suo contrario, si collocano. E’ un processo comunicazionale superiore alla propaganda. La rende, alternativamente, compatibile o inutile. In ciò tutta la difficoltà del presente. Ma anche il terreno
su cui agire.
L'intelligence precaria
Se vi siete persi il numero odierno di City of Gods lo troverete sul sito dell’intelligence precaria, che si attiva proprio da oggi in intima e sinergica collaborazione con i giornalisti e le giornaliste precari e precarie. L’intelligence è patrimonio comune dei precari e non solo del giornalismo. In esso confluiranno le mille sfaccettature dell’oppressione dei precarizzatori e dei contropiedi precari.
Ma che cosa rappresenta questo sito?
Immaginate un sito che non è un semplicemente tale, ma piuttosto un luogo che fa circolare informazione, non per informare, bensì per formare quel bacino di notizie da cui si estrarrà il bazar della creazione di conflitto. E che contiene anche i prodotti di queste creazioni e gli strumenti che le hanno consentite. Un sito crudele e spietato, scorretto verso le imprese, le istituzioni sociali, le merci ad alto contenuto ideologico e tutti i loro gli adepti: fazioso ma mai frazioso. Un sito che ha la classe del purosangue, la ricchezza del meticcio; che non esercita fashionismo e brigantaggio culturale, che vive da sé, con quello che fa e per quello che dà. Pone questioni di stile, perché lo stile è importante, e chiede, just in time, relazioni e complicità.
City of gods, una voce della cospirazione precaria
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22.12.06
Fma, stabilizzazione per i precari: cresce la produzione
Avellino
I dirigenti della Fma di Pratola Serra, azienda del gruppo Fiat comunicano la stabilizzazione dei lavoratori che erano stati assunti con contratto a tempo determinato ed il prolungamento sino al prossimo giugno di quelli assunti con contratto interinale. Questi lavoratori avrebbero dovuto cessare di lavorare presso la Fma il prossimo 31 dicembre.
La decisione testimonia come, dopo diversi anni di recessione, sia in aumento il mercato delle auto e soprattutto di quelle prodotte dalla Fiat. Il direttore della Fma annuncia infatti un aumento di produzione dei motori che vengono assemblat nella fabbrica irpina. In questo anno che sta passando il 2006 la fabbrica di Pratola Serra ha fatto uscire dalle sua officine 530 mila motori. Per il prossimo anno, il 2007, si prevede un aumento di produzione di 80 mila unità. Saranno, infatti, 630 mila i motori che verranno prodotti. Il buon momento del mercato automobilistico. Questo ha determinato un’ottima ricaduta su i livelli occupazionali. Il buon momento della Fiat dovrebbe continuare nei prossimi anni.
22-12-2006
I dirigenti della Fma di Pratola Serra, azienda del gruppo Fiat comunicano la stabilizzazione dei lavoratori che erano stati assunti con contratto a tempo determinato ed il prolungamento sino al prossimo giugno di quelli assunti con contratto interinale. Questi lavoratori avrebbero dovuto cessare di lavorare presso la Fma il prossimo 31 dicembre.
La decisione testimonia come, dopo diversi anni di recessione, sia in aumento il mercato delle auto e soprattutto di quelle prodotte dalla Fiat. Il direttore della Fma annuncia infatti un aumento di produzione dei motori che vengono assemblat nella fabbrica irpina. In questo anno che sta passando il 2006 la fabbrica di Pratola Serra ha fatto uscire dalle sua officine 530 mila motori. Per il prossimo anno, il 2007, si prevede un aumento di produzione di 80 mila unità. Saranno, infatti, 630 mila i motori che verranno prodotti. Il buon momento del mercato automobilistico. Questo ha determinato un’ottima ricaduta su i livelli occupazionali. Il buon momento della Fiat dovrebbe continuare nei prossimi anni.
22-12-2006
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21.12.06
Invalsi e Ministero dell'istruzione: divorzio all'italiana
Nel nome di San Precario
di Valerio Di Paola
21/12/2006
Con ogni probabilità il 31 dicembre i 71 precari di Invalsi vedranno scadere il loro contratto con il Ministero dell'istruzione e andranno a casa. Di mestiere, l'Invalsi compila e verifica test per valutare le conoscenze degli studenti italiani nelle scuole elementari e medie. I dati un po' astratti che vengono fuori servono al Ministero per dissertare di scolarizzazione in sedi ovattate come il Parlamento europeo. Soprattutto, servono ad ogni scuola per correre ai ripari in caso di gravi deficienze grazie all'autonomia scolastica, ossia la possibilità di gestire in modo creativo le proprie, scarse, risorse. Invalsi si è lamentata di molta stampa, per alcuni articoli che "veicolano l'impressione che il personale sia numeroso, costoso e incapace" e che i risultati prodotti dall'istituto di ricerca siano inattendibili. Ma i professori dicono che i test, formalmente, sono ineccepibili: allora dov'è il problema?
Sarà pigrizia o diffidenza verso il nuovo, ma molti insegnati hanno subito l'Invalsi con fastidio: accadeva quando i test erano facoltativi e dopo, quando il ministro Moratti li ha resi obbligatori. Il primo difetto dei test, dicono, è strutturale. Le domandine "all'americana", le crocette e le risposte multiple mal si adattano al nostro sistema d'insegnamento, concettuale e discorsivo: chiunque sia stato tra i banchi ne ha un pur vago ricordo. Molti poi sono convinti che il test possa tramutarsi in un pericoloso strumento di valutazione del proprio operato: i questionari non tengono conto di variabili come la territorialità, il degrado sociale o la scarsa scolarizzazione, eppure fanno la differenza tra una classe modello e una di asini. Un test Invalsi, dunque, può diventare un oggetto contundente da utilizzare nelle rivalità tra colleghi e dirigenti, nelle faide che affliggono numerose scuole pubbliche del paese. Così i test sono finiti a fare compagnia ad un'altra bestia nera degli insegnati italiani, il "portfolio delle competenze": il ricco e voluminoso dossier che avrebbe dovuto accompagnare tutta la carriera scolastica. Complicatissimo da compilare e oggi sospeso dal ministro Fioroni, il portfolio è un documento un po' inquietante: ricorda quelle diaboliche schede giapponesi che causano numerosi suicidi, per cui a un bambino dell'asilo poco brillante sarà precluso domani l'ingresso alle università più prestigiose.
L'Invalsi, lamentano gli insegnanti, è nato dalla sacrosanta esigenza di valutare la qualità della scuola e risolverne le magagne ma ha lavorato per anni ai suoi test senza calarsi nelle problematiche reali, producendo risultati falsati da piccoli e grandi boicottaggi. Negli anni, l'attività di screening inizia addirittura nel 1996, si sono succeduti Ministri di colore diverso, senza avvertire l'esigenza di correggere il tiro. Oggi un nuovo Ministro chiude bottega senza sentire ragioni e mette per strada 71 precari incolpevoli: insomma, pura commedia all'italiana.
di Valerio Di Paola
21/12/2006
Con ogni probabilità il 31 dicembre i 71 precari di Invalsi vedranno scadere il loro contratto con il Ministero dell'istruzione e andranno a casa. Di mestiere, l'Invalsi compila e verifica test per valutare le conoscenze degli studenti italiani nelle scuole elementari e medie. I dati un po' astratti che vengono fuori servono al Ministero per dissertare di scolarizzazione in sedi ovattate come il Parlamento europeo. Soprattutto, servono ad ogni scuola per correre ai ripari in caso di gravi deficienze grazie all'autonomia scolastica, ossia la possibilità di gestire in modo creativo le proprie, scarse, risorse. Invalsi si è lamentata di molta stampa, per alcuni articoli che "veicolano l'impressione che il personale sia numeroso, costoso e incapace" e che i risultati prodotti dall'istituto di ricerca siano inattendibili. Ma i professori dicono che i test, formalmente, sono ineccepibili: allora dov'è il problema?
Sarà pigrizia o diffidenza verso il nuovo, ma molti insegnati hanno subito l'Invalsi con fastidio: accadeva quando i test erano facoltativi e dopo, quando il ministro Moratti li ha resi obbligatori. Il primo difetto dei test, dicono, è strutturale. Le domandine "all'americana", le crocette e le risposte multiple mal si adattano al nostro sistema d'insegnamento, concettuale e discorsivo: chiunque sia stato tra i banchi ne ha un pur vago ricordo. Molti poi sono convinti che il test possa tramutarsi in un pericoloso strumento di valutazione del proprio operato: i questionari non tengono conto di variabili come la territorialità, il degrado sociale o la scarsa scolarizzazione, eppure fanno la differenza tra una classe modello e una di asini. Un test Invalsi, dunque, può diventare un oggetto contundente da utilizzare nelle rivalità tra colleghi e dirigenti, nelle faide che affliggono numerose scuole pubbliche del paese. Così i test sono finiti a fare compagnia ad un'altra bestia nera degli insegnati italiani, il "portfolio delle competenze": il ricco e voluminoso dossier che avrebbe dovuto accompagnare tutta la carriera scolastica. Complicatissimo da compilare e oggi sospeso dal ministro Fioroni, il portfolio è un documento un po' inquietante: ricorda quelle diaboliche schede giapponesi che causano numerosi suicidi, per cui a un bambino dell'asilo poco brillante sarà precluso domani l'ingresso alle università più prestigiose.
L'Invalsi, lamentano gli insegnanti, è nato dalla sacrosanta esigenza di valutare la qualità della scuola e risolverne le magagne ma ha lavorato per anni ai suoi test senza calarsi nelle problematiche reali, producendo risultati falsati da piccoli e grandi boicottaggi. Negli anni, l'attività di screening inizia addirittura nel 1996, si sono succeduti Ministri di colore diverso, senza avvertire l'esigenza di correggere il tiro. Oggi un nuovo Ministro chiude bottega senza sentire ragioni e mette per strada 71 precari incolpevoli: insomma, pura commedia all'italiana.
Potrebbe arrivare a soluzione, questa settimana, la protesta dei lavoratori precari della Croce rossa italiana.
Giovedì alle 11.30 è stato fissato un incontro al ministero della Salute fra l'amministrazione della Cri e i rappresentanti dei dicasteri interessati. Ieri, infatti, mentre i precari manifestavano davanti al ministero della Salute, il capo di Gabinetto del sottosegretario Serafino Zucchelli ha confermato a una delegazione che i commi in materia del maxi-emendamento alla Finanziaria si applicano anche ai lavoratori precari della Cri. Lo stesso aveva detto ieri il sottosegretario Paolo Cento durante un'analoga manifestazione davanti al ministero dell'Economia.
La Croce Rossa, dunque, autonomamente dovrebbe procedere prima alla proroga e successivamente alla dovuta e stabilizzazione dei precari. In una nota i sindacati di base della Cri esprimono "prudente soddisfazione nella speranza di poter vedere finalmente avviarsi a conclusione una vertenza che avrebbe potuto e dovuto risolversi positivamente già da diverso tempo, riservandosi di dare un giudizio definitivo dopo l'incontro di giovedì", da cui dovrebbe scaturire un documento chiarificatore e conclusivo. Sempre giovedì i lavoratori precari della Croce rossa effettueranno comunque un presidio davanti al ministero della Salute dalle ore 11.00. I sindacati di base solleciteranno "nuovamente la costituzione di un tavolo sulla Croce rossa, che affronti la questione della corresponsione ai lavoratori di quanto spetta loro in base agli accordi sindacali sottoscritti, e quella più complessiva del rilancio dell'ente, attraverso l'attribuzione di deleghe operative da parte del Governo".
da doctornews
La Croce Rossa, dunque, autonomamente dovrebbe procedere prima alla proroga e successivamente alla dovuta e stabilizzazione dei precari. In una nota i sindacati di base della Cri esprimono "prudente soddisfazione nella speranza di poter vedere finalmente avviarsi a conclusione una vertenza che avrebbe potuto e dovuto risolversi positivamente già da diverso tempo, riservandosi di dare un giudizio definitivo dopo l'incontro di giovedì", da cui dovrebbe scaturire un documento chiarificatore e conclusivo. Sempre giovedì i lavoratori precari della Croce rossa effettueranno comunque un presidio davanti al ministero della Salute dalle ore 11.00. I sindacati di base solleciteranno "nuovamente la costituzione di un tavolo sulla Croce rossa, che affronti la questione della corresponsione ai lavoratori di quanto spetta loro in base agli accordi sindacali sottoscritti, e quella più complessiva del rilancio dell'ente, attraverso l'attribuzione di deleghe operative da parte del Governo".
da doctornews
Il Tar del Lazio: gli insegnanti non di ruolo hanno una diversa età pensionabile
21 dicembre 2006 - Kataweb/cittadinolex
Diversa dai loro colleghi l’età pensionabile per gli insegnanti non di ruolo
(Tar Lazio 12541/2006)
Gli insegnanti non di ruolo che hanno compiuto sessantacinque anni non possono essere esclusi dalle graduatorie permanenti per l'insegnamento per raggiunti limiti di età. I precari, categoria di lavoratori non certo fortunata, lambiscono in età di pensionamento (o di non pensionamento) i magistrati e i professori universitari ordinari.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha così accolto il ricorso di una insegnante contro il Ministero dell'Istruzione e l'Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio che avevano escluso la ricorrente dalla graduatoria permanente definitiva per l'insegnamento nelle scuole materne e dell'infanzia perché aveva raggiunto i sessantacinque anni, età pensionabile prevista nel settore della scuola.
Secondo i giudici amministrativi il ricorso è fondato in quanto gli insegnanti non di ruolo iscritti nelle graduatorie permanenti non possono essere collocati a riposo d'ufficio al superamento dei sessantacinque anni, ma solo al compimento del settantesimo anno di età, in quanto è diversa la disciplina ad essi applicabile, come già in precedenza affermato dal Tar. (18 dicembre 2006) Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione terza quater, sentenza n. 12541/2006
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
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Diversa dai loro colleghi l’età pensionabile per gli insegnanti non di ruolo
(Tar Lazio 12541/2006)
Gli insegnanti non di ruolo che hanno compiuto sessantacinque anni non possono essere esclusi dalle graduatorie permanenti per l'insegnamento per raggiunti limiti di età. I precari, categoria di lavoratori non certo fortunata, lambiscono in età di pensionamento (o di non pensionamento) i magistrati e i professori universitari ordinari.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha così accolto il ricorso di una insegnante contro il Ministero dell'Istruzione e l'Ufficio Scolastico Regionale per il Lazio che avevano escluso la ricorrente dalla graduatoria permanente definitiva per l'insegnamento nelle scuole materne e dell'infanzia perché aveva raggiunto i sessantacinque anni, età pensionabile prevista nel settore della scuola.
Secondo i giudici amministrativi il ricorso è fondato in quanto gli insegnanti non di ruolo iscritti nelle graduatorie permanenti non possono essere collocati a riposo d'ufficio al superamento dei sessantacinque anni, ma solo al compimento del settantesimo anno di età, in quanto è diversa la disciplina ad essi applicabile, come già in precedenza affermato dal Tar. (18 dicembre 2006) Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sezione terza quater, sentenza n. 12541/2006
TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE DEL LAZIO
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Lugo: posti a rischio per la Croce Rossa
Sono 9 i lavoratori che potrebbero essere licenziati
20/12/2006
Una convenzione che non si rinnova e nove contratti di lavoro a termine che scadono. Il comitato lughese della Cri (Croce Rossa) è al centro di una spiacevole situazione che probabilmente sarà chiarita dagli incontri previsti internamente alla Cri e dal confronto fra la dirigenza lughese guidata da Anna Claudia Bosi Ferruzzi ed il sindaco Raffaele Cortesi. Il rischio di licenziamento per il mancato rinnovo della convenzione fra Cri e Ausl per i servizi di emergenza che saranno internalizzati da quest’ultima, riguarda 7 autisti e 2 amministrativi. L’assemblea di bilancio del comitato locale di Lugo della Cri è servita a rasserenare parzialmente gli animi e a fare chiarezza sui conti dai quali dipende in buona parte l’impossibilità di assumere il personale precario. Il consiglio direttivo ha approvato, senza alcun voto contrario, il consuntivo del 2005, chiuso con un passivo di poco più di 1.000 euro ed ha valutato le variazioni di bilancio incorse nel 2006 dovute ad un aumento in uscita di oltre 130.000 euro di cui 112.000 riguardanti le spese del personale non di ruolo, gli straordinari, le maggiorazioni per il turno e gli arretrati da liquidare al personale a fronte di un aumento di entrate pari a 30.000 euro. L’operato del consiglio direttivo è stato apprezzato dai soci: «La gestione del comitato locale è corretta e varie sono le azioni messe in campo per assicurare un futuro ai lavoratori precari, ai quali è stato rinnovato il contratto già alcuni mesi fa quando l’Ausl aveva comunicato l’internalizzazione». Il consiglio direttivo del comitato lughese della Cri si riunirà a gennaio per ridisegnare lo scenario operativo ed elaborare le linee generali di sviluppo dell’attività del comitato. In quella sede sarà affrontato il futuro del servizio del quale non è prevista l’ internalizzazione da parte dell’Ausl, vale a dire il taxi sanitario a pagamento. L’Ausl intanto, attraverso il concorso finalizzato all’assunzione di personale da impiegare alla guida dei mezzi del servizio emergenze in vista dell’internalizzazione del servizio, sta cercando di porre rimedio alla situazione di precariato lamentata dai dipendenti Cri. «I candidati idonei alla prima prova - ha comunicato l’azienda - sono 290 ed i posti a copertura sono 47». La seconda prova si svolgerà in questi giorni. «Per gli altri servizi, come i trasporti programmati dei pazienti o taxi sanitario - precisa l’Ausl - resta invece aperta la possibilità di avviare collaborazioni con il volontariato pubblico e privato. Dopo la mancata volontà della Cri di prorogare la convenzione a tempo determinato per tutto il tempo della transizione per l’effettiva attivazione delle graduatorie concorsuali - continua l’Ausl - l’azienda ha più volte dichiarato la volontà di assumere a tempo determinato e con contratto individuale gli operatori della Cri necessari alla piena funzionalità del servizio. A tutt’oggi - precisa - l’azienda è ancora in attesa di conoscere la disponibilità della Cri a concedere in uso le ambulanze».
Monia Savioli
20/12/2006
Una convenzione che non si rinnova e nove contratti di lavoro a termine che scadono. Il comitato lughese della Cri (Croce Rossa) è al centro di una spiacevole situazione che probabilmente sarà chiarita dagli incontri previsti internamente alla Cri e dal confronto fra la dirigenza lughese guidata da Anna Claudia Bosi Ferruzzi ed il sindaco Raffaele Cortesi. Il rischio di licenziamento per il mancato rinnovo della convenzione fra Cri e Ausl per i servizi di emergenza che saranno internalizzati da quest’ultima, riguarda 7 autisti e 2 amministrativi. L’assemblea di bilancio del comitato locale di Lugo della Cri è servita a rasserenare parzialmente gli animi e a fare chiarezza sui conti dai quali dipende in buona parte l’impossibilità di assumere il personale precario. Il consiglio direttivo ha approvato, senza alcun voto contrario, il consuntivo del 2005, chiuso con un passivo di poco più di 1.000 euro ed ha valutato le variazioni di bilancio incorse nel 2006 dovute ad un aumento in uscita di oltre 130.000 euro di cui 112.000 riguardanti le spese del personale non di ruolo, gli straordinari, le maggiorazioni per il turno e gli arretrati da liquidare al personale a fronte di un aumento di entrate pari a 30.000 euro. L’operato del consiglio direttivo è stato apprezzato dai soci: «La gestione del comitato locale è corretta e varie sono le azioni messe in campo per assicurare un futuro ai lavoratori precari, ai quali è stato rinnovato il contratto già alcuni mesi fa quando l’Ausl aveva comunicato l’internalizzazione». Il consiglio direttivo del comitato lughese della Cri si riunirà a gennaio per ridisegnare lo scenario operativo ed elaborare le linee generali di sviluppo dell’attività del comitato. In quella sede sarà affrontato il futuro del servizio del quale non è prevista l’ internalizzazione da parte dell’Ausl, vale a dire il taxi sanitario a pagamento. L’Ausl intanto, attraverso il concorso finalizzato all’assunzione di personale da impiegare alla guida dei mezzi del servizio emergenze in vista dell’internalizzazione del servizio, sta cercando di porre rimedio alla situazione di precariato lamentata dai dipendenti Cri. «I candidati idonei alla prima prova - ha comunicato l’azienda - sono 290 ed i posti a copertura sono 47». La seconda prova si svolgerà in questi giorni. «Per gli altri servizi, come i trasporti programmati dei pazienti o taxi sanitario - precisa l’Ausl - resta invece aperta la possibilità di avviare collaborazioni con il volontariato pubblico e privato. Dopo la mancata volontà della Cri di prorogare la convenzione a tempo determinato per tutto il tempo della transizione per l’effettiva attivazione delle graduatorie concorsuali - continua l’Ausl - l’azienda ha più volte dichiarato la volontà di assumere a tempo determinato e con contratto individuale gli operatori della Cri necessari alla piena funzionalità del servizio. A tutt’oggi - precisa - l’azienda è ancora in attesa di conoscere la disponibilità della Cri a concedere in uso le ambulanze».
Monia Savioli
Roma: Salta il consiglio sul precariato
sotto accusa c'è la maggioranza
L'accordo sindacale raggiunto il 18 dicembre scontenta tutte le categorie del pubblico
EPOLIS
Emanuela Lancianese
■Alla fine, come nell’ultimo atto di Romeo e Giulietta, tutti ne escono sconfitti. La mancanza del numero legale alla seduta del Consiglio comunale di ieri, dedicato al precariato nel pubblico impiego, ha lasciato facce sgomente e un senso di pena tra i lavoratori: assistenti sociali, amministrativi, maestre d’asilo e non solo. Che aspettavano da basso un cenno dei consiglieri sulla discussione con un tema non da poco: le loro vite. Ma nessun cenno è arrivato, per mancanza del numero legale provocata dall'assenza ingiustificata dei consiglieri di maggioranza.
L’ACCORDO concluso il 18 dicembre da Cgil Fp, Cisl Fp e Fpl Uil, Csa Diccap, per la “stabilizzazione” dei lavoratori comunali a tempo determinato, e entro tre anni anche di quelli impiegati in servizi ad evidenza pubblica, oltre agli interinali con prestazioni di durata superiore ai 12 mesi, lascia di fatto l’amaro in bocca a molte categorie.
Maestre d’asilo che non sanno se e quante saranno incluse nella prima infornata di gennaio; assistenti sociali interinali, che l’ultimo concorso lo
hanno visto nel 2000 e nel frattempo operano nei municipi prendendo impegni a nome e per conto del Comune; i poliziotti municipali, sorpresi per l’esclusione dall’unico accordo di massima finora concluso. Tutti a caccia di un perché il numero legale sia di fatto mancato per “volontà” o meglio assenza della maggioranza. Solo 27 i consiglieri presenti. Stizza, palesemente mal dissimulata, trapela nelle parole e nelle espressioni degli stessi consiglieri della lista del sindaco Veltroni.
Mentre l’assessore alle risorse umane, Lucio d’Ubaldo, artefice del pre-accordo, allo scioglimento della seduta è uscito livido in volto. Lapidario Mirko Coratti, (Moderati per Veltroni), presidente del consiglio comunale: «È scandaloso che i consiglieri eletti non siano presenti.
Non si tratta solo di rispetto verso le istituzioni, ma verso i cittadini che li hanno votati. Soprattutto quando il consiglio è chiamato a discutere di
temi importanti come il lavoro». Gli stessi consiglieri di An, usciti dall’aula al momento dell’appello, hanno deciso con la loro assenza di non avallare il comportamento sibillino della maggioranza. I commenti non si sono fatti attendere: «Di maggioranza allo sbando», ha parlato Luca Malcotti (An), di «maggioranza irresponsabile», Vincenzo Piso (An).■
Roma■ «Oggi non parteciperò al Consiglio straordinario sul precariato
perché non credo sia questo il modo per rispondere alle loro giuste esigenze. Non è infatti con misure straordinarie, coi ‘bla, bla, bla’ o la demagogia
che si supera il disagio in cui vergognosamente vivono tante e tanti impiegati del Comune di Roma legati all’Amministrazione da un contratto di
precariato». Lo ha reso noto ieri, prima del consiglio, il capo gruppo della Rosa nel Pugno al comune Gianluca Quadrana. «Esistono – ha aggiunto Quadrana
- una commissione consiliare Lavoro e una commissione consiliare Personale che insieme ai capi gruppo di maggioranza e opposizione e agli assessori competenti, in primis quello delle Risorse Umane, Lucio D’Ubaldo, hanno tutta la legittimità e il potere per affrontare il tema con la stessa concretezza con la quale il Comune ha stabilizzato le figure professionali all’interno degli asili nido e delle scuole dell’infanzia».
Il leader della Rosa nel Pugno non si è fermato qui e ha rincarato la dose: «Credo – ha concluso Quadrana – che questo sia il percorso autentico e sincero per ridurre e superare il precariato all’interno dell’amministrazione
pubblica dando a questi lavoratori una certezza per il domani. Inoltre occorre riaffermare il valore delle professionalità interne all’amministrazione troppo spesso frustrate dal ricorso a consulenti esterni con un dispendio di risorse pubbliche che invece potrebbero e dovrebbero essere utilizzate per la formazione e l’aggiornamento del personale comunale». Nel pomeriggio il consiglio comunale non si è riunito, per mancanza del numero legale. Un'azione di “sabotaggio” dell'opposizione, che si è detta stanca di contribuire al normale andamento delle attività consiliari, quando i consiglieri della maggioranza non si presentano in Aula. Un sabotaggio che non ha frenato le polemiche.
L'accordo sindacale raggiunto il 18 dicembre scontenta tutte le categorie del pubblico
EPOLIS
Emanuela Lancianese
■Alla fine, come nell’ultimo atto di Romeo e Giulietta, tutti ne escono sconfitti. La mancanza del numero legale alla seduta del Consiglio comunale di ieri, dedicato al precariato nel pubblico impiego, ha lasciato facce sgomente e un senso di pena tra i lavoratori: assistenti sociali, amministrativi, maestre d’asilo e non solo. Che aspettavano da basso un cenno dei consiglieri sulla discussione con un tema non da poco: le loro vite. Ma nessun cenno è arrivato, per mancanza del numero legale provocata dall'assenza ingiustificata dei consiglieri di maggioranza.
L’ACCORDO concluso il 18 dicembre da Cgil Fp, Cisl Fp e Fpl Uil, Csa Diccap, per la “stabilizzazione” dei lavoratori comunali a tempo determinato, e entro tre anni anche di quelli impiegati in servizi ad evidenza pubblica, oltre agli interinali con prestazioni di durata superiore ai 12 mesi, lascia di fatto l’amaro in bocca a molte categorie.
Maestre d’asilo che non sanno se e quante saranno incluse nella prima infornata di gennaio; assistenti sociali interinali, che l’ultimo concorso lo
hanno visto nel 2000 e nel frattempo operano nei municipi prendendo impegni a nome e per conto del Comune; i poliziotti municipali, sorpresi per l’esclusione dall’unico accordo di massima finora concluso. Tutti a caccia di un perché il numero legale sia di fatto mancato per “volontà” o meglio assenza della maggioranza. Solo 27 i consiglieri presenti. Stizza, palesemente mal dissimulata, trapela nelle parole e nelle espressioni degli stessi consiglieri della lista del sindaco Veltroni.
Mentre l’assessore alle risorse umane, Lucio d’Ubaldo, artefice del pre-accordo, allo scioglimento della seduta è uscito livido in volto. Lapidario Mirko Coratti, (Moderati per Veltroni), presidente del consiglio comunale: «È scandaloso che i consiglieri eletti non siano presenti.
Non si tratta solo di rispetto verso le istituzioni, ma verso i cittadini che li hanno votati. Soprattutto quando il consiglio è chiamato a discutere di
temi importanti come il lavoro». Gli stessi consiglieri di An, usciti dall’aula al momento dell’appello, hanno deciso con la loro assenza di non avallare il comportamento sibillino della maggioranza. I commenti non si sono fatti attendere: «Di maggioranza allo sbando», ha parlato Luca Malcotti (An), di «maggioranza irresponsabile», Vincenzo Piso (An).■
Roma■ «Oggi non parteciperò al Consiglio straordinario sul precariato
perché non credo sia questo il modo per rispondere alle loro giuste esigenze. Non è infatti con misure straordinarie, coi ‘bla, bla, bla’ o la demagogia
che si supera il disagio in cui vergognosamente vivono tante e tanti impiegati del Comune di Roma legati all’Amministrazione da un contratto di
precariato». Lo ha reso noto ieri, prima del consiglio, il capo gruppo della Rosa nel Pugno al comune Gianluca Quadrana. «Esistono – ha aggiunto Quadrana
- una commissione consiliare Lavoro e una commissione consiliare Personale che insieme ai capi gruppo di maggioranza e opposizione e agli assessori competenti, in primis quello delle Risorse Umane, Lucio D’Ubaldo, hanno tutta la legittimità e il potere per affrontare il tema con la stessa concretezza con la quale il Comune ha stabilizzato le figure professionali all’interno degli asili nido e delle scuole dell’infanzia».
Il leader della Rosa nel Pugno non si è fermato qui e ha rincarato la dose: «Credo – ha concluso Quadrana – che questo sia il percorso autentico e sincero per ridurre e superare il precariato all’interno dell’amministrazione
pubblica dando a questi lavoratori una certezza per il domani. Inoltre occorre riaffermare il valore delle professionalità interne all’amministrazione troppo spesso frustrate dal ricorso a consulenti esterni con un dispendio di risorse pubbliche che invece potrebbero e dovrebbero essere utilizzate per la formazione e l’aggiornamento del personale comunale». Nel pomeriggio il consiglio comunale non si è riunito, per mancanza del numero legale. Un'azione di “sabotaggio” dell'opposizione, che si è detta stanca di contribuire al normale andamento delle attività consiliari, quando i consiglieri della maggioranza non si presentano in Aula. Un sabotaggio che non ha frenato le polemiche.
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Mamma operaia chiede mezz'ora flessibile ma l'azienda è contraria e la licenzia
Una lavoratrice del cremasco chiedeva 30 minuti per riprendere la figlia a scuola
Era disposta a un taglio in busta paga o a recuperare. Il caso in tribunale
Mamma operaia chiede mezz'ora flessibile
ma l'azienda è contraria e la licenzia
MILANO - Aveva chiesto mezz'ora di lavoro flessibile per poter riprendere la figlia da scuola, ma l'azienda, la Ipc Faip di Vaiano Cremasco (Cremona), ha deciso di risolvere il problema più drasticamente, licenziandola. Raffaella, operaia di 40 anni, aveva fatto domanda per poter avere trenta minuti di flessibilità da utilizzare per accudire la sua bambina, ma dopo un lungo braccio di ferro è stata messa alla porta.
Fino a qualche settimana fa la donna, divorziata e senza altri redditi se non la sua paga di mille euro, per prelevare la figlia a scuola aveva sempre usato la pausa pranzo. Recentemente un accordo sindacale l'ha accorciata però di mezz'ora. La signora aveva chiesto quindi una deroga, con la disponibilità a recuperare la mezzora o a perdere la retribuzione. Ma niente da fare: dopo una serie di iniziative, e dopo gli scioperi di mezzora indetti dalla Flm Uniti-Cub per consentire alla lavoratrice di accudire la figlia, l'azienda ha deciso il licenziamento.
La decisione della Ipc Faip, azienda leader nella produzione di strumenti per la pulizia domestica e professionale ad acqua, è stato subito impugnata; la prima udienza davanti al giudice è fissata per il 9 gennaio a Crema.
(20 dicembre 2006)
Era disposta a un taglio in busta paga o a recuperare. Il caso in tribunale
Mamma operaia chiede mezz'ora flessibile
ma l'azienda è contraria e la licenzia
MILANO - Aveva chiesto mezz'ora di lavoro flessibile per poter riprendere la figlia da scuola, ma l'azienda, la Ipc Faip di Vaiano Cremasco (Cremona), ha deciso di risolvere il problema più drasticamente, licenziandola. Raffaella, operaia di 40 anni, aveva fatto domanda per poter avere trenta minuti di flessibilità da utilizzare per accudire la sua bambina, ma dopo un lungo braccio di ferro è stata messa alla porta.
Fino a qualche settimana fa la donna, divorziata e senza altri redditi se non la sua paga di mille euro, per prelevare la figlia a scuola aveva sempre usato la pausa pranzo. Recentemente un accordo sindacale l'ha accorciata però di mezz'ora. La signora aveva chiesto quindi una deroga, con la disponibilità a recuperare la mezzora o a perdere la retribuzione. Ma niente da fare: dopo una serie di iniziative, e dopo gli scioperi di mezzora indetti dalla Flm Uniti-Cub per consentire alla lavoratrice di accudire la figlia, l'azienda ha deciso il licenziamento.
La decisione della Ipc Faip, azienda leader nella produzione di strumenti per la pulizia domestica e professionale ad acqua, è stato subito impugnata; la prima udienza davanti al giudice è fissata per il 9 gennaio a Crema.
(20 dicembre 2006)
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Precari Saiwa: "promesse non mantenute"
21/12/2006 9.46.04
Proteste del sindacato CGIL contro la Saiwa, Multinazionale Danone, di Capriata D’Orba che, come scrive il sindacato, continua nell’abuso al ricorso di personale precario in fabbrica.
A fine anno, quando gli accordi sull’assunzione di 24 precari doveva concretizzarsi, l’azienda "non ha rispettato né i numeri , né i criteri".
Fa sapere la CGIL: "Così si è verificato ancora una volta che lavoratori presenti in fabbrica da 12 –18 mesi sono stati lasciati a casa perché giudicati inidonei, altri devono aspettare la chiamata dell’agenzia interinale ed altri ancora sono stati assunti con contratti di 4 giorni!
Inoltre l’azienda sta attuando in modo unilaterale un progetto di riorganizzazione mirato a ridurre i costi, che peggiora le condizioni già critiche di lavoro in fabbrica".
Proteste del sindacato CGIL contro la Saiwa, Multinazionale Danone, di Capriata D’Orba che, come scrive il sindacato, continua nell’abuso al ricorso di personale precario in fabbrica.
A fine anno, quando gli accordi sull’assunzione di 24 precari doveva concretizzarsi, l’azienda "non ha rispettato né i numeri , né i criteri".
Fa sapere la CGIL: "Così si è verificato ancora una volta che lavoratori presenti in fabbrica da 12 –18 mesi sono stati lasciati a casa perché giudicati inidonei, altri devono aspettare la chiamata dell’agenzia interinale ed altri ancora sono stati assunti con contratti di 4 giorni!
Inoltre l’azienda sta attuando in modo unilaterale un progetto di riorganizzazione mirato a ridurre i costi, che peggiora le condizioni già critiche di lavoro in fabbrica".
19.12.06
Un sentiero a tappe per il mondo del lavoro
Per uscire dal vicolo cieco va ripensata la flessibilità: ecco la mia proposta
Emanuela Bambara
(E POLIS del 19 dicembre 2006)
Del “percorso a tappe verso la stabilità”, messo a punto con l'amico e collega Pietro Garibaldi, docente all'Università di Torino, l'economista
Tito Boeri aveva scritto, un mese fa, sul sito di informazione specializzata www.lavoce.info creato insieme a un gruppo di studiosi per confrontarsi sulle questioni economiche e proporre soluzioni.
Non sapeva, però, che la sua proposta sarebbe diventata il cavallo di battaglia dell'Istituto nazionale di previdenza sociale sul tavolo della contrattazione che si aprirà, ai primi dell'anno 2007, intorno al tema del lavoro e riforma delle pensioni. Per Boeri, però, i problemi economici sono,
innanzitutto, questioni di “buonsenso”. E in questa chiave vanno affrontati.
In cosa consiste esattamente la sua proposta?
Apparentemente, ci troviamo in un vicolo cieco. Da un lato, la flessibilità
è vissuta dai lavoratori come precarietà insostenibile ed esclusione dai diritti fondamentali di cittadinanza. Molti temporanei arriveranno all'età della pensione con versamenti contributivi insufficienti a usufruire di
una pensione superiore al minimo e i salari sono al di sotto della soglia di povertà. Dall'altro lato, Confindustria reclama una flessibilità nel mercato del lavoro come condizione per l'occupazione.
Esiste una via d'uscita, per garantire una flessibilità d'ingresso al lavoro e assicurare standard minimi salariali, previdenziali e assicurativi, in un processo di stabilizzazione del lavoro che ci porti fuori dalla condizione attuale di un mercato parallelo, a due binari.
Lo abbiamo chiamato “sentiero a tappe verso la stabilità”, in tre fasi. Un periodo di prova di sei mesi, perché il datore di lavoro possa testare le competenze del lavoratore. L'inserimento, dal sesto al terzo anno, tutelato dall'art. 18, con un indennizzo da due a sei mensilità retributive in caso
di licenziamento economico. Al terzo anno, la tutela reale di stabilità.
I contratti a tempo determinato non dovrebbero superare i due anni, non rinnovabili. Contributi previdenziali più elevati per il datore di lavoro per queste forme di contratto, perché devono prevedere una quota di sussidio
di disoccupazione per quando si interromperà il rapporto senza rinnovo. Trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato senza periodo di prova.
Che ne dice di un intervento legislativo per limitare i contratti a tempo determinato?
Non credo nella regolazione per costrizione legislativa. È più efficace l'autoregolamentazione del mercato con regole semplici e un sistema di incentivazione dei contratti stabili. I contratti di lavoro a tempo determinato devono essere ridotti ai casi in cui l'impresa necessita davvero di lavoratori a termine. Ripeto, la flessibilità deve essere soltanto in
ingresso. Su questo progetto, stiamo preparando una seria campagna di comunicazione. Con un piano di informazione per gli immigrati, affinché conoscano il salario minimo garantito a tutti i lavoratori in Italia, senza discriminazioni e diseguaglianze, sulla base della qualifica professionale.
Quali sono le prospettive per chi ha iniziato a lavorare negli ultimi dieci
anni, in modo discontinuo?
Si tratta di un problema serio, che non abbiamo ancora affrontato. Molti avranno il tempo di regolarizzare la loro posizione lavorativa e previdenziale, dopo la riforma.
In ogni caso, bisogna intervenire per garantire la copertura anche nei casi di discontinuità lavorativa e indipendentemente dal tipo di contratto e dall'età.
Chi siederà al tavolo della concertazione, il prossimo gennaio?
I posti al tavolo verde di Palazzo Chigi non sono ancora tutti assegnati.
Certamente, ci saranno i sindacati, Cgil, Cisl e Uil, Confindustria. Andrebbe riformata anche questa modalità di confronto, per garantire una rappresentanza a tutti i soggetti interessati e non soltanto a una parte, come avviene adesso. A mio avviso, bisognerebbe creare un organo permanente
di consulto, formato dalle autorità competenti e da una rappresentanza di tutti i gruppi di interesse: esperti, lavoratori dipendenti, autonomi, datori
di lavoro e studenti. Questi sono, infatti, i lavoratori del futuro, su cui ricadono i maggiori effetti delle riforme e delle scelte legislative.
Spesso sono le vittime di giochi politici ai quali oggi non sono invitati a partecipare.
Emanuela Bambara
(E POLIS del 19 dicembre 2006)
Del “percorso a tappe verso la stabilità”, messo a punto con l'amico e collega Pietro Garibaldi, docente all'Università di Torino, l'economista
Tito Boeri aveva scritto, un mese fa, sul sito di informazione specializzata www.lavoce.info creato insieme a un gruppo di studiosi per confrontarsi sulle questioni economiche e proporre soluzioni.
Non sapeva, però, che la sua proposta sarebbe diventata il cavallo di battaglia dell'Istituto nazionale di previdenza sociale sul tavolo della contrattazione che si aprirà, ai primi dell'anno 2007, intorno al tema del lavoro e riforma delle pensioni. Per Boeri, però, i problemi economici sono,
innanzitutto, questioni di “buonsenso”. E in questa chiave vanno affrontati.
In cosa consiste esattamente la sua proposta?
Apparentemente, ci troviamo in un vicolo cieco. Da un lato, la flessibilità
è vissuta dai lavoratori come precarietà insostenibile ed esclusione dai diritti fondamentali di cittadinanza. Molti temporanei arriveranno all'età della pensione con versamenti contributivi insufficienti a usufruire di
una pensione superiore al minimo e i salari sono al di sotto della soglia di povertà. Dall'altro lato, Confindustria reclama una flessibilità nel mercato del lavoro come condizione per l'occupazione.
Esiste una via d'uscita, per garantire una flessibilità d'ingresso al lavoro e assicurare standard minimi salariali, previdenziali e assicurativi, in un processo di stabilizzazione del lavoro che ci porti fuori dalla condizione attuale di un mercato parallelo, a due binari.
Lo abbiamo chiamato “sentiero a tappe verso la stabilità”, in tre fasi. Un periodo di prova di sei mesi, perché il datore di lavoro possa testare le competenze del lavoratore. L'inserimento, dal sesto al terzo anno, tutelato dall'art. 18, con un indennizzo da due a sei mensilità retributive in caso
di licenziamento economico. Al terzo anno, la tutela reale di stabilità.
I contratti a tempo determinato non dovrebbero superare i due anni, non rinnovabili. Contributi previdenziali più elevati per il datore di lavoro per queste forme di contratto, perché devono prevedere una quota di sussidio
di disoccupazione per quando si interromperà il rapporto senza rinnovo. Trasformazione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato senza periodo di prova.
Che ne dice di un intervento legislativo per limitare i contratti a tempo determinato?
Non credo nella regolazione per costrizione legislativa. È più efficace l'autoregolamentazione del mercato con regole semplici e un sistema di incentivazione dei contratti stabili. I contratti di lavoro a tempo determinato devono essere ridotti ai casi in cui l'impresa necessita davvero di lavoratori a termine. Ripeto, la flessibilità deve essere soltanto in
ingresso. Su questo progetto, stiamo preparando una seria campagna di comunicazione. Con un piano di informazione per gli immigrati, affinché conoscano il salario minimo garantito a tutti i lavoratori in Italia, senza discriminazioni e diseguaglianze, sulla base della qualifica professionale.
Quali sono le prospettive per chi ha iniziato a lavorare negli ultimi dieci
anni, in modo discontinuo?
Si tratta di un problema serio, che non abbiamo ancora affrontato. Molti avranno il tempo di regolarizzare la loro posizione lavorativa e previdenziale, dopo la riforma.
In ogni caso, bisogna intervenire per garantire la copertura anche nei casi di discontinuità lavorativa e indipendentemente dal tipo di contratto e dall'età.
Chi siederà al tavolo della concertazione, il prossimo gennaio?
I posti al tavolo verde di Palazzo Chigi non sono ancora tutti assegnati.
Certamente, ci saranno i sindacati, Cgil, Cisl e Uil, Confindustria. Andrebbe riformata anche questa modalità di confronto, per garantire una rappresentanza a tutti i soggetti interessati e non soltanto a una parte, come avviene adesso. A mio avviso, bisognerebbe creare un organo permanente
di consulto, formato dalle autorità competenti e da una rappresentanza di tutti i gruppi di interesse: esperti, lavoratori dipendenti, autonomi, datori
di lavoro e studenti. Questi sono, infatti, i lavoratori del futuro, su cui ricadono i maggiori effetti delle riforme e delle scelte legislative.
Spesso sono le vittime di giochi politici ai quali oggi non sono invitati a partecipare.
Atesia, riunione a Cinecittà «Il part time è una beffa»
Via Lamaro. Contratto per 6.004 persone, 20 ore a settimana a 550 euro al mese
L'accordo con Almaviva non soddisfa i lavoratori: «Si guadagnava meglio da precari»
Roma
Delusione. «È un ricatto senza fine»
Tempo indeterminato a quattro ore al giorno
Simona Caleo
■ “Tutti assunti” dichiarano trionfanti i manifesti affissi in giro per la città, anche in via Lamaro, a Cinecittà, dove si trova la sede di Atesia.
MA SI TRATTA di un trionfo a metà, una conquista zoppicante, una vittoria di Pirro, che vede riconosciuto il diritto a un lavoro stabile ma non prevede
ancora la possibilità di viverci dignitosamente. Il 13 dicembre società e sindacati hanno firmato un accordo con Atesia e le aziende sorelle in Action, Cosmed e Alicos, tutte della famiglia Almaviva. Risultato: l’assunzione di 6.004 persone a tempo indeterminato. Fin qui la vittoria, il primo esito positivo di una battaglia che dura da più di due anni, durante i quali
400 precari hanno perso il lavoro. Tra loro, quelli che più si sono esposti, in prima linea anche ieri nell’assemblea organizzata in via Lamaro per spiegare meglio i contenuti dell’accordo e chiedere il pieno rispetto delle
istanze dell’Ispettorato del Lavoro: assunzione per tutti a tempo indeterminato, 36 ore la settimana. Il contratto che Atesia offre oggi è sì a tempo indeterminato. Ma è di sole 20 ore settimanali e può essere sottoscritto soltanto firmando una liberatoria con la quale si rinuncia
a tutti i diritti pregressi - tranne i contributi, che l’azienda si vede pagare per il 50 per cento dallo Stato. Tra Tfr, ferie non godute, permessi, adeguamento dello stipendio e contributi non versati ogni lavoratore dovrebbe ricevere 10 - 12 mila euro per ogni anno al call center.
Di questa cifra, i contributi sono una piccola parte e al resto si chiede di rinunciare in cambio dell’agognato contratto: quattro ore di lavoro nell'arco
della giornata, a orari variabili e vincolanti che che impediscono all’impiegato part time di trovare una seconda occupazione.
Alla fine, i precari di ieri guadagnavano più dei regolarizzati di domani. «Come si può esserecontenti – domanda il collettivo precari - di guadagnare solo 550 euro fissi al mese?»
■ «Quando dicono che questo accordo è il più importante raggiunto nel settore dicono la verità», commentava amaramente Marco ieri mattina davanti alle persone raccolte in assemblea all’ingresso di Atesia. Il gruppo ascoltava e applaudiva gli interventi, mentre altri passavano e si infilavano veloci dentro la porta a vetri. Ma poi, nel corso della giornata, si sono fermati in parecchi a fare domande sui particolari di questo accordo dove, per il momento, sta scritto nero su bianco il loro destino professionale. Nessuno è contento delle quattro ore al giorno e della flessibilità richiesta per lavorare queste quattro ore giornaliere, che possono cadere alla mattina
come alla sera. E neanche di dover rinunciare ai soldi che gli spettano. Per svestire i panni del precario sono costretti ancora al compromesso. «È un ricatto senza fine» dice una ragazza, a testa bassa. Si scusa per non riuscire a parlare meglio, ma è una faccenda triste e lo è anche lei ormai. Mi spiega che se firma questo contratto difficilmente potrà fare un secondo
lavoro e si chiede se riuscirà a continuare a vivere da sola, con 550 euro al mese. «Il tempo indeterminato è una bella vittoria, ci dicevano che era impossibile e invece lo abbiamo ottenuto. Ma ci stanno prendendo in giro, perché questo contratto è il risultato dei favori che hanno fatto al presidente Alberto Tripi, a partire dall’articolo 178 della Finanziaria». Quello che diceva Christian all’assemblea lo diceva a nome di tutti: «davvero
un bel regalo da parte del governo di centrosinistra».■
L'accordo con Almaviva non soddisfa i lavoratori: «Si guadagnava meglio da precari»
Roma
Delusione. «È un ricatto senza fine»
Tempo indeterminato a quattro ore al giorno
Simona Caleo
■ “Tutti assunti” dichiarano trionfanti i manifesti affissi in giro per la città, anche in via Lamaro, a Cinecittà, dove si trova la sede di Atesia.
MA SI TRATTA di un trionfo a metà, una conquista zoppicante, una vittoria di Pirro, che vede riconosciuto il diritto a un lavoro stabile ma non prevede
ancora la possibilità di viverci dignitosamente. Il 13 dicembre società e sindacati hanno firmato un accordo con Atesia e le aziende sorelle in Action, Cosmed e Alicos, tutte della famiglia Almaviva. Risultato: l’assunzione di 6.004 persone a tempo indeterminato. Fin qui la vittoria, il primo esito positivo di una battaglia che dura da più di due anni, durante i quali
400 precari hanno perso il lavoro. Tra loro, quelli che più si sono esposti, in prima linea anche ieri nell’assemblea organizzata in via Lamaro per spiegare meglio i contenuti dell’accordo e chiedere il pieno rispetto delle
istanze dell’Ispettorato del Lavoro: assunzione per tutti a tempo indeterminato, 36 ore la settimana. Il contratto che Atesia offre oggi è sì a tempo indeterminato. Ma è di sole 20 ore settimanali e può essere sottoscritto soltanto firmando una liberatoria con la quale si rinuncia
a tutti i diritti pregressi - tranne i contributi, che l’azienda si vede pagare per il 50 per cento dallo Stato. Tra Tfr, ferie non godute, permessi, adeguamento dello stipendio e contributi non versati ogni lavoratore dovrebbe ricevere 10 - 12 mila euro per ogni anno al call center.
Di questa cifra, i contributi sono una piccola parte e al resto si chiede di rinunciare in cambio dell’agognato contratto: quattro ore di lavoro nell'arco
della giornata, a orari variabili e vincolanti che che impediscono all’impiegato part time di trovare una seconda occupazione.
Alla fine, i precari di ieri guadagnavano più dei regolarizzati di domani. «Come si può esserecontenti – domanda il collettivo precari - di guadagnare solo 550 euro fissi al mese?»
■ «Quando dicono che questo accordo è il più importante raggiunto nel settore dicono la verità», commentava amaramente Marco ieri mattina davanti alle persone raccolte in assemblea all’ingresso di Atesia. Il gruppo ascoltava e applaudiva gli interventi, mentre altri passavano e si infilavano veloci dentro la porta a vetri. Ma poi, nel corso della giornata, si sono fermati in parecchi a fare domande sui particolari di questo accordo dove, per il momento, sta scritto nero su bianco il loro destino professionale. Nessuno è contento delle quattro ore al giorno e della flessibilità richiesta per lavorare queste quattro ore giornaliere, che possono cadere alla mattina
come alla sera. E neanche di dover rinunciare ai soldi che gli spettano. Per svestire i panni del precario sono costretti ancora al compromesso. «È un ricatto senza fine» dice una ragazza, a testa bassa. Si scusa per non riuscire a parlare meglio, ma è una faccenda triste e lo è anche lei ormai. Mi spiega che se firma questo contratto difficilmente potrà fare un secondo
lavoro e si chiede se riuscirà a continuare a vivere da sola, con 550 euro al mese. «Il tempo indeterminato è una bella vittoria, ci dicevano che era impossibile e invece lo abbiamo ottenuto. Ma ci stanno prendendo in giro, perché questo contratto è il risultato dei favori che hanno fatto al presidente Alberto Tripi, a partire dall’articolo 178 della Finanziaria». Quello che diceva Christian all’assemblea lo diceva a nome di tutti: «davvero
un bel regalo da parte del governo di centrosinistra».■
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18.12.06
Finanziaria, protestano i lavoratori della Croce Rossa
lunedì 18 dicembre 2006
Dopo aver manifestato oggi sotto il ministero dell'Economia e delle Finanze per il mancato inserimento nella Finanziaria 2007 della proroga per l'anno prossimo dei contratti a tempo determinato degli oltre 2.400 precari che oggi assicurano il servizio, i lavoratori della Croce Rossa, fissi e precari,
manifesteranno domani dalle ore 9 sotto il ministero della Salute, in Lungotevere Ripa 1. «Durante la manifestazione odierna -si legge in una nota- una delegazione di lavoratori è stata ricevuta dal Sottosegretario al Tesoro, Cento, che ha espresso solidarietá ai lavoratori che rischiano il posto di lavoro e si è impegnato a riferire nel pomeriggio al ministro Padoa Schioppa, sollecitando una soluzione al problema».
«Continua intanto la mobilitazione anche in periferia, dove i lavoratori precari della Croce Rossa hanno dato vita a presidi permanenti dei Comitati Provinciali ed a manifestazioni nelle maggioricittá italiane. Richieste urgenti di incontro, finora senza risposta -rileva la nota- sono state inviate ai ministri della Salute, dell'Economia, della Funzione Pubblica e della Solidarietá Sociale».
I lavoratori della Croce Rossa chiedono al governo «l'immediata emanazione di un decreto legge che garantisca almeno la proroga per il 2007 ai lavoratori precari e l'adozione di iniziative politiche che risolvano la crisi che attraversa l'ente, ponendo le basi per il suo rilancio futuro».
Fonte: Sole24ore/Federfarma
Dopo aver manifestato oggi sotto il ministero dell'Economia e delle Finanze per il mancato inserimento nella Finanziaria 2007 della proroga per l'anno prossimo dei contratti a tempo determinato degli oltre 2.400 precari che oggi assicurano il servizio, i lavoratori della Croce Rossa, fissi e precari,
manifesteranno domani dalle ore 9 sotto il ministero della Salute, in Lungotevere Ripa 1. «Durante la manifestazione odierna -si legge in una nota- una delegazione di lavoratori è stata ricevuta dal Sottosegretario al Tesoro, Cento, che ha espresso solidarietá ai lavoratori che rischiano il posto di lavoro e si è impegnato a riferire nel pomeriggio al ministro Padoa Schioppa, sollecitando una soluzione al problema».
«Continua intanto la mobilitazione anche in periferia, dove i lavoratori precari della Croce Rossa hanno dato vita a presidi permanenti dei Comitati Provinciali ed a manifestazioni nelle maggioricittá italiane. Richieste urgenti di incontro, finora senza risposta -rileva la nota- sono state inviate ai ministri della Salute, dell'Economia, della Funzione Pubblica e della Solidarietá Sociale».
I lavoratori della Croce Rossa chiedono al governo «l'immediata emanazione di un decreto legge che garantisca almeno la proroga per il 2007 ai lavoratori precari e l'adozione di iniziative politiche che risolvano la crisi che attraversa l'ente, ponendo le basi per il suo rilancio futuro».
Fonte: Sole24ore/Federfarma
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Censis: ecco l'identikit dei precari italiani
18/12/2006 15:34
Censis: ecco l'identikit dei precari italiani
Sono la pietra dello scandalo, una massa informe di “imboscati”, un insulto alla meritocrazia, un peso per la finanza pubblica o, al contrario, casi umani da sistemare, sfigati a tempo indeterminato. È questo il ritratto dei precari della pubblica amministrazione che emerge dal dibattito di questi giorni, dopo la decisione del governo di assumerne all’incirca mezzo milione in 5 anni. Ma la realtà riserva qualche sorpresa: i precari spesso sono qualificati, hanno vinto concorsi e, come nel caso degli insegnanti abilitati nelle scuole di specializzazione (SSIS), vantano una formazione (obbligatoria) post-laurea. Alcuni hanno studiato all’estero e hanno ottenuto un dottorato di ricerca, ma raramente l’amministrazione dà un peso adeguato a questi titoli né riconosce pubblicazioni ed esperienze professionali significative acquisite altrove. Anzi, a volte boccia pure i candidati che presentano questo tipo di credenziali.
Scuola/ Caos graduatorie e il ruolo arriva il giorno prima di andare in pensione In Italia è stata la P.A ad introdurre le prime forme di flessibilità, ma non ha saputo coniugarle con la stabilità e con l’efficienza degli organici.
Oggi, come rivela un’indagine del Censis (agosto 2006), il lavoratore atipico medio è donna, under 35, laureato, abita nel centro-sud e lavora nel settore pubblico. Nella pubblica amministrazione ci sono 10 atipici su 100, tra lavoratori a tempo determinato (8%) e collaboratori (1,4%). Nell’industria la percentuale è dell’8%. La situazione fotografata dal Censis risale a 2 anni fa. Nel frattempo la flessibilità si estesa a macchia d’olio, raggiungendo roccaforti un tempo inespugnabili: perfino negli uffici di collocamento pubblici gli impiegati hanno contratti a progetto. Nel 2004, in base ai dati della Ragioneria Generale dello Stato, erano oltre 300mila tra td (almeno 115mila), co.co.co. (più di 100mila), interinali (47mila), e lavoratori socialmente utili (40mila). Per contro l’età media del personale a tempo indeterminato avanza: nel 2004 era di 45,6 anni con 17,4 anni di anzianità. I 350mila che saranno assunti nella pubblica amministrazione-“in maniera graduale”, precisa il ministro Nicolais- , in aggiunta ai 150 mila della scuola, non sono extraterrestri catapultati da un altro pianeta. Il rapporto dei precari con la P.A è continuativo: uno su due ci lavora da più di 4 anni. Il dato emerge da una ricerca di NIdiL-Cgil, realizzata dall'Istituto di Ricerche Economiche e Sociali, diffusa il 26 ottobre scorso.
Fonte:Affari Italiani
Censis: ecco l'identikit dei precari italiani
Sono la pietra dello scandalo, una massa informe di “imboscati”, un insulto alla meritocrazia, un peso per la finanza pubblica o, al contrario, casi umani da sistemare, sfigati a tempo indeterminato. È questo il ritratto dei precari della pubblica amministrazione che emerge dal dibattito di questi giorni, dopo la decisione del governo di assumerne all’incirca mezzo milione in 5 anni. Ma la realtà riserva qualche sorpresa: i precari spesso sono qualificati, hanno vinto concorsi e, come nel caso degli insegnanti abilitati nelle scuole di specializzazione (SSIS), vantano una formazione (obbligatoria) post-laurea. Alcuni hanno studiato all’estero e hanno ottenuto un dottorato di ricerca, ma raramente l’amministrazione dà un peso adeguato a questi titoli né riconosce pubblicazioni ed esperienze professionali significative acquisite altrove. Anzi, a volte boccia pure i candidati che presentano questo tipo di credenziali.
Scuola/ Caos graduatorie e il ruolo arriva il giorno prima di andare in pensione In Italia è stata la P.A ad introdurre le prime forme di flessibilità, ma non ha saputo coniugarle con la stabilità e con l’efficienza degli organici.
Oggi, come rivela un’indagine del Censis (agosto 2006), il lavoratore atipico medio è donna, under 35, laureato, abita nel centro-sud e lavora nel settore pubblico. Nella pubblica amministrazione ci sono 10 atipici su 100, tra lavoratori a tempo determinato (8%) e collaboratori (1,4%). Nell’industria la percentuale è dell’8%. La situazione fotografata dal Censis risale a 2 anni fa. Nel frattempo la flessibilità si estesa a macchia d’olio, raggiungendo roccaforti un tempo inespugnabili: perfino negli uffici di collocamento pubblici gli impiegati hanno contratti a progetto. Nel 2004, in base ai dati della Ragioneria Generale dello Stato, erano oltre 300mila tra td (almeno 115mila), co.co.co. (più di 100mila), interinali (47mila), e lavoratori socialmente utili (40mila). Per contro l’età media del personale a tempo indeterminato avanza: nel 2004 era di 45,6 anni con 17,4 anni di anzianità. I 350mila che saranno assunti nella pubblica amministrazione-“in maniera graduale”, precisa il ministro Nicolais- , in aggiunta ai 150 mila della scuola, non sono extraterrestri catapultati da un altro pianeta. Il rapporto dei precari con la P.A è continuativo: uno su due ci lavora da più di 4 anni. Il dato emerge da una ricerca di NIdiL-Cgil, realizzata dall'Istituto di Ricerche Economiche e Sociali, diffusa il 26 ottobre scorso.
Fonte:Affari Italiani
L’odissea di chi cerca lavoro in Sicilia e Puglia due anni per un posto
18 dicembre 2006
Indagine Isfol: nelle regioni del Sud più di venti mesi per un impiego. Tra quattro e sei mesi invece in Lombardia, Friuli, Trentino e Umbria. Come cambiano i tempi di ricerca, la mobilità geografica e quanto si impiega per andare in ufficio nelle regioni italiane.
REGIONI: quanto ci vuole per un lavoro.
LAVORO ATIPICO: % per regione.
TROVARE LAVORO IN EUROPA: dove è facile e dove è difficile.
CASA-UFFICIO: i tempi di percorrenza.
ISFOL: "Premiare la qualità".
BLOG: RACCONTA LA TUA ESPERIENZA
di FEDERICO PACE
I centri per l’impiego, qualche sede delle agenzie per il lavoro. Curriculum spediti a centinaia in risposta agli annunci letti sui giornali e sui siti web. Qualche telefonata in giro. Persino un po’ di lavoro nero. I tentativi tanti, ma i risultati pochi. “Io ho fatto di tutto - racconta L.P., neolaureato di Catania - ho cercato per mesi e bussato a tante porte. Dopo quasi un anno senza risposte, ho deciso di fare un master, ma poi, alla fine, ho trovato solo uno stage di pochi mesi in un’impresa di Milano. Adesso che è finito non so più cosa fare”. Già, adesso, non resta che mettersi di nuovo a cercare.
Nonostante i posti siano sempre più atipici, flessibili o precari, per trovare un impiego ci si impiega sempre più tempo. Anche, e soprattutto, in quelle regioni dove il lavoro è meno standard. E così si apre ancora di più il divario tra le due Italie. E il lavoro diventa il termometro più spietato di una febbre che non accenna a scendere. Nelle regioni del Mezzogiorno, la ricerca di lavoro pare divenire sempre più una specie di odissea dove il tempo non trascorre mai o trascorre troppo rapidamente senza mai portare frutti.
Secondo i dati dell’indagine Plus dell’Isfol, sono i siciliani e i pugliesi quelli che più di ogni altro si ritrovano a dovere fare i conti con una ricerca che sembra non finire mai. In Sicilia, Puglia e Basilicata la durata media di ricerca di lavoro è di oltre ventidue mesi (vedi tabella). Ma anche in Calabria, Campania e Molise si superano i 19 mesi.
“Alle persone preme soprattutto trovare il lavoro in tempi brevi – ci ha detto Emiliano Mandrone, responsabile dell’indagine Plus (leggi l'intervista integrale) – Infatti dal punto di vista individuale ci si aspetta che la flessibilità riduca i tempi di ricerca di lavoro. Rimarchiamo che se la flessibilità assorbe i disoccupati è buona, ma è cattiva se riduce la stabilità e aumenta la precarietà degli occupati. Invece noi ci accorgiamo che la precarietà del lavoro è su livelli più alti al Sud che al Nord, con esiti preoccupanti a medio termine. Il mercato del lavoro del Sud assorbe poco, con tempi, quote e mesi di permanenza nella disoccupazione maggiori rispetto al Centro-Nord. Se al Nord il mercato tende al tipo anglosassone (se io perdo un lavoro, lo ritrovo velocemente), al Sud, invece, perdere il lavoro vuol dire entrare in un percorso di prove ed errori, di concorsi che non si fanno, di iniziative che partono e poi muoiono, se non anche di iniziative capestro. Con risvolti demoralizzanti.”
Si perché la probabilità di avere un lavoro standard al Sud è molto meno elevata che altrove. In Calabria e Puglia è atipico quasi un lavoro su cinque (il 18%). Elevate le proporzioni anche in Sicilia e Sardegna (vedi tabella). E’ il Piemonte invece la regione dove prevale significativamente il lavoro standard.
Spesso le scelte al Sud sono influenzate anche dal contesto familiare. Ed è proprio nelle regioni dove le pressioni familiari sono più elevate che sale la disponibilità ad accettare un lavoro qualunque. E non conta più se un lavoro è “buono” o meno. La stabilità nel tempo dell’occupazione del partner, scrivono gli autori dell’indagine, aumenta in maniera significativa la soglia di accettazione media per le offerte di lavoro. E così si osserva una forte polarizzazione tra Mezzogiorno da un lato e Centro-Nord dall’altro. In Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, ovvero la quota di persone con un partner con lavoro sicuro è più bassa (intorno all’80%) sale di molto la percentuale di chi si dice disposto a lavorare immediatamente (più del 25%). Mentre in Regioni come Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia dove la quota di persone con partner con un posto sicuro è molto elevata (sopra al 90%) la disponibilità immediata a lavorare anche di chi non ha un lavoro scende in maniera sensibile (tra il 7 e il 9%).
Ma vediamo dove le cose vanno meglio. La regione dove si impiega meno tempo per trovare un impiego è il Trentino Alto Adige dove ai disoccupati in media bastano poco più di quattro mesi. Dinamici anche i mercati della Lombardia (6,8 mesi), Friuli Venezia Giulia (6,9 mesi) ed Emilia Romagna (7,2). Nel Lazio invece si attende un anno circa prima di riuscire a trovare un impiego.
Nelle città europee, secondo i dati dell’Urban Audit Perception Survey, trovare lavoro viene considerato difficile mediamente dal 60% degli intervistati. Le città dove trovare lavoro sembra meno complicato sono Dublino, Manchester, Londra, Helsinki, Parigi e Amsterdam. A Dublino il 47% ritiene che in qualche modo sia semplice trovare un lavoro. All'altro estremo della classifica si trovano Napoli, Berlino, Lisbona, Lipsia e Torino (vedi tabella).
In Italia, dati Cnel-Istat, le persone alla ricerca di un impiego sono quasi due milioni. Più donne (985 mila) che uomini (899 mila). Di questi, 212mila sono laureati, circa 700mila hanno un diploma, altri 700mila la licenza media e 200mila la licenza elementare. Dei 212mila laureati la gran parte (134mila) sono donne mentre gli uomini sono solo 78 mila.
Quanto alla mobilità, circa il dieci per cento dei lavoratori in Italia si sono spostati dalla propria residenza originaria per una nuova. Sette su cento hanno cambiato regione. E’ al Sud che la quota dei lavoratori raggiunge livelli più elevati seppure ancora lontani dalle cifre di una volta. Il 16% dei lavoratori del Sud si sono spostati per lo più al Nord Ovest (il 6,9%) e al Nord Est (il 5,2%). Ma molti sono anche quelli che hanno cambiato residenza pur rimanendo nel Mezzogiorno (il 20,9). A muoversi oggi, a cambiare provincia di residenza, sono soprattutto i laureati (il 15%). E soprattutto ci si sposta per un lavoro a tempo indeterminato. Un sogno, però, difficile da realizzare.
CLASSIFICA REGIONI:
Quanto ci vuole per trovare un lavoro
INTERVISTA:
Emiliano Mandrone, Isfol, responsabile indagine Plus "Premiare la qualità"
LAVORO ATIPICO:
La classifica per regione
TROVARE LAVORO IN EUROPA: Le città dove è facile e dove è difficile
CASA-UFFICIO:
I tempi di percorrenza in minuti
BLOG:
RACCONTA LA TUA ESPERIENZA
Indagine Isfol: nelle regioni del Sud più di venti mesi per un impiego. Tra quattro e sei mesi invece in Lombardia, Friuli, Trentino e Umbria. Come cambiano i tempi di ricerca, la mobilità geografica e quanto si impiega per andare in ufficio nelle regioni italiane.
REGIONI: quanto ci vuole per un lavoro.
LAVORO ATIPICO: % per regione.
TROVARE LAVORO IN EUROPA: dove è facile e dove è difficile.
CASA-UFFICIO: i tempi di percorrenza.
ISFOL: "Premiare la qualità".
BLOG: RACCONTA LA TUA ESPERIENZA
di FEDERICO PACE
I centri per l’impiego, qualche sede delle agenzie per il lavoro. Curriculum spediti a centinaia in risposta agli annunci letti sui giornali e sui siti web. Qualche telefonata in giro. Persino un po’ di lavoro nero. I tentativi tanti, ma i risultati pochi. “Io ho fatto di tutto - racconta L.P., neolaureato di Catania - ho cercato per mesi e bussato a tante porte. Dopo quasi un anno senza risposte, ho deciso di fare un master, ma poi, alla fine, ho trovato solo uno stage di pochi mesi in un’impresa di Milano. Adesso che è finito non so più cosa fare”. Già, adesso, non resta che mettersi di nuovo a cercare.
Nonostante i posti siano sempre più atipici, flessibili o precari, per trovare un impiego ci si impiega sempre più tempo. Anche, e soprattutto, in quelle regioni dove il lavoro è meno standard. E così si apre ancora di più il divario tra le due Italie. E il lavoro diventa il termometro più spietato di una febbre che non accenna a scendere. Nelle regioni del Mezzogiorno, la ricerca di lavoro pare divenire sempre più una specie di odissea dove il tempo non trascorre mai o trascorre troppo rapidamente senza mai portare frutti.
Secondo i dati dell’indagine Plus dell’Isfol, sono i siciliani e i pugliesi quelli che più di ogni altro si ritrovano a dovere fare i conti con una ricerca che sembra non finire mai. In Sicilia, Puglia e Basilicata la durata media di ricerca di lavoro è di oltre ventidue mesi (vedi tabella). Ma anche in Calabria, Campania e Molise si superano i 19 mesi.
“Alle persone preme soprattutto trovare il lavoro in tempi brevi – ci ha detto Emiliano Mandrone, responsabile dell’indagine Plus (leggi l'intervista integrale) – Infatti dal punto di vista individuale ci si aspetta che la flessibilità riduca i tempi di ricerca di lavoro. Rimarchiamo che se la flessibilità assorbe i disoccupati è buona, ma è cattiva se riduce la stabilità e aumenta la precarietà degli occupati. Invece noi ci accorgiamo che la precarietà del lavoro è su livelli più alti al Sud che al Nord, con esiti preoccupanti a medio termine. Il mercato del lavoro del Sud assorbe poco, con tempi, quote e mesi di permanenza nella disoccupazione maggiori rispetto al Centro-Nord. Se al Nord il mercato tende al tipo anglosassone (se io perdo un lavoro, lo ritrovo velocemente), al Sud, invece, perdere il lavoro vuol dire entrare in un percorso di prove ed errori, di concorsi che non si fanno, di iniziative che partono e poi muoiono, se non anche di iniziative capestro. Con risvolti demoralizzanti.”
Si perché la probabilità di avere un lavoro standard al Sud è molto meno elevata che altrove. In Calabria e Puglia è atipico quasi un lavoro su cinque (il 18%). Elevate le proporzioni anche in Sicilia e Sardegna (vedi tabella). E’ il Piemonte invece la regione dove prevale significativamente il lavoro standard.
Spesso le scelte al Sud sono influenzate anche dal contesto familiare. Ed è proprio nelle regioni dove le pressioni familiari sono più elevate che sale la disponibilità ad accettare un lavoro qualunque. E non conta più se un lavoro è “buono” o meno. La stabilità nel tempo dell’occupazione del partner, scrivono gli autori dell’indagine, aumenta in maniera significativa la soglia di accettazione media per le offerte di lavoro. E così si osserva una forte polarizzazione tra Mezzogiorno da un lato e Centro-Nord dall’altro. In Campania, Sicilia, Calabria e Puglia, ovvero la quota di persone con un partner con lavoro sicuro è più bassa (intorno all’80%) sale di molto la percentuale di chi si dice disposto a lavorare immediatamente (più del 25%). Mentre in Regioni come Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia dove la quota di persone con partner con un posto sicuro è molto elevata (sopra al 90%) la disponibilità immediata a lavorare anche di chi non ha un lavoro scende in maniera sensibile (tra il 7 e il 9%).
Ma vediamo dove le cose vanno meglio. La regione dove si impiega meno tempo per trovare un impiego è il Trentino Alto Adige dove ai disoccupati in media bastano poco più di quattro mesi. Dinamici anche i mercati della Lombardia (6,8 mesi), Friuli Venezia Giulia (6,9 mesi) ed Emilia Romagna (7,2). Nel Lazio invece si attende un anno circa prima di riuscire a trovare un impiego.
Nelle città europee, secondo i dati dell’Urban Audit Perception Survey, trovare lavoro viene considerato difficile mediamente dal 60% degli intervistati. Le città dove trovare lavoro sembra meno complicato sono Dublino, Manchester, Londra, Helsinki, Parigi e Amsterdam. A Dublino il 47% ritiene che in qualche modo sia semplice trovare un lavoro. All'altro estremo della classifica si trovano Napoli, Berlino, Lisbona, Lipsia e Torino (vedi tabella).
In Italia, dati Cnel-Istat, le persone alla ricerca di un impiego sono quasi due milioni. Più donne (985 mila) che uomini (899 mila). Di questi, 212mila sono laureati, circa 700mila hanno un diploma, altri 700mila la licenza media e 200mila la licenza elementare. Dei 212mila laureati la gran parte (134mila) sono donne mentre gli uomini sono solo 78 mila.
Quanto alla mobilità, circa il dieci per cento dei lavoratori in Italia si sono spostati dalla propria residenza originaria per una nuova. Sette su cento hanno cambiato regione. E’ al Sud che la quota dei lavoratori raggiunge livelli più elevati seppure ancora lontani dalle cifre di una volta. Il 16% dei lavoratori del Sud si sono spostati per lo più al Nord Ovest (il 6,9%) e al Nord Est (il 5,2%). Ma molti sono anche quelli che hanno cambiato residenza pur rimanendo nel Mezzogiorno (il 20,9). A muoversi oggi, a cambiare provincia di residenza, sono soprattutto i laureati (il 15%). E soprattutto ci si sposta per un lavoro a tempo indeterminato. Un sogno, però, difficile da realizzare.
CLASSIFICA REGIONI:
Quanto ci vuole per trovare un lavoro
INTERVISTA:
Emiliano Mandrone, Isfol, responsabile indagine Plus "Premiare la qualità"
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TROVARE LAVORO IN EUROPA: Le città dove è facile e dove è difficile
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15.12.06
Busto Arsizio - Precari "silurati", presidio all'ingresso dell'ospedale
Protesta contro i mancati rinnovi di vari contratti, e una situzione chiaramente insostenibile
Lasciati a casa dall'azienda ospedaliera, i precari protestano di fronte all'ospedale di Busto. Questa mattina una ventina di manifestanti aderenti al Coordinamento precari RdB/Cub si sono riuniti all'ingresso principale del nosocomio bustese, "armati" di volantini e cartelli, per protestatre contro una situazione non più sostenibile, che vede le vite di centinaia di lavoratori (circa 3000 fra Busto, Saronno e Tradate) e delle loro famiglie appese a rinnovi di contratti anche di soli sei mesi. Rinnovi che spesso non arrivano, con conseguenze intuibili: persone senza lavoro, e spesso in età tale da essere già considerate "vecchie" per il moderno mercato degli schiavi. Una delegazione si è recata dal direttore amministrativo dell'azienda ospedaliera per perorare la causa dei rinnovi contrattuali.
«Lavoro subito, lavoro per tutti, solidarietà», «Non siamo lavoratori di serie B», «Date un futuro a noi e alle nostre famiglie»: questi gli slogan che si disperdevano nell'aria, gelida quanto l'indifferenza dei passanti, che forse avevano ben altri problemi a cui pensare.
Non mancano vicende personali non facili fra queste "mozzarelle in scadenza", come sono stati definiti i precari dell'ospedale. Gaetana C. , ausiliaria a Saronno, è vedova ed ha due figli minorenni: anche lei è stata lasciata "a piedi". «Noi ci proviamo, lottiamo, ma se nessuno ci viene incontro e ci aiuta...» Antonietta P. invece era addetta, sempre come ausiliaria, alle cucine dell'ospedale di Busto, uno dei reaprti in cui maggiore è il ricorso ad esternalizzazioni. Anche per lei, contratto scaduto e non rinnovato: a casa col marito, pure lui al momento disoccupato. «Noi precari occupiamo posti che un tempo erano affidati a lavoratori a tempo indeterminato» raccontano i manifestanti. «C'è un turnover continuo di personale precario in tutti gli enti ospedalieri lombardi, non certo solo in questa azienda. Grazie ai "tetti" sulle assunzioni voluti dalla regione, le uniche persone cui si fanno contratti a tempo indeterminato sono gli infermieri professionali» riferisce Ivana Graglia; per gli altri, il lavoro oggi c'è, domani chissà. «Si appaltano ad esterni sempre più lavori, non più solo le cucine, oggi eprsino le vaccinazioni antinfluenzali vengono "esternalizzate" ai singoli medici, pagandoli e gonfiando ancora le spese delle aziende sanitarie..» che poi si rivalgono sui soliti noti, quelli che lo stipendio oggi lo incassano, domani chissà.
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Precari Invalsi, incontro col ministro Fioroni
di Precari Invalsi
A seguito della richiesta delle organizzazioni sindacali FLC_CGIL, CISL-FIR, UIL PA-UR di un incontro con il Ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, questa mattina 13 dicembre 2006, si è svolto un sit-in davanti al Ministero in viale Trastevere. Una delegazione, composta dai rappresentanti nazionali FLC-CGIL, CISL-FIR, UIL PA-UR e dai rappresentanti dei collaboratori è stata ricevuta da Mario Petrini, Dirigente dell’ufficio Ordinamenti del primo ciclo.
Dopo l’esposizione da parte dei sindacati della richiesta di stabilizzazione per il personale precario Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) e la lettura della lettera aperta indirizzata al Ministro Fioroni dai 71 collaboratori, si è chiaramente evinto che l’amministrazione centrale non ha previsto ancora alcuna soluzione possibile per i 71 contratti in scadenza il 31 dicembre 2006. È, altresì, chiaro che non avendo individuato un interlocutore politico, nonostante fosse stata presentata formale richiesta da parte delle organizzazioni sindacali, il Ministero non sta prendendo minimamente in considerazione il reale problema dell’Invalsi, sostenendo che ad oggi non erano ancora venuti a conoscenza di tale situazione. È stato fatto inoltre presente che dal 2 gennaio 2007 l’Istituto non rinnovando i 71 contratti, non potrà assolvere ai suoi compiti istituzionali nazionali e internazionali. Petrini si è impegnato a riportarele richieste al Direttore Generale della Direzione per gli Ordinamenti Scolastici Mario G. Dutto.Entro venerdì 15 dicembre 2006, su sollecitazione della delegazione sindacale, il Ministero darà probabilmente una risposta in merito.
I 71 collaboratori dell’Invalsi provano risentimento e indignazione per la superficialità mostrata ormai da lungo tempo da parte sia del Ministero sia della Dirigenza dell’Invalsi nell’affrontare il processo di stabilizzazione di tutto il personale precario dell’Istituto. I collaboratori pertanto hanno deciso unitariamente alle tre organizzazioni sindacali di proseguire con lo stato di agitazione realizzando forme di protesta ancora più incisive nel caso in cui, entro venerdì 15 dicembre 2006, non vengano date risposte concrete.
I lavoratori precari Invalsi
15/12/2006
A seguito della richiesta delle organizzazioni sindacali FLC_CGIL, CISL-FIR, UIL PA-UR di un incontro con il Ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, questa mattina 13 dicembre 2006, si è svolto un sit-in davanti al Ministero in viale Trastevere. Una delegazione, composta dai rappresentanti nazionali FLC-CGIL, CISL-FIR, UIL PA-UR e dai rappresentanti dei collaboratori è stata ricevuta da Mario Petrini, Dirigente dell’ufficio Ordinamenti del primo ciclo.
Dopo l’esposizione da parte dei sindacati della richiesta di stabilizzazione per il personale precario Invalsi (Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione) e la lettura della lettera aperta indirizzata al Ministro Fioroni dai 71 collaboratori, si è chiaramente evinto che l’amministrazione centrale non ha previsto ancora alcuna soluzione possibile per i 71 contratti in scadenza il 31 dicembre 2006. È, altresì, chiaro che non avendo individuato un interlocutore politico, nonostante fosse stata presentata formale richiesta da parte delle organizzazioni sindacali, il Ministero non sta prendendo minimamente in considerazione il reale problema dell’Invalsi, sostenendo che ad oggi non erano ancora venuti a conoscenza di tale situazione. È stato fatto inoltre presente che dal 2 gennaio 2007 l’Istituto non rinnovando i 71 contratti, non potrà assolvere ai suoi compiti istituzionali nazionali e internazionali. Petrini si è impegnato a riportarele richieste al Direttore Generale della Direzione per gli Ordinamenti Scolastici Mario G. Dutto.Entro venerdì 15 dicembre 2006, su sollecitazione della delegazione sindacale, il Ministero darà probabilmente una risposta in merito.
I 71 collaboratori dell’Invalsi provano risentimento e indignazione per la superficialità mostrata ormai da lungo tempo da parte sia del Ministero sia della Dirigenza dell’Invalsi nell’affrontare il processo di stabilizzazione di tutto il personale precario dell’Istituto. I collaboratori pertanto hanno deciso unitariamente alle tre organizzazioni sindacali di proseguire con lo stato di agitazione realizzando forme di protesta ancora più incisive nel caso in cui, entro venerdì 15 dicembre 2006, non vengano date risposte concrete.
I lavoratori precari Invalsi
15/12/2006
Quell'abbraccio mortale con i «baroni»
dal "manifesto" del 15 dicembre 2006
I lessici politici sono sempre «situati»: parole di rottura radicale in un contesto sono innocui zuccherini in un altro. Negli ultimi anni movimenti e conflitti sociali hanno prodotto, agito e imposto autonomamente il discorso sulla precarietà, determinandone la proliferazione semantica, introducendolo stabilmente nell'agenda politica, facendone un tema dirimente dell'ultima campagna elettorale. Fino ad arrivare a una parte del governo che si fa piazza tentando di rappresentare i precari. Il ciclo della «MayDay» è finito con il corteo del 4 novembre. Dire oggi che la precarietà è un tratto strutturale della società contemporanea, snocciolarne i dati e ribadirne la sua forma di vita e non solo di lavoro, è certo corretto dal punto di vista analitico, ma politicamente debole. Questo boccone è già stato masticato e deglutito dal sistema politico, l'eccedenza soggettiva - che è questione di qualità, non di quantità - non è stata eliminata, ma sicuramente addomesticata. Il termidoro del discorso sulla precarietà si può spezzare solo producendo un nuovo lessico forte. Cominciamo dall'università. Ci vuole poco a essere contro la Moratti,
molto di più a mettere radicalmente in discussione lo storico disinvestimento bipartisan nella formazione e nella ricerca. Ma il problema non è solo qualche milione in più o in meno nella finanziaria, bensì la struttura dell'università italiana, di cui anche Mussi è ostaggio. Si tratta di un'istituzione pachidermica al collasso, in cui precipita un letale mix di potere baronale e riforme aziendalistiche. Il peggio del sistema feudale e del capitalismo postfordista. I 55.000 precari affidano le loro speranze di diventare strutturati a un rapporto individualizzato con il barone, attendendo in coda per anni fedeli e ubbidienti. Scambiando quindi la propria libertà di ricerca e intellettuale per un concorso, formalmente pubblico, in realtà «chiamato» (così si dice nel gergo accademico) dall'ordinario. Le linee di classe nelle «fabbriche del sapere» sono dunque confuse: i baroni diventano alleati, l'unico avversario è il governo (di centro-destra). In questa chiave è leggibile la crisi delle mobilitazioni dei ricercatori precari, che hanno individuato nella casta feudale un compagno di lotta, ancorché tattico, anziché il primo avversario da battere. Si è così consegnato alla fondazione privata Crui il ruolo di rappresentante della cittadella del sapere e custode della sacralità della Cultura. In Italia la retorica dell'università-azienda è usata come dispositivo di gestione e controllo della forza lavoro (studenti e ricercatori): di fatto non la vogliono né la destra né la sinistra, la prima impaurita dalle lobby accademiche, la seconda incarnandone una buona parte. E non la vogliono nemmeno le imprese, che preferiscono un ruolo parassitario su formazione e ricerca. Nella misura in cui i saperi diventano forza produttiva centrale e la funzione intellettuale viene riassorbita dalla cooperazione sociale, perdendo finalmente la sua aura di privilegio, la difesa della torre d'avorio è conservatrice e corporativa. Serve una posizione politicamente audace e sobriamente provocatoria: il problema dei precari è aggredire i privilegi presenti nella cittadella del sapere, spingendo fino in fondo il paradosso dell'università-azienda e trasformandola in un terreno di conflitto.
Non in quanto il modello imprenditoriale sia basato sulla (nefasta) meritocrazia: sarebbe come credere alle favole del libero mercato à la Ichino o Giavazzi. Ma perché scardinare il controllo feudale vuol dire per i precari rompere i meccanismi di fidelizzazione, asservimento personale e invidualizzazione gerarchica: avere di fronte il nemico nella sua nuda forma permette di demistificare i rapporti di potere e focalizzare il conflitto.
Nell'università italiana, dunque, destrutturare il governo verticale significa
non frenare ma accelerare il processo della solo evocata governance , aprendo lo scarto tra «governamentalità» e innflazione dei meccanismi di gestione policentrica del potere, e allargando così gli spazi per l'autorappresentazione del precariato. La rivendicazione dei 55.000 precari di diventare strutturati nell'università, per quanto legittima, da un lato è impercorribile se continua lo storico disinvestimento da parte del sistema politico. E tuttavia non muta i rapporti di potere, rischiando anzi di rafforzarli. La linea del conflitto all'interno delle «fabbriche del sapere»
si articola intorno alla lotta tra autonomia e subordinazione nella produzione
cognitiva e nella gestione dei tempi di vita. Del resto, chi parla di una taylorizzazione del lavoro formativo e di ricerca coglie l'intento disciplinante delle riforme universitarie, ma dimentica l'aspetto centrale: la sua impossibilità, in quanto la produzione dei saperi sfugge ai criteri della misurazione e della serializzazione. In questo scarto si colloca l'irresolubile contraddizione piantata nel cuore del capitalismo cognitivo, che per alimentarsi dipende strutturalmente dall'eccedenza e dalla libertà del sapere vivo, ma deve continuamente controllarla e quindi negarla. L'applicazione delle rigidità contrattuali fordiste è tanto impraticabile data la costitutiva intermittenza dell'attività cognitiva - quanto poco desiderata dalle nuove soggettività del lavoro vivo. Il problema è la conquista di tutele (reddito, mobilità, gestione di spazi e tempi), articolate in modo flessibile,
per allargare la sfera di autonomia. Alcune stenografiche proposte esemplificative: basta con i concorsi, la loro ideologia statalista e il controllo feudale, ma contrattazione diretta tra precari e università-azienda; rivendicazione di cospicui finanziamenti - pubblici e privati per la mobilità e la costruzione di reti transnazionali tra studenti e precari senza il controllo dei docenti, per la pubblicazione di testi e circolazione di conoscenze fuori dal sistema della proprietà intellettuale, per attività di autoformazione liberamente scelte, interamente autogestite e riconosciute in crediti formativi, inflazionandone così il meccanismo. È necessario rovesciare il precariato: da figura di assenza (di diritti e stabilità), bisognoso di rappresentanza, in soggetto costitutivamente potente, dunque autonomo. Facendo della sua apparente debolezza, l'essere ai margini, il suo reale punto di
forza, situato sulla frontiera dell'ambivalente spazio dell'università che si fa metropoli. Insomma, il problema non è cicatrizzare la crisi dell'accademia, ma agirla fino in fondo.
I lessici politici sono sempre «situati»: parole di rottura radicale in un contesto sono innocui zuccherini in un altro. Negli ultimi anni movimenti e conflitti sociali hanno prodotto, agito e imposto autonomamente il discorso sulla precarietà, determinandone la proliferazione semantica, introducendolo stabilmente nell'agenda politica, facendone un tema dirimente dell'ultima campagna elettorale. Fino ad arrivare a una parte del governo che si fa piazza tentando di rappresentare i precari. Il ciclo della «MayDay» è finito con il corteo del 4 novembre. Dire oggi che la precarietà è un tratto strutturale della società contemporanea, snocciolarne i dati e ribadirne la sua forma di vita e non solo di lavoro, è certo corretto dal punto di vista analitico, ma politicamente debole. Questo boccone è già stato masticato e deglutito dal sistema politico, l'eccedenza soggettiva - che è questione di qualità, non di quantità - non è stata eliminata, ma sicuramente addomesticata. Il termidoro del discorso sulla precarietà si può spezzare solo producendo un nuovo lessico forte. Cominciamo dall'università. Ci vuole poco a essere contro la Moratti,
molto di più a mettere radicalmente in discussione lo storico disinvestimento bipartisan nella formazione e nella ricerca. Ma il problema non è solo qualche milione in più o in meno nella finanziaria, bensì la struttura dell'università italiana, di cui anche Mussi è ostaggio. Si tratta di un'istituzione pachidermica al collasso, in cui precipita un letale mix di potere baronale e riforme aziendalistiche. Il peggio del sistema feudale e del capitalismo postfordista. I 55.000 precari affidano le loro speranze di diventare strutturati a un rapporto individualizzato con il barone, attendendo in coda per anni fedeli e ubbidienti. Scambiando quindi la propria libertà di ricerca e intellettuale per un concorso, formalmente pubblico, in realtà «chiamato» (così si dice nel gergo accademico) dall'ordinario. Le linee di classe nelle «fabbriche del sapere» sono dunque confuse: i baroni diventano alleati, l'unico avversario è il governo (di centro-destra). In questa chiave è leggibile la crisi delle mobilitazioni dei ricercatori precari, che hanno individuato nella casta feudale un compagno di lotta, ancorché tattico, anziché il primo avversario da battere. Si è così consegnato alla fondazione privata Crui il ruolo di rappresentante della cittadella del sapere e custode della sacralità della Cultura. In Italia la retorica dell'università-azienda è usata come dispositivo di gestione e controllo della forza lavoro (studenti e ricercatori): di fatto non la vogliono né la destra né la sinistra, la prima impaurita dalle lobby accademiche, la seconda incarnandone una buona parte. E non la vogliono nemmeno le imprese, che preferiscono un ruolo parassitario su formazione e ricerca. Nella misura in cui i saperi diventano forza produttiva centrale e la funzione intellettuale viene riassorbita dalla cooperazione sociale, perdendo finalmente la sua aura di privilegio, la difesa della torre d'avorio è conservatrice e corporativa. Serve una posizione politicamente audace e sobriamente provocatoria: il problema dei precari è aggredire i privilegi presenti nella cittadella del sapere, spingendo fino in fondo il paradosso dell'università-azienda e trasformandola in un terreno di conflitto.
Non in quanto il modello imprenditoriale sia basato sulla (nefasta) meritocrazia: sarebbe come credere alle favole del libero mercato à la Ichino o Giavazzi. Ma perché scardinare il controllo feudale vuol dire per i precari rompere i meccanismi di fidelizzazione, asservimento personale e invidualizzazione gerarchica: avere di fronte il nemico nella sua nuda forma permette di demistificare i rapporti di potere e focalizzare il conflitto.
Nell'università italiana, dunque, destrutturare il governo verticale significa
non frenare ma accelerare il processo della solo evocata governance , aprendo lo scarto tra «governamentalità» e innflazione dei meccanismi di gestione policentrica del potere, e allargando così gli spazi per l'autorappresentazione del precariato. La rivendicazione dei 55.000 precari di diventare strutturati nell'università, per quanto legittima, da un lato è impercorribile se continua lo storico disinvestimento da parte del sistema politico. E tuttavia non muta i rapporti di potere, rischiando anzi di rafforzarli. La linea del conflitto all'interno delle «fabbriche del sapere»
si articola intorno alla lotta tra autonomia e subordinazione nella produzione
cognitiva e nella gestione dei tempi di vita. Del resto, chi parla di una taylorizzazione del lavoro formativo e di ricerca coglie l'intento disciplinante delle riforme universitarie, ma dimentica l'aspetto centrale: la sua impossibilità, in quanto la produzione dei saperi sfugge ai criteri della misurazione e della serializzazione. In questo scarto si colloca l'irresolubile contraddizione piantata nel cuore del capitalismo cognitivo, che per alimentarsi dipende strutturalmente dall'eccedenza e dalla libertà del sapere vivo, ma deve continuamente controllarla e quindi negarla. L'applicazione delle rigidità contrattuali fordiste è tanto impraticabile data la costitutiva intermittenza dell'attività cognitiva - quanto poco desiderata dalle nuove soggettività del lavoro vivo. Il problema è la conquista di tutele (reddito, mobilità, gestione di spazi e tempi), articolate in modo flessibile,
per allargare la sfera di autonomia. Alcune stenografiche proposte esemplificative: basta con i concorsi, la loro ideologia statalista e il controllo feudale, ma contrattazione diretta tra precari e università-azienda; rivendicazione di cospicui finanziamenti - pubblici e privati per la mobilità e la costruzione di reti transnazionali tra studenti e precari senza il controllo dei docenti, per la pubblicazione di testi e circolazione di conoscenze fuori dal sistema della proprietà intellettuale, per attività di autoformazione liberamente scelte, interamente autogestite e riconosciute in crediti formativi, inflazionandone così il meccanismo. È necessario rovesciare il precariato: da figura di assenza (di diritti e stabilità), bisognoso di rappresentanza, in soggetto costitutivamente potente, dunque autonomo. Facendo della sua apparente debolezza, l'essere ai margini, il suo reale punto di
forza, situato sulla frontiera dell'ambivalente spazio dell'università che si fa metropoli. Insomma, il problema non è cicatrizzare la crisi dell'accademia, ma agirla fino in fondo.
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14.12.06
Nicolais: Non ci sono fondi per assumere 500mila precari nella PA
Giovedì, 14 dicembre
Appunti Per assumere 500.000 precari nella pubblica amministrazione potrebbero essere necessari circa 15 miliardi l'anno e queste risorse nella Finanziaria "non ci sono". Lo afferma il ministro delle Riforme e innovazione nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, in un'intervista video all'Ansa nella quale sottolinea che introdurre 500.000 persone "non sarebbe un vantaggio per l'amministrazione" che ha bisogno sì di giovani, ma inserendolo "in maniera graduale".
Secondo Nicolais, le risorse previste nell'emendamento alla manovra che punta alla costituzione di un fondo per la stabilizzazione di 350.000 precari tra ministeri, enti locali e sanità non sarebbero sufficienti anche perché - spiega - i fondi contenuti nei conti correnti bancari "dormienti" sarebbero "una tantum", mentre gli stipendi delle persone eventualmente assunte costituirebbero un costo annuale.
Altra cosa è invece la stabilizzazione nella scuola dei 150.000 insegnanti precari che hanno contratti di supplenza da almeno tre anni. "Questi non sarebbero un costo - dice - perché sono già retribuiti". Secondo Nicolais, nelle amministrazioni centrali nel 2007 dovrebbero essere assunti 8-10.000 precari, mentre altre stabilizzazioni potrebbero essere previste negli enti locali e nella sanità.
Appunti Per assumere 500.000 precari nella pubblica amministrazione potrebbero essere necessari circa 15 miliardi l'anno e queste risorse nella Finanziaria "non ci sono". Lo afferma il ministro delle Riforme e innovazione nella pubblica amministrazione, Luigi Nicolais, in un'intervista video all'Ansa nella quale sottolinea che introdurre 500.000 persone "non sarebbe un vantaggio per l'amministrazione" che ha bisogno sì di giovani, ma inserendolo "in maniera graduale".
Secondo Nicolais, le risorse previste nell'emendamento alla manovra che punta alla costituzione di un fondo per la stabilizzazione di 350.000 precari tra ministeri, enti locali e sanità non sarebbero sufficienti anche perché - spiega - i fondi contenuti nei conti correnti bancari "dormienti" sarebbero "una tantum", mentre gli stipendi delle persone eventualmente assunte costituirebbero un costo annuale.
Altra cosa è invece la stabilizzazione nella scuola dei 150.000 insegnanti precari che hanno contratti di supplenza da almeno tre anni. "Questi non sarebbero un costo - dice - perché sono già retribuiti". Secondo Nicolais, nelle amministrazioni centrali nel 2007 dovrebbero essere assunti 8-10.000 precari, mentre altre stabilizzazioni potrebbero essere previste negli enti locali e nella sanità.
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Call center, accordo raggiunto per l'assunzione di 6500 precari
Roma 13/12/2006 19:40
CALL CENTER, ACCORDO RAGGIUNTO PER ASSUNZIONE 6.500 PRECARI
Roma, 13 dic. (Apcom) - Accordo raggiunto tra sindacati e Atesia per l'assunzione a tempo indeterminato di 6.500 precari. Oggi infatti le organizzazioni sindacali confederali Uil-Uilcom, Cgil-Slc, Cisl-Fistel e il Gruppo Almaviva (Atesia-Cos-Cosmed-Aticos- In-action) sono giunte all'intesa che prevede che la stabilizzazione avverrà entro il 2007 e riguarderà 4000 lavoratori inbound e 2500 in attività mista, con l'assunzione a tempo indeterminato part-time a 4 ore al terzo livello del contratto delle Tlc.
CALL CENTER, ACCORDO RAGGIUNTO PER ASSUNZIONE 6.500 PRECARI
Roma, 13 dic. (Apcom) - Accordo raggiunto tra sindacati e Atesia per l'assunzione a tempo indeterminato di 6.500 precari. Oggi infatti le organizzazioni sindacali confederali Uil-Uilcom, Cgil-Slc, Cisl-Fistel e il Gruppo Almaviva (Atesia-Cos-Cosmed-Aticos- In-action) sono giunte all'intesa che prevede che la stabilizzazione avverrà entro il 2007 e riguarderà 4000 lavoratori inbound e 2500 in attività mista, con l'assunzione a tempo indeterminato part-time a 4 ore al terzo livello del contratto delle Tlc.
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Umbria: al via stabilizzazione precari settore sanitario
Con un accordo siglato dalla Regione e dalle organizzazioni sindacali
L'assessore Rosi: ''L'operazione attivata con questo patto è a costo zero e non avraà ripercussioni finanziarie per il Servizio sanitario regionale''
Perugia, 14 dic. (Adnkronos/Labitalia) - ''Un accordo che non comportera' aumento di costi per il Sistema sanitario regionale, garantendo al tempo stesso la riduzione del precariato ai limiti 'fisiologici'''. Cosi' l'assessore alla Sanita' della regione Umbria, Maurizio Rosi, commenta l'accordo siglato dalla Regione e dalle organizzazioni sindacali che prevede la stabilizzazione di numerosi lavoratori precari del comparto sanitario e amministrativo delle aziende sanitarie e ospedaliere dell'Umbria. ''La nostra -aggiunge- e' l'unica regione che non ha applicato tasse per la sanita', ne' ticket sui farmaci. E anche l'operazione attivata con questo accordo e' a costo zero e non avra' ripercussioni finanziarie per il Servizio sanitario regionale. Quindi niente spesa pubblica facile, ma risposte serie agli operatori e ai pazienti''.
''Il documento -ricorda l'assessore- prende in considerazione solo quelle situazioni lavorative per le quali le aziende ospedaliere e le Asl sostengono una spesa consolidata da due anni a questa parte e riguardante il personale che ha almeno tre anni di esperienza in sanita'. Si tratta di lavoratori che operano da anni nel sistema sanitario e che hanno gia' affrontato concorsi o a procedure selettive''.
Secondo Rosi, la regione ha ritenuto che ''senza aumenti di costi fosse conveniente e produttivo per il Servizio sanitario regionale offrire la possibilita' di stabilizzazione a lavorano da diverso tempo in regime di precariato''. ''Questo -osserva- avverra' nella quasi totalita' dei casi attraverso procedure concorsuali, con la sola eccezione di alcune limitate fattispecie, in linea con quanto previsto dalla Finanziaria 2007 e dalla legge regionale 16/2005''.
''La consistente riduzione della rotazione del personale a elevato turn-over -ribadisce l'assessore umbro- portera' a un miglioramento degli standard assistenziali, in quanto il poter contare su personale stabile, quindi estremamente motivato nella propria attivita', non puo' che incidere in positivo nell'erogazione di un servizio cosi' delicato come quello dell'assistenza sanitaria''.
L'assessore Rosi: ''L'operazione attivata con questo patto è a costo zero e non avraà ripercussioni finanziarie per il Servizio sanitario regionale''
Perugia, 14 dic. (Adnkronos/Labitalia) - ''Un accordo che non comportera' aumento di costi per il Sistema sanitario regionale, garantendo al tempo stesso la riduzione del precariato ai limiti 'fisiologici'''. Cosi' l'assessore alla Sanita' della regione Umbria, Maurizio Rosi, commenta l'accordo siglato dalla Regione e dalle organizzazioni sindacali che prevede la stabilizzazione di numerosi lavoratori precari del comparto sanitario e amministrativo delle aziende sanitarie e ospedaliere dell'Umbria. ''La nostra -aggiunge- e' l'unica regione che non ha applicato tasse per la sanita', ne' ticket sui farmaci. E anche l'operazione attivata con questo accordo e' a costo zero e non avra' ripercussioni finanziarie per il Servizio sanitario regionale. Quindi niente spesa pubblica facile, ma risposte serie agli operatori e ai pazienti''.
''Il documento -ricorda l'assessore- prende in considerazione solo quelle situazioni lavorative per le quali le aziende ospedaliere e le Asl sostengono una spesa consolidata da due anni a questa parte e riguardante il personale che ha almeno tre anni di esperienza in sanita'. Si tratta di lavoratori che operano da anni nel sistema sanitario e che hanno gia' affrontato concorsi o a procedure selettive''.
Secondo Rosi, la regione ha ritenuto che ''senza aumenti di costi fosse conveniente e produttivo per il Servizio sanitario regionale offrire la possibilita' di stabilizzazione a lavorano da diverso tempo in regime di precariato''. ''Questo -osserva- avverra' nella quasi totalita' dei casi attraverso procedure concorsuali, con la sola eccezione di alcune limitate fattispecie, in linea con quanto previsto dalla Finanziaria 2007 e dalla legge regionale 16/2005''.
''La consistente riduzione della rotazione del personale a elevato turn-over -ribadisce l'assessore umbro- portera' a un miglioramento degli standard assistenziali, in quanto il poter contare su personale stabile, quindi estremamente motivato nella propria attivita', non puo' che incidere in positivo nell'erogazione di un servizio cosi' delicato come quello dell'assistenza sanitaria''.
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Sondaggio: elettori di centrosinistra favorevoli all'assunzione dei precari della pubblica amministrazione
L'assunzione dei 300 mila precari della pubblica amministrazione prevista dalla finanziaria, altro argomento cha ha fatto discutere la coalizione di centrosinistra, fa registrare un ampio consenso: 73 per cento di favorevoli, 22 di contrari.
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Finanziaria, l'Università chiude le porte al governo
Linea dura della Conferenza dei Rettori che polemizza contro la manovra
Sospesi gli inviti ai ministri per le manifestazioni organizzate dagli atenei
"Non ospiteremo membri del governo"
Il presidente della Crui, Trombetti: "Dietro questa risposta una amarezza infinita"
"Il contenuto del maxiemendamento alla Finanziaria dimostra la chiusura e la sordità del governo nei confronti delle esigenze di sola sopravvivenza delle università". E' il commento secco che la Crui, la conferenza dei rettori delle università italiane, riserva al testo presentato ieri in senato dal governo. "In segno di forte protesta", oggi la crui "ha sospeso la seduta odierna dell'assemblea generale".
Secondo quanto denunciato dalla Conferenza dei rettori, "1.800.000 studenti e migliaia di ricercatori rischiano di pagare sulla loro pelle il peso delle decisioni assunte". Alla luce della sua protesta, la Crui chiede agli atenei di "sospendere ogni invito a membri del governo a partecipare a significative manifestazioni nelle università".
E altrettanto netto è il commento del presidente della Conferenza dei rettori, Guido Trombetti: "Quello che abbiamo emesso è un comunicato secco, di poche righe, perché esprime l'amarezza infinita del mondo dell'università". E Trombetti spiega: "Non avevamo chiesto l'impossibile, e più volte abbiamo ripetuto di essere coscienti del momento difficile per il Paese. Ma così, lo ripeto, si mette in discussione la sopravvivenza dell'università. Questa è la risposta di una comunità - unanime, voglio sottolinearlo - all'atteggiamento punitivo del governo". E ora, con poche ore a disposizione prima del voto finale? "Domani è un altro giorno", risponde Trombetti. "Sono davvero amareggiato, non mi viene altro da dire".
Intanto già si annunciano le mobilitazioni, come a Firenze, dove domani un presidio in sostegno ai lavoratori precari dell'Ateneo fiorentino è stato organizzato da Rsu e Flc-Cgil Università dalle 8.30 alle 10.30, davanti al rettorato di piazza San Marco. La manifestazione è stata organizzata in concomitanza con la riunione del consiglio di amministrazione dell'Università, il penultimo che si terrà nell'anno, si ricorda, e che precederà la riunione sul bilancio di previsione del 2007.
Scopo dell'iniziativa, spiegano i sindacati, è "evidenziare la condizione di disagio del personale precario dell'Università e sensibilizzare i consiglieri di amministrazione circa i provvedimenti, di ordine economico e normativo, da assumere per evitare di perdere posti di lavoro e consolidate collaborazioni da parte di numerosi colleghi". Il contributo dei lavoratori precari in Ateneo, proseguono i sindacati, "è indispensabile per garantire che i servizi agli studenti, già in pessime condizioni, possano comunque essere erogati con continuità. Il fenomeno del precariato in ateneo è diffusissimo fra i lavoratori della didattica e della ricerca ed i lavoratori dei servizi. Le risorse ad essi dedicate sono le più disparate e sfuggono troppo spesso alla possibilità di controllo del sindacato".
E sulla manovra del governo interviene anche l'Unione degli Universitari che in una nota sottolinea come "il maxiemendamento alla legge Finanziaria 2007 presentato al Senato dal governo non accoglie nessuna delle richieste di correzione avanzate non solo dagli studenti ma dalla comunità accademica tutta".
Negativo anche il giudizio dei sindacati che sottolineano, in maniera più generale, come "Sul versante della scuola, dell'università e della ricerca, il maxiemendamento è del tutto insoddisfacente". E' il secco giudizio che il segretario generale della Fflc Cgil, Enrico Panini, riserva al testo portato ieri in senato dall'esecutivo. "Il nuovo testo- spiega il dirigente- dà risposte solo parziali ai problemi avanzati dai sindacati. Ci sono risposte mancate che sono gravissime, come la non eliminazione della clausola di salvaguardia. Quella che opera 3 miliardi di tagli in tre anni sul comparto scuola: soldi che il ministero è costretto a risparmiare per non perdere ulteriori fondi del proprio bilancio".
"Si tratta di una manovra cieca, che avevamo chiesto di eliminare" - conclude Panini puntando il dito sulla clausola di salvaguardia. "Un automatismo pericoloso, che impone il risparmio senza tenere conto delle conseguenze sulla vita scolastica, per questo è inaccettabile". Positiva, per il segretario Flc Cgil, è invece la soluzione sulle graduatorie permanenti: "ma servivano più immissioni per gli Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi) tra cui si registra la percentuale più alta di precariato".
(14 dicembre 2006)
Sospesi gli inviti ai ministri per le manifestazioni organizzate dagli atenei
"Non ospiteremo membri del governo"
Il presidente della Crui, Trombetti: "Dietro questa risposta una amarezza infinita"
"Il contenuto del maxiemendamento alla Finanziaria dimostra la chiusura e la sordità del governo nei confronti delle esigenze di sola sopravvivenza delle università". E' il commento secco che la Crui, la conferenza dei rettori delle università italiane, riserva al testo presentato ieri in senato dal governo. "In segno di forte protesta", oggi la crui "ha sospeso la seduta odierna dell'assemblea generale".
Secondo quanto denunciato dalla Conferenza dei rettori, "1.800.000 studenti e migliaia di ricercatori rischiano di pagare sulla loro pelle il peso delle decisioni assunte". Alla luce della sua protesta, la Crui chiede agli atenei di "sospendere ogni invito a membri del governo a partecipare a significative manifestazioni nelle università".
E altrettanto netto è il commento del presidente della Conferenza dei rettori, Guido Trombetti: "Quello che abbiamo emesso è un comunicato secco, di poche righe, perché esprime l'amarezza infinita del mondo dell'università". E Trombetti spiega: "Non avevamo chiesto l'impossibile, e più volte abbiamo ripetuto di essere coscienti del momento difficile per il Paese. Ma così, lo ripeto, si mette in discussione la sopravvivenza dell'università. Questa è la risposta di una comunità - unanime, voglio sottolinearlo - all'atteggiamento punitivo del governo". E ora, con poche ore a disposizione prima del voto finale? "Domani è un altro giorno", risponde Trombetti. "Sono davvero amareggiato, non mi viene altro da dire".
Intanto già si annunciano le mobilitazioni, come a Firenze, dove domani un presidio in sostegno ai lavoratori precari dell'Ateneo fiorentino è stato organizzato da Rsu e Flc-Cgil Università dalle 8.30 alle 10.30, davanti al rettorato di piazza San Marco. La manifestazione è stata organizzata in concomitanza con la riunione del consiglio di amministrazione dell'Università, il penultimo che si terrà nell'anno, si ricorda, e che precederà la riunione sul bilancio di previsione del 2007.
Scopo dell'iniziativa, spiegano i sindacati, è "evidenziare la condizione di disagio del personale precario dell'Università e sensibilizzare i consiglieri di amministrazione circa i provvedimenti, di ordine economico e normativo, da assumere per evitare di perdere posti di lavoro e consolidate collaborazioni da parte di numerosi colleghi". Il contributo dei lavoratori precari in Ateneo, proseguono i sindacati, "è indispensabile per garantire che i servizi agli studenti, già in pessime condizioni, possano comunque essere erogati con continuità. Il fenomeno del precariato in ateneo è diffusissimo fra i lavoratori della didattica e della ricerca ed i lavoratori dei servizi. Le risorse ad essi dedicate sono le più disparate e sfuggono troppo spesso alla possibilità di controllo del sindacato".
E sulla manovra del governo interviene anche l'Unione degli Universitari che in una nota sottolinea come "il maxiemendamento alla legge Finanziaria 2007 presentato al Senato dal governo non accoglie nessuna delle richieste di correzione avanzate non solo dagli studenti ma dalla comunità accademica tutta".
Negativo anche il giudizio dei sindacati che sottolineano, in maniera più generale, come "Sul versante della scuola, dell'università e della ricerca, il maxiemendamento è del tutto insoddisfacente". E' il secco giudizio che il segretario generale della Fflc Cgil, Enrico Panini, riserva al testo portato ieri in senato dall'esecutivo. "Il nuovo testo- spiega il dirigente- dà risposte solo parziali ai problemi avanzati dai sindacati. Ci sono risposte mancate che sono gravissime, come la non eliminazione della clausola di salvaguardia. Quella che opera 3 miliardi di tagli in tre anni sul comparto scuola: soldi che il ministero è costretto a risparmiare per non perdere ulteriori fondi del proprio bilancio".
"Si tratta di una manovra cieca, che avevamo chiesto di eliminare" - conclude Panini puntando il dito sulla clausola di salvaguardia. "Un automatismo pericoloso, che impone il risparmio senza tenere conto delle conseguenze sulla vita scolastica, per questo è inaccettabile". Positiva, per il segretario Flc Cgil, è invece la soluzione sulle graduatorie permanenti: "ma servivano più immissioni per gli Ata (ausiliari, tecnici e amministrativi) tra cui si registra la percentuale più alta di precariato".
(14 dicembre 2006)
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Roma: Un giudice condanna il precariato nei call center
Sentenza rivoluzionaria a Roma: a una lavoratrice di telemarketing precaria di un call center Elitel viene riconosciuto il contratto di lavoro dipendente anziché "a progetto".
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 14-12-2006]
Sembrava troppo rivoluzionaria l'interpretazione degli ispettori del Ministero del Lavoro, che a Roma avevano giudicato illegale l'utilizzo del contratto a progetto (invece di contratti di lavoro dipendente) per i circa 3.000 operatori del call center di Atesia.
Il Tar aveva annullato nei giorni scorsi gli effetti dell'ispezione; ma una sentenza della Magistratura del Lavoro la conferma anche per gli operatori cosidetti "outbound", cioè quelli che fanno le chiamate in campagne di telemarketing.
La circolare del ministro Damiano, poi recepita anche da un accordo (il cosidetto "avviso comune" tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil), stabilisce infatti che solo per i lavoratori che ricevono le chiamate (gli "inbound") non si debba mai applicare il contratto a progetto mentre per i lavoratori del telemarketing l'utilizzo del contratto a progetto dovrebbe essere più facile.
Una lavoratrice del call center Team Promotion (un'azienda che lavora in appalto per l'Elitel) ha vinto la causa contro il suo licenziamento, avvenuto un anno fa, quando la Team Promotion non le aveva più confermato il contratto "a progetto". Il giudice ha dichiarato illegittimo il contratto a progetto che, per le caratteristiche del lavoro svolto, è da considerarsi invece un contratto a tempo indeterminato.
Questa causa potrebbe pesare sull'attuale confronto fra Atesia del gruppo Cos e i sindacati: l'azienda si è impegnata a stabilizzare un buon numero di contratti a progetto (quelli dei lavoratori "inbound") trasformandoli in contratti di apprendistato (che non è comunque a tempo indeterminato), sia pure con orari minori e minori retribuzioni.
Atesia invece non ha sciolto la riserva circa l'impegno, richiesto dai sindacati, a fare altrettanto per i lavoratori "outbound". Ma adesso c'è un precedente.
Pier Luigi Tolardo - Quelli di Zeus
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 14-12-2006]
Sembrava troppo rivoluzionaria l'interpretazione degli ispettori del Ministero del Lavoro, che a Roma avevano giudicato illegale l'utilizzo del contratto a progetto (invece di contratti di lavoro dipendente) per i circa 3.000 operatori del call center di Atesia.
Il Tar aveva annullato nei giorni scorsi gli effetti dell'ispezione; ma una sentenza della Magistratura del Lavoro la conferma anche per gli operatori cosidetti "outbound", cioè quelli che fanno le chiamate in campagne di telemarketing.
La circolare del ministro Damiano, poi recepita anche da un accordo (il cosidetto "avviso comune" tra Confindustria e Cgil-Cisl-Uil), stabilisce infatti che solo per i lavoratori che ricevono le chiamate (gli "inbound") non si debba mai applicare il contratto a progetto mentre per i lavoratori del telemarketing l'utilizzo del contratto a progetto dovrebbe essere più facile.
Una lavoratrice del call center Team Promotion (un'azienda che lavora in appalto per l'Elitel) ha vinto la causa contro il suo licenziamento, avvenuto un anno fa, quando la Team Promotion non le aveva più confermato il contratto "a progetto". Il giudice ha dichiarato illegittimo il contratto a progetto che, per le caratteristiche del lavoro svolto, è da considerarsi invece un contratto a tempo indeterminato.
Questa causa potrebbe pesare sull'attuale confronto fra Atesia del gruppo Cos e i sindacati: l'azienda si è impegnata a stabilizzare un buon numero di contratti a progetto (quelli dei lavoratori "inbound") trasformandoli in contratti di apprendistato (che non è comunque a tempo indeterminato), sia pure con orari minori e minori retribuzioni.
Atesia invece non ha sciolto la riserva circa l'impegno, richiesto dai sindacati, a fare altrettanto per i lavoratori "outbound". Ma adesso c'è un precedente.
Pier Luigi Tolardo - Quelli di Zeus
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12.12.06
Finanziaria, nuove risorse per i precari
Niente contratti che non siano stabili per i prossimi 5 anni
Ma è incerto il numero di assunzioni nella pubblica amministrazione. Bersani contestato a Bologna
ROMA — Il fondo per la stabilizzazione dei precari si rafforza. Oltre agli interessi dai conti «dormienti», il governo sta pensando di incrementarlo con una parte (forse il 5%) degli aumenti dei ricchi dividendi delle società controllate dal Tesoro rispetto all'anno precedente. Tra le novità più importanti che saranno introdotte nell'emendamento pro precari anche il divieto assoluto — per le amministrazioni che utilizzeranno i fondi — di assumere nuovi precari per cinque anni. A parte la cifra di 5 milioni di euro, stanziati subito per attivare il fondo, non ci sono ulteriori indicazioni di quanti precari verrebbero regolarizzati né del costo maggiore per lo Stato. Mentre Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani, parla di 350 mila precari, ieri il ministro della Funzione pubblica Luigi Nicolais ha ridotto il numero a 8 mila per il 2007 per passare «fino a 240 mila nei prossimi 6 anni». Il ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani parla invece di 500 mila.
CONTI DORMIENTI - Mentre il governo cerca di arginare questa nuova grana, Bersani — peraltro contestato a Bologna da una cinquantina di precari della ricerca con striscioni e volantini — cerca di prendere le distanze dalle polemiche. «Con i soli conti dormienti non si risolve il problema dei precari — ha detto — non è che con la bacchetta magica domani mattina prendiamo quei soldi che sono in banca e risolviamo il problema dei 500 mila precari». A parte il presidente della Confindustria Luca di Montezemolo, che ieri ha colto l'occasione per precisare meglio il suo pensiero sostenendo come non sia «dubbio che c'è un'Italia che rema e una che sta seduta a poppa e che occorre premiare il merito», la polemica si è quasi tutta consumata a sinistra. Se il ministro degli Affari europei Emma Bonino dichiarava che l'emendamento sui precari era la «solita sanatoria» e il senatore Tiziano Treu (nonché presidente della Commissione lavoro a Palazzo Madama) si è detto «nettamente contrario a una infornata indifferenziata perché bisogna fare i concorsi», il senatore diessino Cesare Salvi se l'è presa con i politici.
«SCIOCCHEZZE» - «Stanno dicendo un cumulo di sciocchezze — ha tuonato il presidente della Commissione giustizia al Senato e uno degli autori dell'emendamento in questione — si tratta solo di trasformare lavoro precario in lavoro a tempo determinato. Quei politici che chiedono concorsi pubblici — ha continuato — comincino a liberarsi dei consulenti nei loro uffici che non hanno fatto alcun concorso, nel caso contrario non si devono meravigliare se vanno a Mirafiori e li fischiano». Non si sa con chi ce l'avesse Salvi, visto che a Torino hanno fischiato solo i tre leader sindacali, ma ieri la confusione è stata totale. Lo stesso Nicola Sartor, l'uomo che Romano Prodi ha messo di guardia alla Finanziaria, ha dovuto ammettere che sui precari «credo ci sia stato qualche malinteso». Per esempio, ha precisato, si tratta di mettere «nel fondo solo i risparmi sui minori interessi dal debito pubblico visto che i conti dormienti andranno alla riduzione del debito». «E' evidente — ha precisato — che non si può utilizzare una somma fissa a copertura di oneri permanenti».
PATTO SUL LAVORO - Il sindacato nel frattempo ha mandato un messaggio chiaro al governo: nessun Patto sul lavoro pubblico (destinato ad aumentare l'efficienza dei servizi e la produttività) senza la soluzione del problema del precariato. E sia la Cisl che la Cgil accusano l'esecutivo di «vaghezza di propositi con le sua posizioni inadeguate e lacunose che vanno ad alimentare irresponsabili demagogie». Paolo Nerozzi, della segreteria Cgil, butta acqua sul fuoco. «E' un problema che non esiste — spiega — si tratta di gente che lavora nella pubblica amministrazione (sanità, enti locali, ricerca) da molti anni con contratti a tempo determinato ed è giusto (qualora esistano i requisiti come i concorsi) che venga riconosciuto loro un contratto fisso». E' evidente che in questo caso — e secondo Nerozzi si tratta della stragrande maggioranza — i costi aggiuntivi sono minimi visto che prendono già uno stipendio.
LA GRANDE CONFUSIONE - Anche il ministro Nicolais, a Napoli a margine di un convegno, ha sposato la teoria della «grande confusione» e che comunque l'assunzione dei 300 mila precari della Pubblica amministrazione (che scendono a 240 mila al netto del turn over) «è possibile nel progetto varato con il collega al Lavoro Cesare Damiano». «Il problema dei precari l'abbiamo affrontato tutti insieme con i sindacati — ha detto — e nei prossimi giorni presenteremo il piano di stabilizzazione». Piano che, ha aggiunto, «parte dall'assunto che un precario da stabilizzare senza concorso è soltanto quel precario che ha già fatto un concorso e che lavora da più di tre anni». Quanto ai 150 mila precari «supplenti nella scuola e che stanno nella condizione di poter essere messi in ruolo perché sono nella graduatoria e hanno fatto supplenza per oltre tre anni, hanno già superato un concorso, ci sarà per loro un piano di tre anni di assunzioni». Ma questo era già previsto in un articolo nel maxiemendamento.
Roberto Bagnoli
12 dicembre 2006
Ma è incerto il numero di assunzioni nella pubblica amministrazione. Bersani contestato a Bologna
ROMA — Il fondo per la stabilizzazione dei precari si rafforza. Oltre agli interessi dai conti «dormienti», il governo sta pensando di incrementarlo con una parte (forse il 5%) degli aumenti dei ricchi dividendi delle società controllate dal Tesoro rispetto all'anno precedente. Tra le novità più importanti che saranno introdotte nell'emendamento pro precari anche il divieto assoluto — per le amministrazioni che utilizzeranno i fondi — di assumere nuovi precari per cinque anni. A parte la cifra di 5 milioni di euro, stanziati subito per attivare il fondo, non ci sono ulteriori indicazioni di quanti precari verrebbero regolarizzati né del costo maggiore per lo Stato. Mentre Oliviero Diliberto, segretario dei Comunisti Italiani, parla di 350 mila precari, ieri il ministro della Funzione pubblica Luigi Nicolais ha ridotto il numero a 8 mila per il 2007 per passare «fino a 240 mila nei prossimi 6 anni». Il ministro dello Sviluppo Pierluigi Bersani parla invece di 500 mila.
CONTI DORMIENTI - Mentre il governo cerca di arginare questa nuova grana, Bersani — peraltro contestato a Bologna da una cinquantina di precari della ricerca con striscioni e volantini — cerca di prendere le distanze dalle polemiche. «Con i soli conti dormienti non si risolve il problema dei precari — ha detto — non è che con la bacchetta magica domani mattina prendiamo quei soldi che sono in banca e risolviamo il problema dei 500 mila precari». A parte il presidente della Confindustria Luca di Montezemolo, che ieri ha colto l'occasione per precisare meglio il suo pensiero sostenendo come non sia «dubbio che c'è un'Italia che rema e una che sta seduta a poppa e che occorre premiare il merito», la polemica si è quasi tutta consumata a sinistra. Se il ministro degli Affari europei Emma Bonino dichiarava che l'emendamento sui precari era la «solita sanatoria» e il senatore Tiziano Treu (nonché presidente della Commissione lavoro a Palazzo Madama) si è detto «nettamente contrario a una infornata indifferenziata perché bisogna fare i concorsi», il senatore diessino Cesare Salvi se l'è presa con i politici.
«SCIOCCHEZZE» - «Stanno dicendo un cumulo di sciocchezze — ha tuonato il presidente della Commissione giustizia al Senato e uno degli autori dell'emendamento in questione — si tratta solo di trasformare lavoro precario in lavoro a tempo determinato. Quei politici che chiedono concorsi pubblici — ha continuato — comincino a liberarsi dei consulenti nei loro uffici che non hanno fatto alcun concorso, nel caso contrario non si devono meravigliare se vanno a Mirafiori e li fischiano». Non si sa con chi ce l'avesse Salvi, visto che a Torino hanno fischiato solo i tre leader sindacali, ma ieri la confusione è stata totale. Lo stesso Nicola Sartor, l'uomo che Romano Prodi ha messo di guardia alla Finanziaria, ha dovuto ammettere che sui precari «credo ci sia stato qualche malinteso». Per esempio, ha precisato, si tratta di mettere «nel fondo solo i risparmi sui minori interessi dal debito pubblico visto che i conti dormienti andranno alla riduzione del debito». «E' evidente — ha precisato — che non si può utilizzare una somma fissa a copertura di oneri permanenti».
PATTO SUL LAVORO - Il sindacato nel frattempo ha mandato un messaggio chiaro al governo: nessun Patto sul lavoro pubblico (destinato ad aumentare l'efficienza dei servizi e la produttività) senza la soluzione del problema del precariato. E sia la Cisl che la Cgil accusano l'esecutivo di «vaghezza di propositi con le sua posizioni inadeguate e lacunose che vanno ad alimentare irresponsabili demagogie». Paolo Nerozzi, della segreteria Cgil, butta acqua sul fuoco. «E' un problema che non esiste — spiega — si tratta di gente che lavora nella pubblica amministrazione (sanità, enti locali, ricerca) da molti anni con contratti a tempo determinato ed è giusto (qualora esistano i requisiti come i concorsi) che venga riconosciuto loro un contratto fisso». E' evidente che in questo caso — e secondo Nerozzi si tratta della stragrande maggioranza — i costi aggiuntivi sono minimi visto che prendono già uno stipendio.
LA GRANDE CONFUSIONE - Anche il ministro Nicolais, a Napoli a margine di un convegno, ha sposato la teoria della «grande confusione» e che comunque l'assunzione dei 300 mila precari della Pubblica amministrazione (che scendono a 240 mila al netto del turn over) «è possibile nel progetto varato con il collega al Lavoro Cesare Damiano». «Il problema dei precari l'abbiamo affrontato tutti insieme con i sindacati — ha detto — e nei prossimi giorni presenteremo il piano di stabilizzazione». Piano che, ha aggiunto, «parte dall'assunto che un precario da stabilizzare senza concorso è soltanto quel precario che ha già fatto un concorso e che lavora da più di tre anni». Quanto ai 150 mila precari «supplenti nella scuola e che stanno nella condizione di poter essere messi in ruolo perché sono nella graduatoria e hanno fatto supplenza per oltre tre anni, hanno già superato un concorso, ci sarà per loro un piano di tre anni di assunzioni». Ma questo era già previsto in un articolo nel maxiemendamento.
Roberto Bagnoli
12 dicembre 2006
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11.12.06
Questa Bologna è andata a male
Persino un intervento in un convegno può diventare un problema di ordine pubblico. Lo ha dimostrato oggi ciò che è successo, nella Bologna di "Tex" Cofferati, durante il convegno "Il futuro è nella ricerca industriale", a cui partecipava anche il ministro per le attività produttive Bersani. Gli studenti e i ricercatori precari dell'Università, del CNR e dell'INAF sono intervenuti per ricordare che la Finanziaria scritta dall'Unione regalerà alla ricerca industriale, cioè alle imprese, 750 milioni di euro, mentre penalizzerà la ricerca pubblica e il diritto allo studio. Fare peggio di Letizia Moratti era difficile, ma questo governo ha sorpreso i suoi stessi elettori, e ci è
riuscito.
Alla notizia che, in un convegno dell'Unione, qualcuno stava dicendo la verità, le forze dell'ordine sono intervenute "celermente" e hanno identificato chi ha divulgato il contenuto della legge Finanziaria, che doveva essere una sorpresa natalizia per tutti gli italiani. Intimidazioni poliziesche come quella di oggi mostrano che qualcuno va nei laboratori per produrre conoscenza, qualcun altro per fare la guerra all'intelligenza e alla verità. La Rete Nazionale dei Ricercatori Precari esprime tutta la solidarietà possibile ai ricercatori e agli studenti di Bologna, e a chi difende le università e la ricerca dai governi e dagli interessi privati che vorrebbero smantellarla.
Rete Nazionale dei Ricercatori Precari
riuscito.
Alla notizia che, in un convegno dell'Unione, qualcuno stava dicendo la verità, le forze dell'ordine sono intervenute "celermente" e hanno identificato chi ha divulgato il contenuto della legge Finanziaria, che doveva essere una sorpresa natalizia per tutti gli italiani. Intimidazioni poliziesche come quella di oggi mostrano che qualcuno va nei laboratori per produrre conoscenza, qualcun altro per fare la guerra all'intelligenza e alla verità. La Rete Nazionale dei Ricercatori Precari esprime tutta la solidarietà possibile ai ricercatori e agli studenti di Bologna, e a chi difende le università e la ricerca dai governi e dagli interessi privati che vorrebbero smantellarla.
Rete Nazionale dei Ricercatori Precari
Senato. Una battaglia per il lavoro
Paolo Repetto, 11 dicembre 2006
Si è aperta, al Senato, una grande opportunità di stabilizzazione nell'ambito della pubblica amministrazione e il programma dell'Unione comincia a trovare applicazione concreta. Il fine ultimo è ambiziosissimo: riportare il lavoro a tempo indeterminato al rango di lavoro "normale"
Sconfiggere il precariato, stabilizzare i lavoratori della pubblica amministrazione. Nelle maglie degli emendamenti alla Finanziaria 2007, la sinistra cosiddetta "radicale" ha condotto una battaglia importante (vedremo nei prossimi giorni con quali risultati) al fine di rispondere alle aspettative dell'elettorato dell'Unione. Recentissimamente è stato raggiunto un accordo di maggioranza al Senato (per iniziativa del gruppo Pdci-Verdi, prima firmataria la capogruppo Manuela Palermi) che prevede la costituzione di un fondo per la stabilizzazione dei lavoratori nella pubblica amministrazione centrale. Grazie a quell'intesa, finalmente, si raccolgono i primi frutti dell'impegno utile a valorizzare il lavoro "sicuro" e a dare un segnale contro quella precarietà che impedisce a centinaia di migliaia di persone e alle loro famiglie di arrivare alla quarta settimana del mese.
Bisognerà capire che cosa accadrà nell'aula di palazzo Madama, molto dipenderà da come si confronteranno le varie anime della coalizione (visto che le cronache dei giornali di oggi ci raccontano della "freddezza" del ministro Padoa Schioppa in merito al tema della stabilizzazione) in vista di un risultato definitivo. Per ora possiamo solo limitarci a ricordare qualche passaggio-chiave che ha condotto ad alimentare buone speranze: si cominciò alla Camera, e precisamente in Commissione Lavoro, con l'approvazione di alcuni emendamenti proposti dal presidente Pagliarini del Pdci: emendamenti che ponevano appunto al centro del confronto la condizione dei precari e dei contrattualizzati "a formazione e lavoro" della pubblica amministrazione. In Commissione Bilancio quelle proposte di modifica e integrazione non furono prese in considerazione, ma nel corso del passaggio in aula il segretario Pdci Diliberto le ripresentò, strappando (con un ordine del giorno) l'impegno del governo ad assumerne i contenuti. Poi la Finanziaria è approdata al Senato e arriviamo così ai giorni nostri.
L'accordo al Senato appare come un ottimo segnale; qualcuno dice addirittura che potrebbe essere il primo passo verso la svolta più significativa - all'insegna della valorizzazione del lavoro e della lotta al precariato - degli ultimi anni. Vedremo. Comunque sia (piaccia o non piaccia ai liberisti della coalizione) si è aperta una grande opportunità di stabilizzazione nell'ambito della pubblica amministrazione e il programma dell'Unione comincia a trovare applicazione concreta. Il fine ultimo è ambiziosissimo: riportare il lavoro a tempo indeterminato al rango di lavoro "normale". E' il fine obbligato per chi ritiene che un'occupazione stabile e sicura sia premessa indispensabile per lo sviluppo all'insegna dell'equità e della giustizia sociale.
Si è aperta, al Senato, una grande opportunità di stabilizzazione nell'ambito della pubblica amministrazione e il programma dell'Unione comincia a trovare applicazione concreta. Il fine ultimo è ambiziosissimo: riportare il lavoro a tempo indeterminato al rango di lavoro "normale"
Sconfiggere il precariato, stabilizzare i lavoratori della pubblica amministrazione. Nelle maglie degli emendamenti alla Finanziaria 2007, la sinistra cosiddetta "radicale" ha condotto una battaglia importante (vedremo nei prossimi giorni con quali risultati) al fine di rispondere alle aspettative dell'elettorato dell'Unione. Recentissimamente è stato raggiunto un accordo di maggioranza al Senato (per iniziativa del gruppo Pdci-Verdi, prima firmataria la capogruppo Manuela Palermi) che prevede la costituzione di un fondo per la stabilizzazione dei lavoratori nella pubblica amministrazione centrale. Grazie a quell'intesa, finalmente, si raccolgono i primi frutti dell'impegno utile a valorizzare il lavoro "sicuro" e a dare un segnale contro quella precarietà che impedisce a centinaia di migliaia di persone e alle loro famiglie di arrivare alla quarta settimana del mese.
Bisognerà capire che cosa accadrà nell'aula di palazzo Madama, molto dipenderà da come si confronteranno le varie anime della coalizione (visto che le cronache dei giornali di oggi ci raccontano della "freddezza" del ministro Padoa Schioppa in merito al tema della stabilizzazione) in vista di un risultato definitivo. Per ora possiamo solo limitarci a ricordare qualche passaggio-chiave che ha condotto ad alimentare buone speranze: si cominciò alla Camera, e precisamente in Commissione Lavoro, con l'approvazione di alcuni emendamenti proposti dal presidente Pagliarini del Pdci: emendamenti che ponevano appunto al centro del confronto la condizione dei precari e dei contrattualizzati "a formazione e lavoro" della pubblica amministrazione. In Commissione Bilancio quelle proposte di modifica e integrazione non furono prese in considerazione, ma nel corso del passaggio in aula il segretario Pdci Diliberto le ripresentò, strappando (con un ordine del giorno) l'impegno del governo ad assumerne i contenuti. Poi la Finanziaria è approdata al Senato e arriviamo così ai giorni nostri.
L'accordo al Senato appare come un ottimo segnale; qualcuno dice addirittura che potrebbe essere il primo passo verso la svolta più significativa - all'insegna della valorizzazione del lavoro e della lotta al precariato - degli ultimi anni. Vedremo. Comunque sia (piaccia o non piaccia ai liberisti della coalizione) si è aperta una grande opportunità di stabilizzazione nell'ambito della pubblica amministrazione e il programma dell'Unione comincia a trovare applicazione concreta. Il fine ultimo è ambiziosissimo: riportare il lavoro a tempo indeterminato al rango di lavoro "normale". E' il fine obbligato per chi ritiene che un'occupazione stabile e sicura sia premessa indispensabile per lo sviluppo all'insegna dell'equità e della giustizia sociale.
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BOLOGNA - Finanziaria, Bersani contestato da ricercatori precari a convegno Cnr
Bologna, 11 dic. (Adnkronos) - Una cinquantina di ricercatori precari del Cnr (centro nazionale delle ricerche) e Inaf (Istituto nazionale di astrofisica) e dell'Universita' di Bologna, hanno organizzato una pacifica protesta contro il governo e la Finanziaria, in occasione del convegno in corso nella sede del Cnr del capoluogo emiliano al quale ha preso parte il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani.
Bersani: ''Problema precari non si risolve con uso conti dormienti''
''Non e' con la bacchetta magica, domani mattina, prendendo i soldi che sono in banca, che risolviamo il problema dei 500 mila precari. Detta cosi' non sta in piedi. Il modo piu' ragionevole, in progress, invece si'''. Il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, invita alla cautela circa la proposta del Pdci di utilizzare i soldi dei conti dormienti per l'assunzione di precari nel pubblico impiego. ''In questa discussione ci vuole un po' piu' di concretezza -avverte Bersani- se no si creano sbandamenti nell'opinione pubblica e si procede con semplicismo. Il che non significa che non risolveremo gradualmente il problema dei precari''.
Bersani: ''Problema precari non si risolve con uso conti dormienti''
''Non e' con la bacchetta magica, domani mattina, prendendo i soldi che sono in banca, che risolviamo il problema dei 500 mila precari. Detta cosi' non sta in piedi. Il modo piu' ragionevole, in progress, invece si'''. Il ministro per lo Sviluppo economico, Pierluigi Bersani, invita alla cautela circa la proposta del Pdci di utilizzare i soldi dei conti dormienti per l'assunzione di precari nel pubblico impiego. ''In questa discussione ci vuole un po' piu' di concretezza -avverte Bersani- se no si creano sbandamenti nell'opinione pubblica e si procede con semplicismo. Il che non significa che non risolveremo gradualmente il problema dei precari''.
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Giornalisti, precari sono il doppio dei dipendenti
lunedì, 11 dicembre 2006 3.02 16
ROMA (Reuters) - Dei circa 30.000 giornalisti italiani iscritti alla previdenza, solo un terzo ha un contratto da dipendente. Il resto è un universo di autonomi o per lo più di collaboratori precari, spesso reclutati fra i più giovani. Questo è il quadro che emerge dai dati dell'Istituto nazionale di previdenza giornalistica, analizzati e raccolti dal libro presentato oggi dalla Federazione nazionale della stampa a Roma.
"E' una situazione inaccettabile", ha detto il segretario dell'Fnsi Paolo Serventi Longhi, intervenuto alla presentazione del "Libro bianco sul lavoro nero".
"Una massa di manovra ... nelle mani degli editori e direttori senza scrupoli che serve per scardinare regole, diritti e tutele costruiti da giornalisti in anni di dure battaglie", ha aggiunto Serventi Longhi ricordando che la percentuale dei giornalisti precari in Italia è la più alta d'Europa.
Il problema più grave, secondo il rappresentante del sindacato dei giornalisti, è che l'assenza di regole per i collaboratori autonomi -- che molto spesso sono tali più per mancanza di alternative che per scelta -- porta chi lavora nel settore dell'informazione ad essere più facilmente "ricattabile" rispetto ai colleghi che hanno un contratto da dipendenti.
L'opinione di Serventi Longhi è rispecchiata dai dati emersi da uno studio dell'università di Cassino sul mondo dei giornalisti: il 70% dei quali ritiene che il lavoro autonomo sia un elemento di debolezza in quanto rende chi scrive più ricattabile.
Il fatto che la categoria dei lavoratori autonomi sia composta prevalentemente da giovani si deduce dai numeri forniti dell'Inpgi. I giornalisti professionisti contrattualizzati sono circa 12.000, mentre sul totale di 21.171 iscritti alla previdenza separata Inpgi 2 (quella per i non dipendenti), quasi 15.000 si concentrano nella fascia di età fra i 30 e i 45 anni.
Gli effetti devastanti della mancanza di regole per chi lavora da freelance sono descritte efficacemente dal "Libro bianco sul lavoro nero".
Raccogliendo decine di testimonianze di giornalisti, il libro dipinge le situazioni di importanti gruppi editoriali in Sardegna, Marche, Toscana, Lombardia e Emilia Romagna dove centinaia di giovani giornalisti vengono trattati a due euro lorde a notizia. Un "far west" dell'informazione le cui vittime principali sono i lavoratori sfruttati, ma anche la garanzia per i cittadini di fruire di un'informazione libera e trasparente.
"In questa situazione ... abbiamo chiesto agli editori di definire alcune regole elementari per l'utilizzo dei freelance, del lavoro autonomo e dei precari", ha sottolineato Serventi Longhi.
Fino ad ora, però, ha aggiunto Serventi Longhi, la risposta arrivata dalla Federazione degli editori è molto simile a quella fornita per le trattative sul rinnovo del contratto nazionale, scaduto da oltre due anni: un rifiuto netto anche solo di discutere, in questo caso sulla base del fatto che la Fnsi non può rappresentare i precari in quanto sindacato dei lavoratori dipendenti. Al momento la Fieg non è stata disponibile per un commento.
ROMA (Reuters) - Dei circa 30.000 giornalisti italiani iscritti alla previdenza, solo un terzo ha un contratto da dipendente. Il resto è un universo di autonomi o per lo più di collaboratori precari, spesso reclutati fra i più giovani. Questo è il quadro che emerge dai dati dell'Istituto nazionale di previdenza giornalistica, analizzati e raccolti dal libro presentato oggi dalla Federazione nazionale della stampa a Roma.
"E' una situazione inaccettabile", ha detto il segretario dell'Fnsi Paolo Serventi Longhi, intervenuto alla presentazione del "Libro bianco sul lavoro nero".
"Una massa di manovra ... nelle mani degli editori e direttori senza scrupoli che serve per scardinare regole, diritti e tutele costruiti da giornalisti in anni di dure battaglie", ha aggiunto Serventi Longhi ricordando che la percentuale dei giornalisti precari in Italia è la più alta d'Europa.
Il problema più grave, secondo il rappresentante del sindacato dei giornalisti, è che l'assenza di regole per i collaboratori autonomi -- che molto spesso sono tali più per mancanza di alternative che per scelta -- porta chi lavora nel settore dell'informazione ad essere più facilmente "ricattabile" rispetto ai colleghi che hanno un contratto da dipendenti.
L'opinione di Serventi Longhi è rispecchiata dai dati emersi da uno studio dell'università di Cassino sul mondo dei giornalisti: il 70% dei quali ritiene che il lavoro autonomo sia un elemento di debolezza in quanto rende chi scrive più ricattabile.
Il fatto che la categoria dei lavoratori autonomi sia composta prevalentemente da giovani si deduce dai numeri forniti dell'Inpgi. I giornalisti professionisti contrattualizzati sono circa 12.000, mentre sul totale di 21.171 iscritti alla previdenza separata Inpgi 2 (quella per i non dipendenti), quasi 15.000 si concentrano nella fascia di età fra i 30 e i 45 anni.
Gli effetti devastanti della mancanza di regole per chi lavora da freelance sono descritte efficacemente dal "Libro bianco sul lavoro nero".
Raccogliendo decine di testimonianze di giornalisti, il libro dipinge le situazioni di importanti gruppi editoriali in Sardegna, Marche, Toscana, Lombardia e Emilia Romagna dove centinaia di giovani giornalisti vengono trattati a due euro lorde a notizia. Un "far west" dell'informazione le cui vittime principali sono i lavoratori sfruttati, ma anche la garanzia per i cittadini di fruire di un'informazione libera e trasparente.
"In questa situazione ... abbiamo chiesto agli editori di definire alcune regole elementari per l'utilizzo dei freelance, del lavoro autonomo e dei precari", ha sottolineato Serventi Longhi.
Fino ad ora, però, ha aggiunto Serventi Longhi, la risposta arrivata dalla Federazione degli editori è molto simile a quella fornita per le trattative sul rinnovo del contratto nazionale, scaduto da oltre due anni: un rifiuto netto anche solo di discutere, in questo caso sulla base del fatto che la Fnsi non può rappresentare i precari in quanto sindacato dei lavoratori dipendenti. Al momento la Fieg non è stata disponibile per un commento.
Anche il taglio dei costi della politica a favore dei precari
(AGI) - Roma, 11 dic. - Anche il taglio dei costi della politica servira' in prospettiva a dare un posto "fisso" ai circa 300 mila precari della pubblica amministrazione. La finanziaria stabilisce infatti una riduzione degli stipendi per ministri, sottosegretari, parlamentari e anche per i manager di Stato: i risparmi di spesa andranno ad alimentare il Fondo ad hoc per la stabilizzazione dei precari. E' questo cui punta la maggioranza, ed e' frutto dell'accordo con il Governo nella "cabina di regia" che verra' tradotto in una norma del maxiemendamento sul quale verra' posta la fiducia. Alla stabilizzazione dei precari, verra' destinata inoltre una quota dei dividendi e degli utili delle spa possedute direttamente dallo Stato (come Eni e Enel), e resta confermata l'intenzione di 'dirottare' anche parte dei conti correnti cosiddetti dormienti, e cioe' quei depositi bancari che non registrano movimenti da 15 anni. Ma per rendere operativo il risparmio di interessi sul debito che si ridurra' dai fondi che arriveranno dall'incasso del 20% dei conti dormienti, occorrera' l'emanazione dei regolamenti attuativi (ora allo studio del Tesoro) e quindi un tempo abbastanza lungo. Al momento, il Fondo ad hoc verrebbe quindi alimentato con queste altre due voci (dividendi societa' pubbliche e taglio dei costi della politica).
Dicembre caldo per la scuola; sette giorni di scioperi e cortei
Il 14 si fermano un'ora tutti i docenti. Poi sit in al Ministero di precari
e personale non docente e manifestazione a Roma domenica 17
di SALVO INTRAVAIA
Comincia una settimana di passione per la scuola italiana. Dopo lo sciopero del 7 indetto dai sindacati autonomi (Gilda, Cobas e Snals-Confsal), Flc Cgil, Cisl e Uil scuola hanno organizzato un pacchetto di scioperi, sit-in e manifestazioni di piazza malgrado gli impegni assunti nei giorni scorsi da autorevoli esponenti del governo sulle questioni che mettono in fibrillazione insegnanti, presidi e non docenti.
"Pur apprezzando i segnali positivi la settimana di mobilitazione ci sarà", spiegano i sindacati perché la discussione al Senato della Finanziaria va rilento e, dopo il maxiemendamento del governo, probabilmente sarà posta nuovamente la fiducia.
Ad aprire le ostilità con un sit-in, domani (12 dicembre) davanti al ministero della Pubblica istruzione, sarà il cosiddetto personale Ata (personale di segreteria, bidelli e tecnici di laboratorio). Giovedì 14 incroceranno le braccia per un'ora - la prima o l'ultima - gli tutti gli insegnanti. Nello stesso giorno viale Trastevere verrà bloccata dalla protesta dei precari - che organizzerenno un sit-in davanti al Palazzo della Minerva - e, sempre a Roma, scenderanno in piazza i presidi incaricati. La settimana si concluderà con una manifestazione nazionale per le strade della capitale domenica 17 dicembre.
I motivi del contendere. L'ok del governo al rinnovo del contratto della scuola e le assicurazioni del ministro Fioroni sull'esito del "pacchetto scuola" nelle Finanziaria, non fuga le preoccupazioni dei sindacati per l'impatto sulla scuola della manovra di bilancio disegnata dal ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa. Una delle questioni ancora controverse è la cosiddetta clausola di salvaguardia contenuta nella Finanziaria: quella 'noticina' che vincola le 170 mila assunzioni promesse dal governo alla realizzazione dei risparmi di spesa da ottenere con i tagli agli organici del personale. Scontenti anche gli Ata per i quali le 20 mila assunzioni (ne sono state richieste almeno 40 mila) previste sono poca cosa rispetto ai posti disponibili e per lo spauracchio di nuovi tagli in organico.
Resta ancora la questione precari. Il ministro Fioroni, dopo il lavoro delle scorse settimane, ripete ancora oggi: "L'accordo sui precari c'è, bisogna definire meglio gli aspetti tecnici delle novità per le graduatorie permanenti". Ma la tensione resta alta, e così la pressione sul governo per il rush finale della manovra. Non va giù ai rappresentanti di categoria neppure il taglio di circa 26 mila posti che si determinerebbe per effetto dell'aumento (pari a 0,4) del rapporto alunni-classi e brontolano anche i cosiddetti presidi incaricati che chiedono, per l'imminente concorso a loro riservato, almeno le stesse regole della procedura concorsuale ordinaria ormai quasi conclusa e un consistente aumento di posti.
(11 dicembre 2006)
e personale non docente e manifestazione a Roma domenica 17
di SALVO INTRAVAIA
Comincia una settimana di passione per la scuola italiana. Dopo lo sciopero del 7 indetto dai sindacati autonomi (Gilda, Cobas e Snals-Confsal), Flc Cgil, Cisl e Uil scuola hanno organizzato un pacchetto di scioperi, sit-in e manifestazioni di piazza malgrado gli impegni assunti nei giorni scorsi da autorevoli esponenti del governo sulle questioni che mettono in fibrillazione insegnanti, presidi e non docenti.
"Pur apprezzando i segnali positivi la settimana di mobilitazione ci sarà", spiegano i sindacati perché la discussione al Senato della Finanziaria va rilento e, dopo il maxiemendamento del governo, probabilmente sarà posta nuovamente la fiducia.
Ad aprire le ostilità con un sit-in, domani (12 dicembre) davanti al ministero della Pubblica istruzione, sarà il cosiddetto personale Ata (personale di segreteria, bidelli e tecnici di laboratorio). Giovedì 14 incroceranno le braccia per un'ora - la prima o l'ultima - gli tutti gli insegnanti. Nello stesso giorno viale Trastevere verrà bloccata dalla protesta dei precari - che organizzerenno un sit-in davanti al Palazzo della Minerva - e, sempre a Roma, scenderanno in piazza i presidi incaricati. La settimana si concluderà con una manifestazione nazionale per le strade della capitale domenica 17 dicembre.
I motivi del contendere. L'ok del governo al rinnovo del contratto della scuola e le assicurazioni del ministro Fioroni sull'esito del "pacchetto scuola" nelle Finanziaria, non fuga le preoccupazioni dei sindacati per l'impatto sulla scuola della manovra di bilancio disegnata dal ministro dell'Economia, Tommaso Padoa Schioppa. Una delle questioni ancora controverse è la cosiddetta clausola di salvaguardia contenuta nella Finanziaria: quella 'noticina' che vincola le 170 mila assunzioni promesse dal governo alla realizzazione dei risparmi di spesa da ottenere con i tagli agli organici del personale. Scontenti anche gli Ata per i quali le 20 mila assunzioni (ne sono state richieste almeno 40 mila) previste sono poca cosa rispetto ai posti disponibili e per lo spauracchio di nuovi tagli in organico.
Resta ancora la questione precari. Il ministro Fioroni, dopo il lavoro delle scorse settimane, ripete ancora oggi: "L'accordo sui precari c'è, bisogna definire meglio gli aspetti tecnici delle novità per le graduatorie permanenti". Ma la tensione resta alta, e così la pressione sul governo per il rush finale della manovra. Non va giù ai rappresentanti di categoria neppure il taglio di circa 26 mila posti che si determinerebbe per effetto dell'aumento (pari a 0,4) del rapporto alunni-classi e brontolano anche i cosiddetti presidi incaricati che chiedono, per l'imminente concorso a loro riservato, almeno le stesse regole della procedura concorsuale ordinaria ormai quasi conclusa e un consistente aumento di posti.
(11 dicembre 2006)
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