Una lavoratrice del cremasco chiedeva 30 minuti per riprendere la figlia a scuola
Era disposta a un taglio in busta paga o a recuperare. Il caso in tribunale
Mamma operaia chiede mezz'ora flessibile
ma l'azienda è contraria e la licenzia
MILANO - Aveva chiesto mezz'ora di lavoro flessibile per poter riprendere la figlia da scuola, ma l'azienda, la Ipc Faip di Vaiano Cremasco (Cremona), ha deciso di risolvere il problema più drasticamente, licenziandola. Raffaella, operaia di 40 anni, aveva fatto domanda per poter avere trenta minuti di flessibilità da utilizzare per accudire la sua bambina, ma dopo un lungo braccio di ferro è stata messa alla porta.
Fino a qualche settimana fa la donna, divorziata e senza altri redditi se non la sua paga di mille euro, per prelevare la figlia a scuola aveva sempre usato la pausa pranzo. Recentemente un accordo sindacale l'ha accorciata però di mezz'ora. La signora aveva chiesto quindi una deroga, con la disponibilità a recuperare la mezzora o a perdere la retribuzione. Ma niente da fare: dopo una serie di iniziative, e dopo gli scioperi di mezzora indetti dalla Flm Uniti-Cub per consentire alla lavoratrice di accudire la figlia, l'azienda ha deciso il licenziamento.
La decisione della Ipc Faip, azienda leader nella produzione di strumenti per la pulizia domestica e professionale ad acqua, è stato subito impugnata; la prima udienza davanti al giudice è fissata per il 9 gennaio a Crema.
(20 dicembre 2006)
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21.12.06
7.12.06
CNR 13/12: Il nuovo mercato del lavoro scientifico
13/12/2006
ricercatori più flessibili o più precari?
Roma
Aula Marconi - P.le Aldo Moro, 7
orario: 10:30
La tavola rotonda è organizzata in occasione della presentazione del volume “Portati dal vento. Il nuovo mercato del lavoro scientifico: ricercatori più flessibili o più precari?”
La tavola rotonda è organizzata in occasione della presentazione del volume “Portati dal vento. Il nuovo mercato del lavoro scientifico: ricercatori più flessibili o più precari?”, (Odradek 2006) di Maria Carolina Brandi, ricercatrice presso l'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr.
Intervengono, tra gli altri, Rino Falcone, Consigliere del Ministro dell'Università e della ricerca, Umberto Guidoni, europarlamentare, membro della Commissione ricerca ed energia, le associazioni di ricercatori con contratto a termine
ricercatori più flessibili o più precari?
Roma
Aula Marconi - P.le Aldo Moro, 7
orario: 10:30
La tavola rotonda è organizzata in occasione della presentazione del volume “Portati dal vento. Il nuovo mercato del lavoro scientifico: ricercatori più flessibili o più precari?”
La tavola rotonda è organizzata in occasione della presentazione del volume “Portati dal vento. Il nuovo mercato del lavoro scientifico: ricercatori più flessibili o più precari?”, (Odradek 2006) di Maria Carolina Brandi, ricercatrice presso l'Istituto di ricerche sulla popolazione e le politiche sociali (Irpps) del Cnr.
Intervengono, tra gli altri, Rino Falcone, Consigliere del Ministro dell'Università e della ricerca, Umberto Guidoni, europarlamentare, membro della Commissione ricerca ed energia, le associazioni di ricercatori con contratto a termine
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Atipici più cari per frenare lo sfruttamento?
In arrivo maggiori tutele e aumento dei contributi, ma non certo diminuzione della flessibilità.
Tra i più prossimi e probabili cambiamenti nello scenario del mercato del lavoro italiano ci saranno: un aumento dei versamenti contributivi per i collaboratori e gli autonomi, un aumento della tutela normativa e provvedimenti per accelerare il ritorno al lavoro in caso di licenziamenti e trasferimenti.
«Di fatto si tratta di applicare la riforma Biagi in modo completo», afferma Gaetano Zilio Grandi, docente di diritto del lavoro a Ca' Foscari.
«Come era stata inizialmente concepita dallo studioso e secondo la vecchia idea di Massimo D'Antona di garantire una base minima di diritti per tutti e che via via si allarga a seconda delle diverse tipologie di lavoro. Maggiori contributi ai collaboratori dovrebbero incentivare la convenienza delle assunzioni a tempo indeterminato».
L'attuale mercato del lavoro e la situazione economica non prescinderanno dalla flessibilità: è previsto comunque un aumento delle forme lavorative atipiche. «Anche l'aumento del lavoro autonomo è un dato tendenzialmente in crescita - afferma il docente - ma spesso si tratta di una convenienza per i lavoratori prima che per i committenti. La logica dovrebbe essere questa: la flessibilità deve essere a favore del lavoratore, dunque anche a livello di orari di lavoro, di tempi e di modalità. C'è bisogno di ripensare al concetto stesso di lavoro, di introdurre il concetto di risultato anche per il lavoro subordinato, di superare il sistema binario basato sulla contrapposizione autonomo-subordinato, di maggiore meritocrazia».
Spesso però il problema denunciato dai "precari" è l'inadeguata applicazione di contratti di collaborazione o a progetto quando invece si svolge un lavoro perfettamente assimilabile alla categoria del lavoro subordinato: «Manca infatti la legalità. Ristabilirla è compito dell'ispettorato al lavoro, che necessita di una riforma».
Francesca Bellemo
Tratto da Gente Veneta , no.45 del 2006
Tra i più prossimi e probabili cambiamenti nello scenario del mercato del lavoro italiano ci saranno: un aumento dei versamenti contributivi per i collaboratori e gli autonomi, un aumento della tutela normativa e provvedimenti per accelerare il ritorno al lavoro in caso di licenziamenti e trasferimenti.
«Di fatto si tratta di applicare la riforma Biagi in modo completo», afferma Gaetano Zilio Grandi, docente di diritto del lavoro a Ca' Foscari.
«Come era stata inizialmente concepita dallo studioso e secondo la vecchia idea di Massimo D'Antona di garantire una base minima di diritti per tutti e che via via si allarga a seconda delle diverse tipologie di lavoro. Maggiori contributi ai collaboratori dovrebbero incentivare la convenienza delle assunzioni a tempo indeterminato».
L'attuale mercato del lavoro e la situazione economica non prescinderanno dalla flessibilità: è previsto comunque un aumento delle forme lavorative atipiche. «Anche l'aumento del lavoro autonomo è un dato tendenzialmente in crescita - afferma il docente - ma spesso si tratta di una convenienza per i lavoratori prima che per i committenti. La logica dovrebbe essere questa: la flessibilità deve essere a favore del lavoratore, dunque anche a livello di orari di lavoro, di tempi e di modalità. C'è bisogno di ripensare al concetto stesso di lavoro, di introdurre il concetto di risultato anche per il lavoro subordinato, di superare il sistema binario basato sulla contrapposizione autonomo-subordinato, di maggiore meritocrazia».
Spesso però il problema denunciato dai "precari" è l'inadeguata applicazione di contratti di collaborazione o a progetto quando invece si svolge un lavoro perfettamente assimilabile alla categoria del lavoro subordinato: «Manca infatti la legalità. Ristabilirla è compito dell'ispettorato al lavoro, che necessita di una riforma».
Francesca Bellemo
Tratto da Gente Veneta , no.45 del 2006
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30.11.06
Oggi atipici, domani poveri (Panorama)
Per la prima volta emerge un grave rischio sociale: i lavoratori flessibili sono destinati a vivere con stipendi e pensioni irrisori.
Trampolino di lancio verso il mondo del lavoro o trappola a vita? Anticamera per il paradiso di un'occupazione dignitosa e soddisfacente o girone infernale senza uscita e senza speranze? Da almeno 10 anni, da quando cioè cominciarono ad apparire le prime figure di lavoratori cosiddetti atipici ai tempi del governo di Lamberto Dini, economisti e politici si accapigliano sul mondo all'apparenza sfuggente e inafferrabile di flessibili, precari, parasubordinati, cococo, cocopro e simili.
Più che ancorato a statistiche e dati certi, il dibattito finora è apparso orientato dalle appartenenze, dalle ideologie, se non dai pregiudizi. Essere pro o contro flessibilità e lavoro atipico in questo contesto è stato spesso più un atto di fede che una scelta ragionata.
Ora un accurato rapporto dell'Isae (Istituto di studi e analisi economiche) aiuta se non altro a orientarsi meglio. Lo studio effettuato con l'incrocio di una mole notevole di dati Inps e delle 40.386 interviste a base dell'indagine Plus 2005 dell'Isfol, istituto per la formazione del lavoro, non scioglie con un colpo netto il quesito forse irrisolvibile: se il lavoro atipico sia un'opportunità o una condanna. Per la prima volta, però, documenta non a spanne, ma sulla base di un approccio scientifico, la possibile insorgenza di un rischio sociale gravissimo.
Il rischio, cioè, che si stiano creando i presupposti perché in futuro si formino schiere di anziani poverissimi. Una prospettiva sociale preoccupante e per niente scongiurata da quanto stabilito nella Finanzaria 2007 a proposito di regime contributivo per gli atipici, con l'innalzamento della contribuzione dal 20 al 23 per cento, un terzo a carico del lavoratore e due terzi del datore di lavoro.
Il capitolo del rapporto che riguarda le prospettive previdenziali dei flessibili cerca di delineare che cosa succederà a un lavoratore atipico nel momento in cui arriverà in fondo alla sua carriera lavorativa. Il soggetto preso in esame non è un tizio sfortunatissimo, con un salario di ingresso eccezionalmente basso e una vita lavorativa particolarmente negativa e accidentata.
Anzi, il signor X dello studio appare se non tra i più fortunati, almeno al di sopra della media: venticinquenne, ha uno stipendio di ingresso di 14.500 euro lordi all'anno e sulla base delle statistiche Isfol finora disponibili si ipotizza che nell'arco della sua carriera sia perseguitato da una probabilità di disoccupazione pari all'11,3 per cento all'anno.
Cioè si suppone che proprio in quanto flessibile non lavori tutti i 12 mesi, ma il suo impegno sia intervallato da buchi di non lavoro. Si suppone, infine, che per lui l'atipicità sia non una condizione passeggera, ma un vincolo a vita, cioè che non riesca mai a evadere dalla precarietà e a raggiungere un contratto a tempo indeterminato.
Di tutte le ipotesi assunte dai curatori dello studio, questa è l'unica veramente aleatoria, nel senso che dopo un decennio di sperimentazione della flessibilità nessuno è in grado di dire davvero se la società italiana dovrà fare i conti con la figura dei precari a vita oppure se prima o poi anche per ogni atipico ci sarà una qualche redenzione lavorativa.
Dallo studio risulta che in molti casi l'atipicità si configura come una trappola e in moltissimi altri è invece una rapida fase transitoria verso contratti di lavoro migliori. In particolare dal rapporto emerge che «chi è già stato in passato un atipico nel 22 per cento dei casi lo è ancora, mentre nel 45,7 il lavoro atipico è stato seguito da un'assunzione a tempo indeterminato».
Trampolino di lancio verso il mondo del lavoro o trappola a vita? Anticamera per il paradiso di un'occupazione dignitosa e soddisfacente o girone infernale senza uscita e senza speranze? Da almeno 10 anni, da quando cioè cominciarono ad apparire le prime figure di lavoratori cosiddetti atipici ai tempi del governo di Lamberto Dini, economisti e politici si accapigliano sul mondo all'apparenza sfuggente e inafferrabile di flessibili, precari, parasubordinati, cococo, cocopro e simili.
Più che ancorato a statistiche e dati certi, il dibattito finora è apparso orientato dalle appartenenze, dalle ideologie, se non dai pregiudizi. Essere pro o contro flessibilità e lavoro atipico in questo contesto è stato spesso più un atto di fede che una scelta ragionata.
Ora un accurato rapporto dell'Isae (Istituto di studi e analisi economiche) aiuta se non altro a orientarsi meglio. Lo studio effettuato con l'incrocio di una mole notevole di dati Inps e delle 40.386 interviste a base dell'indagine Plus 2005 dell'Isfol, istituto per la formazione del lavoro, non scioglie con un colpo netto il quesito forse irrisolvibile: se il lavoro atipico sia un'opportunità o una condanna. Per la prima volta, però, documenta non a spanne, ma sulla base di un approccio scientifico, la possibile insorgenza di un rischio sociale gravissimo.
Il rischio, cioè, che si stiano creando i presupposti perché in futuro si formino schiere di anziani poverissimi. Una prospettiva sociale preoccupante e per niente scongiurata da quanto stabilito nella Finanzaria 2007 a proposito di regime contributivo per gli atipici, con l'innalzamento della contribuzione dal 20 al 23 per cento, un terzo a carico del lavoratore e due terzi del datore di lavoro.
Il capitolo del rapporto che riguarda le prospettive previdenziali dei flessibili cerca di delineare che cosa succederà a un lavoratore atipico nel momento in cui arriverà in fondo alla sua carriera lavorativa. Il soggetto preso in esame non è un tizio sfortunatissimo, con un salario di ingresso eccezionalmente basso e una vita lavorativa particolarmente negativa e accidentata.
Anzi, il signor X dello studio appare se non tra i più fortunati, almeno al di sopra della media: venticinquenne, ha uno stipendio di ingresso di 14.500 euro lordi all'anno e sulla base delle statistiche Isfol finora disponibili si ipotizza che nell'arco della sua carriera sia perseguitato da una probabilità di disoccupazione pari all'11,3 per cento all'anno.
Cioè si suppone che proprio in quanto flessibile non lavori tutti i 12 mesi, ma il suo impegno sia intervallato da buchi di non lavoro. Si suppone, infine, che per lui l'atipicità sia non una condizione passeggera, ma un vincolo a vita, cioè che non riesca mai a evadere dalla precarietà e a raggiungere un contratto a tempo indeterminato.
Di tutte le ipotesi assunte dai curatori dello studio, questa è l'unica veramente aleatoria, nel senso che dopo un decennio di sperimentazione della flessibilità nessuno è in grado di dire davvero se la società italiana dovrà fare i conti con la figura dei precari a vita oppure se prima o poi anche per ogni atipico ci sarà una qualche redenzione lavorativa.
Dallo studio risulta che in molti casi l'atipicità si configura come una trappola e in moltissimi altri è invece una rapida fase transitoria verso contratti di lavoro migliori. In particolare dal rapporto emerge che «chi è già stato in passato un atipico nel 22 per cento dei casi lo è ancora, mentre nel 45,7 il lavoro atipico è stato seguito da un'assunzione a tempo indeterminato».
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